Lavoratori dello sport

10 Giugno 2024

Il lavoro sportivo trova la propria disciplina nel d.lgs. n. 36/2021, (Titolo V – Capo I), come successivamente modificato dal d.lgs. n. 120/2023, nell'ambito della più ampia Riforma dello sport entrata in vigore nel 2023. Tale disciplina consegue il merito di aver riconosciuto ed introdotto la figura del lavoratore sportivo, prima assente nell'Ordinamento, conferendogli qualificazione giuridica piena. Un significativo portato di novità, auspicato e soprattutto necessario, che non solo colma un enorme vuoto legislativo ma, recuperando una visione organica della materia, ha anche assicurato un impianto normativo dotato di ordine e coerenza sistematica, dove il rapporto di lavoro sportivo trova collocazione e – finalmente – una disciplina specifica, in conformità ai suoi tratti di specialità. Il lavoratore sportivo è ora affermato nell'Ordinamento; assume centralità nella dimensione del fenomeno sportivo; conquista piena dignità giuridica ed accede a tutta la gamma delle tutele riconosciute ai lavoratori.

Il lavoratore sportivo

Ai sensi dell'art. 25, comma 1, d.lgs. n. 36/2021 è lavoratore sportivo l'atleta, l'allenatore, l'istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico ed il direttore di gara, che — e qui un doppio passaggio normativo frutto della portata innovativa della Riforma—

senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l'attività sportiva verso un corrispettivo, a favore di un soggetto dell'ordinamento sportivo iscritto nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, nonché a favore delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite, anche paralimpici, del CONI, del CIP e di Sport e salute S.p.a. o di altro soggetto tesserato.

La norma, dunque, tipizza sette figure di lavoratori sportivi. L'elencazione identificativa della figura del lavoratore sportivo si ritiene debba considerarsi a matrice tassativa, non essendo interpretabile in maniera estensiva o analogica, trattandosi — da un lato — di norma speciale, dall'altro non costituendo una fattispecie normativa aperta. L'individuazione della singola tipologia di lavoratori risulta specifica e determinata, non generica e di stampo esemplificativo o —appunto — a formulazione lessicale aperta.

Inoltre, la norma attribuisce lo status di lavoratore sportivo ad un'altra categoria di lavoratori, ossia ad ogni tesserato, come definito ai sensi dell'art. 15 dello stesso decreto legislativo n. 36/2021, che svolge, verso un corrispettivo, a favore dei soggetti sopra specificati, mansioni rientranti, in base ai regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, escludendovi espressamente dal novero i lavoratori che svolgano mansioni amministrativo-gestionale.

Il comma 1-ter, aggiunto all'art. 25 dal d.lgs. n. 120/2023, nel definire i presupposti per il riconoscimento dello status di lavoratore sportivo agli ausiliari, stabilisce che le mansioni necessarie, oltre a quelle indicate nel primo periodo del comma 1, per lo svolgimento di attività sportiva, sono approvate con decreto dell'Autorità di Governo delegata in materia di sport, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L'elenco di queste mansioni è tenuto dal Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri e include le mansioni svolte dalle figure che, in base ai regolamenti tecnici delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, anche paralimpiche, sono necessarie per lo svolgimento delle singole discipline sportive. Esse devono essere comunicate al Dipartimento per lo sport, attraverso il CONI e il CIP per gli ambiti di rispettiva competenza, entro il 31 dicembre di ciascun anno; in assenza di tale comunicazione, la norma prevede che si debbano intendere confermate le mansioni comunicate ed approvate l'anno precedente.

L'ausiliare, affinché possa essere compreso nella categoria del lavoratori sportivi, deve essere titolare di un tesseramento relativo alla mansione pattuita e svolta effettivamente, la quale deve essere prevista nel regolamento tecnico della disciplina di riferimento, nonché ritenuta necessaria ai fini dello svolgimento dell'attività sportiva inerente a quella disciplina, nonché infine riconosciuta, rectius, approvata come tale dall'Autorità governativa per lo sport e ricompresa negli appositi elenchi tenuti dal Dipartimento per lo sport.

