Trasferta
22 Agosto 2016
Inquadramento
La trasferta (o missione) consiste nella variazione del luogo di lavoro decisa unilateralmente dal datore di lavoro nell'ambito del legittimo esercizio del potere direttivo. Il datore di lavoro, in questo senso, è libero di inviare in missione il lavoratore senza necessità di acquisire previamente il consenso da parte di quest'ultimo. Il consenso del lavoratore all'invio in missione è, quindi, elemento ininfluente per la legittimità della disposizione datoriale. La trasferta si caratterizza per:
Le citate caratteristiche sono state individuate, in assenza di una definizione legislativa dell'istituto, dalla giurisprudenza e utilizzate per differenziare la trasferta da altri istituti che pure determinano il mutamento del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa, tra i quali il trasferimento e il distacco (entrambi questi ultimi istituti espressamente disciplinati da disposizioni normative ad hoc) e per distinguere la trasferta dal c.d. “trasfertismo”.
Tale ultima fattispecie riguarda tutti i lavoratori dipendenti i quali, per lo specifico oggetto dell'attività lavorativa dedotta in contratto, non hanno una sede di lavoro fissa e determinata ma eseguono la loro prestazione attraverso continui e successivi spostamenti in differenti sedi di lavoro, difettando, in questo senso, il requisito dell'occasionalità. La distinzione tra trasferta e “trasfertismo” non è di poco rilievo, atteso che diverso è il trattamento fiscale.
Requisiti sostanziali e differenze rispetto ad altri istituti
Non esiste, nel nostro ordinamento, una definizione normativa dell'istituto della trasferta. Le caratteristiche proprie dell'istituto sono state individuate dalla giurisprudenza, la quale ha fornito, altresì, una definizione della trasferta anche al fine di distinguere il citato istituto rispetto ad altre fattispecie limitrofe, quali il trasferimento o il distacco.
La trasferta è una variazione temporanea del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa decisa unilateralmente dal datore di lavoro per il perseguimento degli interessi dell'impresa. Sotto questo profilo, la trasferta rappresenta un'ipotesi di applicazione pratica dell'esercizio del potere direttivo datoriale, inteso come la possibilità del datore di lavoro di impartire ordini al dipendente, anche con riferimento alla individuazione del luogo ove la prestazione lavorativa deve essere eseguita. Va da sé che, se il datore di lavoro può unilateralmente imporre la variazione temporanea del luogo di lavoro del dipendente, non è elemento essenziale ai fini della configurabilità dell'istituto la prestazione del consenso da parte del lavoratore, il quale, dunque, subisce la decisione datoriale. In questo senso, il rifiuto ingiustificato da parte del prestatore di lavoro di svolgere l'attività lavorativa in trasferta, ben potrebbe configurare gli estremi di una condotta inadempiente e, per tale ragione, sanzionabile disciplinarmente.
Se da un lato il lavoratore subisce la decisione datoriale, d'altro lato è innegabile che la variazione, sebbene temporanea, del luogo ove svolgere la prestazione lavorativa può determinare un aggravio delle condizioni contrattuali di lavoro. Per tale ragione, in mancanza di una disciplina normativa uniforme, la contrattazione collettiva è intervenuta per garantire al lavoratore inviato in missione il diritto al riconoscimento di un trattamento economico volto a compensare il disagio derivante dal temporaneo svolgimento della prestazione lavorativa presso una sede diversa dal “normale” luogo di lavoro. Sotto questo profilo, la giurisprudenza di legittimità ha osservato che l'indennità di trasferta copre anche il disagio psicofisico e materiale dato dalla faticosità degli spostamenti per raggiungere il luogo di temporaneo svolgimento dell'attività lavorativa. Il tempo impiegato per recarsi in missione, quindi, è già compensato dall'indennità di trasferta, non facendo parte dell'orario di lavoro effettivo. Del resto, a tale conclusione è pervenuto anche il Ministero del Lavoro che con interpello del 2 aprile 2010, n. 15 ha chiarito come “il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell'attività lavorativa ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall'indennità di trasferta”.
