Donazione con dispensa da imputazione e collazione

09 Maggio 2022

Il donante, sia nel contratto di donazione che con atto separato, può dispensare il donatario dall'imputazione e/o dalla collazione. La dispensa dall'imputazione può disposta esclusivamente in favore dei legittimari...
Inquadramento

Il donante, sia nel contratto di donazione che con atto separato, può dispensare il donatario dall'imputazione e/o dalla collazione.

La dispensa dall'imputazione può essere disposta esclusivamente in favore dei legittimari (coniuge, discendenti, ascendenti in assenza dei discendenti) ha lo scopo di far gravare la liberalità effettuata in vita non sulla quota di legittima spettante al beneficiario, ma sulla porzione disponibile.

La dispensa dalla collazione può essere disposta esclusivamente in favore del coniuge e dei discendenti (non sono contemplati gli ascendenti) ed ha lo scopo di escludere che il beneficiato, in sede di divisione dell'eredità del donante, debba considerare quanto ricevuto in donazione e riconoscere agli altri condividenti il diritto di prelevare dalla massa dividenda (art. 725 c.c.) beni ereditari per valori pari al valore della donazione ricevuta (salva la facoltà di conferimento in natura per i beni immobili).

In evidenza

Con la dispensa dall'imputazione il donante “sposta” la liberalità sulla porzione disponibile dell'eredità, garantendo al donatario di poter pretendere per intero la quota allo stesso riservata (c.d. legittima).

Con la dispensa dalla collazione, invece, il donante permette che il donatario conservi la donazione ricevuta e non ne debba tenere conto, in sede di divisione dell'eredità, per determinare le quote da assegnare a ciascuno dei coeredi.

Natura giuridica e funzionamento dell'imputazione ex se

L'art. 564, comma 2, c.c. prevede, quale condizione per l'esercizio dell'azione di riduzione (rectius quale operazione contabile necessaria per il calcolo della quota spettante in concreto al legittimario), l'obbligo di imputare alla propria quota di legittima «le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato» (G. Cattaneo, Imputazione del legittimario, in Digesto civ., IX, Torino, 1993, 356).

Si deve precisare che l'imputazione è essenziale per determinare se il legittimario sia stato leso rispetto alla porzione di eredità riservatagli dalla legge (e pertanto è procedimento indispensabile per un proficuo esercizio dell'azione di riduzione) ma ha la sua utilità anche quando la tutela del legittimario si realizza in modo automatico, senza ricorso a detta azione (artt. 553, 549 c.c.) (G. Cattaneo, Imputazione, 356).

Quando è collegata all'esercizio dell'azione di riduzione, l'imputazione costituisce non già un obbligo, ma piuttosto un limite del diritto del legittimario, che si configura come onere, posto che il legittimario, il quale non imputa le liberalità ricevute in conto, non fornisce la prova della lesione (L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, ed. IV, in Tratt. Cicu, Messineo, Giuffrè, 2000, 266).

Il fondamento dell'imputazione ex se risiede nella logica che ispira il legislatore in tema di diritti dei legittimari: tutto ciò che è stato ricevuto dal legittimario in vita a titolo di liberalità, e anche gli eventuali legati testamentari, costituiscono delle anticipazioni di legittima, e quindi entrano per legge a formare la porzione riservata dopo l'apertura della successione (G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, ed. IV, Torino, 2006, 155).

L'imputazione si può leggere, in altre parole, come un meccanismo diretto a tutelare la porzione disponibile, e quindi la libertà del testatore nel disporre dei propri beni per testamento, facendo sì che la legittima si mantenga nei limiti stabiliti dalla legge (L. Ferri, Dei legittimari, ed. II, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 536-564, Bologna-Roma, 1981, 254).

La giurisprudenza precisa che l'imputazione deve essere fatta con riguardo al valore del bene al momento dell'apertura della successione (Cass. civ., 22 novembre 1984, n. 6011), e tenuto conto di tutte le potenzialità economiche oggettive del bene stesso (Cass. civ. Sez. II, 17 gennaio 2003, n. 645 in tema di contributi di ricostruzione in seguito a terremoti).

