Domicilio, residenza, dimora

Simonetta Giuliano
23 Ottobre 2017

La nozione di domicilio è caratterizzata da un elemento oggettivo, che consiste nel riferimento al luogo in cui convergono e si concentrano gli interessi del soggetto, e da un elemento soggettivo, costituito dall'intenzione della persona, espressa anche mediante comportamento concludente, di eleggere proprio quel luogo a centro dei propri interessi.
Inquadramento

Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.

La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

La dimora è, invece, richiamata solo implicitamente, e si desume in via interpretativa in contrapposizione alla residenza, rispetto alla quale è priva del requisito della abitualità.

In evidenza

Il codice civile italiano ha conservato la distinzione tra domicilio, residenza e dimora.

Nel primo si concentrano, con un criterio di prevalenza quantitativa e qualitativa rispetto ad altri luoghi, le situazioni attive e passive che al soggetto fanno capo.

Nella seconda, la presenza fisica abituale del soggetto costituisce il presupposto materiale a ragione del quale attorno allo stesso gravitano tutti i rapporti sociali e familiari inerenti alla persona.

Rilevanza giuridica del domicilio

La nozione di domicilio è caratterizzata da un elemento oggettivo, che consiste nel riferimento al luogo in cui convergono e si concentrano gli interessi del soggetto, e da un elemento soggettivo, costituito dall'intenzione della persona, espressa anche mediante comportamento concludente, di eleggere proprio quel luogo a centro dei propri interessi.

La semplice dichiarazione di volontà di un soggetto non è di per sé sufficiente a creare il suo domicilio, non avendo alcuna natura negoziale: la fissazione del domicilio generale è un atto giuridico in senso stretto. È esclusa la pluralità di domicilii.

L'inciso «affari e interessi» esprime un concetto ampio, comprensivo delle attività sia di natura patrimoniale, che di indole morale; la giurisprudenza (Cass. civ. 8 marzo 2005, n. 5006), riferisce il domicilio a tutti i rapporti del soggetto, non solo economici, ma anche morali e familiari, e ciò anche quando si tratti dell'ultimo domicilio del de cuius agli artt. 456 c.c. e 22 c.p.c. (Cass. civ. 20 luglio 1999, n. 7750).

In evidenza

Il requisito della principalità degli affari ed interessi deve essere accertato facendo riferimento a quei dati apparenti della sede che siano riscontrabili dai terzi in maniera oggettiva.

Deve presumersi che il cittadino italiano che abbia la propria residenza all'estero, ivi abbia anche il proprio domicilio, salva la prova - ove venga convenuto in giudizio - dell'esistenza di un domicilio dello stesso in Italia, che radicherebbe la competenza del giudice italiano ai sensi dell'art. 3, l. 31 maggio 1995, n. 218. A tale fine, non basta dimostrare la mera disponibilità di un immobile in Italia, né la ricezione, ivi, ad opera di un domestico, dell'atto di citazione in giudizio, trattandosi di circostanze non significative ai fini dell'individuazione di un luogo elevato a centro dei propri affari ed interessi (Cass. civ. 11 febbraio 2003, n. 2060).

… e della residenza

La residenza è il luogo in cui la persona ha fissato la sua abituale dimora.

In evidenza
Per abituale dimora si intende il luogo di normale abitazione, e cioè il luogo dove il soggetto vive normalmente l'intimità sua e della sua famiglia.

La circoscrizione territoriale cui si riferisce la residenza è il Comune (art. 31 disp. att. c.c.).

La mera dichiarazione di voler risiedere in un determinato luogo non è sufficiente a creare il collegamento residenziale se il soggetto mantiene di fatto in altro luogo l'abituale dimora. Tale dichiarazione vale tuttavia a far sorgere la presunzione che il soggetto abbia la residenza nel luogo dichiarato e i terzi possono quindi farvi affidamento, salvo che abbiano conoscenza della diversa effettiva residenza della persona.

In evidenza
Per la nozione di residenza è necessario l'elemento obiettivo della permanenza in un certo luogo e l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Il concetto di residenza va, quindi, interpretato alla luce dei principi costituzionali in materia di libera circolazione e di soggiorno dei singoli cittadini enunciati dall'art. 16 Cost..

