Tortura. Reato abituale o permanente?

Cristina Ingrao
25 Ottobre 2017

Se per mezzo di condotta non di necessità abituale bensì permanente (per es., chiudendo per giorni un ristretto in luoghi fatiscenti, tenendolo in condizioni umilianti), cagiono gli esiti di cui al 613-bis c.p., integro o no il delitto di tortura? Ai fini della risoluzione del quesito in esame è bene preliminarmente chiarire che attraverso la legge 110/2017 è stato introdotto nel nostro ordinamento il reato di tortura all'art. 613-bis c.p.

Se per mezzo di condotta non di necessità abituale bensì permanente (per es., chiudendo per giorni un ristretto in luoghi fatiscenti, tenendolo in condizioni umilianti), cagiono gli esiti di cui al 613-bis c.p., integro o no il delitto di tortura?

Ai fini della risoluzione del quesito in esame è bene preliminarmente chiarire che attraverso la legge 110/2017 è stato introdotto nel nostro ordinamento il reato di tortura all'art. 613-bis c.p.

Il primo comma della disposizione, in particolare, punisce con la reclusione da quattro a dieci anni «chiunque, con violenze e minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, o che comunque si trovi in condizioni di minorata difesa» ma solo se il fatto è commesso con più condotte o se lo stesso può definirsi trattamento inumano e degradante.

Il secondo comma è dedicato a talune ipotesi aggravate e dispone che: «se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni»; il terzo comma contiene una deroga applicativa al secondo, nel senso che lo stesso «non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti».

Altre aggravanti sono previste nei commi successivi.

Una volta enunciata la norma di riferimento, occorre ora passare al quesito sottoposto alla nostra attenzione. Esso attiene alla condotta del reato, e, pertanto, al suo elemento oggettivo.

Dal punto di vista dell'elemento oggettivo, ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 613-bis c.p. è necessario che l'agente ponga in essere violenze o minacce gravi, ovvero che agisca con crudeltà. Tali azioni sono valide ad integrare il reato di tortura solo se il fatto è commesso mediante più condotte o se può essere definito trattamento inumano e degradante.

Stando così le cose, l'utilizzo dei termini al plurale violenze o minacce non rende punibile il singolo atto di violenza o minaccia, anche se idoneo a cagionare uno degli eventi descritti dalla fattispecie. In questo modo, il Legislatore, probabilmente alla ricerca di una soluzione di compromesso, ha certamente snaturato il reato, inserendo quale requisito modale espresso la reiterazione delle condotte, rendendo il delitto oggetto di analisi un reato abituale.

Il reato abituale si distingue dal reato permanente, tuttavia, ciò non esclude che le condotte richieste perché si abbia il primo possano essere poste in essere in modo permanente.

In particolare, il reato abituale è quello che risulta dalla reiterazione nel tempo di più condotte omogenee. La sua ratio va ravvisata nell'esigenza di evitare gli eccessi sanzionatori derivanti dal cumulo delle pene previste per il concorso di reati, in mancanza di un disvalore sufficiente a giustificare la punizione della normale e statisticamente frequente reiterazione di talune tipologie di reato: si tratta, pertanto, di un'unificazione quod poenam.

Il reato permanente, invece, è quello in cui il fatto che costituisce reato non si esaurisce unico actu ed uno tempore ma si protrae nel tempo, finché perdura la situazione antigiuridica dovuta alla condotta volontaria del reo e questi non la fa cessare (così, Cass.pen., Sez. unite, 13 luglio 1998, n. 11021). Per reato permanente si intende, quindi, quella particolare tipologia di reato per la cui esistenza la legge richiede che l'offesa al bene giuridico si protragga nel tempo per una durata che è legata alla persistente condotta volontaria del soggetto agente. Esempi ne sono il sequestro di persona o l'associazione per delinquere.

In altri termini, vi è reato permanente se il fatto tipicizzato è una condotta che per sua stessa natura non può esaurirsi in un solo momento.

Da quanto esposto emerge che la permanenza è una qualificazione più grave dell'abitualità.

Alla luce di ciò, per come è descritta la condotta del reato di tortura, sebbene la stessa configuri un reato abituale, perché, come chiarito, la disposizione fa riferimento a più violenze o minacce, che determinano quale conseguenza la non punibilità del singolo atto di violenza o minaccia, anche se idoneo a cagionare uno degli eventi descritti dalla fattispecie, ciò non esclude che quando ci si trovi di fronte, ad esempio, alla privazione della libertà personale della vittima, protratta per un certo periodo di tempo, ed alla reiterazione nel tempo di violenze, minacce o di azioni poste in essere con crudeltà, il reato di tortura si configuri, proprio come reato permanente.

La norma in esame, infatti, è stata elaborata dal legislatore in modo da evitare che, ai fini della sussistenza del reato in esame, fosse sempre necessaria una condotta permanente, più grave, ritenendo sufficiente la sola condotta abituale; ma ciò non esclude che, in caso di sussistenza di una condotta permanente, si abbia comunque il delitto di cui all'art. 613-bis c.p.

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