L'insostenibile leggerezza dell'appello?

Marco Siragusa
23 Ottobre 2017

L'appello vive una stagione nuova ed incerta. L'oggetto del giudizio di appello sarà ancora la sentenza di primo grado oppure l'asse del giudizio si sposterà anche verso un “rifacimento” del primo giudizio di merito? La materia è in progressiva evoluzione ed è stata nuovamente rimessa alle Sezioni unite, che tratteranno la questione all'udienza del 21 dicembre prossimo. Il Focus ripercorre in estrema sintesi la cronologia degli eventi e anticipa, laddove possibile, quel che accadrà.
Abstract

L'appello vive una stagione nuova ed incerta. Mentre questo contributo viene pubblicato non è ancora chiaro se l'istituto si stia trasformando in una replica del giudizio di primo grado e stia abbandonando la sua tradizionale funzione di giudizio di impugnazione ad effetto devolutivo, nel quale imputata è la sentenza impugnata.

In altre parole, cercheremo di capire se nel prossimo futuro l'oggetto del giudizio di appello sarà ancora la sentenza di primo grado, censurata per errori di fatto e di diritto, oppure l'asse del giudizio si sposterà anche verso un “rifacimento” del primo giudizio di merito, con un'intuibile evoluzione dell'istituto.

La materia è in progressiva evoluzione ed è stata nuovamente rimessa alle Sezioni unite, che tratteranno la questione all'udienza del 21 dicembre prossimo.

La sistematica di questo lavoro è di ripercorrere in estrema sintesi la cronologia degli eventi e di anticipare, laddove possibile, quel che accadrà.

Un po' di storia

All'origine dell'attuale evoluzione del giudizio di appello si pone la “interruzione” di quel giusto percorso ideologico introdotto dalla legge 46 del 2006, c.d. legge Pecorella, dichiarata incostituzionale nel 2006 (Corte cost. n. 26 del 16 febbraio 2007).

Com'è noto, il giudice delle leggi censurò, con un doppio intervento, la novità legislativa che precludeva l'appello al pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento, salve le ipotesi in cui l'appellante allegava la sopravvenienza di una nuova prova decisiva ritenuta idonea a provocare la riforma peggiorativa. Per l'effetto, venne “ripristinato” il previgente assetto normativo, con facoltà dell'accusa pubblica (e privata) di censurare nel merito le sentenze di proscioglimento.

Sebbene il testo che tutt'oggi leggiamo sul codice, sia quello introdotto dalla c.d. legge Pecorella, la Corte costituzionale ha sostanzialmente riportato la disciplina al suo assetto previgente. Non è questa la sede per rivisitare quella vicenda, che molti ricorderanno per i momenti di forte tensione politica che svilirono, purtroppo, ogni serio dibattito scientifico sul contenuto della riforma: sia solo consentito osservare, a difesa di un principio che merita comunque di essere riaffermato, che ogni qual volta l'imputato, assolto in primo grado, sia poi condannato su appello del pubblico ministero esso viene privato, pur presunto innocente, del diritto ad un secondo grado di merito. Una lesione che è tanto più grave in quanto si releghi ad ipotesi meramente residuali la rinnovazione o l'integrazione dell'istruttoria dibattimentale e che pone il nostro ordinamento in rotta di collisione rispetto alle convenzioni internazionali recepite dal nostro Paese.

Rimaneva, quindi, irrisolto il problema al quale la legge Pecorella aveva inteso dare soluzione: la inquisitorietà del giudizio di appello e la “compatibilità” dell'appello con il principio del contraddittorio introdotto dal nuovo articolo 111 della Costituzione.

La supplenza della giurisprudenza comunitaria

O tempora o mores: quel che il Legislatore e la giurisprudenza italiana non erano riusciti a risolvere, trovò soluzione nella giurisprudenza europea.

Con la nota sentenza della Dan vs Moldavia (Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. III 5 luglio 2001),la Corte Eduaveva affermato«che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. La valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate […]».

Alla nota sentenza, avevano fatto seguito ulteriori pronunce “minori”, tutte nello stesso senso (Hanu contro Romania del 4 giugno 2013, Manolachi contro Romania del 5 marzo 2013 e Flueras contro Romania del 9 aprile 2013).

