La residenza abituale del minore non coincide con la sua residenza anagrafica

Emilia Velletri
20 Ottobre 2017

La residenza abituale del minore coincide con quella anagrafica o può essere diversamente identificata, in base alle peculiarità fattuali del caso concreto?
Il caso

Con provvedimento provvisorio emesso dalla competente autorità giudiziaria nell'ambito del procedimento di divorzio intentato negli USA, Tizia viene autorizzata a trasferire nella natìa Italia la residenza propria e del figlio minorenne Caio, fino a quel momento residente con i genitori negli USA. Successivamente, con sentenza definitiva di divorzio la corte statunitense, modificando le condizioni di affido e stabilendo l'affido esclusivo al padre in luogo di quello condiviso fino a quel momento concesso, autorizza lo spostamento della residenza anagrafica del minore dal territorio italiano a quello dello Stato del Massachussets, con divieto della madre di distoglierlo da tale territorio. In virtù di tale sentenza, anche delibata in Italia, e della conseguente istanza di restituzione proposta dal padre del minore Caio, il Tribunale per i Minorenni italiano territorialmente competente ordina l'immediato rientro del minore negli Stati Uniti d'America presso la residenza paterna. Tale decisione viene impugnata dinanzi alla Suprema Corte da Tizia, salvo poi rinuncia anteriormente all'udienza.

La questione

La questione in esame è la seguente: se la residenza abituale del minore coincida con quella anagrafica o se possa essere diversamente identificata, in base alle peculiarità fattuali del caso concreto.

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte ribadisce l'avvenuta integrazione degli elementi della sottrazione internazionale di minore da parte della madre Tizia in virtù del mancato rientro ovvero dell'illecito trattenimento in Italia del figlio minore in violazione dei diritti di custodia del padre, legittimati dalla decisione dell'autorità giudiziaria statunitense che conferiva allo stesso l'affidamento esclusivo del figlio minore e fissava la residenza presso il genitore affidatario. Concordando con la decisione assunta in primo grado dal competente Tribunale per i Minori, la Corte di Cassazione sottolinea come non sia rilevante la legittimità dell'ingresso in Italia del minore e del trasferimento della sua residenza nel territorio italiano, in quanto la provvisoria decisione legittimante è stata ribaltata dalla definitiva pronuncia di divorzio, che ne ha radicalmente mutato le condizioni sia per ciò che concerne l'affido che la residenza del minore. Altresì, in ordine alla residenza abituale, evidentemente richiamata nei motivi di doglianza della ricorrente, la Corte di legittimità sottolinea come nel caso di specie il minore abbia vissuto e sia stato radicato nel territorio statunitense per i primi sei anni di vita e come il trasferimento in Italia abbia comportato numerosi problemi di adattamento per il bambino, dovuti anche alla scarsa padronanza della lingua italiana : conseguentemente la Suprema Corte deduce come la lingua madre e la forma mentis acquisita negli USA fossero significativamente condizionanti per il minore nel caso in oggetto. Sulla base di tali elementi, ribadendo il concetto già affermato dalle Sezioni Unite, la sez. I civ. della Corte di Cassazione

sottolinea la rilevanza della residenza abituale del minore e la sua non coincidenza con la mera residenza anagrafica.

Con l'ordinanza, 5 giugno 2017, n. 13912 le Sezioni Unite hanno, infatti, sottolineato come il parametro della residenza abituale sia posto a tutela della continuità affettivo-relazionale del minore e sia, pertanto, idoneo a valorizzare la preminenza dell'interesse del minore stesso.

Ai medesimi principi si è ispirata la decisione in commento, visto che il criterio della fissazione della residenza abituale del minore Caio negli USA è stato evidentemente fissato anche in base alla necessità che per lo stesso fosse garantita la relazione con il genitore non affidatario, effettivamente coltivata nell'originario luogo di residenza ed ostacolata invece dalla madre dopo il trasferimento in Italia. Alla luce di tali elementi è evidente come nel caso di specie la decisione di fissare la residenza abituale del bambino nello Stato del Massachussets sia stata finalizzata a garantire la necessaria continuità affettivo-relazionale del minore, gravemente mortificata durante la sua permanenza in Italia.

