Codice Civile art. 2043 - Risarcimento per fatto illecito.Risarcimento per fatto illecito. [I]. Qualunque fatto doloso o colposo [1176], che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [7, 10, 129-bis, 840, 844, 872 2, 935 2, 939 3, 948, 949, 1440, 1494 2, 2395, 2504-quater, 2600, 2818, 2947; 185 2, 198 c.p.; 22 ss. c.p.p.; 55, 60, 64 2, 96, 278 c.p.c.] 12.
[1] In tema di responsabilità per danno da prodotto difettoso v. art. 114 d.lg. 6 settembre 2005, n. 206; in tema di danno ambientale v. art. 300 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152; in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile v. gli artt. 170-172 d.lg. 7 settembre 2005, n. 209. [2] Per la responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, v. art. 7 l. 8 marzo 2017, n. 24. InquadramentoNell'ordinamento giuridico italiano la figura del notaio ha caratteristiche ibride, rivestendo, per un verso, la qualifica di pubblico ufficiale e, per altro verso, la veste di libero professionista che conclude con il cliente un contratto di prestazione d'opera intellettuale (professionale), ex artt. 2230 e ss. c.c. Ciò è evidenziato anche dalla giurisprudenza di legittimità, solo esemplificativamente, in materia di scioglimento delle divisioni, di vantaggi fiscali, di rapporti tra notaio e coadiutore oltre che tra notai. La descritta natura dell'attività del notaio si riverbera quindi in merito alla natura della sua eventuale responsabilità, non definita a priori della l. 16 febbraio 1913, n. 89. La giurisprudenza tende però ad attribuirle natura contrattuale nei confronti non solo del cliente (cioè del conferente il relativo incarico di prestazione d'opera intellettuale di tipo professionale) ma anche degli altri partecipanti all'atto, talvolta in applicazione della disciplina del contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.) e talaltra rifacendosi alla teoria del c.d. «contatto sociale qualificato» (ex plurimis, Cass. II, n. 9320/2016). Dalla natura contrattuale del rapporto con il professionista (da contratto o da «contatto sociale qualificato») ne discende la natura altrettanto contrattuale della relativa responsabilità, con riferimento all'inadempimento delle nascenti obbligazioni che, normalmente, sono di mezzi e non di risultato. Ne consegue che, per valutare l'adempimento da parte del professionista, necessita muovere dal criterio della diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176 comma 2 c.c. che, in quanto rapportata alla natura dell'attività esercitata, è quella del professionista di preparazione tecnica e di attenzione medie con particolare riferimento alla specifica attività espletata (ex plurimis, Cass. III, n. 16990/2015). Il parametro della diligenza qualificata comporta la necessaria considerazione, da parte del professionista, non solo dello scopo tipico dell'atto da compiere ma anche di quello pratico perseguito dalle parti, implicando anche obblighi di verifica, informazione e dissuasione oltre che di consiglio e di consulenza tecnica (anche fiscale). La Suprema Corte chiarisce il criterio per la valutazione della diligenza qualificata del professionista, ex artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c., ritenendola speciale, rafforzata e di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta. Essa Precisa altresì che l'art. 2236 c.c., che opera solo con riferimento al parametro della perizia, non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza (ex plurimis, Cass. III, n. 16990/2015). Il parametro della diligenza qualificata è di recente applicato in sede di legittimità in uno con il principio di precauzione, a salvaguardia degli interessi del cliente, in materia di fondo patrimoniale oltre che in materia di attribuzione di rendita catastale e condotta del notaio incidente sugli obblighi impositivi gravanti sul cliente. L'orientamento, formatosi sotto la previgente codificazione, per il quale si riteneva non gravante in capo al notaio, rogante un atto di compravendita immobiliare, l'obbligo di effettuare le preliminari visure catastali ed ipotecarie, salvo espresso e specifico incarico conferitogli, è ormai definitivamente superato, perlomeno a partire degli anni sessanta del secolo scorso. Diverse sono tra loro però le argomentazioni poste alla base di tale revirement, comunque tutte variamente riconducenti la relativa responsabilità nell'area contrattuale. Di recente emersione è altresì quell'orientamento che colloca il detto «dovere» al di fuori dalla prestazione professionale (quindi dal parametro della diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma 2, c.c.), riconducendolo invece nell'ambito della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., con conseguenze di natura sostanziale (Cass. II, n. 9320/2016). Attività del notaio: natura e responsabilitàNell'ordinamento giuridico italiano la figura del notaio ha caratteristiche ibride, rivestendo, per un verso, la qualifica di pubblico ufficiale (come tale definito espressamente dall'art. 1 della l. n. 89 del 1913, c.d. legge notarile), previa investitura ministeriale a seguito della vincita di concorso pubblico, essendo la sua attività finalizzata ad assicurare stabilità e certezza alle parti ma anche allo Stato ed al sistema economico generale (art. 49 della citata l. n. 89/1913). Per altro verso, egli assume la veste di libero professionista come emerge dall'autonoma organizzazione del proprio studio, pur nel rispetto delle disposizioni del codice deontologico, dai rapporti con il cliente, con il quale conclude un contratto di prestazione d'opera intellettuale (professionale), ex artt. 2230 e ss. c.c., nonché dalla tipologia dei compensi fissati dalla tariffa professionale. La figura del notaio negli ordinamenti di civil law ha lo scopo di fornire assistenza e consulenza alle parti nei contratti ed in generale con riferimento agli atti che hanno un maggiore impegno economico e una maggiore importanza sociale, tra i quali l'acquisto di una casa, e di dare certezza all'atto ed ai suoi effetti. Nel Paesi di common law tale certezza può essere conseguita solo con una costosissima copertura assicurativa, in quanto i relativi sistema giuridico non sono strutturati per garantire altrimenti la detta certezza. Per tali motivi al sistema di diritto civile sembra che si stiano uniformando altri Paesi, in taluni dei quali solo di recente sono state consentite le transazioni private ed in particolare quelle con oggetto il diritto di proprietà. La natura ibrida della figura del notaio è evidenziata anche dalla giurisprudenza di legittimità, solo esemplificativamente, in materia di scioglimento delle divisioni, di vantaggi fiscali, di rapporti tra notaio e coadiutore oltre che tra notai. Essa chiarisce difatti che il professionista intellettuale, tra i quali anche il notaio delegato allo scioglimento delle divisioni, non esaurisce la sua attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (artt. 2227 e ss. c.c.) relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, continuando a restare un professionista privato anche quando nell'ambito di tale attività espleti un incarico giudiziario, in relazione al quale eserciti pubblici poteri (Cass. III, n. 15030/2005, con riferimento non solo al notaio ma anche al commercialista svolgente la funzione di curatore fallimentare, nello stesso senso, circa l'attività espletata dal commercialista quale curatore fallimentare, si veda, più di recente, Cass. III, n. 12872/2015). Circa la natura dell'attività del notaio è il caso di evidenziare che, pur non essendo egli un consulente fiscale delle parti, è pur tuttavia obbligato a non ignorare la relativa normativa, rientrando ciò nei suoi normali doveri di diligenza professionale. Sicché, la prestazione concernente l'impostazione di un atto in modo da far conseguire alle parti un vantaggio fiscale, pur trovando occasione nella stesura dell'atto stesso, deve comunque ritenersi strettamente connessa con l'esercizio della funzione pubblica notarile e, pertanto, inidonea a legittimare, ex art. 2233 c.c. (ed art. 34 d.m. 30 novembre 1980), un autonomo e separato compenso rispetto a quello già ricevuto per la propria prestazione professionale, non potendosi ritenere esorbitante dal fine di assicurarne gli effetti dell'atto e tesa a perseguirne uno ulteriore e diverso (Cass. II, n. 541/2002, più di recente, Cass. III, n. 15963/2001). Il rapporto che si instaura fra il notaio coadiuvato ed il suo coadiutore si configura invece come un mandato con rappresentanza, ancorché sui generis per la sua peculiare connotazione pubblicistica. Il coadiutore, difatti, su proposta del notaio assente o impedito, è dalla P.A. nominato ad esercitare temporaneamente le funzioni notarili nello studio del coadiuvato nonché nel nome e nell'interesse del medesimo, con il quale pattuisce liberamente il compenso spettantegli. Ne consegue che a carico del notaio coadiuvato, al quale competono gli onorari per le attività professionali eseguite in suo nome e nel suo interesse, è configurabile sia (ex artt. 1704 e 1388 c.c.) la responsabilità verso i soggetti richiedenti la prestazione notarile, per la negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza di norme in cui sia incorso il coadiutore. È altresì configurabile (ex art 2049 c.c.) responsabilità nei confronti dei terzi danneggiati dal comportamento illegittimo del coadiutore medesimo