Il primo decreto ad avere integrato la figura del lavoratore sportivo tracciata dall'art. 25 è il DPCM del 22 gennaio 2024, pubblicato il 21 febbraio 2024, con cui sono state riconosciute ed approvate mansioni tecniche riferite a 55 tra federazioni e discipline associate, anche paralimpiche, considerate necessarie per lo svolgimento delle singole discipline sportive, riconducibili sia a specifiche figure specialistiche inerenti alla singola disciplina sportiva che a ruoli di carattere comune, trasversali alle varie discipline sportive. Per alcune federazioni sono previste anche le figure a tutela dei minori, introdotti in applicazione dell'art. 16 de d.lgs. n. 39/2021, rappresentate dai safeguarding o dagli accompagnatori dei minori.

L'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 25 contiene un'ulteriore specificazione in negativo della categoria dei lavoratori sportivi, escludendovi espressamente coloro i quali forniscono prestazioni nell'ambito di una professione la cui abilitazione professionale è rilasciata al di fuori dell'ordinamento sportivo e per il cui esercizio devono essere iscritti in appositi albi o elenchi tenuti dai rispettivi ordini professionali, come possono essere — ad esempio — i medici sportivi o i giornalisti.

Nel tracciare i presupposti giuridici della figura del lavoratore sportivo, la norma salda la nozione al principio fondamentale della parità di genere ed impronta la prestazione sportiva ad un preciso elemento, importante, dato dall'irrilevanza del settore in cui essa viene esercitata. Nel nuovo impianto normativo, non rileva più la distinzione tra settore professionistico e dilettantistico, ai fini del riconoscimento dello status di lavoratore sportivo, giacché, ricorrendone i presupposti, è lavoratore sportivo sia il professionista che il dilettante. Tale distinzione assume ora importanza solo ai fini del tipo contrattuale da riconoscere e alla disciplina lavoristica da applicarsi, secondo le previsioni contenute nei successivi artt. 27,28 e 38 del d.lgs. 36/2021.

I contratti di lavoro sportivo

La disciplina sul lavoro sportivo non prevede un nuovo tipo di contratto di lavoro per regolamentare il rapporto di lavoro sportivo. Il legislatore ha preferito non sovraccaricare il sistema di un nuovo modello contrattuale, che pochi vantaggi avrebbe potuto offrire e che, anzi, avrebbe posto problemi di collocazione e di coordinazione sistematica nell'Ordinamento. Sono stati ritenuti soddisfacenti gli schemi contrattuali tradizionali, con una scelta legislativa ben scolpita dall'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 36/2021, ove è affermato che:

“ricorrendone i presupposti, l'attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell'articolo 409, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile.”

Trovano accesso anche le prestazioni di lavoro occasionale, in base a quanto sancito dal comma 3-bis dell'art. 25, introdotto dal d.lgs. n. 120/2023, che le ammette espressamente, ricorrendovi i presupposti di legge, seppure con una formulazione normativa ambigua e lacunosa

È prevalsa, in sostanza, una scelta focalizzata essenzialmente sulla particolarità e specificità del fenomeno sportivo; si tratta di una disciplina contrattuale diretta ad ogni lavoratore coinvolto in ambito sportivo, assicurandogli tutela a seconda del ruolo e del settore in cui presti la propria attività (attività/mansioni esercitate; professionismo/dilettantismo), fondata comunque sull'individuazione di una figura unitaria di lavoratore sportivo, che si dirama in un impianto normativo ricondotto, appunto, nelle tradizionali fattispecie di diritto comune del lavoro subordinato, del lavoro autonomo e delle collaborazioni coordinate e continuative.

La nozione di lavoratore sportivo incrocia, quindi, più modelli contrattuali, a seconda della specificità del rapporto contrattuale in essere, potendo sì accedere a differenti tipologie contrattuali ma senza subirne completamente la disciplina, prevedendosi per ognuna uno statuto normativo speciale, dato dall'espressa esclusione di alcune disposizioni, in ossequio al succitato principio di specificità, a cui si ispira ed è improntata la Riforma, e all'effettiva natura sostanziale della vicenda contrattuale. Apparato normativo speciale che, per espresso richiamo operato dall'art. 25, comma 5, d.lgs. n. 36/2021, potrà essere integrato, per tutto quanto non previsto dal decreto legislativo, dalle norme ordinarie sui rapporti di lavori nell'impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario.

