Il peccato originale del concetto medico legale di danno biologico come definito dalla SIMLA nel 2001

06 Ottobre 2017

L'immodificata configurazione medico legale del concetto di danno biologico, esaminata in relazione alle attuali necessità di una parametrazione risarcitoria equilibrata e non automatica del danno alla persona, determina la persistenza di un “equivoco” interpretativo medico-giuridico, basato su una “incongruità” tecnica: ritenere di avere, col solo barème, la possibilità di definizione completa del danno biologico, che di fatto non si ha ..
Presupposti tecnici medico legali del “ danno biologico”

È noto a qualsiasi specialista medico legale quale sia la definizione di “danno biologico”, così come sostanzialmente stabilita dalla Società Italiana di Medicina Legale nel lontano 2001:

a) il danno biologico consiste nella menomazione permanente e/o temporanea all'integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personalidinamico-relazionali, passibile di accertamento e di valutazione medico-legale ed indipendente da ogni riferimento alla capacita di produrre reddito;

b) la valutazione del danno biologico è espressa in termini di percentuale della menomazione all'integrità psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti;

c) nel caso in cui la menomazione stessa incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali e personali, la valutazione è completata da indicazioni aggiuntive da esprimersi in forma esclusivamente descrittiva;

d) in caso di menomazioni plurime la percentuale del danno biologico permanente deve essere espressa in base alla valutazione della effettiva incidenza del complesso delle menomazioni stesse sull'integrità psico-fisica della persona comprensiva delle limitazioni dinamico-relazionali.

Detto ciò, si deve ora necessariamente considerare che l'intervento tecnico dello specialista medico-legale sul danno alla persona si basa esclusivamente sull'integrazione degli elementi probatori clinico-strumentali ricavati, in corso di indagine tecnica, con parametri afferenti esclusivamente a disfunzionalità anatomiche e/o psichiche dell'essere umano (cosiddetti Baremes), così da consentire di esprimere, motivatamente, la stima del danno biologico con percentuali di invalidità “convenzionali”, che in sostanza integrano l'incidenza della invalidità riconosciuta rispetto alle attività quotidiane comuni a tutti, con le uniche variabili connesse necessariamente al sesso del danneggiato.

A prescindere da qualsiasi considerazione sulle originarie incongruità poste in atto, già negli anni '80, dalla Società Medico-legale Italiana nell'aver applicato, tramite un semplice maquillage rispetto ai precedenti “baremes medico-legali” basati sul riferimento alla capacità lavorativa generica, pressoché analoghi riferimenti tabellari anche per la stima del danno biologico (che, al contrario, fa riferimento, come indicato dalla stessa Società Italiana di Medicina Legale nel 2001, alle comuni attività quotidiane dell'uomo), val la pena tuttavia di considerare due aspetti fondamentali.

1. Il concetto di invalidità rappresenta esclusivamente un elemento di prova “quantitativa” della disfunzionalità biologica rapportata alla validità “funzionale” dell'essere umano e questo è il motivo per il quale esistono numerosi Baremes Nazionali ed Internazionali, più o meno dettagliati e condivisi, che si distinguono tra loro esclusivamente per i presupposti convenzionali di stima di un determinato stato menomativo (vedasi ad esempio i Baremès Francesi, che fanno esplicito riferimento alla sola incapacità funzionale).

Trattasi in sostanza di sole ”variabili” di disfunzionalità anatomica e psichica rapportate alla validità dell'essere umano, essendo paradossalmente possibile cambiare – con analoga criteriologia - le stesse “variabili” menomative, allorché si dovesse prendere a riferimento un altro mammifero (il cane, il cavallo, ecc.), pervenendosi ovviamente – per molte voci di menomazione - a differenti riferimenti convenzionali di invalidità disfunzionale biologica, con esclusione di quella “psichica e intellettiva”, solo perché, di fatto, allo stato accertabile esclusivamente nella specie “uomo”.

Resterebbe del tutto esclusa da un'ipotetica “conversione tabellare” solo la c.d. voce di “menomazione dell'efficienza estetica”, che rappresenta sostanzialmente, ove non associata ad altra disfunzionalità, un puro danno al “sentire” dell'essere umano.