nell'esercizio delle funzioni conferitegli. Una risalente giurisprudenza ne fa conseguire che la prima delle dette responsabilità ha natura contrattuale, giacché il rapporto di prestazione d'opera professionale deve intendersi costituito tra i richiedenti la prestazione e il notaio titolare dello studio, rappresentato dal coadiutore. La seconda responsabilità sarebbe invece di natura extracontrattuale, ricollegandosi a culpa in eligendo, oltre che in vigilando ove il coadiuvato si sia avvalso ex art. 45 l. n. 89/1913 della facoltà di assistere il coadiutore, nonché al principio cuius commoda eius incommoda (ex plurimis, Cass. III, n. 3433/1981). Fa invece esplicito richiamo alla responsabilità per fatto degli ausiliari Cass. II, n. 11284/1998, ritenendo il professionista obbligato ad eseguire personalmente l'incarico assunto, con la specifica diligenza e perizia dovute per la professione che esercita ed avuto riguardo al raggiungimento del risultato pratico perseguito dal cliente, essendo per tale motivo responsabile, ai sensi dell'art. 1228 c.c., per il fatto non solo degli ausiliari ma anche dei sostituti dei quali si avvale. Nella specie, essendo stato il notaio incaricato del trasferimento di un immobile situato nelle province italiane appartenute all'Impero Austro-Ungarico, ove, ai sensi dell'art. 2 del r.d. 28 marzo 1929, n. 499, per l'acquisto dei diritti reali è necessaria l'intavolazione, è stato ritenuto il difetto di diligenza professionale ed imperizia per inosservanza di regole tecniche nel non aver seguito personalmente e sollecitamente l'esecuzione della relativa procedura. Ciò indipendentemente dalla solerzia di un collega richiesto di collaborare, con conseguente responsabilità esclusiva del notaio nei confronti del cliente danneggiato dal non compimento dell'incarico. La Suprema Corte riconduce sempre all'art. 1228 c.c. la responsabilità del notaio per attività dei sostituti e degli ausiliari argomentando però dallo schema del mandato. Per essa, difatti, il rapporto professionale che intercorre tra notaio e cliente si inquadra nello schema del mandato in virtù del quale il professionista è tenuto ad eseguire personalmente l'incarico assunto ed è pertanto responsabile, ex art. 1228 c.c., dei sostituti e degli ausiliari di cui si avvale, dei quali deve seguire personalmente lo svolgimento dell'opera, con conseguente sua responsabilità esclusiva nei confronti del cliente danneggiato (si vedano Cass. III, 15761/2018 che riprende sul punto la precedente Cass. III, n. 20825/2009). Il notaio, peraltro, per non incorrere in sanzioni disciplinari, deve svolgere personalmente tutte le funzioni attribuitegli dall'ordinamento nel ricevimento degli atti, con specifico riguardo all'individuazione della volontà delle parti, incluse le attività preparatorie e le successive, non potendo delegare per intero ai collaboratori tali attività sulla base del loro carattere «routinario» o «seriale» (Cass. II, n. 8036/2014). In tema di responsabilità del notaio nei confronti di altro notaio, invece, Cass. III, n. 28419/2008, chiarisce che nei comuni ove è prevista una sola sede notarile il titolare di quest'ultima ha diritto di essere risarcito del danno causatogli dai colleghi che vi esercitino un'attività continuativa e stabilizzata ovvero non meramente accessoria sotto il profilo funzionale ed economico. La liquidazione, fermo restando che non è configurabile danno in re ipsa, dovrà tenere conto del fatto di comune esperienza secondo cui la presenza di un altro notaio nel comune monosede incide negativamente sull'attività del titolare e potrà essere equitativamente determinata ai sensi dell'art. 1226 c.c., assumendo a base della liquidazione equitativa il volume d'affari del notaio titolare e di quello concorrente (Cass. III, n. 28419/2008). Trattasi, per Cass. III, n. 14629/2000, di responsabilità aquiliana, in quanto determinata da condotta lesiva di interesse considerato meritevole di tutela dall'ordinamento giuridico. La descritta natura dell'attività del notaio si riverbera quindi in merito alla natura della sua eventuale responsabilità. Essa non è definita a priori della citata legge notarile (l. n. 89 del 1913), che all'art. 76, peraltro nel trattare degli onorari e dei diritti notarili, si limita a prevedere che in caso di nullità degli atti per causa imputabile al notaio, oltre al risarcimento dei danni a norma di legge, il professionista deve rimborsare alle parti le somme ricevute. Come esplicitato nei paragrafi successivi, la giurisprudenza tende ad attribuire natura contrattuale alla responsabilità del notaio nei confronti non solo del proprio cliente (cioè del conferente il relativo incarico di prestazione d'opera intellettuale di tipo professionale) ma anche nei confronti degli altri partecipanti all'atto, talvolta in applicazione della disciplina del contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.) e talaltra rifacendosi alla teoria del c.d. «contatto sociale qualificato». Qualora il notaio non adempia correttamente la propria prestazione, compresa quella attinente alle attività preparatorie (tra le quali il compimento delle visure catastali ed ipotecarie) la sua responsabilità, contrattuale, sussiste difatti nei confronti di tutte le parti dell'atto rogato, se da tale comportamento abbiano subito danni e purché non lo abbiano esonerato dal compimento di tali attività (si vedano, ex plurimis: Cass. III, n. 15761/2018; Cass. III, n. 12482/2017, e Cass. III, n. 14865/2013). In dottrina si coglie la natura ibrida dell'attività del professionista in esame evidenziando che il notaio sarebbe pubblico ufficiale non quoad effectum bensì quoad officium, intervenendo nell'atto non super partes ma extra partes (Giacobbe, 1977, 920). In passato la dottrina prevalente propendeva per la natura contrattuale della responsabilità del notaio nei soli confronti delle parti richiedenti l'atto. Solo in via eccezionale si riteneva ipotizzabile la detta responsabilità anche nei confronti di terzi beneficiari degli effetti dell'atto, comunque sempre di natura contrattuale e per inadempimento di un'obbligazione ex lege, con conseguente inconfigurabilità di un danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e, quindi, di responsabilità extracontrattuale. All'orientamento di cui innanzi si opponeva in passato quello per il quale l'attività del notaio avrebbe potuto essere solo di tipo aquiliano, in quanto fonte di obblighi e non di obbligazioni (per il primo orientamento, si veda, De Cupis, 1, 7; per il secondo orientamento, si veda, Scarpello, 1, 83). Per converso altri autori, più di recente, ritengono configurabile responsabilità del notaio per inadempimento (art. 1218 c.c.), nei confronti dei richiedenti la sua attività professionale, ed aquiliana (art. 2043 c.c.), nei confronti dei terzi comunque investiti degli effetti dell'atto (Alpa, 992; si veda, diffusamente, anche Angeloni, 1990; per la ricostruzione degli evidenziati orientamenti della dottrina in merito alla natura della responsabilità del notaio, si veda Salvetti; per la natura della funzione del notaio – tra pubblica e privata –, con particolare riferimento anche ai tentativi di assimilazione tra professionisti ed impresa ed alle ricadute in termini di responsabilità civile, oltre che per i profili di confine della responsabilità in esame tra contrattuale ed aquiliana ed in merito a quella del coadiutore si veda, per tutti, Celeste, 286, 349, 371, 379, 499). Natura e contenuto della prestazione: erosione della distinzione tra obbligazione di mezzi e quelle di risultatoDalla natura contrattuale del rapporto con il professionista (da contratto o da «contatto sociale qualificato») ne discende la natura altrettanto contrattuale della relativa responsabilità, con riferimento all'inadempimento delle nascenti obbligazioni che, normalmente, sono di mezzi e non di risultato. Il professionista, assumendo l'incarico, si impegna ad espletare la sua attività ponendo in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie a consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito ma non il conseguimento effettivo di tale risultato. Nelle obbligazioni di mezzi, difatti, la prestazione dovuta prescinde da un particolare esito positivo dell'attività del debitore, il quale, quindi, adempie esattamente ove svolga l'attività richiesta nel modo dovuto (nel caso di prestazioni professionali, non solo prudente e diligente ma anche perita). In tali ipotesi è lo stesso comportamento del debitore ad essere in obbligazione, sicché la diligenza (nella specie, anche la perizia) è tendenzialmente considerata quale criterio determinativo del contenuto del vincolo. Ne consegue altresì che il risultato è caratterizzato dalla aleatorietà in quanto dipendente dal comportamento del debitore ma anche da altri fattori esterni, oggettivi o soggettivi (ex plurimis, proprio con riferimento a responsabilità professionale: Cass. III, n. 8826/2007, ancorché in merito ad attività medica; Cass. S.U., n. 15781/2005, con riferimento alla prestazione d'opera di ingegnere). Per converso, nelle obbligazioni di risultato ciò che rileva è il conseguimento di esso, laddove la diligenza opera quale parametro di valutazione e controllo del comportamento del debitore, sicché è il risultato al quale mira il creditore ad essere dedotto in obbligazione e non il comportamento del debitore (ex plurimis, Cass. S.U., n. 