Per la nozione di residenza è necessario l'elemento obiettivo della permanenza in un certo luogo e l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (da ultimo: Trib. Firenze 5 maggio 2017; Trib. Treviso 9 giugno 2016; App. Potenza 26 maggio 2015). Il concetto di residenza va interpretato alla luce dei principi costituzionali in materia di libera circolazione e di soggiorno dei singoli cittadini enunciati dall'art. 16 Cost. (Cons. Stato 17 marzo 1999, n. 3085).

La pubblicità della residenza è realizzata attraverso un pubblico registro anagrafico che è tenuto presso ogni Comune (art. 1, l. 24 dicembre 1954, n. 1228, modificato dall'art. 1-novies d.l. 31 marzo 2005, n. 44). Le anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE) sono tenute presso i comuni e presso il Ministero dell'Interno e sono disciplinate dalla l. 27 ottobre 1988, n. 470, modificata dalla l. 27 maggio 2002, n. 104. Ciascuna persona fisica è legalmente tenuta ad iscrivere sé e coloro che sono soggetti alla sua potestà o tutela nell'anagrafe del Comune di residenza (art. 2, l. 24 dicembre 1954, n. 1228).

L'art. 46, d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ha previsto, che la residenza possa essere comprovata - nei limiti di cui all'art. 2 - con dichiarazione sottoscritta dall'interessato e prodotta in sostituzione della normale certificazione.

L'effettiva residenza di una persona è accertabile dal giudice con qualsiasi mezzo di prova, anche contro le risultanze anagrafiche, che hanno soltanto un valore presuntivo (ex plurimis, Trib. Palermo 31 gennaio 2017; App. Genova 18 ottobre 2016; Cass. civ. 28 aprile 2014, n. 9373), e questo principio vale anche nei giudizi di interdizione (Trib. Milano 16 luglio 2009).

In evidenza
La domanda giudiziale di accertamento della residenza è inammissibile e improponibile, in quanto ha ad oggetto una situazione di fatto (quantunque giuridicamente rilevante), e non un diritto.

La residenza non viene meno per assenze periodiche più o meno prolungate, se queste non valgono ad interrompere l'abitudine della dimora in quel dato luogo; potrà considerarsi mutata solo quando lo stare della persona in un altro luogo assuma il connotato della abitualità, prevalendo sul precedente luogo di dimora. La prevalenza dell'abitudine deve essere, di volta in volta, verificata, durante i successivi spostamenti di un soggetto da un comune ad un altro.

In evidenza

La residenza non viene meno per assenze più o meno prolungate o frequenti dovute a motivi di studio, lavoro, cura o svago, ovvero per detenzione in carcere o allontanamento dal luogo abituale di dimora per sottoposizione al programma di protezione per collaboratori di giustizia.

In caso di notificazione

In tema di notificazione, l'art. 139 c.p.c. dispone un criterio di successione preferenziale circa il luogo nel quale essa deve essere effettuata, a pena di nullità: occorre innanzitutto far riferimento al comune di residenza; se questo è ignoto, a quello di dimora e - ove anche questo sia sconosciuto - a quello di domicilio. Solo nel caso in cui la residenza ed il domicilio si trovino nello stesso comune, tale criterio preferenziale non opera più e la notifica può essere effettuata, in via alternativa, o presso la residenza, o presso il domicilio (Cass. civ. n. 59457/1997). La notificazione dell'atto a persona di famiglia o addetta alla casa, all'ufficio o all'azienda ex art. 139, comma 2, c.p.c., è valida solo se la consegna dell'atto avviene nella casa di abitazione o presso il domicilio del notificando, mentre se essa avviene in luoghi diversi, diventa irrilevante il rapporto tra il consegnatario e la persona cui l'atto è destinato (Cass. civ., 12 aprile 1996, n. 3445).

Risulta, peraltro, affetta da nullità la notificazione eseguita ex art. 140 c.p.c. nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici, nell'ipotesi in cui questi si sia trasferito altrove e il notificante ne conosca, ovvero con l'ordinaria diligenza avrebbe potuto conoscerne, l'effettiva residenza, dimora o domicilio (Cass, S.U., 6 dicembre 1978, n. 5753; e successivamente conf. Cass. civ., 11 novembre 2003, n. 16941).

Non potrà essere rimesso in termini, ex art. 294 c.p.c., il contumace che lamenti di non aver avuto notizia dell'atto di citazione, notificatogli presso la residenza originaria, essendosene allontanato senza dare disposizioni per essere prontamente informato di quanto a lui indirizzato (Cass. civ. 26 maggio 2004, n. 10183).