I principi “europei” erano stati, infine, recepiti nella relazione (n. 18/2013) della Corte di cassazione laddove s'era chiarito che per essere rispettosa dell'art. 6 Cedu «l'affermazione di responsabilità̀ in sede di gravame […] richiede [...] l'esame diretto dei testimoni da parte del giudice dell'appello».

La breccia aperta: i distinguo della giurisprudenza italiana

La breccia era stata aperta, ma non mancarono le obiezioni della nostra giurisprudenza.

Si era così giunti ad affermare che «[...]il diverso apprezzamento di una prova orale determinante per la decisione, deve “in linea di massima” essere riassunta davanti al medesimo giudice d'appello […] la prima condanna in appello, a materiale probatorio invariato, [è una] soluzione strutturale legittima, quindi possibile e fisiologica, ma caratterizzata da indefettibile rigore ed attenzione nell'adempimento degli obblighi e nell'osservanza delle regole anche ‘di sistema' del processo» (Cass. pen., Sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8705).

Era stato finanche ritenuto superfluo l'incidente di costituzionalità, sul rilievo che «è manifestamente infondata l'eccezione di l.c. dell'art. 603 cod. proc. pen. per contrasto all'art. 117 della Cost. e all'art. 6 della Convenzione Edu nella parte in cui non prevede la preventiva necessaria obbligatorietà della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per una nuova audizione dei testimoni già̀ escussi in primo grado, nel caso in cui la Corte di Appello intenda riformare in pejus una sentenza di assoluzione dell'imputato. (In motivazione: l'art. 6 Cedu, così come interpretato dalla sentenza della Corte Edu nel caso Dan c/ Moldavia, impone di rinnovare l'istruttoria soltanto in presenza di due presupposti, assenti nell'ipotesi in trattazione, quali la decisività̀ della prova testimoniale e la necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell'attendibilità dei testimoni)», cfr.Cass. pen. Sez. V, 2 ottobre 2012, n. 38085.

Dal nuovo assetto che imponeva la “rinnovazione dell'istruttoria”, rimanevano inoltre escluse, le prove non decisive (ex plurimis: Cass. pen., Sez. V, 25 settembre 2013, n. 47106); le prove documentali (Cass. pen., Sez. III, 12 marzo 2014, n.39410); quelle erroneamente ritenute inutilizzabili dal primo giudice (Cass.pen., Sez. II, 17 luglio 2013, n. 32368); le prove dichiarative vulnerabili (Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2013, n.32798) e quelle usurabili.

Gli arresti delle Sezioni unite

Era nell'ordine naturale delle cose che la materia approdasse all'esame delle Sezioni Unite.

Con la ormai notissima sentenza n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta, le Sezioni unite hanno fissato il principio dell'obbligo di rinnovazione della prova decisiva nel caso di riforma peggiorativa. Si è così affermato l'obbligo del giudice di appello di ristabilire il “contatto” con la fonte dichiarativa, laddove pronunci in riforma dell'assoluzione di primo grado attraverso la rivalutazione della prova che aveva contribuito alla pronuncia assolutoria. L'inosservanza della regola di giudizio espone la pronuncia di overturning ad annullamento per la violazione della lettera e) dell'art. 606 c.p.p., ancorché il vizio non sia stato esplicitamente dedotto dal ricorrente in relazione alla violazione dell'art. 6 Cedu.

Con la successiva sentenza a Sezioni unite n. 18620 del 19 gennaio 2017, Patalano, le Sezioni unite avevano “esteso” il principio anche alle pronunce peggiorative pronunciate nell'ambito del giudizio abbreviato.

Era chiaro, fino ad allora, che la regola del giudizio (id est: l'obbligo di rinnovazione in caso di riforma peggiorativa) attenesse al principio del ragionevole dubbio ed all'omesso rispetto dell'obbligo di motivazione rafforzata (Cass. pen., Sez. unite, n.33748 del 2005).