15781/2005, cit.). Con particolare riferimento alle prestazioni d'opera intellettuale e, quindi, anche a quelle professionali, occorre però tenere conto, come precisa la citata Cass. S.U., n. 15781/2005 (ancorché in tema di responsabilità professionale dell'ingegnere), della frequente commistione delle diverse obbligazioni in capo al professionista (in ipotesi anche in capo a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale), le quali possono caratterizzarsi in termini di obbligazioni di mezzi, talune, e di risultato, altre. Questa considerazione, in aggiunta ad argomentazioni dottrinali contrarie alla detta distinzione, conduce anche la giurisprudenza ad una rivisitazione della struttura del rapporto obbligatorio con riferimento alle prestazioni d'opera intellettuale ed alla conseguente responsabilità professionale (Cass. S.U., n. 15781/2005, cit.). La distinzione tra le due tipologie di obbligazioni, pur conservando la funzione descrittiva innanzi evidenziata, è difatti superata, in precedenza, quanto meno in tema di riparto dell'onere probatorio, già in forza di un arresto delle Sezioni Unite del 2001, che conferma la centralità del principio della vicinanza della prova, senza distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato (Cass. S.U., 13533/2001). Successivamente il principio di cui innanzi è ulteriormente applicato, proprio con riferimento alle responsabilità professionali, in virtù di un intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2008. Esse difatti chiariscono che l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. di comportamento (o di mezzi) non è qualunque inadempimento bensì solo quello causa (o concausa) efficiente del danno (Cass. S.U., n. 577/2008, in materia di responsabilità medica ed in particolare della struttura sanitaria per danni da emotrasfusioni). L'impostazione tradizionale, fondante sulla distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato non è immune da profili problematici, specialmente se applicata proprio alle ipotesi di prestazione d'opera intellettuale, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenendo conto, altresì, che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni. In realtà, precisa La Suprema Corte, in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile, con la conseguenza che in ciascuna obbligazione assumono rilievo tanto il risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo quanto l'impegno che il debitore deve porre per ottenerlo. Dalla casistica giurisprudenziale emergono spunti interessanti in ordine alla dicotomia tra obbligazione di mezzi e di risultato, spesso utilizzata al fine di risolvere problemi di ordine pratico, quali la distribuzione dell'onere della prova e l'individuazione del contenuto dell'obbligo, ai fini del giudizio di responsabilità. Operandosi non di rado, per ampliare la responsabilità contrattuale del professionista, una sorta di metamorfosi dell'obbligazione di mezzi in quella di risultato, attraverso l'individuazione di doveri di informazione e di avviso, definiti accessori ma integrativi rispetto all'obbligo primario della prestazione, ed ancorati a principi di buona fede, quali obblighi di protezione, indispensabili per il corretto adempimento della prestazione professionale in senso proprio (per un esempio di tale attività giurisprudenziale si veda, per quanto riguarda la responsabilità professionale del medico, Cass. III, n. 9471/2004). Ne consegue che, per valutare l'adempimento da parte del professionista, necessita muovere dal criterio della diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176 comma 2 c.c. che, in quanto rapportata alla natura dell'attività esercitata, è quella del professionista di preparazione tecnica e di attenzione medie con particolare riferimento alla specifica attività espletata (ex plurimis, Cass. III, n. 16990/2015, proprio con particolare riferimento alla responsabilità del notaio). La dottrina tradizionale riconduce quelle professionali nell'abito della categoria delle obbligazioni di mezzi e non di risultato, facendone discendere la natura di responsabilità di tipo soggettivo fondata sulla colpa (D'Amico, 105). Ne consegue la riconducibilità della mancata realizzazione del risultato a causa non imputabile al debitore, sul quale graverebbe il solo onere probatorio di dimostrare la condotta diligente e perita (in quanto adottata in base a cognizioni tecniche inerenti la qualificazione professionale posseduta), in base alla natura dell'attività intellettuale richiesta ed alle relative regole dell'arte (in termini generali, per l'utilità della distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, si veda, diffusamente, Trimarchi). Altra dottrina, che sembra progressivamente informare la giurisprudenza anche in tema di responsabilità professionali, assume invece posizioni critiche sull'utilizzo della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato (al di là della rilevanza dogmatica e classificatoria). Essa, ancorché operante soltanto all'interno della categoria delle obbligazioni di fare (a differenza che in Francia dove rappresenta una summa divisio valida per tutte le obbligazioni), origina contrasti sia in ordine all'oggetto o contenuto dell'obbligazione sia in relazione all'onere della prova e, quindi, in definitiva, allo stesso fondamento della responsabilità del professionista. La distinzione tra le obbligazioni di mezzi e le obbligazioni di risultato non si fonderebbe quindi sulla diversità di oggetto delle obbligazioni, assistendosi ad una scissione tra interesse primario del creditore e risultato dovuto dal debitore, concretizzandosi nel comportamento idoneo al raggiungimento del risultato voluto dal creditore, con l'unica effettiva differenza da individuarsi nella sola diversa identificazione dei temi di prova dell'inadempimento (Mengoni, 185-280; Piraino, 2008, 115; Piraino, 2011, 576). In generale, quindi, anche con riferimento alle prestazioni d'opera intellettuale (professionale) ma non solo, autorevole dottrina, ritenendo che non sussistano obbligazioni con riferimento alle quali il debitore debba assicurare il risultato a prescindere dalla diligenza dallo stesso esigibile, essendo la diligenza regola generale del diritto delle obbligazioni, sostiene che la distinzione tra le due obbligazioni rilevi sull'oggetto del giudizio d'impossibilità della prestazione ex art. 1218 c.c. Nelle obbligazioni di mezzi, in particolare, il debitore sarebbe liberato nel caso di impossibilità della specifica attività dedotta in obbligazione (sempre strumentale al soddisfacimento dell'interesse/risultato creditorio). Per converso, nelle obbligazioni di risultato la liberazione del debitore conseguirebbe alla prova dell'impossibilità della realizzazione della finalità dedotta in obbligazione mediante qualunque condotta strumentale ad essa esigibile dal creditore (Bianca, 1993, 74). Argomentando nei detti termini, l'orientamento da ultimo considerato conclude nel senso che anche nelle obbligazioni nascenti da contratto di prestazione d'opera intellettuale il fine del creditore, dedotto in obbligazione, non si identifica nella mera conformità della condotta del debitore alle regole di diligenza e di perizia del tecnico di media attenzione e preparazione bensì nelle conseguenze positive per il cliente che dovrebbero derivare dall'opera secondo un nesso di derivazione naturale, nel rispetto delle regole dell'arte ed in assenza di fattori imprevedibili ed inevitabili tali da rendere impossibile il conseguimento del risultato (Castronovo, 1998, 117-121, per il quale è necessaria la valorizzazione del criterio della diligenza, quale regola tecnica del professionista medio; Di Majo, 1998, 40, in generale, sulla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato; si veda anche, con riferimento all'origine francese della distinzione, Viney, 628; sempre circa la generale distinzione tra le due tipologie di obbligazioni, si vedano, tra i tanti: De Lorenzi, 397; Mengoni, 185-280, e Sicchiero, 2322, il quale, dopo attenta disamina delle contrapposte tesi dottrinali, anche francesi, circa la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, con particolare riferimento alle attività professionali, propone una ricostruzione alternativa che si fonda sulla diversa distinzione tra obbligazioni governabili ed obbligazioni non governabili; per la responsabilità contrattuale del notaio anche con riferimento agli obblighi di informazione si veda, per tutti, Celeste, 386; per il dialogo dottrinal-giurisprudenziale circa la natura dell'obbligazione del professionista, tra obbligazione di mezzi ed obbligazione di risultato, con particolare riferimento alle conseguenze in tema di riparto dell'onere probatorio ed all'attuale diversità dell'elaborazione giurisprudenziale in merito all'atteggiarsi del detto riparto con riferimento alla responsabilità medica ed a quella dell'avvocato, si veda Scalia-Centofanti, 242). Con particolare riferimento all'attività del notaio il parametro della diligenza qualificata comporta la necessaria considerazione, da parte del professionista, non solo dello scopo tipico dell'atto da compiere ma anche di quello pratico perseguito dalle parti, implicando anche obblighi di verifica, informazione e dissuasione oltre che di consiglio e di consulenza tecnica (anche fiscale). Esplicita il passaggio dalla considerazione dello scopo