Altri tipi di domicilio e residenza

Le nozioni di domicilio e residenza, emergenti dal codice civile, hanno portata generale. L'ordinamento, tuttavia, conosce altre nozioni di domicilio e residenza:

- la nozione di domicilio fiscale è definita, ai fini dell'applicazione delle imposte, dall'art. 58, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;

- la nozione di residenza e di domicilio ai fini dell'imposizione sui redditi delle persone fisiche è definita dall'art. 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, così come modificato dall'art. 10, l. 23 dicembre 1998, n. 448 (così CTR Lazio, sez. XXXIX, 21 gennaio 2014, n. 206). Occorre, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, la presenza di tre presupposti indicati in via alternativa: il primo, formale, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile. Quindi l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio (così Cass. n. 13803/2001; CTR Emilia Romagna 27 marzo 2000, n. 16);

- il domicilio menzionato nell'art. 76 l. marchi fa riferimento al luogo indicato o eletto per i fini (e soltanto per i fini) delle comunicazioni e delle notificazioni da farsi a norma della legge marchi (Comm. brevetti 27 aprile 1995);

- l'art. 1, comma 4, d.lgs. 22 dicembre 2000, n. 395 definisce il concetto di "residenza normale" ai fini della normativa disciplinante la professione di trasportatore su strada di merci e di viaggiatori.

Trasferimento

Il comma 1 stabilisce che il trasferimento della residenza non possa essere opposto ai terzi in buona fede, salvo che non sia stato denunciato nelle modalità prescritte dalla legge, vale a dire mediante una doppia denuncia fatta al comune che si abbandona e a quello dove si intende fissare la nuova residenza. Ad integrare il requisito della buona fede è sufficiente che il terzo non sia a conoscenza del trasferimento di residenza in altro comune, in contrasto con le risultanze anagrafiche.

Il termine trasferimento sottende il semplice mutamento materiale della sede della persona e non va, pertanto, inteso come un trasferimento in senso giuridico.

Se il trasferimento non è preceduto dalla duplice dichiarazione di cui all'art. 31 disp. att. c.c., la nuova sede reale è opponibile solo ai terzi che ne siano comunque a conoscenza, dato che ciò esclude la buona fede.

Se il notificante conosce, o avrebbe dovuto conoscere, l'effettiva residenza, dimora o domicilio del destinatario della notificazione ai sensi dell'art. 139 c.p.c., è nulla la notificazione eseguita ex art. 140 c.p.c. nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici, quando il notificante sia a conoscenza che il destinatario si è trasferito altrove (da ultimo Cass. civ., 16 novembre 2006, n. 24416; Cass. civ., 7 ottobre 2005, n. 19636; Cass. civ., 11 novembre 2003, n. 16941).

Sempre in tema di notifiche, la consegna di un piego postale a persona di famiglia convivente con il destinatario, nel luogo indicato sulla busta contenente l'atto da notificare, fa presumere che in quel luogo si trovino la residenza effettiva, la dimora o il domicilio del destinatario, con la conseguenza che quest'ultimo, al fine di ottenere la dichiarazione di nullità della notifica, ha l'onere di fornire idonea prova contraria. Tale prova, peraltro, non può essere fornita mediante la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza diversa dal luogo in cui è stata effettuata la notifica, in quanto siffatte risultanze, aventi valore meramente dichiarativo, offrono a loro volta una mera presunzione, superabile alla stregua di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario (così Cass. civ., 14 novembre 2007, n. 23578; Cass. civ., 22 novembre 2006, n. 24852).

Se il trasferimento è stato denunciato e risulta dalle iscrizioni anagrafiche, a tale forma di pubblicità, che è puramente dichiarativa, si ricollega una presunzione relativa di trasferimento della sede in conformità alle iscrizioni stesse, di cui beneficiano solo i terzi in buona fede.

Non può essere considerato soggetto terzo il coniuge convivente e non separato (Cass. civ. n. 1901/1965), mentre è ritenuto terzo a tutti gli effetti il coniuge separato sia legalmente (Cass. civ. n. 603/1978), che di fatto (così Cass. civ., 22 luglio 1995, n. 8049).