Così come la riunione fittizia, anche la imputazione ex se ha ad oggetto il valore legale (e cioè nominale) della moneta donata – senza che siano ammesse rivalutazioni: sul punto è stata sollevata eccezione di legittimità costituzionale della norma (Cass. civ., ord. 29 gennaio 1983, n. 78), ma la questione è stata dichiarata inammissibile (C. cost. 27 luglio 1989, n. 463; C. cost., 17 ottobre 1985, n. 230).

La dispensa dall'imputazione

Il donante può dispensare il legittimario dall'onere dell'imputazione: per effetto della dispensa, come poc'anzi precisato, si riduce la porzione disponibile e si lascia intatta la porzione legittima del donatario – così esponendo alla riduzione donazioni e legati che, altrimenti, ne sarebbero stati esenti (L. Ferri, op. cit., 235).

L'effetto della dispensa, tuttavia, incontra il limite della intangibilità della legittima altrui: come sostenuto di recente da Cass. sez. II 8 ottobre 2021 n. 27377, infatti, nel caso in cui il peso della liberalità (che, si ripete, in forza della dispensa da imputazione non grava sulla quota di riserva del beneficiario) eccede il valore della quota disponibile inficiando le quote di legittima degli altri legittimari, questa sarà comunque esposta alla azione di riduzione per l'eccedenza.

Dal punto di vista della forma, anzitutto la norma precisa che la dispensa deve essere espressa: ciò significa che essa non può desumersi da un comportamento concludente o da una manifestazione tacita di volontà, ma non occorre l'uso di particolari formule sacramentali.

Secondo la giurisprudenza, non si può, quindi, desumere la dispensa dall'imputazione dalla dispensa dalla collazione (Cass. civ., 4 agosto 1982, n. 4381) o dalla dichiarazione del donante che la donazione viene fatta sulla disponibile (Cass. civ., 6 giugno 1983, n. 3852; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Genova 17 maggio 1993) – anche se su tale ultimo punto ci si permette di esprimere qualche perplessità, essendo l'imputazione alla disponibile l'esatto effetto della dispensa da imputazione stessa.

Tale ultima conclusione sembra condivisa da qualche pronuncia della più recente giurisprudenza di merito, quale Trib. Civitavecchia,16 febbraio 2021, n. 184, che ha riconosciuto la validità di una dispensa da imputazione implicita. Il Tribunale, in particolare, analizzando le volontà del testatore, che dopo aver disposto un legato in favore di un legittimario ha precisato che questi dovesse concorrere altresì alla ripartizione dei beni residui, ne ha dedotto la volontà di dispensare il legatario/legittimario dall'obbligo di imputare alla quota di riserva quanto conseguito a titolo particolare.

Per quanto riguarda la natura giuridica della dispensa, si ritiene che si tratti di un negozio autonomo, piuttosto che di una clausola accessoria alla donazione o al legato, e precisamente di un negozio mortis causa, anche se può essere contenuto eccezionalmente in un atto tra vivi (G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, 2a ed., Giuffrè, 2002, 313).

Certamente la dispensa può essere contestuale al contratto di donazione, e contenuta nel medesimo documento quale negozio collegato. È discusso invece quale sia la forma necessaria nel caso in cui la dispensa sia successiva alla donazione.

Per parte della dottrina, trattandosi di una liberalità ulteriore, la dispensa dovrebbe essere contenuta in un atto avente la stessa forma solenne della donazione (F. Santoro Passarelli, Dei legittimari, 2a ed., in M. D'Amelio (diretto da), Codice civile, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Firenze, 1941, 329).

Altra parte della dottrina ritiene che la dispensa possa essere contenuta, oltre che nello stesso atto di donazione:

  • in un successivo testamento del donante: in tal caso assurge a disposizione testamentaria, e in quanto tale è sempre revocabile (così Cass. civ. sez. II, 29 ottobre 2015, n. 22097, che conferma anche la natura autonoma della dispensa);
  • in un successivo atto tra vivi, per il quale non sarebbe necessaria però l'accettazione del donatario, perfezionandosi la dispensa con il mancato rifiuto dello stesso (si tratterebbe di un contratto con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333 c.c. prudenzialmente stipulato in forma pubblica e con l'assistenza di due testimoni) (G. Cattaneo, Imputazione del legittimario, in Digesto civ., IX, Torino, 1993, 359).

