A quale età il pernottamento con il genitore non collocatario?

Laura Cossar
16 Ottobre 2017

L'art. 337-ter c.c., che garantisce a tutti i figli dei separati il generico diritto di mantenere significativi e costanti rapporti con entrambe le figure parentali, costituisce l'unico strumento normativo invocabile per dirimere le dispute genitoriali in punto di regolamentazione delle tempistiche di frequentazione con i figli, all'indomani dell'uscita dalla casa familiare di uno dei due genitori. L'Autore si sofferma in particolare sul tema del pernottamento dei figli presso l'abitazione del genitore non più convivente.
Il quadro normativo

L'art. 337-ter c.c. - dispone che «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».

Per dare contenuto concreto a tale obiettivo, la norma impone di tenere in unica considerazione il concetto di “interesse morale e materiale della prole”, inteso nel duplice significato - pacificamente condiviso - di diritto [del minore] di mantenere i legami con tutta la sua famiglia e diritto di crescere in un ambiente sano; infatti, la disposizione di cui all'art. 337-ter c.c., al comma 2, prevede che «per realizzare la finalità indicata dal primo comma (…), il Giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole (…)».

Ciò significa che il Giudice, in assenza di un'equilibrata intesa tra genitori, dovrà risolvere la controversia avendo quale unico riferimento l'interesse primario del figlio (best interest of the child) e il suo diritto alla piena bi-genitorialità, da realizzarsi anche mediante riconoscimento di tempistiche di frequentazione con il genitore non convivente sufficientemente ampie e regolari da garantirgli quella continuità di relazione che la separazione non può e non deve interrompere.

Un compito difficile, che va assolto approfondendo le dinamiche di quello specifico nucleo familiare, comprese le abitudini pregresse, le concrete ed attuali disponibilità dei genitori, oltre che le risposte del minore stesso, in termini di adeguamento al nuovo assetto e contesto familiare; il tutto, senza poter prescindere – in assenza di motivi di pregiudizio per la prole - dal prediligere soluzioni ispirate al generale principio dell'equilibrata alternanza genitoriale, proprio allo scopo di assicurare al minore di trascorrere tempi adeguati a garantirgli una costanza relazionale ed esistenziale con entrambe le figure parentali ed i rispettivi nuclei di origine.

L'eventuale violazione del diritto del figlio a permanere, in termini temporalmente sufficienti, nell'ambito del proprio perimetro familiare all'indomani della separazione dei genitori, rileva poi anche sotto il profilo del rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali della persona; non a caso la Corte di Strasburgo è stata in più occasioni chiamata a valutare se determinate limitazioni alla relazione tra un genitore ed un figlio, conclamatesi in seno ad una disputa genitoriale interna, costituissero o meno violazione del diritto di entrambi alla propria vita privata e familiare, così come affermato e garantito dall'art. 8 CEDU.

Aspetti pratici

Nonostante le norme e i principi succitati incontrino la piena condivisione generale, perché universalmente riconosciuti, nelle aule dei Tribunali ed ancora prima, negli studi degli avvocati si dibatte animosamente di tempistiche di frequentazione con i figli, all'indomani dell'uscita, dalla casa familiare, di uno dei due genitori. Nel concreto, infatti, i contrasti tra genitori, soprattutto se neo-separati, sono spesso molto aspri e ben lontani dal focalizzare sul figlio e sui suoi primari bisogni ogni scelta conseguente, in un clima di condivisione e collaborazione che poi è il segreto di una proficua e responsabile genitorialità.

Nella dinamica normale, il padre, di solito tenuto a lasciare l'alloggio familiare, tenderà a richiedere ampi spazi di accesso ai figli, proprio perché consapevole della penalizzazione conseguente la perdita del contatto quotidiano con loro, soprattutto se in tenera età; questo ipotetico padre, si chiederà e ci chiederà per quali valide ragioni dovrebbe privare il proprio figlio di occasioni di contatto preziose, come il risveglio al mattino, la condivisione della colazione e della cena, l'addormentamento o i momenti di svago nei fine settimana, ed insisterà, quindi, per assicurarsi più pernottamenti possibili, magari anche infrasettimanali.