Non costituisce prova del trasferimento di residenza, opponibile ai terzi di buona fede la certificazione del comune di nuova residenza prodotta dal destinatario della notifica, dalla quale risulti l'iscrizione nei registri anagrafici di quel comune in data precedente a quella della notifica, atteso che, ai sensi dell'art. 44, comma 1, c.c. e dell'art. 31 disp. att. c.p.c., nonché delle norme regolamentari sull'anagrafe della popolazione (art. 16, d.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136 e successivamente, art. 18 d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) la cancellazione dall'anagrafe del comune di precedente iscrizione e l'iscrizione nell'anagrafe del comune di nuova residenza devono avere sempre la stessa decorrenza, che è quella della data della dichiarazione di trasferimento resa dall'interessato nel comune di nuova residenza, sicché tale certificazione anagrafica non fornisce la prova dell'avvenuta tempestiva dichiarazione al comune abbandonato (così Cass. civ. 2 marzo 1996, n. 1648).

A favore dei terzi in buona fede vale la regola della sede reale, la quale può essere sempre dimostrata senza limiti di prova a confutazione di quella dichiarata. L'interessato, invece, rimane vincolato al tenore della sua dichiarazione, e non può far valere la sede effettiva, se questa è difforme da quella denunciata, perché la presunzione relativa di trasferimento opera solo a favore dei terzi di buona fede.

I terzi possono dimostrare con ogni mezzo la residenza reale ed obiettiva diversa da quella emergente dai documenti anagrafici. Non è invece consentito all'interessato, in mancanza della predetta dichiarazione, di provare aliunde, contro le risultanze dei suindicati certificati, il mutamento de facto della propria residenza (così Cass. civ., 1 settembre 1998, n. 8681).

In evidenza
In assenza di una certificazione anagrafica che consenta di identificare il comune in cui è stata eseguita la notificazione con quello della residenza del destinatario al momento dell'atto, difetta il presupposto per presumere la collocazione della dimora abituale del soggetto nel luogo di esecuzione della notifica e non può, conseguentemente, ritenersi gravante su quest'ultimo l'onere di provare l'effettuazione della doppia denuncia ai sensi dell'art. 31 disp. att. c.c., prima del giorno della notificazione.

Non sussiste alcuna presunzione di trasferimento di residenza, ove vi sia un rapporto tra terzi estranei e si faccia questione del trasferimento della sede di altro soggetto: in tal caso le risultanze anagrafiche costituiscono un elemento presuntivo, che può essere vinto dalla prova contraria (Cass. civ. n. 5259/1977).

Ipotesi particolari: domicilio dei coniugi, del minore e dell'interdetto

L'abrogato art. 45 c.c., sottoponeva al domicilio legale la moglie, il minore e l'incapace, assegnando a costoro la medesima sede di un altro individuo (precisamente del marito e di colui che esercitava la potestà) al quale tali soggetti erano legati da un rapporto di dipendenza (c.d. acquisto del domicilio per "comunicazione").

Con l'entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia (art. 1 l. n. 151/1975) il domicilio legale della moglie è venuto meno: ciascun coniuge ha, infatti, il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari ed interessi. Anche la Corte Costituzionale, dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina e relativamente, quindi, ai soli rapporti pregressi, ha ammesso la sussistenza di domicili diversi per i coniugi separati di fatto (Corte cost. 14 giugno 1976, n. 171). La separazione, tuttavia, compresa quella di fatto ed il divorzio non determinano l'automatico mutamento del domicilio, potendo i coniugi conservarlo nello stesso luogo ove in precedenza convivevano.

L'ammissione di domicili distinti non significa, tuttavia, che i coniugi non abbiano un luogo comune di convergenza di interessi: l'istituto della residenza familiare ha in un certo senso preso il posto del domicilio legale, rilevando come punto di riferimento per l'istituto dell'allontanamento ingiustificato e quale luogo per le notificazioni degli atti inerenti gli affari della famiglia ed i beni della comunione.

La coppia, al di là del dato anagrafico, ha una residenza comune, intesa nel senso corrente, come la casa di abitazione: la relativa scelta deve essere concordata fra i coniugi, tenendo conto delle esigenze di entrambi e di quelle superiori della famiglia, come prevede l'art. 144 c.c.. La previsione trova il suo corrispondente nel comma 12 dell'art. 1 l. n. 76/2016, quanto al regime delle unioni civili.