tipico dell'atto a quello pratico voluto dalla parti, al fine di valutare la diligenza qualificata del notaio, il raffronto tra la precedente giurisprudenza di legittimità e l'attuale, con particolare riferimento agli obblighi accessori e successivi gravanti sul professionista. Sembra difatti fare riferimento al solo scopo tipico quell'orientamento per il quale il principio secondo cui l'incarico conferito dalle parti al notaio comprende lo svolgimento ad opera del professionista delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti stesse riguarda le attività che concernono le condizioni di validità e perfezione dell'atto, ossia quelle necessarie perché l'atto possa realizzare il suo scopo tipico. L'incarico, pertanto, se può estendersi fino a comprendere attività che attengano all'efficacia dell'atto erga omnes, ottenibile mediante strumenti specifici e predeterminati legislativamente (quali la trascrizione o l''iscrizione in pubblici registri, senza i quali l'atto non può raggiungere appieno il suo scopo tipico), non può estendersi fino a comprendere l'efficacia dell'atto nei confronti di un determinato soggetto, a meno che questa non concreti l'unico scopo cui l'atto è destinato e che lo strumento per ottenerla non costituisca l'unico possibile. In applicazione del principio, la Suprema Corte ha escluso che l'incarico conferito al notaio di redigere un atto di cessione di credito comprenda, come attività doverosa, anche la notifica della cessione stessa al debitore ceduto e che, quindi, il mancato espletamento di tale attività fondi la responsabilità per colpa lieve del professionista, ai sensi dell'art. 1176 comma 2 c.c. (Cass. I, n. 4556/1998). L'attuale giurisprudenza di legittimità invece precisa che nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell'obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico, non meno che del risultato pratico, del negozio divisato dalle parti (ex plurimis, per riferimento recente si veda Cass. III, n. 12482/2017). Ne consegue che l'inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale. A nulla rilevando peraltro che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità (si veda, solo esemplificativamente, Cass. II, n. 1228/2003, alla quale si aggiungono le decisioni di seguito considerate nel presente capitolo). La particolare considerazione dei doveri di verifica, informazione e dissuasione, qualificanti la diligenza del notaio, emerge, emblematicamente ma non esclusivamente, con riferimento alle compravendite immobiliari. Per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, nonché l'informativa al cliente sul suo esito e, nell'ipotesi di constatazione di presenza di iscrizioni pregiudizievoli, la dissuasione del cliente dalla stipula dell'atto, costituiscono difatti, salva l'espressa dispensa degli interessati dalla suddetta verifica, obblighi derivanti dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fanno parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale. Pur essendo il detto professionista tenuto ad una prestazione di mezzi e comportamenti e non di risultato, l'opera del notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell'atto. Ne consegue che l'inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d'opera professionale, a nulla rilevando, ancora una volta, che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d'opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico (in tal senso si veda, solo esemplificativamente, Cass. III, n. 5946/1999, che, peraltro esclude l'operatività dell'art. 2236 c.c. con riferimento all'obbligo di effettuare le «visure», inerendo tale norma solo all'ipotesi di imperizia; alla detta sentenza si aggiungono le decisioni di seguito considerate nel presente capitolo). Il rispetto della diligenza qualificata da parte del notaio, alla stregua dei descritti doveri ed in vista dello scopo pratico perseguito dalle parti, è suscettibile di riverberarsi sul cliente in vario modo ed anche in merito al giudizio circa la buona fede di quest'ultimo (ove richiesto). Difatti, in tema di usucapione decennale di beni immobili, la buona fede di chi ne acquista la proprietà in forza di titolo astrattamente idoneo è esclusa soltanto quando sia in concreto accertato che l'ignoranza di ledere l'altrui diritto dipenda da colpa grave (art. 1147 c.c.). Sicché, in linea generale, non può affermarsi che versi in colpa grave colui il quale, rivoltosi ad un notaio per la redazione di un atto traslativo e non avendolo esonerato dal compiere le cosiddette visure catastali ed ipotecarie, addivenga all'acquisto in considerazione delle garanzie di titolarità del bene e di libertà dello stesso fornite dall'alienante, o apparente tale, e nella ragionevole presunzione che l'ufficiale rogante abbia compiuto le opportune verifiche. Il notaio, come precisa la Suprema Corte, pur fornendo una prestazione di mezzi e non di risultato, è tenuto a consentire la realizzazione dello scopo voluto dalle parti con la diligenza media, riferibile alla categoria professionale di appartenenza, curando le adeguate operazioni preparatorie all'atto da compiere, senza ridurre la sua opera alla passiva registrazione delle altrui dichiarazioni. Nella specie è stata cassata la sentenza di merito per aver del tutto omesso di prendere in esame la tesi dell'attore, il quale aveva sostenuto che la propria buona fede al momento dell'acquisto dovesse essere desunta dal conferimento, da parte sua, dell'incarico di effettuare il rogito a notaio «tra i più autorevoli della zona», sicché non avrebbe avuto ragione di dubitare circa il diligente compimento delle visure, dalle quali sarebbe risultata l'esistenza della trascrizione di una domanda giudiziale di trasferimento in proprietà del bene in questione, ai sensi dell'art. 2932 c.c., proposta da un terzo nei confronti del dante causa (Cass. II, n. 4063/2012). In senso conforme si vedano: Cass. II, 2728/2012 e Cass. II, n. 15252/2005. Quest'ultima ha cassato la sentenza impugnata che, senza compiere alcuna specifica indagine in ordine alla colpa in concreto ascrivibile, aveva escluso la buona fede di coloro i quali avevano posseduto per oltre dieci anni l'immobile acquistato con atto regolarmente trascritto, sulla astratta considerazione che i predetti avrebbero potuto verificare attraverso le visure dei registri immobiliari l'esistenza – al momento del loro acquisto – della trascrizione della domanda giudiziale di accertamento del trasferimento della proprietà del medesimo bene a favore di terzi, che l'avevano in precedenza comprato dallo stesso dante causa in forza di atto non trascritto. In merito ai c.d. doveri di consiglio e di consulenza tecnica, incombenti in capo al notaio quali connaturati alla diligenza qualificata da valutarsi in considerazione anche dello scopo pratico delle parti, ancorché si versi nel campo delle obbligazioni di mezzi e non di risultato, merita rilevarne i limiti. Non incorre difatti in responsabilità, per negligenza professionale, il notaio il quale, nell'ipotesi di vendita di terreni dei quali l'alienante assumeva di avere acquistato la proprietà per usucapione senza il relativo accertamento giudiziale, non abbia avvertito l'acquirente che l'acquisto poteva essere a rischio. Sempre che, però, nell'atto venga espressamente inserita una clausola dalla quale possa argomentarsi la consapevolezza in capo all'acquirente di tale rischio (Cass. II, n. 2485/2007). La considerazione dello scopo pratico dell'atto non deve però far dimenticare lo scopo tipico di esso ed i relativi obblighi gravanti in capo al professionista. Tra gli obblighi accessori del notaio stipulante rientra difatti l'attività di consulenza rispetto allo scopo tipico dell'atto, con la conseguenza che qualora oggetto della prestazione sia la cessione di un credito da appalto, che il cedente vanta nei confronti di un ente pubblico (cessione che, diversamente da quella tipica prevista dagli artt. 1260 e ss. c.c., comporta che l'adesione dell'amministrazione interessata è indispensabile per il perfezionamento della fattispecie), il notaio non può limitarsi a trattare solo i rapporti interni tra le parti ma deve indicare loro le peculiare disciplina del negozio. Nei detti termini statuisce Cass. III, n. 14450/2006 che, in applicazione del principio, ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del notaio in una fattispecie nella quale all'atto di cessione era stata allegata una certificazione del debitore ceduto attestante l'esistenza del credito ma, successivamente, l'ente aveva comunicato di non aderire alla cessione e pagato il debito all'originario creditore, che aveva trattenuto l'importo. La circostanza per la quale l'attività del notaio, anche laddove caratterizzata in termini di obbligazioni di mezzi e non di risultato, non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, implica che essa si estenda anche alla consulenza, anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolga la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare. Ne consegue che si rende responsabile della violazione dell'obbligo di cui all'art. 1176 comma 2 c.c. il notaio che non svolga una adeguata ricerca legislativa (ed una successiva consulenza) al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole (Cass. II, n. 309/2003, nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità professionale del notaio che, per negligenza, non