È altresì discusso se la dispensa compiuta per atto tra vivi sia revocabile: la tesi più diffusa ritiene che sia certamente revocabile con il consenso del donatario (che dalla revoca della dispensa verrebbe pregiudicato) con atto che riveste la medesima forma della donazione e della dispensa. In tal senso la giurisprudenza, ritiene la dispensa compiuta per atto tra vivi irrevocabile, ma risolvibile per mutuo consenso (Cass. civ., 11 novembre 1970, n. 2361).

La collazione

La collazione è definito l'istituto in virtù del quale determinati eredi (discendenti, figli dei discendenti e coniuge) devono “conferire” agli altri coeredi quanto ricevuto direttamente o indirettamente per donazione ( G. Capozzi, Successioni e Donazioni, III ed., 2009, 1371 ss.). Essa opera con riguardo al valore che i beni donati hanno al momento dell'apertura della successione; se il bene donato non è immobile, la collazione si fa “per imputazione” e cioè per equivalente; se la donazione ha ad oggetto immobili (che non siano stati ceduti o ipotecati), il donatario può scegliere tra collazione “per imputazione” come anzi detto e collazione in natura, con conferimento alla massa ereditaria del bene donato (atto che produce effetti reali di trasferimento della proprietà a tutti i coeredi).

La ratio legis, in questo caso, risiede secondo la dottrina prevalente non nella volontà presunta del de cuius (G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, 730) ma più precisamente nello stesso principio per il quale le donazioni ai più prossimi congiunti sono da interpretarsi quali anticipazioni della successione (P. Forchelli, F. Angeloni, Della Divisione, artt. 713-768, in Commentario c.c. (a cura di) V. Scialoja e G. Branca, 2000, 331). Rispetto a quanto detto supra, però, qui il concetto di anticipazione della successione è da intendersi in modo diverso: in tema di imputazione ex se la donazione è letta come un'anticipazione al legittimario della sua quota di legittima, in tema di collazione la donazione è letta come un acconto rispetto alla futura divisione dell'eredità del donante.

È stata dibattuta altresì la natura giuridica della collazione: sono da respingersi le opinioni che affermano una risoluzione automatica della donazione oggetto di obbligo collatizio, perché in espresso contrasto con i meccanismi previsti dagli artt. 727 ss. c.c. (si pensi alla facoltà – che non è un obbligo – di conferire in natura i beni immobili). Si può parlare invece di una vera e propria obbligazione (con facoltà alternativa se la donazione ha ad oggetto immobili), discendente direttamente dalla legge.

Si deve precisare che i soggetti sono tenuti alla collazione reciprocamente: un coerede estraneo (che non sia coniuge o ascendente) non può pretendere la collazione di una donazione, in quanto non vi è a sua volta tenuto. In questo caso prima occorre dividere l'asse apporzionando coloro che non hanno diritto alla collazione, e successivamente si deve concludere la divisione sul rimanente relictum, aumentata (in senso proprio o per imputazione) del donatum.

È stato discusso se il meccanismo della collazione sia inderogabile, o se la volontà del donante/testatore possa imporre la collazione a soggetti non tenutivi per legge, o di liberalità che non sarebbero soggette a collazione per legge. La Cassazione (Cass. civ. 10 febbraio 2006 n. 3013) ha affermato la tesi positiva, precisando che tale clausola si concretizza, nelle donazioni in un onere e nel testamento in un legato.

Si è posto altresì un dubbio: nel caso in cui il testatore lasci, al momento della sua morte, un asse ereditario composto da attività di valore inferiore alle passività (c.d. relictum negativo) sorge comunque l'obbligo di collazione?