L'illegittimità costituzionale dell'art. 45 (nel testo anteriore alla sostituzione operata dall'art. 1, l. 19 maggio 1975, n. 151), dichiarata dalla Corte Cost. 14 luglio 1976, n. 171, non comporta che la moglie trasferisca il proprio domicilio come mera conseguenza della separazione di fatto, occorrendo di volta in volta accertare, in base alle risultanze concrete, se essa abbia in effetti trasferito altrove il proprio centro di interessi, ovvero l'abbia mantenuto, nonostante la separazione, nello stesso luogo (Cass. civ. 27 ottobre 1978, n. 4898).

In materia tributaria, la non convivenza del contribuente con il coniuge residente in Italia, attestata dalla produzione in giudizio dello stato di famiglia, non prova l'insussistenza di legami affettivi e familiari con l'Italia, atteso che ex art. 45, comma 1 c.c., il domicilio di ciascuno dei coniugi può essere diverso (CTP Perugia 23 novembre 2000, n. 628).

Oltre alla possibilità di avere un domicilio diverso da quello del marito, la moglie ha una residenza diversa da quella della famiglia quando sia separata di fatto o legalmente, o quando il matrimonio sia stato annullato o sciolto (Cass. civ. 14 aprile 1982, n. 2223). La giurisprudenza ha ritenuto che la moglie separata di fatto dal marito, pur conservando il domicilio legale (art. 45), ha la titolarità - rispetto alla nuova abitazione nella quale da sola e in conseguenza dell'abbandono della casa coniugale si è trasferita - del diritto di esclusione anche nei confronti del marito (App. Milano 3 maggio 2006).

Al fine dell'individuazione del tribunale territorialmente competente sull'istanza di separazione, alla stregua del luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda, il luogo medesimo va identificato con la casa coniugale che segna presuntivamente la residenza della famiglia e quindi la dimora abituale dei suoi componenti, quando difetti la prova del verificarsi di frattura del rapporto di convivenza prima dell'indicato momento, con lo spostamento, da parte del convenuto, della propria dimora in altro luogo, nel qual caso la competenza territoriale spetta al giudice di questo luogo (così Cass. civ. n. 6012/2010; Cass. civ. n. 729/2001; Cass. civ. n. 4492/1999).

L'introduzione della figura della residenza familiare ha comportato importanti modifiche anche in tema di domicilio del minore. Questi ha il suo domicilio nel luogo in cui risiede la famiglia o ha il domicilio il tutore, in via principale, ovvero, in subordine, se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, là dove ha il domicilio il genitore con cui il minore convive.

Nel caso di minore che abbia lo stato di figlio nato al di fuori del matrimonio, se i genitori coabitano vale la regola della residenza familiare; se uno solo dei genitori convive con il figlio ne è pure domiciliatario; se, infine, il riconoscimento è unilaterale, il domicilio sarà presso il genitore che lo ha posto in essere.

Ove il minore sia legittimato per provvedimento del giudice, se la legittimazione è unilaterale, tutti i rapporti del minore si risolvono in quelli con il genitore legittimante; se la legittimazione è bilaterale, qualora i genitori non coabitino, si utilizzerà il criterio della convivenza.

Il domicilio del minore cessa col compimento della maggiore età (a meno che non sia stata dichiarata l'interdizione ex art. 416 c.c.) o con l'emancipazione.

La residenza del minore, che radica la competenza per territorio del giudice chiamato ad occuparsene, coincide con quella della sua famiglia, se unita, o del genitore che con il minore convive negli altri casi, e va intesa non come il luogo dove il minore stesso permane ricevendovi cure materiali, bensì come il luogo di vero e proprio domicilio ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 43,comma 1, vale a dire il luogo dove il minore custodisce e coltiva i suoi più radicati e rilevanti legami affettivi ed i suoi reali interessi.

Il trasferimento del minore deciso in via unilaterale e senza adeguata giustificazione da uno dei genitori, che abbia a rescindere i legami del minore medesimo con i luoghi e le persone della sua abituale residenza (c.d. residenza affettiva), allontanandolo anche dall'altro genitore, non fa venir meno la competenza territoriale del giudice di quest'ultima ad emettere i provvedimenti diretti alla tutela dell'interesse minorile (Trib. min. Roma 16 novembre 1992).

Il trasferimento all'estero della residenza del minore deciso da un solo genitore in contrasto con l'altro comporta la modifica delle condizioni di divorzio da parte del giudice (Trib. Modena 5 giugno 2009).