aveva consentito alla parte alienante, coltivatore diretto, la richiesta di esenzione fiscale dall'Invim contestuale alla stipula dell'atto di donazione). Medesime argomentazioni si pongono, a fortiori, quando oggetto della prestazione professionale sia proprio una consulenza tecnica, nel qual caso, invero, potrebbe addirittura ritenersi che l'obbligazione gravante in capo al notaio non sia di mezzi ma di risultato, come nel caso di richiesta consulenza tecnica con riferimento alla stipulazione di contratto preliminare. Qualora difatti le parti si rivolgano ad un notaio per ottenere la sua consulenza quale tecnico del diritto in relazione ad un contratto preliminare da redigere a cura del professionista, mirano ad assicurarsi che il contratto stesso sia non solo formalmente perfetto, ma anche idoneo a produrre il risultato pratico perseguito. Sicché, versa in colpa professionale il notaio che non prospetti all'acquirente l'opportunità di effettuare le visure ipotecarie al fine di accertare la libertà dell'immobile oggetto della promessa di trasferimento da trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli, ovvero non prospetti la necessità di compiere nuove visure per accertare l'esistenza di altre ipoteche oltre quella dichiarata dal promittente venditore (Cass. II, n. 5232/2000; si veda, in termini più generali, Cass. II, n. 10842/1995 la quale sempre con riferimento a consulenza tecnica inerente un contratto preliminare, precisa che il principio di diritto di cui innanzi trova applicazione tanto in caso di contratto predisposto dalle parti quanto nell'ipotesi di contratto predisposto da altri). È invece esente da responsabilità il professionista, per assenza di colpa, nel caso in cui la consulenza richiestagli sia espressamente limitata alla regolarità formale del contratto sottoposto al suo esame (Cass. II, n. 10842/2000). Parimenti, l'assunto per il quale la prestazione del notaio non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti ed il pià generale il principio per il quale la sua attività debba considerare lo scopo pratico voluto dalle parti dell'atto da rogare devono coordinarsi con il principio di autoresponsabilità. Chi sottoscrive un contratto non può difatti invocarne l'invalidità adducendo di non averlo letto, perché chi immette dichiarazioni nel traffico giuridico ne deve subire le conseguenze, in virtù del principio dell'autoresponsabilità, a meno che non provi che la propria volontà si sia formata in modo viziato. Ne consegue, per Cass. III, n. 5535/2012, che, in difetto di tale prova, il notaio il quale abbia ritualmente rogato un atto pubblico non può essere ritenuto responsabile del fatto che esso non abbia rispecchiato gli accordi preliminari intercorsi tra le parti. In occasione della stipula del contratto «definitivo», il notaio ha invece l'obbligo, ai sensi degli artt. 1176 e 1375 c.c., di informare gli acquirenti – ove questi ultimi non ne siano già a conoscenza aliunde – della eventuale circostanza per la quale, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella specie il cortile dell'edificio di cui faccia parte l'appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa – in difformità rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto «preliminare» ed in deroga rispetto all'art. 1117 c.c. – sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di proprietà esclusiva di un singolo soggetto (nella specie, la società venditrice). Sotto tale profilo, precisa Cass. II, n. 6514/2000, i riflessi di responsabilità conseguenti all'inadempimento di un tale obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto «definitivo», gli acquirenti dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione. Diligenza, prudenza, perizia e limitazione di responsabilitàIl rigoroso criterio di accertamento della colpa professionale, di cui all'art. 1176 comma 2 c.c., implica che la nozione di professionista medio, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, sottende un professionista «bravo, serio, preparato, zelante ed efficiente», cioè non già il professionista mediocre bensì quello di elevata professionalità (ex plurimis, in tema di responsabilità medica, Cass. III, n. 24213/2015; Cass. civ. III, n. 17143/2012). Per negligenza deve difatti oggi intendersi la violazione di regole sociali (nella specie caratterizzanti anche l'attività del notaio) e non solo la mera disattenzione. L'imprudenza è intesa quale violazione delle modalità imposte delle regole sociali per l'espletamento di certe attività mentre l'imperizia implica violazione delle regole tecniche di settori determinati della vita di relazione (nella specie quelle inerenti le regole tecniche sottese all'attività notarile), non essendo più connessa alla mera insufficiente attitudine all'esercizio di arti e professioni (ex plurimis, Cass. III, n. 9471/2004, in materia di responsabilità professionale – nella specie, medica-). Emblematicamente, autorevole dottrina evidenzia che la diligenza ha la funzione di misurare l'obbligo al quale il soggetto è tenuto, riscontrando che in merito alle responsabilità professionali (nella specie, medica) la giurisprudenza si orienta in termini rigorosi circa la valutazione della diligenza (Bianca, 1990, 478). La diligenza del professionista consiste nel rispetto di quel complesso di norme/tecniche che caratterizzano l'esecuzione di una prestazione d'opera intellettuale (in merito si veda, diffusamente, Di Majo, 1988; per la diligenza del notaio e la sua connessa responsabilità contrattuale si veda, per tutti, Celeste, 404). Con particolare riferimento alla responsabilità professionale del notaio, in linea con l'orientamento di cui innanzi, la Suprema Corte chiarisce il criterio per la valutazione della diligenza qualificata del professionista, exartt. 1176 comma 2 e 2236 c.c., ritenendola speciale, rafforzata e di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta. Essa Precisa altresì che l'art. 2236 c.c. non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza (ex plurimis, Cass. III, n. 16990/2015; si veda, in termini generali circa la diligenza qualificata ex art. 1176 comma 2 c.c. ed i suoi rapporti con l'art. 2236 c.c., ancorché nella specie in materia di contratto di appalto, Cass. III, n. 16254/2012). Al professionista (ancor più se specialista), difatti, è richiesta una diligenza «particolarmente qualificata» dalla perizia e dell'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare ed allo standard professionale della categoria di appartenenza. L'impegno dovuto dal professionista, pur se superiore a quello del comune debitore, va considerato corrispondente alla diligenza non del buon padre di famiglia bensì a quella normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, in quanto deve impiegare perizia e mezzi tecnici di cui allo standard di categoria. Sicché, è proprio il detto standard che concorre a determinare il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo di diligenza adeguato per conseguirlo oltre che del relativo grado di responsabilità (Cass. III, n. 7682/2015, in materia di responsabilità professionale – nella specie, medica –; si veda, ancora più di recente, sempre in merito alla detta responsabilità sanitaria, Cass. III, n. 11208/2017). Nel detto concetto di diligenza qualificata rientrerebbero, per giurisprudenza dominante, anche i c.d. obblighi intermedi, tra i quali il già trattato obbligo di informazione, anche se una parte della giurisprudenza non li colloca nell'ambito dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, ritenendoli rilevanti quali obblighi di buona fede oggettiva o correttezza, in forza di un generale principio di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) che, se violato, implica il sorgere di responsabilità (contrattuale ma anche, in ipotesi, extracontrattuale). Tali obblighi si concretizzano anche nel mantenere un comportamento leale, osservando obblighi di informazione e di avviso nonché di salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine a falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati da terzi (ex plurimis, tra le più recenti, proprio con riferimento alla responsabilità professionale: Cass. III, n. 16990/2015, circa la responsabilità del notaio; Cass. III, n. 7682/2015, con riferimento alla responsabilità professionale del medico, ed in termini generali, Cass. S.U., n. 28056/2008, circa i limiti dell'apprezzabile sacrificio). In marito Cass. III, n. 3694/2020, ha difatti precisato che la buona fede oggettiva, in funzione integrativa del contenuto del contratto, impone alle parti di porre in essere comportamenti comunque rientranti, secondo la legge, gli usi e l'equità, nello spettro complessivo della prestazione pattuita. Ne consegue la responsabilità professionale del notaio che, ancorché abbia autenticato le firme della dichiarazione di vendita di una vettura, non comunichi al venditore, che li abbia richiesti, i dati anagrafici dell'acquirente, pur avendo il potere di rilasciare copia ed estratti dei documenti a lui esibiti e non necessariamente depositati e nonostante venga in rilievo un atto soggetto a pubblicità mobiliare (ai sensi dell'art. 2683, n. 3, c.c.), la conservazione della cui copia, per quanto informale, rispondeva a prassi già in uso, costantemente osservata e successivamente trasfusa in atto normativo (l. n. 246 del 2005). In tale contesto, peraltro, la