Ma alla sempre più comune aspirazione paterna a mantenere una continuità di relazione, non sempre corrisponde altrettanta disponibilità, soprattutto in punto di pernottamento dei figli, in tenera età, al di fuori dell'ambiente domestico.

Il timore, infatti, è che l'eventuale mutamento dei luoghi possa in qualche modo influire sulla serenità del bambino o sulle sue abitudini e sui ritmi esistenziali sin lì acquisiti. Il che, in linea astratta è anche possibile.

Qualche volta però le resistenze sono ingiustificate o sono solo facilmente superabili con una buona dose di flessibilità, di disponibilità al dialogo ed al reciproco ascolto, e con l'unica finalità di giungere, nella specificità e date le cautele del caso, al consolidamento di un nuovo equilibrio, che assicuri al figlio la dovuta serenità. In quest'ottica non vi sarà motivo, ad esempio, di limitare la relazione tra quel padre che, per consuetudine familiare, si sia sempre adoperato per fare addormentare il figlio poco più che neonato o che sia abituato a preparargli e a somministrargli il pasto, così come non vi sarà motivo di impedire che quello stesso padre gestisca, anche per più giorni consecutivi, pernottamenti compresi, un bambino in età prescolare o poco più che lattante. D'altronde, non è certo suddividendosi diversamente i compiti o rinunciando o ampliando i tempi di presenza con i figli, anche in termini di pernottamenti, che i genitori abdicano ai propri ruoli; al contrario, ogni correttivo per così dire “temporale”, soprattutto se attuato con buon senso e gradualità, sarà opportuno in quanto funzionale ai bisogni e al benessere del minore, e non frutto delle pretese o delle paure dell'adulto.

Ecco che il tema dell'età del pernottamento emerge in tutta la sua delicatezza, laddove abbiamo inteso debba essere trattato e risolto alla luce delle (scarne) norme ordinamentali e delle (tante) argomentazioni di opportunità e buon senso più sopra brevemente illustrate. Quel che è certo è che nessuna disposizione oggi vigente indica un limite di età per consentire anche ai papà di trascorrere la notte con i propri bambini, sebbene molto piccoli.

La giurisprudenza di merito e di legittimità ha così risolto alcuni interessanti casi-limite.

Giurisprudenza nazionale e sovranazionale a confronto

La Giurisprudenza di merito

Significativa, in tema di pernottamento del figlio presso il genitore non convivente, la pronuncia recentemente resa dal Tribunale di Catanzaro (Trib. Catanzaro, 28 luglio 2017), ad esito di procedimento ex art. 250 c.c. instaurato da un padre per essere autorizzato al riconoscimento del proprio figlio biologico, nato tre anni prima.

La vicenda, invero piuttosto complicata nel suo snodo fattuale, atteneva sostanzialmente alla disputa intorno alla scelta della tipologia di affido del figlio, riconosciuto alla nascita dalla sola madre, e alla regolamentazione delle frequentazioni tra questi ed il padre, che non lo aveva mai incontrato prima di allora. Durante la pendenza del giudizio, padre e figlio avevano iniziato a frequentarsi, con reciproca soddisfazione ma la madre persisteva nell'imporre la propria presenza agli incontri, ribadendo, in conclusione del giudizio, la domanda, e chiedendo, in subordine, l'intervento dei Servizi Sociali territorialmente competenti per un monitoraggio della relazione tra il bambino ed il padre, a suo dire non in grado di vedere il figlio da solo.

Il Tribunale di Catanzaro, dopo aver svolto approfondita istruttoria e con un provvedimento che appare non solo equilibrato ma anche ben motivato, rigettava la domanda della donna, ritenendo le sue istanze infondate, proprio in ossequio alla disposizione di cui all'art. 337-ter c.c.. Sosteneva infatti il Collegio che le frequentazioni nel mentre avviate tra padre e figlio e per le quali il piccolo si era dimostrato entusiasta, non costituivano, per il minore, ragione di pregiudizio. Anzi, nonostante padre e figlio non avessero intrattenuto alcun tipo di rapporto fino ad allora, i numerosi incontri svoltisi nelle more delle celebrazione del giudizio avevano avuto un impatto particolarmente positivo, sia sul piccolo - dimostratosi ben felice di poter conoscere la figura paterna - che sul padre, rivelatosi capace di gestire il bambino con le opportune cautele.

