Diritti ed obblighi lavoratoreFonte: Cod. Civ. Articolo 2104
20 Dicembre 2023
Inquadramento
Il prestatore di lavoro subordinato è titolare di molteplici diritti nei confronti del datore e, al contempo, è assoggettato ad una serie di obblighi. Tra i diritti va menzionato, in primo luogo, quello, previsto dall' art. 36 Cost., al percepimento di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità di lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla di lui famiglia una esistenza libera e dignitosa. Viene poi in rilievo il diritto, sancito dall' art. 2103 c.c., allo svolgimento di mansioni per le quali il prestatore è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero all'espletamento di mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Il fenomeno opposto dell'assegnazione a mansioni superiori - che non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto - dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a sei mesi continuativi, determina il diritto alla cosiddetta promozione automatica, salvo diversa volontà del lavoratore. Il prestatore ha poi diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, secondo quanto stabilito dagli artt. 36 Cost. e 2109 c.c., nonché dalla L. n. 66/2003. Sul versante degli obblighi, il lavoratore deve attenersi alle direttive del datore, espletando la propria attività con diligenza, ai sensi dell' art. 2104 c.c., ed osservando l'obbligo di fedeltà di cui all' art. 2105 c.c. Il diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente
Fondamentale in materia è il parametro costituzionale di cui all'art. 36 Cost., avente valenza immediatamente precettiva, ove è enunciato il criterio della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione.
La retribuzione è stabilita per lo più a tempo ed è corrisposta, ordinariamente, in moneta, nella misura determinata dall'accordo delle parti (in difetto del quale opera l'intervento suppletivo del giudice, ai sensi dell' art. 2099 c.c.), nel quale di norma è recepito quanto stabilito nel contratto collettivo, la cui efficacia vincolante cessa in presenza di condizioni di maggior favore pattuite individualmente. Laddove la contrattazione collettiva non abbia capacità determinativa - ad esempio per mancata iscrizione del datore all'associazione sindacale stipulante il contratto collettivo, neppure applicato in via di fatto - soccorrerà il giudizio del giudice, che per prassi utilizzerà, nell'operare l'adeguamento del compenso in conformità ai criteri sopra detti, il contratto collettivo, pur non direttamente applicabile, di oggettivo riferimento, o quello più affine, essendo comunque sempre consentiti scostamenti (sui quali non si registra ancora una uniformità di posizioni).
Il giudizio di adeguamento deve avere riguardo al trattamento economico globale percepito dal lavoratore; ed un tale accertamento va effettuato tenendo conto della retribuzione base stabilita dalla contrattazione collettiva, non direttamente applicabile, e dall'indennità di contingenza, nonché dalle componenti, connotate da stabilità, della retribuzione stessa, ovvero allo stipendio base, alla tredicesima mensilità, al compenso per lavoro straordinario ecc …, senza potersi estendere a componenti di valenza ed origine tipicamente contrattuale (come ad esempio la quattordicesima mensilità) e per di più legate ad indici di produttività e/o redditività. Il criterio di adeguatezza della retribuzione alla quantità di lavoro svolto comporta, in caso di effettuazione del lavoro straordinario, un aumento della retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario. Non vige nel nostro ordinamento un principio generale ed inderogabile di omnicomprensività della retribuzione ai fini della determinazione spettante per i cosiddetti istituti indiretti, salvo le eccezioni poste dalle previsioni di cui agli artt. 2120 c.c., in tema di trattamento di fine rapporto, e 2121 c.c., in tema di computo dell'indennità di mancato preavviso. Del pari non vige nel nostro ordinamento, con riguardo al settore lavoristico privato, un principio di parità di trattamento retributivo. Il diritto alla retribuzione non è escluso in caso di assenza dal lavoro del dipendente dovuta ad infortunio, malattia, gravidanza e puerperio (art. 2110 c.c.) o a servizio militare (art. 2111 c.c.). Il diritto all'espletamento di mansioni conformi alla qualifica di assunzione o alla professionalità acquisita o riconducibili allo stesso livello o categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte
L'art. 2103 c.c., così come modificato dall'art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015, prevede, al comma 1, che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.