sentenza da ultimo citata ha avuto modo di chiarire che il principio di cui all'art. 2715 c.c., secondo il quale le copie delle scritture private hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale, a condizione che siano spedite da un pubblico ufficiale e che l'originale sia depositato presso di lui, non esclude che la suddetta efficacia probatoria possa essere determinata in modo diverso - e, specificamente, prescindendo dal requisito del deposito - da leggi speciali. Ciò si verifica, ha sostanzialmente concluso, la Suprema Corte, in materia di copie rilasciate dai notai, poiché l'art. 1 del r.d.l. n. 1666 del 1937 (convertito dalla l. n 2358 del 1937) concede al notaio la facoltà di rilasciare copie ed estratti di documenti a lui esibiti (salvo il potere dell'autorità presso la quale se ne fa uso di chiedere l'esibizione degli originali) e non necessariamente depositati. In tema di responsabilità professionale, in definitiva, la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 c.c. è di integrazione per complementarietà e non già per specialità, cosicché vale come regola generale quella della diligenza del buon professionista (art. 1176 comma 2 c.c.), con riguardo alla natura dell'attività prestata. Nel caso in cui la prestazione implichi invece la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la successiva norma dell'art. 2236 c.c., delimitando la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave e non anche alla colpa lieve. Sicché, solo attraverso l'integrazione delle due citate norme potrà operarsi una valutazione complessiva della condotta del professionista. Tale rapporto è tradizionalmente letto dalla Suprema Corte nel senso che la responsabilità del professionista presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra i quali il dovere di diligenza da valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata, che comporta anche il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all'esercizio della professione e ricomprende, pertanto, anche la perizia. La limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. opera quindi solo ove il caso concreto richieda un impegno intellettuale superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anche esse superiori alla media (ex plurimis, proprio con particolare riferimento alla responsabilità professionale del notaio, Cass. III, n. 16990/2015). La distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà rileva difatti soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando invece al professionista (notaio), che invochi la limitazione di responsabilità in esame, la prova della particolare difficoltà della prestazione, in conformità con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l'ordinamento è informato. Per esso chi agisce in giudizio, deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione professionale, deve difatti provare il contratto (o il contatto sociale qualificato) ed allegare l'inadempimento del professionista, restando a carico dell'obbligato l'onere di provare l'esatto adempimento (Sull'onere probatorio si vedano, per la responsabilità del notaio, da ultimo, Cass. III, n. 12482/2017, per il professionista avvocato, Cass. II, n. 5928/2002 e per gli altri professionisti, compreso la compiuta disamine nella responsabilità notarile, si rinvia ai riferimenti di seguito riportati nel presente paragrafo ed in quello specificamente riguardante tale tematica). La giurisprudenza di legittimità chiarisce però che la limitazione della responsabilità alla sola colpa grave (oltre che al dolo), di cui all'art. 2236 c.c., opera con riferimento al solo parametro della perizia. Ciò è affermato, proprio in tema di limitazione della responsabilità professionale del notaio ritenendo che essa, a norma dell'art. 2236 c.c., si applichi nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà e che, in ogni caso, attenga esclusivamente all'imperizia e non all'imprudenza o alla negligenza. Ne consegue che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell'esecuzione della sua prestazione, provochi un danno per omissione di diligenza o per comportamento imprudente (ex plurimis, proprio con riferimento alla responsabilità professionale del notaio: Cass. III, n. 22398/2011; Cass. II, n. 4427/2005; Cass. II, n. 1228/2003; Cass. III, n. 5946/1999). Negli stessi termini la Suprema Corte si pronuncia con riferimento alla responsabilità professionale del medico e dell'avvocato (ex plurimis: con particolare riferimento alla responsabilità professionale del medico si vedano: Cass. III, n. 4797/2007; Cass. III, n. 9085/2006; Cass. III, n. 11440/1997; con particolare riferimento alla responsabilità professionale dell'avvocato si veda Cass. III, n. 6937/1996). L'operatività della limitazione della responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. alla sola ipotesi dell'imperizia, è avallata anche dalla Consulta (Corte cost. n. 166/1973). Essa, nel non ritenere fondata, in relazione all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 c.p., nella parte in cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare, precisa che il differente trattamento giuridico riservato al professionista la cui prestazione d'opera implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, e ad ogni altro agente che non si trovi nella stessa situazione, non può dirsi collegato puramente e semplicemente a condizioni (del soggetto) personali o sociali. La deroga alla regola generale della responsabilità penale per colpa ha difatti in sé una sua adeguata ragione di essere e poi risulta ben contenuta, in quanto è operante, ed in modo restrittivo, in tema di perizia e questa presenta contenuto e limiti circoscritti. La dottrina concorda con la giurisprudenza nel ritenere che la limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c., alle sole ipotesi di dolo o colpa grave in caso di prestazione implicante risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, riguardi soltanto la competenza tecnica, applicandosi, di conseguenza, alle sole ipotesi di imperizia e non anche di imprudenza e negligenza (Zana, 1991, 4; Zana, 1987, 162, il quale evidenzia che l'art. 2236 c.c. integra la codificazione di una regola giurisprudenziale consolidatasi nella vigenza del precedente codice, facendo riferimento anche a Cass. S.U., 8 marzo 1937, in Resp. civ. e prev., 1937, 314; Perulli, 592, che evidenzia la necessità, nell'applicazione delle norme di cui all'art. 2236 c.c., di considerare l'esistenza di specializzazioni in determinate materie; negli stessi termini, in precedenza ma con particolare riferimento al professionista legale, Pensa, 39). Tale limitazione non opera, peraltro, nel caso di professionista generico che consapevolmente, nella risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, non consulti il professionista specialista, salvo che la stessa difficoltà non sia riconoscibile del professionista medio o nona sia possibile ricorrere allo specialista ovvero che la difficoltà comunque sussista anche per i professionisti di livello superiore a quello medio (Cattaneo, 76). La stessa definizione di speciale difficoltà, riferita ai problemi tecnici di cui al citato art. 2236 c.c., non è definibile in termini generali ed astratti ma solo con riferimento al caso concreto ed in merito alla qualificazione soggettiva del professionista (Giacobbe, 1987, 1084). Sicché, il rapporto tra le due norme, gli artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c., deve intendersi in termini non di specialità bensì di complementarietà, cioè nel senso che le due norme si integrerebbero (per i rapporti tra il canone della diligenza del notaio e la limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c., tanto nella letteratura quanto nella giurisprudenza, oltre che per i relativi risvolti pratici, si veda, per tutti, Celeste, 336). Diligenza, principio di precauzione, fondo patrimoniale e consulenza tecnica anche fiscaleIl parametro della diligenza qualificata è di recente applicato in uno con il principio di precauzione, a salvaguardia degli interessi del cliente, in materia di fondo patrimoniale oltre che in materia di attribuzione di rendita catastale e condotta del notaio incidente sugli obblighi impositivi gravanti sul cliente. La circostanza che una legge ambigua od una giurisprudenza contrastata rendano incerta l'effettiva sussistenza dell'obbligo per il notaio di eseguire un adempimento teoricamente necessario per la validità o l'opponibilità dell'atto da lui rogato, non esclude difatti la responsabilità dello stesso nel caso in cui, in seguito, quell'adempimento dovesse risultare effettivamente dovuto. Ciò in quanto grava sul professionista il preciso obbligo, impostogli dall'art. 1176 comma 2 c.c., di osservare un principio di precauzione ed adottare la condotta più idonea a salvaguardare gli interessi del cliente. In applicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto che il notaio, il quale, dopo avere costituito un fondo patrimoniale, ometta di curare la relativa annotazione in margine all'atto di matrimonio, risponda nei confronti dei proprietari dei beni conferiti nel fondo del danno da essi patito in conseguenza dell'inopponibilità del vincolo di destinazione ai creditori. A nulla rilevando, in senso contrario, l'avvenuta trascrizione dell'atto, giacché quest'ultima non rende la costituzione del fondo patrimoniale opponibile