2. L'accertamento medico-legale dell'invalidità biologica si basa dunque su presupposti che prevedono parametri di riferimento “convenzionali condivisi” di esclusiva “disfunzionalità” (con qualche problema interpretativo per il danno estetico), per i quali non è possibile determinare, in via automatica, quale possa essere la componente di “sofferenza intrinseca”, comune a qualsiasi persona affetta da un determinato stato menomativo accertato solamente sotto l'aspetto “quantitativo”, corrispondente al grado di invalidità riconosciuta. Parametro che, in sé, nulla specifica in merito agli aspetti “qualitativi” della stessa menomazione rispetto alle ammissibili ricadute sul “sentire” e sul “non fare personale” quotidiano di qualsiasi danneggiato. Conseguenze “soggettive”, ma suscettibili con analogo criterio convenzionale, di correlazione rispetto al disvalore funzionale accertato dallo stesso medico-legale; presupposti valutativi “convenzionali” che già da tempo sono stati studiati, approfonditi, condivisi e quindi applicati su larga scala, con adeguato ed apprezzato riscontro operativo giudiziario ed extragiudiziario.

Sulla base di queste evidenti considerazioni interpretative tecniche ne deriverebbe, peraltro, che le componenti di danno connesse alla “ricaduta sugli aspetti dinamico relazionali personali”, sia per la singola menomazione, sia per menomazioni plurime, non hanno alcuna connessione diretta con il grado di invalidità permanente stimato in sede medico-legale, prevedendo, queste ultime, necessariamente l'integrazione di differenti presupposti “probatori”, peculiari per ogni specifico danneggiato, che esulano dalle autonome competenze valutative medico-legali.

Criticità applicative delle Tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano

Dopo l'avvento, nel 2008, delle Sentenze di San Martino (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972-26975), che hanno sancito la nascita di un'unica voce di danno alla persona di natura non patrimoniale, è di fatto caduto quel muro che aveva condizionato fino all'ora la possibilità del medico-legale di intervenire, con appropriata ed autonoma valenza tecnica (basata, ovviamente su differenti parametri convenzionali) per una più esaustiva definizione del danno alla persona di valenza biologica, onde consentire una equilibrata e non automatica integrazione dei parametri di inabilità temporanea e di invalidità permanente con quelli qualitativi compatibili con l'effettiva ricaduta soggettiva della malattia e della menomazione accertate nella quotidianità di qualsiasi danneggiato (la sofferenza lesione/menomazione correlata)

Tali innovative proposte tecniche medico-legali, fondate su oggettive esigenze liquidative del danno alla persona, condizionano la necessità di una sostanziale revisione del concetto medico-legale di danno biologico che, allo stato dell'attuale inquadramento giuridico del danno non patrimoniale, risulta superato o comunque di fatto insufficiente per una completa definizione tecnica della componente base di natura "biologica" del danno alla persona

Infatti il primo adeguamento "liquidativo" del risarcimento del danno non patrimoniale espresso dalle tabelle del Tribunale di Milano, stante gli erronei presupposti valutativi medico-legali di danno biologico risalenti al 2001 (fondati esclusivamente su parametri di disfunzionalità e sull'equivoco concettuale che gli stessi avessero un rapporto proporzionale anche sul grado di sofferenza soggettiva del danneggiato), ha di fatto riproposto la stessa "anomalia" di automatismo liquidativo. Originariamente contestato dalle stesse sentenze delle Sezioni Unite, si reintegra nel "danno non patrimoniale" una quota risarcitoria per la componente "sofferenza intima" in via esclusivamente proporzionale al solo grado di IP, senza tener conto della frequente mancanza di correlazione diretta tra semplice parametro di “disfunzionalità biologica” ed effettiva sofferenza intrinseca di qualsiasi danneggiato rispetto alla tipologia della lesione e della menomazione accertate in sede medico-legale. Ciò, in particolare, per condizioni di menomazione di media–lieve entità, che rappresentano la maggior parte dei danni a persona di riscontro valutativo tecnico medico-legale (vedi al riguardo le casistiche valutative del grado di sofferenza intrinseca lesione/menomazione correlate della Società Medico-legale Triveneta 2009-2015).