Era fatta salva, nella vigenza della vecchia disciplina, la ricorrenza di ipotesi eccezionali, quali la sopravvenuta inidoneità del prestatore di lavoro o, più in generale, la sussistenza di esigenze aziendali straordinarie idonee a condurre, in difetto del demansionamento, al licenziamento del dipendente. Ora, sul punto, l'attuale art. 2103 c.c. dispone, ai commi da 2 a 6, che “In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al comma 4, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Nelle sedi di cui all'art. 2113, comma 4, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”.
Al comma 9 dell'articolo in questione è previsto che “Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al comma 6, ogni patto contrario è nullo”.
Quanto, in particolare, alla portata del concetto di equivalenza, nella disciplina previgente si riconosceva, in via di principio, alla contrattazione collettiva un ampio margine di discrezionalità nella determinazione e classificazione delle aree di equivalenza tra le mansioni in sede di definizione del sistema di inquadramento, e tale classificazione assumeva valenza indiziaria dell'equivalenza. Si riteneva che l'equivalenza delle mansioni dovesse sussistere in concreto, a prescindere dalla valutazione convenzionale che ne avessero fatto le parti; tuttavia in giurisprudenza (Cass., sez.un., 24 novembre 2006, n. 25033) si ammetteva che la contrattazione collettiva pootesse rendere fungibili per temporanee esigenze aziendali anche mansioni che esprimono professionalità di grado diverso (non legalmente equivalenti a norma dell'art. 2103, comma 1, c.c.) purché fossero contrattualmente equivalenti, in quanto classificate nella medesima categoria e allo stesso livello retributivo. Secondo l'indirizzo maggioritario (Cass., sez. lav., 2 maggio 2006, n. 10091) era necessario aderire ad una nozione “dinamica” di equivalenza professionale, basata sulla conservazione dei tratti essenziali delle competenze richieste al lavoratore prima e dopo il mutamento di mansioni, affinché, per effetto dell'affidamento di compiti anche del tutto estranei rispetto all'attività precedentemente svolta ed alle cognizioni tecniche già acquisite, non venga del tutto disperso il patrimonio professionale e di esperienza già maturato dal dipendente.
Allo ius variandi, in ogni caso, non può accompagnarsi una diminuzione della retribuzione (c.d. principio di irriducibilità); va tuttavia ricordato che la regola della irriducibilità non è assoluta, potendo venir meno le indennità remunerative di particolari modalità della prestazione lavorativa (ad esempio, l'indennità di reggenza). Il demansionamento del lavoratore può dar luogo a conseguenze risarcitorie.
Nella nuova versione dell'art. 2103, al comma 7, è previsto che “Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. Il diritto al riposo settimanale e alle ferie
Il prestatore ha diritto di fruire del riposo settimanale e di godere di ferie annuali retribuite, sull'ovvio presupposto della necessità di ritemprare le energie dopo un periodo di ininterrotto lavoro. L'art. 2109 c.c. prevede che il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica. L'art. 36, comma 3, Cost. stabilisce, in aggiunta, che il diritto al riposo settimanale (al pari di quello alle ferie) è irrinunciabile. La predetta disposizione codicistica dispone, ancora, che il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. Il D.Lgs. n. 66/2003 e successive modifcazioni reca la disciplina di dettaglio del riposo giornaliero (art. 7), delle pause (art. 8), dei riposi settimanali (art. 9), delle ferie annuali (art. 10). In particolare:
La mancata effettuazione del riposo settimanale può dar luogo alla pretesa risarcitoria del lavoratore.
In materia di monetizzazione delle ferie non godute (su cui vi è il divieto – relativo – ex art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 66/2003), vi è il problema dell'identificazione della natura di tale posta.