È un quadro normativo che ci consegna un modello in cui emerge – come sottolineato in dottrina - una figura trans-tipica di lavoratore sportivo, a cui è assegnata una disciplina a geometria variabile (subordinata, autonoma, e/o etero-organizzata), a seconda dell'area in cui l'attività lavorativa viene prestata (professionistica o dilettantistica) , con previsioni normative per le quali si è anche parlato di modello a specialità crescente.

Entrando più nello specifico di queste disposizioni e degli schemi contrattuali approntati, vi è da dire che il rapporto di lavoro sportivo subordinato trova la sua disciplina nell'art. 26 del d.lgs. n. 36/2021, delineata secondo regole specifiche, rispondenti al profilo di specialità della fattispecie.

La disposizione normativa, al pari dell'art. 2094 cc., non offre una definizione legislativa di subordinazione e di lavoratore sportivo subordinato, né richiama espressamente la suddetta norma di diritto comune di riferimento, a cui, comunque, l'art. 26, comma 1, opera un implicito rimando, offrendo un elenco di disposizione, proprie delle norme di diritto ordinario, non applicabili al lavoro subordinato sportivo. Pertanto, sono applicabili alla fattispecie tutte le regole del diritto del lavoro nell'impresa non espressamente escluse o derogate, ovvero incompatibili con la specialità del rapporto di lavoro sportivo e con il principio di specificità.

Le specificità e le prerogative del fenomeno sportivo attribuiscono elementi di specialità al rapporto di lavoro sportivo, che, seppur ricondotto alla disciplina della subordinazione, non può aderirvi completamente, rimanendo sottratto ad alcune norme tipiche del modello contrattuale ordinario, in quanto discordanti con tali tratti di specialità.

L'elenco delle norme ordinarie che non si applicano lavoro subordinato sportivo è dato dall'art. 26, comma 1, d.lgs. n. 36/2021, che traccia subito il perimetro della specialità normativa della fattispecie, quasi in un dualismo contrappositivo con la disciplina di diritto comune. La disposizione prevede che, ai contratti di lavoro subordinato sportivo, non si applichino le norme contenute negli artt. 4 (sui controlli a distanza), 5 (sugli accertamenti sanitari) e 18 (sulle tutele in caso di licenziamento illegittimo) della l. 20 maggio 1970, n. 300; negli artt. 1,2,3,5,6,7,8 della l. 15 luglio 1966, n. 604; negli artt. 2,4 e 5 della l. 11 maggio 1990, n. 108; nell'art. 24 della l. 23 luglio 1991, n. 223; nel d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23; nell'art. 2103 c.c.

L'art. 26, comma 3, d.lgs. n. 36/2021 prevede, invece, che l'art. 7 della l. n. 300/1970 non si applichi alle sanzioni disciplinari irrogate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate, dagli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici. Alle società rimane il potere disciplinare e sanzionatorio riguardante la vicenda lavorativa, inerente all'esecuzione del contratto di lavoro subordinato sportivo, assoggettato alle regole ordinarie dell'art. 7 della legge n. 300/1970, rimasto indenne dalla scure disapplicativa dell'art. 26 per tali ipotesi.

Infine, l'art. 26 d.lgs. n. 36/2021 si chiude con il divieto di apposizione, al contratto di lavoro subordinato sportivo, di clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla cessazione del contratto stesso, vietando, altresì, che lo si possa integrare, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni.

Il contratto di lavoro subordinato può essere a tempo determinato, secondo quanto sancito dall'art. 26, comma 2, d.lgs. n. 36/2021, che consente l'apposizione di un termine finale fino a cinque anni dall'inizio del rapporto contrattuale, permettendo altresì la successione di contratti a tempo determinato tra gli stessi soggetti, sottraendo espressamente questa tipologia contrattuale alla disciplina delle norme ordinarie sui contratti a tempo determinato, prevista dagli artt. da 19 a 29 del d.lgs. n. 81/2015. È ammessa la cessione del contratto, prima della sua scadenza, da una società ad un'associazione sportiva ad un'altra, se vi consente il contraente ceduto, nonché se risultano rispettate le modalità fissate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate e dagli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici.

Il contratto di lavoro sportivo nei settori professionistici

Il contratto di lavoro sportivo nei settori professionistici è disciplinato dall'art. 27 d.lgs. n. 36/2021. La norma sancisce un'importante presunzione di subordinazione, prevedendo che, nei settori professionistici, il lavoro sportivo prestato dagli atleti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa, si presume oggetto di lavoro subordinato.