Secondo una pronuncia di cassazione (Cass. civ. sez. II, 14 giugno 2013, n. 15026) la risposta sarebbe negativa: non rinvenendosi una massa da dividere, mancherebbe il presupposto della collazione. Secondo altra tesi, (avallata da una risalente Cassazione del 6 giugno 1969 n. 1988) invece, l'obbligo di collazione sorgerebbe comunque come effetto di legge, per evitare un eccessivo squilibrio in favore dei donatari.

La dispensa da collazione

La dispensa dalla collazione, disciplinata dall'art. 737 c.c. (comma 1, ultimo inciso, e comma 2), consente al de cuius di bloccare l'operatività del meccanismo legale della collazione, sopra descritto, relativamente ad uno o più atti di liberalità (anche indiretti) posti in essere da costui, con l'unico, espresso, divieto legale che questa produca i suoi effetti solo entro i limiti della quota disponibile. È chiaramente ammessa anche una dispensa parziale, sia con riferimento ad alcuni dei beni donati, che a quote di essi.

Essa comporta un vantaggio per il beneficiario della liberalità, in quanto costituisce un rafforzamento dell'attribuzione patrimoniale disposta a favore del donatario, fino al limite invalicabile costituito dalla intangibilità della quota di riserva spettante ai legittimari, e si traduce, pertanto, in uno svantaggio per gli altri coeredi in sede di formazione della massa ereditaria da dividere.

La dispensa dalla collazione interferisce in modo rilevante nei rapporti tra coeredi/condividenti, modificandone gli equilibri e potenziando la facoltà di disposizione del donante; essa è considerata una disposizione mortis causa contenuta in atto inter vivos, in quanto diretta a disciplinare la successione del donante e la successiva divisione della sua eredità.

Condivisa la natura mortis causa della dispensa, si pongono anche in questo caso dubbi con riferimento alla forma della dispensa e alla sua revoca.

Si può anche in questo caso ripetere le considerazioni svolte supra con riferimento alla dispensa da imputazione ex se: per la tesi preferibile si tratta di un negozio autonomo, non di un accessorio della donazione (P. Forchielli; F. Angeloni, Della Divisione, 516 ss), e pertanto può essere contenuto anche in un atto successivo. Si ritiene che possa essere contenuto in un testamento (e in tal caso è sempre revocabile, anche unilateralmente). Può essere altresì contenuto in un successivo atto tra vivi: la tesi più moderna ammette che tale negozio sia strutturato come contratto con obbligazioni del solo proponente art. 1333 c.c. (è preferibile la forma dell'atto pubblico con l'assistenza dei testimoni). Nel caso di dispensa contenuta nella donazione o in un successivo atto inter vivos, la revoca della dispensa stessa è considerata dalla citata giurisprudenza un mutuo dissenso: si richiede quindi il consenso tanto del donante quanto del donatario (e non sarebbe possibile, a questa stregua, procedere alla revoca con una disposizione testamentaria, poiché manca la bilateralità, il consenso del donatario che dalla stessa è pregiudicato).

La giurisprudenza in particolare afferma che quando la dispensa è inserita nella donazione quale sua clausola, non può essere revocata unilateralmente (Cass. n. 2752/1984).

Si osserva, tuttavia, sul punto un potenziale revirement della giurisprudenza di legittimità, giacchè la recente Cass. civ., sez. II, 21 diecmbre 2021 n. 41132, ha considerato valida la revoca unilaterale della dispensa contenuta in un atto di donazione. La corte, infatti, contestando la linea seguita dal giudice di secondo grado, che aveva qualificato la dispensa come clausola accessoria alla donazione, ha sposato la tesi dalla natura unilaterale e mortis causa della stessa, con conseguente revocabilità per volontà del solo disponente.