ai terzi quando sia mancata la suddetta annotazione, nemmeno nel caso di conoscenza da parte degli stessi terzi (Cass. III, n. 20995/2012; in senso conforme, ancorché risalente nel tempo, Cass. III, n. 3433/1981). Con particolare riferimento, invece, all'obbligo di consulenza (anche fiscale) del notaio nei confronti del cliente e di condotte accessorie (antecedenti o successive) al compimento dell'atto, in ragione dello scopo pratico voluto dalle parti, la giurisprudenza di legittimità ne chiarisce la portata. Il professionista incaricato della redazione della successione ereditaria con riferimento ad un bene da considerarsi privo di rendita catastale certa alla data di apertura della successione, in forza di intervenute modifiche nella sua situazione giuridica e di fatto (nella specie, per successivo frazionamento), viola l'obbligo di diligenza qualora abbia omesso di presentare – entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione – istanza per l'attribuzione della rendita catastale, di cui all'art. 12 del d.l. n. 70 del 1988 (conv., con modif., dalla l. n. 154 del 1988), contenente la dichiarazione dell'erede di volersi avvalere della valutazione automatica dell'immobile caduto in successione, ai sensi della norma sopra richiamata (Cass. III, n. 3768/2017). Incaricato del rogito di un atto di compravendita immobiliare il notaio è altresì tenuto, in adempimento del dovere di consiglio su di lui incombente anche relativamente all'esistenza ed all'applicazione di agevolazioni fiscali, a presentare direttamente istanza per l'attribuzione della rendita catastale ovvero ad inserirne la richiesta sulla base della valutazione automatica desumibile dalla rendita catastale non ancora assegnata ovvero, ove non voglia provvedere a tanto, a rendere edotte di ciò le parti (Cass. III, n. 8497/2020). Analoghe argomentazioni implicano che il notaio che abbia rogato l'atto di compravendita di un immobile non ancora accatastato, in cui le parti abbiano chiesto di avvalersi delle disposizioni previste dal d.l. n. 70/1988 (convertito in l. n. 154/1988), ai fini della valutazione automatica della imposta di registro, qualora all'atto stesso sia allegata specifica istanza per l'attribuzione della rendita catastale, è tenuto a curare la presentazione di tale istanza all'ufficio competente ovvero, ove non voglia provvedervi direttamente, a rendere edotte di ciò le parti. Così statuisce la Suprema Corte confermando la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità professionale del notaio che non aveva adempiuto a tale obbligo, per cui l'ufficio del registro aveva provveduto all'accertamento del valore di mercato dell'immobile al fine del pagamento dell'imposta di registro e dell' Invim (Cass. II, n. 7857/2008). Per converso, nel caso di liquidazione dell'imposta di registro da parte dell'Agenzia delle entrate a seguito del disconoscimento di un'agevolazione applicata al momento della registrazione dell'atto, deve escludersi la responsabilità del notaio rogante, atteso che l'art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986, limitata, quest'ultima, al pagamento della sola imposta principale, essendo, invece, nell'ipotesi in esame, l'imposta qualificabile come complementare (ex plurimis, da ultimo, Cass. V, n. 26448/2017). In tema di imposta ipotecaria e di registro, (ancora) in base al combinato disposto degli artt. 42 e 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 e 3-ter del d.lgs. n. 463 del 1997, anche in caso di registrazione con procedura telematica, il notaio risponde in via solidale con i contraenti, e salvo rivalsa, unicamente per l'imposta principale, tale dovendosi considerare quella risultante dal controllo dell'autoliquidazione ovvero da elementi desumibili dall'atto con immediatezza e senza necessità di accertamenti fattuali o extratestuali, né di valutazioni giuridico-interpretative. Sicché, Cass. IV, n. 15450/2019, ha accolto nel merito il ricorso di un notaio contro un avviso di liquidazione che aveva assoggettato ad imposta proporzionale, anziché fissa, un atto costitutivo di "trust" autodichiarato, nel rilievo che la sussumibilità di tale negozio come atto traslativo dipendesse da valutazioni giuridico-interpretative dell'Ufficio, sicché la maggiore imposta che ne era scaturita era qualificabile come complementare, al cui pagamento il notaio non era obbligato quale responsabile d'imposta). Sempre in materia di incremento di valore dell'immobile, il notaio incaricato di redigere l'atto pubblico di trasferimento immobiliare, che abbia compilato la dichiarazione a fini Invim, sottoscritta dal venditore, riportando quanto da questi dichiarato, qualora abbia provveduto alla relativa registrazione senza avvertire la parte delle conseguenze derivanti da dichiarazioni non veritiere, pone in essere un comportamento non conforme alla diligenza qualificata cui egli è obbligato, per l'incarico professionale conferito. Il professionista è difatti tenuto a fornire una consulenza tecnica alla parte funzionale non solo al raggiungimento dello scopo, privatistico e pubblicistico, tipico, cui l'atto rogando è preordinato, ma anche al conseguimento degli effetti vantaggiosi eventualmente previsti dalla normativa fiscale ed a rispettare gli obblighi da essa imposti, sicché risponde dei danni originati da tale comportamento anche nella sola ipotesi di colpa lieve. Proprio in applicazione dell'anzidetto principio, la Suprema Corte ha ritenuto sussistente la responsabilità del notaio, per colpa lieve, poiché nell'atto rogando il valore finale dell'immobile dichiarato dal venditore era identico a quello indicato nel precedente atto di acquisto, e, dunque, appariva ragionevolmente probabile che la dichiarazione non fosse veritiera (Cass. III, n. 26369/2014). L'orientamento di cui innanzi circa la responsabilità del notaio in merito alle imposizioni fiscali gravanti sul cliente con riferimento all'atto rogato, infine, è in linea con la giurisprudenza tributaria di legittimità. Quest'ultima difatti chiarisce che, in tema di imposta di registro, il criterio di valutazione automatica di cui all'art. 52 d.P.R. n. 131/1986, postula l'esistenza di una rendita certa riferibile allo stato del bene al momento del rogito e non può trovare applicazione quando, a causa di intervenute modifiche, la situazione di fatto e giuridica risulti modificata rispetto a quella catastale, poiché, in tale evenienza è come se l'immobile fosse privo di rendita (ex plurimis: Cass. V, n. 12021/2008 e Cass. V, n. 2784/2006). Proprio l'obbligo (accessorio) di consulenza, gravante in capo al notaio in quanto facente parte della prestazione professionale alla quale egli è contrattualmente tenuto in vista dello scopo concreto perseguito dalle parti, è stato di recente vagliato dalla Suprema Corte al fine di individuarne i relativi limiti in relazione al principio di autoresponsabilità. Il c.d. dovere di consiglio, imposto anche dall'art. 42 del codice di deontologia notarile, in particolare, investe solo le conseguenze giuridiche della prestazione richiesta al professionista non estendendosi alle circostanze di fatto dell'affare concluso, tra le quali rientrano anche i rischi economici dello stesso, la cui valutazione è quindi rimessa in via esclusiva al prudente apprezzamento delle parti (Cass. II, n. 11665/2015). Il dovere in esame, avendo ad oggetto questioni tecniche, cioè problematiche che una persona non dotata di competenze specifiche non sarebbe in grado di percepire, non può quindi essere dilatato fono al controllo di circostanze (di fatto) il cui accertamento rientra nella normale prudenza, come la solvibilità del compratore nella vendita con pagamento dilazionato del prezzo o l'inesistenza di vizi della cosa (Cass. III, n. 7707/2007, per la quale, per converso, integrano questioni tecniche quelle collegate al possibile rischio che una vendita immobiliare possa risultare inefficace a causa della condizione giuridica dell'immobile trasferito). In definitiva, nel rispetto del principio di autoresponsabilità delle parti, il dovere di consiglio non si spinge né fino alla valutazione della convenienza economica dell'operazione né, tantomeno, fino a valutazioni che rientrano nella normale prudenza esigibile da chiunque, trovando il proprio ambito elettivo nelle questioni tecniche, ossia in quelle che sfuggono di norma alla cognizione e alla comprensibilità dell'uomo medio o comunque non dotato di specifiche conoscenze in ambito giuridico. Proprio argomentando dal principio di cui innanzi Cass. III, n. 12482/2017, ha chiarito che il notaio incaricato della redazione ed autenticazione di un contratto preliminare per la compravendita di un immobile non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti ed a sovraintendere alla compilazione dell'atto. È invece necessario che il professionista si interessi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto nonché del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse. In applicazione del principio la Suprema Corte, con la sentenza da ultimo citata, in un caso in cui le parti avevano pattuito un termine di nove anni per la stipula del definitivo, ha ritenuto rientrante nel c.d. dovere di consiglio gravante in capo al notaio avvertire le parti della durata triennale degli effetti della trascrizione del preliminare (ex art. 2645-bis, comma 3, c.c.) e, conseguentemente, degli ulteriori