Dunque, la presunzione di subordinazione è sorretta da un preciso presupposto di carattere soggettivo, in quanto vige esclusivamente per la categoria degli atleti, non operando per tutte le altre figure di lavoratori sportivi, per i quali la subordinazione troverà riconoscimento secondo i canoni del diritto ordinario, in base all'effettiva natura sostanziale del rapporto.

Ma la presunzione di subordinazione, oltre ad essere circoscritta da un limite di carattere soggettivo, ne subisce un altro di carattere oggettivo. Essa viene meno, infatti, di fronte a tre specifiche ipotesi, previste dal comma 3 dell'art. 27, in forza delle quali, rinvenendosene anche una sola delle tre, il rapporto di lavoro dovrà considerarsi di natura autonoma. La presunzione di subordinazione si arresta di fronte alle tre ipotesi previste dall'art. 27, comma 3, d.lgs. n. 36/2021, che stabilisce che il lavoro sportivo prestato dagli atleti debba considerarsi di natura autonoma (“esso costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo”) nel caso in cui ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:

a ) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;

b ) lo sportivo non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento;

c ) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.

Sussistendo anche uno solo dei tre presupposti, il rapporto è ex lege autonomo, anche se, nella fattispecie concreta, presentasse tratti tali da qualificarlo come subordinato. Ad ogni modo, le tre ipotesi non limitano in maniera esclusiva la qualificazione del contratto di lavoro come del tipo autonomo, in quanto, ricorrendone i presupposti di legge, è possibile qualificare questo di rapporto di lavoro sportivo professionistico come autonomo, facendo valere – appunto - i canoni previsti a tal fine dal diritto comune. Non è un elenco a fattispecie chiusa; vale quanto previsto dall'art. 25, commi 1 e 3, d.lgs. n. 36/2021, in forza del quale l'attività sportiva espletata dal lavoratore può costituire oggetto di lavoro subordinato o autonomo, a seconda dei suoi presupposti.

Inoltre, il contratto deve rivestire il requisito della forma scritta, prescritta a pena di nullità, in base all'art. 27, comma 4, d.lgs. n. 36/2021, il quale risulta funzionalmente collegato ad un ulteriore requisito richiesto dalla norma, rappresentato dalla necessaria conformità del contratto al tipo di contratto predisposto, ogni tre anni, dalle federazioni sportive o dalle discipline sportive associate, anche paralimpici, e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi interessate, conformemente all'accordo collettivo stipulato.

La norma prevede l'obbligo del deposito del contratto presso la Federazione Sportiva Nazionale o la Disciplina Sportiva Associata, anche paralimpici, per la sua approvazione, che costituisce condizione di efficacia dello stesso. La norma prevede che debba essere depositata, unitamente al contratto, anche ogni altra pattuizione aggiuntiva, stipulata tra il lavoratore sportivo e la società sportiva, compresi gli accordi aventi ad oggetto i diritti di immagine o obbligazioni di carattere promozionale e pubblicitario, inerente al rapporto lavorativo, ovvero relativi o comunque connessi al lavoratore sportivo.

Da ultimo, la disciplina sul contenuto del contratto vieta espressamente l'apposizione di clausole derogative in peius. Non sono consentite clausole contenenti deroghe peggiorative delle condizioni e delle tutele riconosciute ai lavoratori e, laddove apposte, sono sostituite di diritto da quelle derogate, previste dal contratto tipo, con un meccanismo disapplicativo legale in ossequio del principio favor prestatoris, ai sensi e per gli effetti dell'art. 27, comma 6, d.lgs. n. 36/2021.

Quanto alla disciplina che presidia le prestazioni lavorative rese nell'area del dilettantismo, essa trova collocazione nell'art. 28 del d.lgs. n. 36/2021 e si contraddistingue per affidare presunzione di autonomia ai rapporti lavorativi instaurati in questo settore.

La norma, infatti, prevede che il rapporto di lavoro sportivo instaurato nell'area del dilettantismo si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, ma solo se sussistono due presupposti.

Più precisamente, affinché operi questa presunzione occorre che:

a ) la durata delle prestazioni, oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non deve superare le ventiquattro ore settimanali, escludendo dal computo di tale durata il tempo impiegato per partecipare alle manifestazioni sportive relative alla prestazione contrattuale;

b ) le prestazioni oggetto del contratto devono risultare coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici.