In ragione di ciò, e tenuto conto del disposto normativo di cui all'art. 337-ter c.c., il Tribunale procedeva alla regolamentazione delle frequentazioni tra il bambino ed il papà senza prevedere la presenza materna e senza necessità di alcun monitoraggio da parte di terze persone (Servizi Sociali) e stabilendo tempistiche progressivamente ampliative, fino a giungere – in un tempo relativamente breve (sei mesi circa) - ad una calendarizzazione standard, comprensiva di pernottamenti, atta ad assicurare al minore quel rapporto continuativo e costante con ciascun genitore, di cui tratta la norma citata.

La sentenza del Tribunale di Catanzaro richiama e riporta ad altro provvedimento, più risalente, emesso dal Tribunale di Milano (Trib. Milano 14 gennaio 2015) in seno a giudizio di separazione tra genitori non coniugati; nel Decreto citato, il Collegio meneghino, chiamato a dirimere la questione attinente e al titolo dell'affidamento e alle modalità di frequentazione tra un padre non più convivente ed una figlia di due anni d'età, invocava, quale unica disposizione di riferimento, l'art. 337-ter c.c. sottolineando che per adottare limitazioni al diritto e dovere dei genitori di intrattenere con i figli un rapporto continuativo (indi comprensivo di pernottamenti), è necessario dimostrare che da ciò può derivare un pregiudizio per il minore, pregiudizio, a detta del Collegio, assente nel caso di specie.Non sussistendoragioni contrarie, il Tribunale riteneva quindi di non dover limitare né comprimere la relazione tra quella figlia, ancorché molto piccola (due anni), e suo padre.

Affermava infine il Collegio il potere/dovere di dettare, quanto agli incontri tra la bambina e il papà, tempi di permanenza adeguati alle esigenze delle famiglia e all'interesse della minore e dunque sufficienti a consentirle di trascorrere con il genitore non domiciliatario periodi adeguati, e segnatamente anche dei fine settimana interi, con la finalità di garantirle una certa continuità di vita, nel rispetto degli impegni quotidiani e fermo il centro degli affetti presso l'abitazione principale, e cioè con il genitore domiciliatario.

Nessuna limitazione, dunque, tantomeno temporale o connessa all'età del figlio, rispetto alla relazione e, più specificatamente, ai pernottamenti presso il genitore non domiciliatario. Anzi, il fatto che, nel caso di specie e nella prospettazione materna, il padre non fosse in grado di occuparsi della figlia di due anni, è stata ritenuta argomentazione fondata su un pregiudizio, che confinava alla diversità (e alla mancanza di uguaglianza, invece affermata dall'art. 29 Cost.) il rapporto tra i genitori.

La Giurisprudenza di legittimità

In questa prospettiva, deve ritenersi superato e non più attuale l'orientamento della Corte di Cassazione, che (Cass., sent., 26 gennaio 2011, n. 19594) aveva confermato la decisione assunta dalla Corte territoriale che, a sua volta, aveva fissato al compimento del quarto anno di vita, l'età minima a consentire al figlio di pernottare presso il genitore non convivente (nella specie, il padre).

Una così rigida impostazione, oltre che stridente con il dettato normativo - che in nessun modo, come detto, pone limiti d'età al sano sviluppo della relazione tra genitore e figlio e tantomeno alla praticabilità dei pernottamenti fuori dall'abitazione principale – è anche illogica se è vero, come è vero, che «la genitorialità si apprende facendo i genitori» e solo esercitando il ruolo genitoriale, una figura matura e affina le proprie competenze (cfr. Trib. Milano, decr., 14 gennaio 2015 cit.).