L'equivoco interpretativo del "danno biologico di lieve entità"

La mancata revisione del concetto medico-legale di danno biologico, rispetto alle mutate esigenze liquidative del danno non patrimoniale, ha avuto una anomala ricaduta interpretativa medico-giuridica soprattutto in contesto di lesioni di lieve entità, di interesse rc auto e per l'ambito della Responsabilità Sanitaria, ove il raffronto delle singole voci di invalidità biologica permanente previste dal bareme di legge (annesso al d.m. 3 luglio 2003 n. 11790, in epoca in cui sussisteva la autonoma liquidazione del danno morale) non può di per sé giustificare una "automatica ed integrale corrispondenza liquidativa" per analoghe fattispecie di danno non patrimoniali di lieve entità.

Ulteriore momento di confusione interpretativa medico–giuridica è rappresentato dal principio espresso dalla Corte Costituzionale (C. Cost., sent. n. 235/2014), che avrebbe sancito che, nei casi di lesioni di lieve entità ( fino al 9% di IP ), la componente di "sofferenza soggettiva" risulterebbe ricompresa nel danno biologico, senza tener conto che le singole voci tabellate del Bareme di legge quasi mai prevedono parametri indicativi e/o distintivi del grado di "sofferenza intrinseca" della menomazione, ad eccezione delle effettive microinvalidità (comprese generalmente entro stime del 3%), ove, per effettiva definizione tabellare, il presupposto dell'invalidità si basa, pressoché esclusivamente, su condizioni disfunzionali soggettive (prevalentemente esiti dolorosi o condizioni similari), pur anche compatibili con la lesione originaria, ma sostanzialmente prive di apprezzabile o significativa valenza “disfunzionale”.

Sussistendo dunque l'anomalia di base dell' attuale concetto di danno biologico (risalente al 2001) rispetto alle mutate esigenze liquidative del danno “non patrimoniale”, ne deriverebbe l'evidente inapplicabilità dell'attuale Bareme di legge per i danni biologici fino al 9% di IP, da cui la necessità di un adeguamento valutativo tecnico della vigente Tabella idoneo ad integrare anche la "componente di sofferenza intrinseca–menomazione correlata", quale oggettivo e costante parametro medico-legale del danno a persona, a prescindere dal contesto liquidativo concernente gli “aspetti dinamico relazionali peculiari del danneggiato”, come tali afferenti a differenti riscontri probatori e quindi autonomamente e distintamente vincolati ai presupposti risarcitori dell'art. 139 della legge 209/2005.

L'anomalia liquidativa della inabilità temporanea in ambito rc auto e sanitaria

Qualsiasi specialista medico-legale è consapevole che non sussiste alcun rapporto prestabilito tra entità e decorso della lesione e conseguente valutazione dell'invalidità permanente biologica.

La comune esperienza medico-legale insegna che eventi lesivi significativi, pur evolvendo in modo similare (quindi con determinazione di periodi di IT definibili tecnicamente, sia sotto il profilo cronologico che qualitativo, in modo pressoché uguale) possono stabilizzarsi con postumi superiori od inferiori al fatidico 9% di invalidità permanente, derivandone una evidente illogicità tecnica nell'applicazione di differenti parametri di liquidazione della inabilità temporanea a seconda se la lesione si stabilizza con postumi invalidanti inferiori o superiori al fatidico 9%.

Ciò comporta quindi che i parametri di liquidazione della inabilità temporanea biologica, invece di ancorarsi all'effettiva entità ed evoluzione della "lesione – malattia" vengono erroneamente rapportati, nella normativa vigente, ad un limite di variabilità disfunzionale menomativa (soglia del 9% di IP) che contrasta con l'effettivo valore probatorio e risarcitorio del “danno–conseguenza” connesso all'inabilità temporanea biologica che, allo stato, si diversificherebbe in misura inversamente proporzionale al grado di "fortuna o sfortuna" del danneggiato nell'essere guarito con IP superiori od inferiori al 9%, indipendentemente dall'effettiva conseguenza di danno alla persona patita dall'epoca della lesione alla sua stabilizzazione: presupposto liquidativo di dubbia costituzionalità.

Analoga problematica si pone, ovviamente, per la stima della "sofferenza intrinseca–lesione correlata": parametro necessario per gli opportuni assestamenti liquidativi della componente "soggettiva del danno alla persona", necessaria per una liquidazione completa, integrale e non automatica anche della inabilità temporanea biologica.

Conclusioni

Alla luce delle citate criticità interpretative appare sempre più pressante ed improcrastinabile una sostanziale revisione del concetto medico-legale di danno biologico ai fini di una più adeguata definizione del danno alla persona, nel contesto del più estensivo danno non patrimoniale.

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