Sono richiesti entrambi i requisiti, che non sono alternativi tra di loro, e devono coesistere nell'ambito del singolo rapporto di lavoro, ossia sussistere nei confronti del medesimo committente.

Ad ogni modo, non si tratta di una presunzione assoluta, in quanto può essere superata se, nel concreto, il rapporto risulti essere subordinato, manifestandosi nella sua esecuzione con quegli indici rivelatori della subordinazione, che potranno portare ad una riqualificazione giuridica del contratto, sottraendolo alla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative.

Le prestazioni di lavoro sportivo dei dipendenti pubblici

La disciplina delle prestazioni sportive lavoristiche dei dipendenti pubblici è prevista dall'art. 25, comma 6, d.lgs. n. 36/2021, secondo cui i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche, come individuate dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, possono prestare, in qualità di volontari, la propria attività sportiva nell'ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche, delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline sportive associate, delle associazioni benemerite e degli Enti di promozione sportiva, anche paralimpici, e direttamente  delle proprie  affiliate  se  così  previsto  dai   rispettivi   organismi affilianti, del CONI, del CIP e della società Sport e salute S.p.a., ma a determinate condizioni, ovvero fuori dall'orario di servizio, fatti salvi gli obblighi di servizioe – requisito importante – previa comunicazione, all'amministrazione di appartenenza, dell'attività da intraprendere. In tali casi, a essi si applica il regime previsto per le prestazioni sportive dei volontari di cui all'art. 29, comma 2. Pertanto, l'attività sportiva volontaria dei dipendenti pubblici va inquadrata e qualificata secondo i dettami del volontariato, di cui alla citata norma, per i quali tale attività deve connotarsi dei requisiti della personalità, spontaneità e gratuità, dall'assenza di lucro e dalla finalità amatoriale.

È ammessa la prestazione sportiva retribuita, ossia l'esercizio di attività lavorativa sportiva ai sensi del d.lgs. n. 36/2021 prestata a titolo oneroso, ma, se prevede compensi superiori ad € 5.000 annui, è necessaria la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, in forza di quanto disposto dal D.L. 71/2024, del 31 maggio 2024; ciò, quindi, a differenza delle prestazioni volontarie, per le quali è sufficiente la previa comunicazione, essendo il lavoro nel pubblico impiego incompatibile con altri incarichi, se non conferiti o autorizzati preventivamente dall'amministrazione pubblica di appartenenza. Questo in quanto gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. La violazione di questi obblighi espone i trasgressori a sanzioni (art. 53, commi 9, 10, 11 e 15 d.lgs. n. 165/2001). Il D.L. 71/2024 ha attenuato il rigore dell'originaria disposizione normativa, che prevedeva sempre la previa autorizzazione dell'ente di appartenenza, anche per compensi inferiori ai 5.000 euro, stabilendo che sono escluse dall'incompatibilità con il lavoro pubblico le prestazioni sportive onerose con compensi rientranti fino alla predetta soglia massima, per le quali è sufficiente la preventiva comunicazione.  

L'autorizzazione è rilasciata o rigettata, dall'amministrazione di appartenenza, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con l'Autorità politica delegata in materia di sport, sentiti il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'istruzione e del merito e il Ministro dell'università e della ricerca. Decorso inutilmente tale termine, ovvero senza che l'amministrazione si sia pronunciata, opererà il principio del silenzio-assenso, ossia l'autorizzazione è da intendersi in ogni caso accordata.

Nel caso di prestazione sportive rese da dipendenti pubblici a titolo oneroso si applica il regime previsto per le prestazioni sportive di cui all'art. 35, commi 2, 8- bis e 8- ter e all'art. 36, comma 6. Dunque, saranno prestazioni rese nella forma della collaborazione coordinata e continuativa; con esenzione totale per compensi fino a 5.000,00 euro ed esenzione solo fiscale per compensi oltre 5.000,00 e fino a 15.000,00 euro; fino al 31 dicembre 2027, la contribuzione è dovuta nei limiti del 50% dell'imponibile pensionistico e riduzione dell'imponibile pensionistico nella misura equivalente.