Sembrava così risolta la “fuga in avanti” di alcune isolate pronunce (su tutte: Cass. pen., Sez. III, 27 settembre 2012, n. 42007), relative all'annullamento della riforma migliorativa avvenuto senza la rinnovazione dell'istruttoria. Vedremo invece, di qui a breve, come il tema sia tornato di attualità dopo la riforma Orlando (l. 103/2017) e la rimessione alle Sezioni unite (udienza del prossimo 21 dicembre) da parte della prima Sezione penale della Corte di cassazione (ricorso n. 41219/2017).

La riforma Orlando

È sempre più frequente la “rinuncia” del legislatore alle sue prerogative in materia di principio di legalità.

La riforma Orlando non fa eccezione e recepisce, a man bassa, gli arresti delle Sezioni unite. Le conseguenze “politiche” e di “equilibrio tra poteri dello Stato” non costituiscono oggetto di questo lavoro: vi facciamo cenno solo per comprendere il cortocircuito che si è (già) creato.

Accade così che, con un improvvido voto di fiducia, il Parlamento approvi l'art. 1, comma 58, della riforma Orlando ed introduca all'art. 603 c.p.p. il comma 3-bis: «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale».

Cosa accade nel periodo intertemporale?

La Riforma Orlando non reca una disciplina transitoria.

Il primo problema da affrontare è dunque quello di stabilire come si applichi la regola del tempus regit actum: vale per i procedimenti trattati in appello dopo l'entrata in vigore della riforma (3 agosto 2017) oppure no? Detto altrimenti: qual è il termine che fissa la pendenza del giudizio di appello al quale si applica la nuova disciplina? Ovvero, quali sono i procedimenti in corso? Quelli per i quali pendono i termini di impugnazione oppure quelli le cui udienze sono fissate dopo il 3 agosto 2017?

Riteniamo che la pendenza sia determinata dalla pronuncia della sentenza di primo grado, così come aveva statuito la sentenza n. 47008/2009 delle Sezioni unite. Sebbene quella pronuncia attenga a profili sostanziali relativi al regime della prescrizione, essa costituisce un importante precedente nella fissazione del termine di “pendenza”.

Ne segue che la sentenza di primo grado “regge il tempo” e il nuovo articolo 603 comma 3-bis c.p.p. sarà applicabile a tutte le sentenze di primo grado pronunciate dopo il 3 agosto 2017.

In corollario: la regola del giudizio per gli appelli avverso le sentenze pronunciate prima del 3 agosto 2017, continuerà ad essere quella delle sentenze a sezioni unite Dasgupta e Patalano, sicché la rinnovazione sarà necessaria secondo il parametro dell'oltre ogni ragionevole dubbio.

Detto altrimenti: il giudice di appello che ritenga meritevole di conferma la pronuncia assolutoria, e che non versi nel dubbio della sua riforma fondata su una diversa valutazione della prova dichiarativa decisiva, non sarà tenuto a rinnovare l'istruttoria e potrà confermare la sentenza di primo grado.

Del resto, in base al nuovo statuto delle impugnazioni – sicuramente applicabile alle sentenze di appello pronunciate dopo il 3 agosto 2017 – al procuratore generale sarà precluso il ricorso per Cassazione ex art. 606, lett. e) c.p.p., atteso che il “nuovo” articolo 608 comma 1-bis c.p.p. limita il ricorso per Cassazione avverso le “doppie conformi” ai soli casi di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606 c.p.p..

Pertanto, in caso di mancata rinnovazione da parte del giudice d'appello, il vizio deducibile mediante ricorso per Cassazione dovrà comunque essere ricondotto alla categoria del vizio di motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., in quanto la condanna contrasta con la regola di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all'art. 533, comma 1, c.p.p.. La nuova disposizione di legge processuale non è, infatti, espressamente sanzionata da nullità, sicché non è riconducibile alla previsione dell'art. 606 lett. c) c.p.p.

Si osservi che per quanto un autorevole orientamento dottrinale, risalente al Calamandrei, ritenga deducibili in Cassazione, come vizio ex lettera b) anche gli errores in iudicando relativi ad una norma processuale, la giurisprudenza sembra consolidata nel senso di affermare che la lettera b) individua le violazioni della sola norma penale sostanziale.

Cosa accade a “regime”?

L'appello del pubblico ministero sarà inammissibile, secondo il nuovo statuto delle impugnazioni (art. 581, comma 1, lett. c) c.p.p.), se non conterrà le “richieste, anche istruttorie” delle quali l'appellante chiede la riassunzione ai sensi del comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p.