La Giurisprudenza europea (Corte dei diritti dell'Uomo)

L'art. 8 CEDU garantisce a ciascun cittadino dell'Unione il diritto al rispetto della vita privata e familiare e tutela l'individuo da qualsiasi arbitraria o illegittima ingerenza dei poteri pubblici nella sua sfera privata e familiare imponendo allo Stato non solo di astenersi da tali ingerenze (obbligo negativo) ma anche di garantire l'effettivo esercizio del diritto con l'adozione di misure (obbligo positivo) tese a facilitare le relazioni reciproche fra individui, per mezzo di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie.

La Corte EDU ha elaborato una nozione di «vita familiare» più ampia di quella tradizionale, attribuendo agli Stati contraenti la facoltà di differenziare, in relazione ai diversi modelli della stessa, le varie forme di tutela. Il concetto autonomo di «vita familiare» include però, e senz'altro, i genitori e i figli dal momento della loro nascita ed a prescindere dal requisito della «coabitazione». Relativamente al rapporto tra ciascun genitore e la prole, la «vita familiare» persiste anche nel caso di scioglimento del legame di coppia e di affidamento dei figli ad un solo genitore, indi anche in assenza di convivenza.

In questo senso, appare significativa la vicenda portata all'attenzione della Corte di Strasburgo da un cittadino italiano (Corte EDU 4 maggio 2017) che affermava di avere subìto una violazione del diritto al rispetto della vita familiare per avere i giudici nazionali omesso di garantire il suo diritto di visita alla figlia di pochi mesi.

Il padre, in particolare, sosteneva che il rapporto con la sua bambina fosse stato irrimediabilmente compromesso per le difficoltà incontrate nel frequentarla, soprattutto nelle prime fasi della sua vita.

Alle ingiuste frapposizioni materne allo sviluppo di una sana relazione tra padre e figlia (la madre impediva gli incontri e si opponeva ai pernottamenti, per la tenera età della minore), non sarebbe seguito alcun concreto ingaggio da parte delle autorità avanti alle quali si era snodata la vicenda giudiziaria, autorità che si sarebbero limitate a dettare le regole, senza verificarne l'effettiva applicazione. La mancanza di celerità della procedura interna, infine, avrebbe costituito, da parte dell'Autorità Giudiziaria, un'ingerenza eccessiva e arbitraria nei rapporti tra padre e figlia.

Anche in questo caso, come nei precedenti della stesse specie (cfr. Corte EDU 23 marzo 2017; Corte EDU 15 settembre 2016; Corte EDU 29 gennaio 2013), la Corte di Strasburgo ha concluso condannando l'Italia «per non avere adottato tutte le misure necessarie affinché, a fronte del forte ostruzionismo manifestato dalla madre, il padre potesse esercitare effettivamente i suoi diritti di genitore».

In conclusione

La breve analisi di cui sopra ci porta a concludere che, in seno al nostro Ordinamento interno, esiste un'unica norma idonea ad orientare il Giudice che si approccia alla separazione di due genitori in contesa rispetto ai tempi di accesso ai figli, non solo in tenera età: l'art. 337-ter c. c..

Tuttavia, dopo aver verificato l'assenza di ragioni di pregiudizio alla prole ed aver elaborato una calendarizzazione improntata alla reale alternanza genitoriale, il Giudice dovrà anche assicurarsi che, nel concreto, né il figlio né il genitore subiscano una violazione del diritto all'effettiva reciproca frequentazione.

Applicando infatti i principi desunti dalle sentenze della Corte di Strasburgo, ne deduciamo l'incontestabile dovere di ciascuno Stato dell'Unione di adottare - in presenza di conflitti fra i genitori - misure atte a riunire genitore e figli non più conviventi così come la certa censurabilità di condotte meramente “vigilanti” del diritto del figlio a raggiungere il genitore o a mantenere un contatto con lui, essendo invece necessario che lo Stato adotti, in concreto, tutte le misure propedeutiche al conseguimento dello scopo.

Certo, l'obbligo per le autorità nazionali di adottare misure efficaci non può certo essere inteso in senso assoluto: la cooperazione di tutti i soggetti interessati costituisce infatti un fattore decisivo, in assenza del quale il diritto del minore non troverà alcuna affermazione.