La giurisprudenza afferma che la dispensa da collazione non viola il divieto dei patti successori (Cass. civ., 7 maggio 1984, n. 2752), può essere tacita (Cass. civ., 21 marzo 1977, n. 1100) ma, come vedremo, non può essere presunta dalla presenza di una dispensa da imputazione (Cass. civ. sez. II, 10 febbraio 2006, n. 3013). Non implica dispensa dalla collazione neppure la clausola con cui il donante stabilisca che l'attribuzione a titolo gratuito deve ritenersi compiuta in conto di legittima e, per l'eventuale eccedenza, in conto disponibile, dal momento che a collazione sono sottoposti tutti i beni donati, sia quelli della disponibile che della legittima (Cass. n. 3013/2006; Cass. n. 3235/2000; Trib. Bari 30 giugno 2008).

Orientamenti a confronto

Revocabilità delle dispense da imputazione e collazione

La dispensa contenuta in atto inter vivos è irrevocabile.

È sempre revocabile se contenuta in un testamento, ex art. 679 c.c.

G. Tamburrino, Osservazioni sulla natura della dispensa dalla collazione, Milano, Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, II, 1963, 777

U. Carnevali, Collazione, in Dig. Delle discipline privatistiche, I, Torino, 472 ss

La dispensa è revocabile con atto inter vivos solo con la partecipazione del donatario.

È sempre revocabile se contenuta in un testamento, ex art. 679 c.c.

È configurabile una revoca per mutuo consenso della clausola di un atto di donazione relativa all'impugnazione dell'attribuzione patrimoniale sulla disponibile. L'intervento del beneficiario di tale clausola (implicante dispensa dall'imputazione ex se) in un successivo atto di donazione che il donante faccia a favore di un terzo con imputazione del supero sulla disponibile, fatto per "approvare e sanzionare", comporta una rinunzia a far valere il beneficio limitatamente alla donazione in cui l'intervento si è verificato, allo scopo di consentirne la definitività, nel caso di incapienza della disponibile (Cass. civ., 11 novembre 1970, n. 2361).

La dispensa stipulata con atto unilaterale successivo alla donazione è revocabile unilateralmente, sia in un atto successivo che in un testamento

G. Capozzi, Successioni e Donazioni, III ed., 2009, 1396.

Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2021, n.41132

Interazioni tra discipline

La citata Cassazione n. 3013/2006 afferma «costituisce un principio consolidato che la dispensa dalla collazione non può essere implicitamente ravvisata nella clausola con la quale il donante abbia regolato l'imputazione di una donazione in conto di legittima e/o in conto di disponibile, atteso che alla collazione sono sottoposti tutti i beni donati, indipendentemente dalla loro imputazione, e che, conseguentemente, la stessa non può interferire nei rapporti tra coeredi, ma solo sul limite che la quota di legittima rappresenta al potere di disposizione del de cuius». Riprendendo la costante giurisprudenza, si afferma quindi che la dispensa da collazione possa anche essere tacita, ma non possa essere desunta, quasi per analogia, dalla dispensa da imputazione, o da formulazione comunque inerente il peso della donazione sulla disponibile o sulla legittima. Ciò pare corretto, proprio in ragione della profonda differenza di presupposti e di effetti che le due dispense comportano.

La dispensa dalla collazione e la sua imputazione alla legittima operano su piani diversi:

mentre la dispensa dalla collazione agisce nei rapporti tra coeredi, la dispensa dall'imputazione sposta il limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius (così Cass. 6 marzo 1980, n. 1521; Cass. 27 gennaio 1995, n. 989).

Si ricorda che l'art. 564, comma 5, c.c. prevede che ogni cosa esente da collazione è pure esente da imputazione ex se. La norma si riferisce alle numerose eccezioni alla collazione previste dalla legge agli artt. 738 ss. c.c. – non è invece vero che una dispensa da collazione comporti, per converso, dispensa da imputazione ex se.

Ulteriore ragione di interazione è la tutela dei legittimari: la dispensa da collazione può esprimere i suoi effetti entro un limite ben determinato, che sono le quote riservate ai legittimari. In altre parole la dispensa da collazione non può portare mai alla lesione dei diritti dei legittimari. Con la dispensa dalla collazione, pertanto, il donatario può ritenere la donazione fino alla concorrenza della quota disponibile, in uno con la sua quota di riserva (Cass., 18 maggio 1978, n. 2402).