I volontari

La disciplina del lavoratore sportivo contempla, all'art. 29 d.lgs. n. 36/2021, la figura del volontario, ossia regola le prestazioni rese, in ambito sportivo, in maniera assolutamente gratuita e spontanea, con finalità amatoriali. Più nel dettaglio, l'art. 29 prevede che le società e le associazioni sportive, le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva, anche paraolimpici, il CONI, il Comitato Italiano Paraolimpico-CIP e la Sport e salute S.p.a., possano avvalersi, nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, di volontari, intesi come quei soggetti che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità, offrendo le proprie prestazioni in maniera personale, spontanea, gratuita e senza alcun fine di lucro, neanche indiretto. La finalità sottesa alla prestazione resa deve essere solo di carattere amatoriale, ossia per passione e diletto, per condivisione ideale. Stante questa finalità dell'attività resa, a matrice etica, sociale e solidale, non sorge alcun diritto a ricevere una controprestazione, ossia un compenso e, conseguentemente, il rapporto che si instaura sfugge ad una qualificazione lavoristica, risultando essere volontario, ossia gratuito e frutto di pura liberalità.

I volontari possono essere utilizzati ad ampio raggio, potendosi configurare tale tipo di attività sia in ordine alla prestazione più prettamente sportiva, ossia atletica, che nell'ambito della formazione o didattica, nell'area quindi tecnica, ovvero per quelle attività di supporto all'attività atletica e agli sportivi. Requisito essenziale, però, la gratuità assoluta, in quanto le prestazioni sportive dei volontari non possono essere retribuite in alcun modo, nemmeno dal beneficiario, neanche indirettamente. Sono ammissibili, come sopra specificato, soltanto i rimborsi delle spese sostenute. Sul punto è intervenuto il D.L. n. 71 del 31.05.2024, pubblicato in G.U., Serie Generale n. 126 del 31.05.2024, in vigore dal giorno dopo, che ha elevato da € 150 ad € 400 mensili la soglia delle spese rimborsabili, forfettariamente, sostenute dai volontari per attività svolte anche nel proprio comune di residenza, nell'ambito e in occasione di manifestazioni ed eventi sportivi riconosciuti dalle Federazioni sportive nazionali, dalle Discipline sportive associate, dagli Enti di promozione sportiva, dal CONI, CIP e dalla società Sport e Salute S.p.a., a condizione che l'organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. Tali rimborsi non concorrono a formare il reddito del percipiente, ma rilevano ai fini del superamento dei limiti di esenzione contributiva previsti dall'art. 35, comma 8-bis, nonché dei limiti di non imponibilità fiscale di cui all'art. 36, comma 6, del D.lgs. n. 36/2021.

Gli enti interessati sono tenuti a comunicare i nominativi dei volontari e l'importo elargito a titolo di rimborso spese, attraverso l'apposita sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, entro la fine del mese successivo al trimestre di svolgimento dell'attività.

Ulteriore elemento caratterizzante la fattispecie è rappresentato dall'incompatibilità delle prestazioni sportive volontarie con ogni sorta di rapporto di lavoro, sia del tipo del rapporto di lavoro subordinato che autonomo, nonché con ogni possibile rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario sia socio o associato, ovvero tramite il quale svolga la propria attività sportiva. Ai sensi dell'art. 29, comma 4, gli enti dilettantistici, che beneficiano delle prestazioni rese da volontari, sono tenuti ad assicurarli per la responsabilità civile verso terzi, ciò in considerazione delle attività che possono prestare, che possono inserirsi nell'ambito della struttura organizzativa del beneficiario e, in quanto tali, coinvolgere altri soggetti interni o esterni alla stessa.

La disciplina lavoristica a favore degli atleti paralimpici

Il d.lgs. n. 120/2023 ha introdotto nella Riforma del lavoro sportivo delle disposizioni a favore degli atleti paralimpici, allargando espressamente la disciplina lavoristica ai rapporti contrattuali intercorrenti tra sodalizi sportivi ed atleti in ambito paralimpico, con un riconoscimento di tutele speciali. Tale normativa è destinata agli atleti aventi lo status di lavoratori dipendenti del settore pubblico o del settore privato, appartenenti alla categoria del più alto livello tecnico–agonistico, così come definito dal CIP, per le discipline sportive e specialità inserite nel programma ufficiale dei Giochi Paralimpici e dei Giochi olimpici silenziosi, i cosiddetti deaflympics .