La contrattazione collettiva prevede che l'indennità dovuta al dipendente inviato in missione possa essere corrisposta (alternativamente) sotto forma di:
Il carattere temporaneo della trasferta e il permanere del legame funzionale con la sede di lavoro contrattualmente stabilita è l'elemento che distingue l'istituto in commento dal trasferimento. Il trasferimento, infatti, comporta una modifica del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, che si caratterizza, tuttavia, per avere carattere definitivo.
Il trasferimento può essere disposto, non solo su decisione unilaterale del datore di lavoro, ma anche su richiesta del prestatore di lavoro, oppure in caso di accordo tra le parti. Mentre in caso di accordo tra le parti, o in caso di trasferimento su richiesta del lavoratore, la legge non prevede alcuna particolare restrizione, essendo rimessa la modifica di un aspetto del rapporto di lavoro alla determinazione delle parti contrattuali, qualora il trasferimento sia il frutto di una unilaterale decisione del datore di lavoro sarà, invece, necessario che ricorrano i requisiti di legittimità previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
L'art. 2103 c.c. stabilisce, a questo proposito, che il lavoratore può essere trasferito da una unità produttiva all'altra solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Da ciò consegue che:
A completare la disciplina normativa richiamata soccorrono i contratti collettivi che, spesso, impongono al datore di lavoro di comunicare il trasferimento per iscritto, rispettando un determinato preavviso e di riconoscere al lavoratore trasferito un trattamento economico che preveda, ad esempio, il rimborso delle spese sostenute per il trasferimento del lavoratore e dei famigliari a carico.
Nel caso del trasferimento, gli specifici requisiti di legittimità sono giustificati dal fatto che la modifica del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa è definitiva. Il giudizio di definitività della modifica del luogo della prestazione lavorativa (che permette di inquadrare una fattispecie nell'ambito della trasferta o del trasferimento), tuttavia, non può essere effettuato solo con riferimento alla mera durata della modifica del luogo di lavoro stesso. Sotto questo profilo, secondo un costante orientamento della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ciò che rileva ai fini della distinzione tra trasferta e trasferimento non è la durata effettiva della modifica del luogo di lavoro, quanto piuttosto la sussistenza o meno del legame funzionale con il luogo originario di lavoro. In altre parole, la modifica del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa può protrarsi anche per un tempo apprezzabilmente lungo (anni) senza che ciò qualifichi la fattispecie come un'ipotesi di trasferimento, sempre che si dimostri il permanere del legame funzionale per l'intero periodo di missione con il luogo originario di lavoro (Cass. 20 luglio 2007, n. 16136; in senso conforme, Cass. 21 marzo 2006, n. 6240; Trib. Milano 7 maggio 2009).
Il mutamento del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa può realizzarsi anche mediante distacco. Attraverso il distacco, il datore di lavoro (distaccante) pone temporaneamente un proprio dipendente a disposizione di un altro soggetto (distaccatario) per l'esecuzione di una determinata attività e per soddisfare un proprio interesse. Come nel caso della trasferta, dunque, il distacco è disposto per un periodo di tempo limitato (collegato alla sussistenza dell'interesse del datore di lavoro distaccante), ma si caratterizza per la modifica del soggetto titolare del potere direttivo nei confronti del dipendente (temporaneamente attribuito, appunto, ad altro soggetto giuridico, diverso dal formale datore di lavoro).
Ai fini della configurabilità del distacco è necessario che ricorrano le seguenti condizioni (Ministero Lavoro, Circolare 24 giugno 2005, n. 28):
Il caso dei trasfertisti
Mentre nella trasferta si ha uno spostamento temporaneo e occasionale del luogo di lavoro contrattualmente stabilito, i c.d. “trasfertisti” sono quei lavoratori dipendenti i quali sono tenuti a svolgere la loro attività normalmente fuori dalla sede o dallo stabilimento. In quest'ultimo caso, dunque, la variazione continua e frequente della sede di lavoro non è un'eccezione rispetto al normale svolgimento dell'attività lavorativa, ma rappresenta una caratteristica intrinseca della prestazione dedotta in contratto.