Rimane invece dubbio se, in presenza di un appello formalmente ammissibile (cioè che contenga l'indicazione delle richieste anche istruttorie), la Corte sia tenuta o meno a procedere alla rinnovazione dell'istruttoria.

In effetti, la lettera del nuovo comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p. sembrerebbe non lasciare margine a dubbi (il giudice dispone), dal momento che il legislatore della riforma non ha previsto alcuna aggettivazione (ad esempio dispone se la prova è decisiva e/o necessaria), con la conseguenza che l'opzione del giudice di appello parrebbe obbligata: se appella il pubblico ministero per questioni relative alla valutazione della prova, dovrà rinnovare l'istruttoria.

Tuttavia, la nuova disposizione non è assistita da sanzione processuale e, come abbiamo segnalato, nessuno potrebbe dolersi in caso della conferma assolutoria avvenuta senza la rinnovazione (art. 608, comma 1-bis, c.p.p.). L' interpretazione in esame privilegia la lettura combinata delle due norme - il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p. e il comma 1-bis dell'art. 608 c.p.p. – e consente di superare la critica che la vorrebbe in contrasto con la regola dell'art. 124 c.p.p.

“Come” si rinnova?

Sul come non sembrano esservi dubbi: la soluzione più corretta è che il giudice di appello “apra” al contraddittorio tra le parti sulla rinnovazione; si tratterà di un contraddittorio, in ipotesi, contratto: le richieste dell'appellante sono infatti già contenute nell'atto di impugnazione.

La decisione sulla rinnovazione deve “passare” attraverso una camera di consiglio che segua il confronto tra le parti. In caso contrario, il giudice di appello sarebbe “esposto” ad una possibile ricusazione per anticipazione del giudizio.

Pare scontato che un appello che ponga questione di errata valutazione della prova devolva alla cognizione del giudice non solo un giudizio di decisività (e non di ammissibilità, perché non si controverte sul diverso caso di prove disattese o sopravvenute), ma anche il merito della res iudicanda, sicché non è difficile immaginare che il contraddittorio si risolva nella discussione della causa, alla quale seguirà, dopo la camera di consiglio, la decisione: ordinanza di rinnovazione oppure sentenza di conferma dell'assoluzione, senza rinnovazione.

Al contrario, se l'appello è “formalmente” privo delle richieste anche istruttorie il contraddittorio potrà limitarsi alla richiesta di preventivo vaglio di (in)ammissibilità.

“Cosa” si rinnova?

Più complicato è stabilire cosa si rinnovi.

Se è semplice prevedere che la novella riguarderà le prove dichiarative, rimane dubbio se saranno “coinvolte” quelle relative alle fonti usurabili e a quelle vulnerabili.

Maggiori dubbi permangono sulla perizia: si considera prova dichiarativa e si rinnova il solo esame del perito? Oppure si rinnova la perizia (recte: le operazioni peritali e l'elaborato?).

La risposta a quest'ultimo quesito orienta verso la soluzione: la rinnovazione, al di là della infelice lettera normativa (dispone), va valutata alla stregua del principio del ragionevole dubbio, sicché essa sarà disposta se ritenuta necessaria (o decisiva) per risolvere lo stallo dubitativo. Tutte le volte in cui, invece, il giudice non verserà in dubbio oppure valuterà che la prova non lo risolverà, non avrà “necessità” di rinnovare, e confermerà la decisione assolutoria. A supportare la soluzione qui prospettata, sopravviene la topografia della norma: il nuovo comma 3-bis segue il comma 3 dell'art. 603 c.p.p., nel quale è espressamente “spesa” la regola di necessità ai fini della rinnovazione.

Eppur si muove … La giurisprudenza che verrà

L'opzione interpretativa che si è offerta, relega(va) come marginale la tesi minoritaria – peraltro isolata e già superata dalla sentenza Dasgupta – con la quale era stata annullata con rinvio la sentenza che aveva riformato in melius (id est: overturning di una condanna e pronuncia assolutoria) senza previa rinnovazione ( su tutte Cass. pen., Sez. III, 27 settembre 2012, n. 42007).