In caso di trasferimento della residenza del minore attuato da uno solo dei genitori coaffidatari, nonostante il dissenso dell'altro, la competenza territoriale inderogabile spetta al tribunale del luogo della pregressa residenza del minore, per il ricorso per la modifica delle condizioni della separazione personale (Trib. Rimini, 25 gennaio 2010).

L'interdetto ha il domicilio del tutore. In questo caso non viene in considerazione l'esistenza del presupposto materiale, centro degli affari e interessi, imputabile all'incapace, perché alla valutazione della realtà si sovrappone la rilevanza della relazione giuridica di tutela. Il domicilio dell'interdetto viene meno con la revoca dell'interdizione.

Il giudice competente per l'apertura della tutela, in caso di interdizione legale va individuato, ai sensi degli artt. 662 c.p.p. e 343 c.c., con riferimento al domicilio del condannato, da presumersi, ex art. 44 c.c., coincidente con la sua residenza anagrafica (Cass. civ., ord., 12 novembre 2005, n. 23107), senza che assuma rilevanza il fatto che, a seguito della sopravvenuta irreperibilità dell'interdetto, sia pendente la procedura di cancellazione dai registri anagrafici, posto che l'interdizione legale non è caducata dalla latitanza ovvero dall'irreperibilità del condannato (Cass. civ., ord., 11 aprile 2013, n. 8875).

Quanto al domicilio dell'inabilitato, competente a soprintendere alla sua curatela dell'inabilitato è il giudice tutelare del luogo di residenza di quest'ultimo e non il giudice tutelare del luogo di residenza del curatore (Cass. civ. n. 2016/2004).

In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, nel caso di collocamento del beneficiario in casa di cura, ove non ricorra prova della natura non transitoria del ricovero e della volontà dello stesso di ricollocare ivi il centro dei propri interessi e delle proprie relazioni personali, la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata si presume abbia ancora la propria abituale dimora (Cass. civ. 18 novembre 2016, n. 23571).

Il domicilio dello straniero

Il cittadino straniero, sebbene residente all'estero, può avere domicilio in Italia (Cass. civ. n. 3438/1976).

Ai sensi dell'art. 3, comma 1, l. 31 maggio 1995, n. 218, assume rilevanza, quale criterio generale di radicamento della competenza giurisdizionale del giudice italiano, il dato obiettivo del domicilio o della residenza del convenuto in Italia, dovendosi intendere la nozione di domicilio come il luogo nel quale il convenuto ha la sede dei suoi affari ed interessi, e dovendo presumersi che il soggetto stabilisca la sede principale dei suoi affari ed interessi nel medesimo luogo in cui abitualmente dimora (Cass., S.U., 29 novembre 2006, n. 25275).

Casistica

Scelta del luogo ove fissare la dimora

Rientra nell'esercizio di una libertà costituzionalmente garantita dall'art. 16 Cost.; ne deriva che tale libertà può essere limitata esclusivamente quando sia la legge a prevederlo (con la riforma della disciplina delle procedure concorsuali è venuto meno l'obbligo di residenza del fallito, già previsto dall'art. 49, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, norma dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte cost. 20 febbraio 1969, n. 24).

Controversie di lavoro parasubordinato

La disposizione dell'art. 413, comma 4, c.p.c., fa riferimento al domicilio ex art. 43 c.c., quale sede principale degli affari ed interessi, che si presume coincidente con la residenza, non potendosi ritenere, di norma, che il domicilio si trovi nel luogo cui la persona si rapporta nei limiti della prestazione lavorativa, anche se resa con funzioni di massima responsabilità (Cass. civ. 13 gennaio 2012, n. 403).

Ai fini tributari

In tema di imposte sui redditi, in base al combinato disposto dell'art. 45, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (post riforma) e dell'art. 43, la residenza fiscale del contribuente in Italia può essere desunta anche dall'accertato domicilio nel Paese, individuato analizzando tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, provino la presenza del suo centro di interessi nel territorio dello Stato (CTR Lazio, 21 gennaio 2014, n. 207)

Lesione del diritto alla reputazione realizzata via internet

È territorialmente competente a decidere il giudice del luogo di verificazione dei danni conseguenti all'evento diffamatorio, che coincide con il luogo in cui il soggetto offeso ha il proprio domicilio atteso che, essendo il domicilio la sede principale degli affari e degli interessi, esso rappresenta il luogo in cui si realizzano le ricadute negative dell'offesa alla reputazione (Cass. 8 maggio 2002, n. 6591).

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