Peraltro, ha osservato la giurisprudenza di legittimità, la possibilità datoriale di modificare continuamente e in maniera reiterata il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa non deve necessariamente essere oggetto di una precisa e chiara clausola del contratto di lavoro, individuale o collettivo, atteso che è possibile definire come “trasfertismo” il rapporto di lavoro del dipendente che, anche in assenza di una specifica previsione pattizia, sia effettivamente tenuto al rispetto del potere direttivo datoriale che si esplica nel comando di svolgere l'attività lavorativa in luoghi sempre diversi, in adempimento di un preciso obbligo contrattuale e non in base ad un occasionale accordo di volta in volta raggiunto con il datore di lavoro (Cass. 17 febbraio 2016, n. 3066).
Da ultimo, il Legislatore ha chiarito, recependo le indicazioni già fornite sul punto dall'INPS, che sono “trasfertisti” i lavoratori nei confronti dei quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni (art. 7 quinquies D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225): a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un'attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un'indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
Mentre in caso di trasferta il lavoratore inviato in missione ha diritto a percepire una somma (diaria o rimborso spese) la cui funzione è quella di ristorare il lavoratore del disagio che deriva dallo svolgimento della prestazione lavorativa presso una sede temporaneamente diversa da quella “normale”, nel caso del “trasfertista” il compenso del dipendente è aumentato in ragione della particolare modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, sganciata dall'esistenza di un luogo di lavoro fisso e prestabilito.
Nel caso della trasferta, l'indennità riconosciuta al dipendente ha, secondo la giurisprudenza, natura mista, in parte retributiva e in parte restitutoria, in quanto la diaria (o il rimborso delle spese sostenute dal dipendente) ha la finalità di compensare il lavoratore sia per le spese sostenute, sia per il disagio che deriva dalla modifica del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. Le somme corrisposte al “trasfertista”, invece, hanno natura retributiva, atteso che la continua modifica del luogo di lavoro non è un'eccezione alla regola, ma è un elemento essenziale della prestazione lavorativa.
Dalla diversa natura dei compensi elargiti ai lavoratori in missione e ai “trasfertisti” deriva anche un diverso trattamento contributivo applicabile. Sul punto, la disciplina normativa di riferimento è rintracciabile nel T.U.I.R. (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), il quale, all'art. 51, stabilisce, con riguardo all'indennità di trasferta, che le somme corrisposte a tale titolo concorrono a formare reddito per la parte eccedente un limite massimo giornaliero differente a seconda che la trasferta sia nazionale o estera (art. 51, comma 5, T.U.I.R.), mentre gli importi corrisposti ai “trasfertisti”, ossia ai lavoratori che, ai sensi dell'art. 51, comma 6, T.U.I.R., sono “tenuti per contratto all'espletamento dell'attività lavorativa in luoghi sempre diversi e variabili” concorrono a formare reddito, assoggettabile a contribuzione previdenziale, nella misura del 50% del loro ammontare. Per la parte che costituisce reddito da lavoro dipendente, le somme corrisposte a titolo di indennità di trasferta e i compensi per i trasfertisti sono soggetti a prelievo contributivo.
Riferimenti
Normativa - Art. 2103 cod. civ. - art. 7 quinquies D.L. 22 ottobre 2016, n. 1937 - Art. 30 D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 - Art. 51, commi 5 e 6, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
Prassi - Ministero del Lavoro, Circolare, 14 giugno 2016, n. 37 - Ministero del Lavoro, Interpello 2 aprile 2010, n. 15 - INPS, Messaggio 5 dicembre 2008, n. 27271 - Ministero del Lavoro, Circolare 24 giugno 2005, n. 28
Giurisprudenza - Corte di Cassazione, SS.UU., 15 novembre 2017, n. 27093 - Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 17 febbraio 2016, n. 3066 - Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 1 settembre 2014, n. 18479 - Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 6 giugno 2013, n. 14314 - Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 20 luglio 2007, n. 16136 - Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 21 marzo 2006, n. 6240 - Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, sentenza 7 maggio 2009, est. Pattumelli - Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, sentenza 10 luglio 2006, est. Di Ruocco |