Ed invero, il giudice che riforma una condanna è certo di assolvere oppure è in dubbio sulla colpevolezza. Nel primo caso non avrà necessità di rinnovare, mentre nel secondo dovrà “confrontarsi” (ora, come in passato) con la regola che gli impone di “disporre la prova” per risolvere il (suo) dubbio (art. 603, comma 3, c.p.p. ma anche artt. 422, 441, comma 5, e 507 c.p.p.).

All'evidenza, la rinnovazione è regola che involge la motivazione di riforma, che dev'essere rafforzata (Cass.pen., Sez. unite, n.33748 del 2005) e la regola del ragionevole dubbio.

Eppur si muove … la giurisprudenza.

A tacer che la novella legislativa “libera” dai vincoli interpretativi delle precedenti decisioni a Sezioni unite Dasgupta e Patalano, a complicare il quadro è intervenuta la recentissima pronuncia della Corte di cassazione (la n. 41571/2017 della Sez. II) secondo la quale «l'art. 603, comma 3, cod. proc. pen. in applicazione dell'art. 6 CEDU deve essere interpretato nel senso che il giudice di appello per pronunciare sentenza di assoluzione in riforma della condanna del primo giudice deve previamente rinnovare la prova testimoniale della persona offesa, allorché, costituendo prova decisiva, intenda valutarne diversamente l'attendibilità, a meno che tale prova non risulti travisata per omissione, invenzione o falsificazione».

L'asse della motivazione della sentenza da ultimo esaminata muove dalla considerazione che «non si può ritenere che il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio assorba quello della motivazione rafforzata», che invece sarebbe “alimentato dal principio di immediatezza” (per approfondimenti, su questa rivista, A. LAZZONI, La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello tra evoluzione giurisprudenziale e riforma Orlando).

Insomma, un'autentica rivoluzione copernicana che, passando attraverso l'affermazione di iniquità dell'overturning «basato su compendi probatori ‘deprivati' rispetto a quelli utilizzati dal primo giudice», privilegia i principi di immediatezza ed oralità e rischia di trasformare il giudizio di appello in qualcosa di diverso da quello attuale: un giudizio nel quale la riforma (sia in melius sia in pejus) della pronuncia di prime cure imporrebbe sempre la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva.

Come aveva segnalato A. LAZZONI (op. cit.) “l'ulteriore evoluzione giurisprudenziale condurrà verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite”. Non è mancato molto perché la profezia si avverasse.

Il 6 ottobre 2016 con ordinanza resa nel giudizio n. 41219/2017, la prima Sezione della Corte di cassazione– chiamata a decidere sul ricorso del P.G. di Napoli ricorrente avverso la sentenza con la quale la Corte d'Assise di Napoli, in totale riforma della decisione di primo grado, aveva assolto Troise Gianluca dal reato di omicidio pluriaggravato – ha segnalato il possibile contrasto tra la decisione della Sez. II n. 41571/2017 e le sentenze a Sezioni unite Dasgupta e Patalano. Il primo Presidente, ritenuta la tematica di speciale importanza ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite per la trattazione all'udienza del 21 dicembre 2017.

È facile prevedere che se la decisione delle Sezioni unite trasformerà il giudizio di appello in un nuovo e rinnovato giudizio di merito sotto il profilo istruttorio (in tutti i casi di riforma della decisione di primo grado), della questione finirà per essere investita la Corte costituzionale per la violazione del principio della ragionevole durata del processo.

In conclusione

La materia della rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello è in continuo divenire e, nonostante la recente novella legislativa, restano ancora irrisolti i principali nodi interpretativi (si rinnova sempre in caso di riforma?), quelli pratici (cosa e come si rinnova?) ed infine i principi che disciplinano la materia (quale regola informa l'obbligo: il ragionevole dubbio o l'immediatezza?).

È facile prevedere che molti temi rimarranno ancora aperti dopo la prossima decisione delle Sezioni unite.

Guida all'approfondimento

A. LAZZONI, La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello tra evoluzione giurisprudenziale e riforma Orlando

M. SIRAGUSA, Riforma in pejus e obbligo del giudice di appello di rinnovare la prova

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