Ciò non sottrae il donatario dagli effetti di un'eventuale azione di riduzione esercitata contro costui dagli altri legittimari per il recupero della quota parte dei beni donatigli in eccedenza alla disponibile.

Sul punto va segnalato che la giurisprudenza di legittimità (Cass., 6 marzo 1980, n. 1521) ha avuto modo di rilevare che l'azione di riduzione contro il coerede donatario – coniuge o discendente del de cuius – presuppone che questi sia stato dispensato dalla collazione, giacchè, in caso contrario, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per fare conseguire ad ogni coerede la porzione spettantegli sull'eredità.

Si può concludere cioè che in sede di divisione, con il meccanismo della collazione, la legge appiana già molti rischi di lesione della porzione dei legittimari: nel caso in cui la donazione sia dispensata da collazione, invece, il legittimario dovrà agire in riduzione per ottenere la sua quota riservata.

Casistica

Quale valore dei beni dev'essere tenuto in considerazione per l'imputazione ex se e la collazione?

In tema di divisione ereditaria ed in ipotesi di collazione di immobili per imputazione, ai fini della determinazione delle quote spettanti a ciascuno degli eredi, il valore dei beni donati dal de cuius dev'essere calcolato con riferimento alla sua consistenza al momento dell'apertura della successione e avuto riguardo a tutte le potenzialità economiche dei beni stessi. In esse va compreso per intero il contributo di ricostruzione di cui alla l. 14 maggio 1981, n. 219, se il corrispondente diritto è maturato al tempo dell'apertura della successione, trattandosi di un utile oggettivo connesso al bene, comunque sia stato erogato, per la prima casa o per altre unità abitative (Cass. civ., 17 gennaio 2003, n. 645).

In materia di riunione fittizia e imputazione del denaro donato – ai fini del calcolo della legittima oppure di collazione ereditaria - non è ipotizzabile una soluzione rigida che sostituisca incondizionatamente il principio valoristico al principio nominalistico: conseguentemente la scelta tra varie soluzioni astrattamente possibili, le quali coinvolgono valutazioni non solo di equità, ma anche di politica monetaria dello Stato, è riservata al legislatore (manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 556 c.c, dell'art. 564, comma 2, c.c. e dell'art. 751 c.c., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost.)(C. cost. 27 luglio 1989, n. 463).

La dispensa è revocabile con atto inter vivos solo con la partecipazione del donatario?

È sempre revocabile se contenuta in un un testamento, ex art. 679 c.c.?

È configurabile una revoca per mutuo consenso della clausola di un atto di donazione relativa all'impugnazione dell'attribuzione patrimoniale sulla disponibile. L'intervento del beneficiario di tale clausola (implicante dispensa dall'imputazione ex se) in un successivo atto di donazione che il donante faccia a favore di un terzo con imputazione del supero sulla disponibile, fatto per "approvare e sanzionare", comporta una rinunzia a far valere il beneficio limitatamente alla donazione in cui l'intervento si è verificato, allo scopo di consentirne la definitività, nel caso di incapienza della disponibile (Cass. civ., 11 novembre 1970, n. 2361).

Natura giuridica della dispensa

da imputazione

La dispensa del donatario dall'imputare la donazione alla propria quota di legittima costituisce un negozio autonomo rispetto alla donazione medesima, sicché essa può essere effettuata anche nel successivo testamento del donante (Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2015, n. 22097)

Funzione della collazione

Poichè la collazione ha la funzione di assicurare nella divisione della massa attiva del patrimonio del de cuius l'osservanza delle quote spettanti agli eredi - estendendo l'art. 737 c.c. ai figli, ai loro discendenti e al coniuge l'obbligo del conferimento di ciò che hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione senza attribuire alcun rilievo alla loro qualità o meno di legittimari - l'istituto opera sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, secondo quanto si desume anche dallo specifico riferimento contenuto nell'originaria formulazione dell'art. 737 c.c. alla facoltà del testatore di dispensare l'erede dalla collazione (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2006, n. 3013).

Sommario