Codice di Procedura Penale art. 696 ter - Tutela dei diritti fondamentali della persona nel mutuo riconoscimento 1Tutela dei diritti fondamentali della persona nel mutuo riconoscimento 1 1. L'autorità giudiziaria provvede al riconoscimento e all'esecuzione se non sussistono fondate ragioni per ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti che configurano una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. [1] Articolo inserito dall'art. 3, comma 1, lettera a), del d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149. InquadramentoIn base all'art. 696-ter che concerne la “Tutela dei diritti fondamentali della persona nel mutuo riconoscimento” l'autorità giudiziaria potrà provvedere al riconoscimento e all'esecuzione se non sussistono fondate ragioni per ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti che configurano una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In questo modo assumono rilevanza non solo i principi tratti dalla direttiva 2014/41/UE del 3 marzo 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale, che per la prima volta tra gli strumenti normativi ha introdotto tra i motivi di non riconoscimento la violazione dei diritti fondamentali, ma anche i motivi di non riconoscimento legati al mancato rispetto a livello “interno” dei diritti fondamentali, seppur non formalmente richiamato nei testi che hanno recepito a livello interno la normativa europea tramite il richiamo all’art. 6 del TUE e alla CDFUE (lett. f). Si veda il richiamo all’art. 4 par. 2 TUE della Corte costituzionale, all’interno dell’ord. Corte cost. n. 24/2017, relativa alla vicenda “Taricco”. La giurisprudenza della Corte di giustiziaLa Corte di giustizia ha affrontato il tema dei diritti fondamentali in materia di cooperazione penale. Investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto l’esecuzione in Romania di quattro mandati di arresto europei emessi dalle autorità tedesche, ha affermato il principio di diritto secondo il quale: “La decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretata nel senso che le autorità giudiziarie di esecuzione non possono rifiutare l’esecuzione di un MAE emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale a motivo del fatto che la persona non è stata sentita nello stato emittente prima dell’emissione di tale mandato di arresto”. La Corte ha ritenuto che, pur essendo il diritto del ricercato a essere sentito sancito dall’art. 6 della CEDU e dagli artt. 47 e 48 della Carta di Nizza, ha richiamato gli obiettivi della decisione quadro 2002/584, sottolineando come la stessa, istituendo un sistema alternativo all’estradizione, persegua, anche, il fine della semplificazione delle procedure di consegna e la facilitazione della cooperazione giudiziaria nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, costruito sulla base della fiducia fra Stati membri e del reciproco riconoscimento delle decisioni. Una decisione contraria renderebbe completamente inefficace l’intero impianto del sistema della consegna (CGUE, Grande sezione, 29 gennaio 2013, causa C-396/11, Radu). Nel caso Melloni alla Corte di giustizia era stato richiesto di giudicare la legittimità di disposizioni contenute nelle leggi fondamentali degli Stati membri che tutelino maggiormente i diritti fondamentali dell’individuo rispetto a quanto statuito dal diritto dell’UE, ma che al contempo siano in contrasto con lo stesso. La Corte ha risposto innanzitutto che il fine dell’articolo 4 bis è quello di facilitare la cooperazione giudiziaria in materia penale, migliorando il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri attraverso un’armonizzazione dei motivi di non riconoscimento delle decisioni pronunciate al termine di un processo celebrato in contumacia. Le misure contenute in tali disposizioni sono state stabilite per eseguire comunque la decisione, pur rispettando le esigenze di difesa; da ciò deriva l’impossibilità che l’autorità che deve consegnare il soggetto possa subordinare tale consegna alla celebrazione della revisione del processo avvenuto in absentia. In particolare l’interpretazione dell’art. 6 Cedu, § 1 e § 3 che deve ritenersi parte integrante degli artt. 47 e 48 della Carta avendo tali articoli la medesima portata della disposizione convenzionale ed essendo ciò espressamente disposto dal preambolo della Carta stessa, esplicitamente porta ad escludere che non sussista violazione del diritto ad un equo processo nei casi in cui il soggetto sia stato informato relativamente alla data ed al luogo di celebrazione del processo ovvero sia stato assistito da un difensore nominato di fiducia. La previsione di cui all’art. 4-bis, con l’impossibilità di subordinare l’estradizione della persona richiesta, all’esecuzione di un nuovo processo, tra l’altro, qualora questi abbia scelto di farsi rappresentare da un difensore da lui nominato, non può ritenersi contrastante con le disposizioni di cui agli artt. 47 e 48 della Carta. In caso contrario, sarebbe stato leso il principio del primato del diritto dell’Unione, qualora fosse concessa la possibilità ad uno Stato di subordinare l’estradizione al rispetto di diritti fondamentali previsti in maniera differente ancorché maggiormente favorevoli all’interessato, dalle Costituzioni nazionali (CGUE, Grande sezione, 26 febbraio 2013, causa C-399/11, Melloni). Un mutamento parziale di prospettiva può rinvenirsi nella sentenza della Corte di Giustizia europea nelle cause riunite C-404/15 e C-659/15 Aranyosi e Caldararu, in cui è stato affermato che l’esecuzione di un MAE deve essere rinviata se sussiste un rischio concreto di trattamento inumano o degradante a causa delle condizioni di detenzione dell’interessato nello Stato membro di emissione del mandato. Se l’esistenza di tale rischio non può essere esclusa entro un termine ragionevole, l’autorità incaricata di eseguire il mandato deve decidere se porre fine alla procedura di consegna (CGUE, Gr. Cam., 5 aprile 2016, Aranyosi e Calderaru, cause riunite C-404/15 e C-659/15). v. Troglia, 2013. BibliografiaDe Amicis, in Cooperazione giudiziaria penale, a cura di Marandola, 26 ss.; Troglia, Mandato d'arresto europeo e diritto ad essere sentiti nella sentenza della CGUE Radu, in Questione giustizia on line 22 marzo 2013. |