La questione non è di poco conto, anche in virtù del ruolo di protagonista assegnato al concetto di residenza abituale da parte della legislazione in materia di sottrazione internazionale di minori, a cominciare dalla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, tra le cui finalità rientra testualmente anche quella di «stabilire procedure tese ad assicurare l'immediato rientro del minore nel proprio Stato di residenza abituale». Il concetto di residenza abituale del minore assume pari importanza anche nel Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che rappresenta l'altra di riferimento in materia di sottrazione internazionale di minori, nonchè nella giurisprudenza italiana e sovranazionale, come anticipato anche nella sentenza in commento. In particolare, il concetto di residenza abituale del minore è stato identificato sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che dalla Corte di Giustizia Europea nel luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale del minore, e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto, ovvero nel luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione (cfr. Cass. civ. S.U., 7 settembre 2016, n. 17676; Cass., S.U. 18 marzo 2016, n. 5418; Cass., S.U., 22 luglio 2014, n. 16648; Cass. 19 ottobre 2006, n. 22507; Cass. 11 gennaio 2006, n. 397; Cass. 2 febbraio 2005, n. 2093; Cass. 16 luglio 2004, n. 13167; Corte di Giustizia UE, sent., 9 ottobre 2014, C376/2014; Corte Giustizia UE, sent., 22 dicembre 2010, C497/2010; Corte Giustizia UE, sent., 2 aprile 2009, C523/2007).

Osservazioni

Nella pronuncia in commento oltre alla questione della distinzione tra residenza abituale e anagrafica vengono affrontate altre tematiche, probabilmente in risposta ai motivi di impugnazione della ricorrente, purtroppo non riportati nell'ordinanza in esame. Strettamente connessa alla problematica della residenza - abituale o anagrafica - del minore è, infatti, la questione di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello straniero, a cui sembra riferirsi l'affermata efficacia ed esecutività in Italia della sentenza di divorzio emessa dalla Corte statunitense, rimarcata nella motivazione della pronuncia in commento probabilmente in risposta al supposto eccepito difetto di giurisdizione a favore dell'Autorità Giudiziaria territorialmente competente in Italia, ove è posta la residenza anagrafica del minore. Infatti, come anche sottolineato dalla Sezioni Unite della Suprema Corte nella già citata ordinanza n. 13912/2017 (che si riporta a sua volta alla pronuncia Cass., S.U., 9 gennaio 2001, n. 1) in virtù della doppia cittadinanza del minore, italiana e straniera, ai fini del riparto della giurisdizione e dell'individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta. Conseguentemente, tra le misure finalizzate a tutelare il minore con doppia cittadinanza italiana e straniera, anche se incidenti sulla potestà dei genitori, i provvedimenti emessi dall'Autorità Giudiziaria dello Stato in cui il minore ha la residenza abituale devono essere ritenuti prevalenti su quelli adottati dal Giudice dello Stato di cui il minore è cittadino, in deroga a quanto previsto dall'art. 4 Convenzione dell'Aja 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori (resa esecutiva con la l. 24 ottobre 1980, n. 742) nonché dall'art. 42, l. n. 218/1995 che la richiama espressamente quale legge regolatrice della giurisdizione in materia di protezione dei minori. Nel caso di specie, anche ove la ricorrente avesse eccepito il difetto di giurisdizione della Corte statunitense in favore dell'Autorità Giudiziaria italiana, sarebbero stati ritenuti applicabili i provvedimenti adottati nella sentenza di divorzio dalla Corte del Massachussets, sia in quanto finalizzati alla tutela del minore ed emanati nello Stato in cui lo stesso ha la residenza abituale sia in virtù della delibazione in Italia della sentenza emessa negli USA.

Un'altra delle tematiche affrontate dalla Suprema Corte nella sentenza in commento è correlata alla successiva e già citata Convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, risalente al 25 ottobre 1980, ed in particolare all'art. 13, evidentemente in risposta ad altra doglianza avanzata dalla ricorrente nei motivi di impugnazione, poi abbandonati. Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha ritenuto non esistente la situazione di intollerabilità, di cui all'indicato art. 13 Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, derivabile al minore dal suo rientro negli Stati Uniti, atteso che il trasferimento in Italia era coinciso con la limitazione del diritto di visita da parte del padre a causa degli ostacoli frapposti dalla madre. La Suprema Corte, confermando la decisione di merito, aveva ritenuto maggiormente corrispondente all'interesse del minore l'ampio diritto di visita, attuativo del diritto alla bigenitorialità da parte del bambino, previsto dalla corte statunitense, rimarcando così, anche in relazione alla tutela dell'interesse del minore, la prevalenza dei provvedimenti adottati dall'Autorità Giudiziaria dello Stato in cui è posta la sua residenza abituale e la necessità di una corretta individuazione della stessa.