L' art. 2104 c.c. stabilisce che il prestatore di lavoro
Ai fini della configurabilità della violazione, da parte del dipendente, del dovere di osservare la diligenza richiesta dall'interesse dell'impresa, assume rilievo che tale interesse sia stato specificamente valutato da organi o soggetti preposti che, in particolare, abbiano impartito specifici orientamenti o indicazioni, dovendosi escludere, in tal caso, il dovere del lavoratore di rivolgersi ad altri organi o soggetti sovraordinati (Cass., sez. lav., 7 aprile 2004, n. 6813). La diligenza postula anche una determinata intensità della prestazione, intesa come velocità di esecuzione del lavoro; la soglia al di sotto della quale il lavoratore può considerarsi inadempiente è costituita dalle capacità del lavoratore medio addetto alla medesima attività. E' pertanto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione (Cass., sez. lav., 4 settembre 2014, n. 18678). In particolare:
L' art. 2105 c.c. dispone che il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. Il dovere di fedeltà - riferito esclusivamente ad attività "lecite" dell'imprenditore, non potendosi richiedere al lavoratore l'osservanza di detto dovere anche quando l'imprenditore medesimo intenda perseguire interessi che non siano leciti - si sostanzia nell'obbligo del lavoratore medesimo di tenere un comportamento leale verso il datore di lavoro e di tutelarne in ogni modo gli interessi; pertanto, rientra nella sfera di tale dovere il divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore-datore di lavoro nel medesimo settore produttivo o commerciale, senza che sia necessaria, allo scopo, la configurazione di una vera e propria condotta di concorrenza sleale, in una delle forme stabilite dall'art. 2598 c.c. (Cass., sez. lav., 19 aprile 2006, n. 9056; in senso analogo Cass. sez. lav., 30 gennaio 2017, n. 2239). Ovviamente la violazione del divieto di concorrenza riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso (Cass., sez. lav., 29 agosto 2014, n. 18459). Lo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze di un'impresa in concorrenza con il datore di lavoro può configurare la violazione del divieto, sotto il profilo della "trattazione di affari per conto terzi in concorrenza con l'imprenditore", solo ove tale concorrenza consista in atti rientranti in prestazioni di carattere intellettuale di notevole autonomia e discrezionalità, dato che proprio coloro che fanno parte del personale impiegatizio più altamente qualificato sono in grado - al di fuori dell'ipotesi di divulgazione di notizie riservate o di metodi di lavoro peculiari - di porre in essere quella concorrenza più intensa che il legislatore ha inteso reprimere (Cass., sez. lav., 26 ottobre 2001, n. 13329). Dal collegamento dell'obbligo di fedeltà, di cui all' art. 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. deriva che il lavoratore deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dal suddetto art. 2105, ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (Cass., sez. lav., 4 aprile 2005, n. 6957; in senso analogo Cass. sez. lav.. 4 aprile 2017, n. 8711). Casistica
Diligenza
Obbligo di fedeltà
Dalla violazione del dovere di fedeltà può derivare un obbligo risarcitorio a carico del lavoratore. Riferimenti Normativi:
Giurisprudenza: Per i recenti orientamenti sul tema, v. C. Appello Catania , 4 aprile 2023, n. 628, con commento di S. Gentiluomo, Responsabilità del sindacato. Potere di disposizione dei diritti del lavoratore in assenza di specifico mandato. Mandato espresso, tacito e presunto; Cass. ,sez. lav., 28 giugno 2023, n. 18477, con commento di G. Livi, Previdenza complementare: le quote di TFR non versate al fondo pensione spettano al lavoratore; Cass., sez. lav., 31 maggio 2023, n. 15364, con commento di T. Zappia, Datore-pubblico, progressioni orizzontali e diritto del lavoratore: occorre sempre la copertura finanziaria? Cass. sez. lav., 20 dicembre 2023, n. 35576; Cass. sez. lav., 14 luglio 2023, n. 20284
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