Essa prevede che, dal 1° gennaio 2024, ai suddetti atleti, che svolgano – appunto - attività di preparazione finalizzata alla partecipazione ad eventi sportivi, nonché che partecipino a raduni della squadra nazionale e ad eventi sportivi internazionali, quali i campionati europei, le gare di coppa del mondo, i campionati mondiali, le paralimpiadi, i deaflympics , previa convocazione ufficiale da parte della Federazione Sportiva di appartenenza, sia garantito il mantenimento del posto di lavoro e del trattamento economico e previdenziale da parte del datore di lavoro. Ciò mediante l'autorizzazione da rendere da parte del datore di lavoro, a seguito di apposita comunicazione di attivazione del CIP, relativamente al numero di giornate di cui fruire e che il datore di lavoro è tenuto a consentire, nei limiti di novanta giorni l'anno e di massimo trenta giorni continuativi.

La disposizione colma un vuoto normativo, sanando una disparità di trattamento e un vulnus ad una serie di tutele lavoristiche a cui gli atleti paralimpici, aventi lo status di lavoratori dipendenti del settore pubblico o privato, erano in precedenza esposti.

Questi atleti subivano una disparità di trattamento rispetto agli atleti arruolati nei gruppi sportivi militari o dei corpi civili dello Stato, in quanto, a differenza di quest'ultimi, per poter svolgere attività di preparazione finalizzata alla partecipazione ad eventi sportivi, nonché per poter effettuare gli allenamenti o per poter partecipare a raduni delle squadre nazionali o ad eventi sportivi internazionali, dovevano ritagliarsi del tempo destinato ad altro, con sacrifici anche economici, utilizzando giorni di ferie o usufruendo di permessi lavorativi non retribuiti o di giorni di aspettativa non retribuita. Ciò aveva un evidente riflesso anche sul piano delle tutele lavoristiche, in quanto, i suddetti istituti contrattuali (ferie, permessi, aspettativa) venivano utilizzati vanificandone la ratio sottesa alla loro disciplina e deviandoli dallo scopo loro assegnato, poiché non più finalizzati per il recupero delle energie lavorative o per necessità di carattere personale e familiare, ma sacrificati per le esigenze connesse alla pratica sportiva.

La novella assicura a questa categoria di atleti il mantenimento del posto di lavoro e del trattamento retributivo e previdenziale, nei periodi in cui sono impegnati nelle attività sopra descritte di preparazione sportiva o di partecipazione ad eventi sportivi, entro, comunque, determinati limiti temporali e a determinate condizioni.

Aspetti fiscali e previdenziali del lavoro sportivo

La Riforma del lavoro sportivo rappresenta uno spartiacque anche in ambito previdenziale e fiscale, in coerenza con l'impianto complessivo della sua disciplina e con la ratio che ne è sottesa. La tipizzazione del lavoratore sportivo e, dunque, l'assegnazione di matrice lavoristica ai rapporti contrattuali intercorrenti tra società/associazioni sportive e sportivi ha comportato una serie di oneri previdenziali e fiscali, volti a garantire quelle tutele previdenziali ed assistenziali di cui prima la categoria era sguarnita.

Si archivia il meccanismo dei compensi sportivi ex art. 67, comma 1, lett. m), d.P.R. 917/1986, espressamente abolito dall'art. 52 del d.lgs. n. 36/2021, già demolito dalla Corte di Cassazione con la sua copiosa giurisprudenza sviluppatasi dalla fine del 2021 e per tutto il 2022; si instaura un nuovo regime contributivo e fiscale, contraddistinto da livelli di esenzione e da agevolazioni, offrendo così un quadro normativo in cui finalmente, riconosciuta la figura del lavoratore sportivo, troveranno ingresso le forme di garanzia previdenziale e assistenziale, a tutela della maternità, della malattia, dell'infortunio, della disoccupazione, della sfera occupazionale, prima del tutto estranee al mondo del lavoro sportivo, malgrado la loro matrice costituzionale, conferitagli dagli artt. 36,37 e 38 della Costituzione.

Sebbene le nuove norme rappresentino un'evidente conquista sociale, divenuta nel tempo sempre più urgente ed indefettibile, il tema previdenziale e fiscale è quello che maggiormente ha rappresentato il terreno di scontro nel dibattito che ha accompagnato il varo della Riforma, a causa dell'impegno oneroso che determina a carico di società ed associazioni sportive, incidendo significativamente sulle loro casse, ovvero sulla loro tenuta economica-finanziaria e sulla sostenibilità futura della loro attività, già compromessa dagli effetti della pandemia da Covid.

Schematizzando, si può evidenziare che, per compensi da redditi di lavoro autonomo (area dilettantistica) fino ad euro 5.000, è prevista un'esenzione totale fiscale e contributiva; per i compensi superiori ad euro 5.000 e fino ad euro 15.000, è prevista soltanto l'esenzione fiscale ma non quella contributiva, pertanto sono redditi assoggettati ad obblighi previdenziali; per importi superiori ad euro 15.000, si è assoggettati ad obblighi fiscali, che gravano sulla parte eccedente detta franchigia, nonché ad obblighi previdenziali.

Inoltre, quale norma agevolativa, tesa ad attutire gli effetti di queste disposizioni previdenziali, è previsto che, fino al 31 dicembre 2027, la contribuzione sia dovuta su una base imponibile ridotta del 50%, secondo quanto stabilito dal suindicato art. 35, comma 8-ter.

È il comma 6 dell'art. 36 del d.lgs. n. 36/2021 che sancisce in ambito fiscale la suddetta zona franca, prevedendo che i compensi percepiti, per attività esercitata nell'area del dilettantismo, non concorrono a formare la base imponibile, ai fini del prelievo fiscale, fino all'importo complessivo annuo di euro 15.000. Nel caso in cui i compensi percepiti superino complessivamente detto limite di euro 15.000, solo la parte dei compensi eccedenti tale soglia di esenzione concorrerà a formare il reddito del percipiente. Proprio ai fini di tale meccanismo di esenzione, è richiesto al lavoratore sportivo di rilasciare, all'atto del pagamento del compenso, autocertificazione attestante l'ammontare dei compensi percepiti, per le prestazioni sportive dilettantistiche, rese nel corso dell'anno solare.

Per l'attività esercitata nell'area del dilettantismo è previsto un ulteriore beneficio fiscale, in quanto lo stesso comma 6, nel disciplinare le esenzioni sopra specificate, stabilisce che, in ogni caso, tutti i singoli compensi, erogati a favore di collaboratori coordinati e continuativi, inferiori all'importo annuo di 85.000 euro, non concorrono alla determinazione della base imponibile dell'Irap. La disposizione è stata introdotta dal d.lgs. n. 120/2023, che ha elevato il limite di non concorrenza, in precedente posto ad 15.000 euro.

La franchigia dei 15.000 euro opera anche, in ambito professionistico, per le retribuzioni corrisposte in favore di atleti di età fino a 23 anni. Tale disciplina si applica, per quanto riguarda gli sport di squadra, alle società sportive professionistiche il cui fatturato, nella stagione sportiva precedente, non sia stato superiore a 5 milioni di euro.

Per quanto riguarda i premi percepiti per i risultati sportivi conseguiti è previsto che essi siano assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, per un'aliquota pari al 20%, con esenzione per importi fino ad € 300. La legge n. 18/2024 di conversione del d.l. n. 215/2023 (cd. Decreto Milleproroghe) ha stabilito, infatti, che i premi erogati dalla data di entrata in vigore della legge (29 febbraio 2024) e fino al 31 dicembre 2024, per l'importo massimo di € 300, debbano considerarsi esclusi dalla suddetta tassazione. Superata tale soglia, l'importo erogato deve essere interamente assoggettato a ritenuta.

Riferimenti

Normativi

d.lgs. n. 36/2021

d.l. 12 luglio 2018 n. 87

legge 23 marzo 1981, n. 91

legge 27 dicembre 2017, n. 205

Giurisprudenza

Cass. 11 aprile 2008, n.9551

Cass. 8 settembre 2006, n. 19275

Prassi

INL, circolare 25 ottobre 2023, n. 2

INL, note 26 ottobre 2023, nn. 459 e 460

D.P.C.M. 27 ottobre 2023

INAIL, Delibera 10 ottobre 2022, n. 250

D.M. 21 novembre 2022 (MLPS e MEF)

INAIL, circolare 27 ottobre 2023, n. 46

INAIL, circolare 31 ottobre 2023, n. 88

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