adempimenti necessari a garantire la sicurezza dell'operazione. In particolare, in ragione di quanto innanzi evidenziato circa l'importanza dello scopo pratico perseguito dalle parti ed in ordine al principio di autoresponsabilità, è stata cassata la sentenza con rinvio al fine di verificare se la detta condotta del notaio, tale da non palesare i detti rischi al cliente (promissario), potesse dirsi diligente in relazione a quanto prospettato al professionista circa i timori di fallimento del promittente ed il previsto lungo termine per la stipula del definitivo. L'approdo di cui innanzi è stato ulteriormente specificato, in tema di visure ipo-catastali, dalla recente Cass. III, n. 25865/2020, per la quale il notaio rogante un contratto di mutuo ipotecario funzionalmente collegato a compravendita immobiliare è tenuto a compiere le visure ipotecarie e catastali allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, ma non anche a rendere informazioni in merito alla convenienza economica dell'operazione negoziale e, quindi, ad accertare la ragionevole possibilità per l'istituto di credito di soddisfarsi, in sede di espropriazione del bene ipotecato, a fronte dell'inadempimento del mutuatario. Proprio in applicazione del principio di cui innanzi l'ordinanza Cass. III, n. 25865/2020 da ultimo citata ha ritenuto esente da critiche la sentenza che aveva escluso la responsabilità del notaio per non aver accertato, con una propria perizia, l'effettiva consistenza dell'immobile - di un solo vano, anziché di tre – e, conseguentemente, il suo valore, insufficiente a garantire il credito della banca –. Responsabilità per mancata verifica della capacità di contrarre della parte e della sua identità personaleIl notaio, avendo l'obbligo (ex l. n. 89/1913) di accertare la capacità legale di contrarre delle parti dell'atto rogando, è responsabile del danno patito dall'acquirente di un immobile venduto da persona già dichiarata fallita al momento della stipula, a meno che non dimostri che nemmeno con l'uso della diligenza professionale da lui esigibile avrebbe potuto accertare l'esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. III, n. 11569/2009). Sussiste difatti la responsabilità contrattuale del notaio che abbia rogato un atto di trasferimento di immobile allorché il venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, risultando per tale ragione l'atto privo di effetti verso i creditori, con conseguente diritto alla restituzione del bene e correlativo diritto dell'acquirente al risarcimento del danno patito in forza della descritta condotta del professionista. In tali ultimi termini di esprime Cass. III, n. 26908/2014, per la quale l'ammontare del danno risarcibile è pari al valore monetario dell'immobile al momento dell'effettivo rilascio, detratto l'importo corrispondente al vantaggio economico tratto nel periodo in cui l'acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario. Medesime argomentazioni fondano la responsabilità del notaio per la condotta colposa consistita nell'aver omesso di accertare che il procuratore non aveva il potere di concedere ipoteca sui beni posti a garanzia di mutuo bancario. Concorre con la detta responsabilità del professionista quella della banca mutuante che ha partecipato all'atto, qualora della procura sia data lettura al momento della stipula del negozio e la stessa sia allegata al contratto, in ragione sia dei generali obblighi di diligenza sia della particolare qualifica professionale che un istituto di credito deve avere (Cass. I, n. 24939/2007; per la configurabilità di responsabilità solidale del notaio e di altro soggetto si vedano, ex plurimis: Cass. II, n. 7404/2015 e Cass. III, n. 5946/1999). Per converso, in caso di attività di diritto privato svolta da un comune, il notaio che roghi un atto in cui detto ente figuri come parte, in presenza di una delibera della Giunta municipale che abbia autorizzato la stipulazione, non grava in capo al professionista il dovere di controllare i poteri di rappresentanza del sindaco. Essi difatti derivano non già da un rapporto di mandato ma da una relazione di immedesimazione organica, sicché non può trovare applicazione il divieto, imposto al notaio dall'art. 54 del r.d. n. 1326/1914, di rogare atti nei quali intervengano persone non debitamente autorizzate o rappresentate (Cass. III, n. 3079/2010). In merito al controllo dell'identità della parti la disposizione dell'art. 49 della l. n. 89 del 1913 (nel testo fissato dall'art. 1 della l. 10 maggio 1976, n. 333), la quale prescrive che il notaio deve essere certo della identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell'attestazione, con la valutazione di «tutti gli elementi» atti a formare il suo convincimento, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacenti da lui conosciuti, è interpretata dal Giudice di legittimità in uno con la regola di diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma 2 c.c. Il professionista, quindi, nell'attestare l'identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché, in quest'ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti (con accertamento demandato al giudice del merito il cui giudizio è incensurabile in cassazione se motivato in maniera congrua e logica). In applicazione del principio, in un caso relativo ad azione risarcitoria proposta da soggetto il cui nome era stato abusivamente utilizzato, per acquistare quote di una società, da persona rimasta sconosciuta e identificata dal notaio solo tramite falso documento di riconoscimento, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la responsabilità del notaio sul presupposto che la sua condotta concretizzasse il reato di falso ideologico. Ciò in ragione del mancato espletamento di attività istruttoria (pur sollecitata) necessaria al professionista per dimostrare di aver compiuto una verifica tale da potersi affermare certo dell'identità della parte e senza indicare «in positivo» gli elementi dai quali aveva desunto il dolo richiesto per il delitto in questione (Cass. III, n. 9757/2005). Nello stesso senso è anche la giurisprudenza precedente, che fa perno sulla possibilità, per il notaio, di acquisire la certezza dell'identità della persona che sottoscrive anche nello stesso momento della sottoscrizione, attraverso tutti gli elementi a sua disposizione, ai sensi della l. n. 89/1913. Ne conseguirebbe l'assenza di responsabilità in capo al professionista, per i danni che taluno subisca per effetto della discordanza tra identità effettiva ed identità attestata del comparente, nel caso di identificazione frutto di convincimento di certezza raggiunto anche al momento dell'attestazione sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti, siano idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale. In tali termini si esprime Cass. III, n. 15424/2004 nel confermare la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità di un notaio pervenuto al convincimento di certezza circa l'identità del venditore in base al documento di identità personale, al fatto che le parti avessero dichiarato di conoscersi ed infine al fatto che, a seguito di richiesta dello studio notarile che aveva accertato l'esistenza di un pignoramento sull'immobile oggetto del contratto, la persona presentatasi come venditore aveva prodotto ordinanza di estinzione del processo esecutivo concernente l'immobile venduto. Ancora una volta, punto di partenza del ragionamento giuridico è l'assunto per il quale, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell'obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto. Essa, per converso, deve estendersi a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico, non meno che del risultato pratico, del negozio divisato dalle parti, con la conseguente responsabilità contrattuale ex artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c. (operando tale ultima norma solo per il caso di imperizia). Nell'affermare il principio di diritto che precede, la Suprema Corte ha confermato la sentenza che aveva ravvisato gli estremi della colpa professionale a carico di un notaio che, nel ricevere una procura speciale dall'apparente rappresentante della parte venditrice di un immobile, non ne aveva rilevato le numerose ed evidenti alterazioni, invece rilevate con riferimento a precedente procura esibita dello stesso soggetto. Tratta vasi, nella specie, di alterazioni consistenti in: lettere e parole scritte con macchina da scrivere diversa ed al di sotto del rigo; mancanza di spazi tra le parole; interpolazioni e correzioni o ricalcature a penna o con diverso mezzo meccanico di lettere e numeri oltre che in cancellature neanche menzionate in postilla (Cass. II, n. 1228/2003). I suesposti principi di diritto sono ripresi da Cass. III, n. 11767/2017, per la quale, ai sensi dell'art. 49 della l. n. 89 del 1913, il notaio deve accertare l'identità personale delle pari essendo tenuto a raggiungere tale certezza, anche al momento dell'attestazione, secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale, rispetto alle quali l'esibizione di una carta d'identità o di altro documento equipollente può non risultare, da sola, sufficiente alla corretta identificazione della persona fisica. In applicazione del principio la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non conforme al modello di diligenza imposto (dalla citata norma) la condotta di un notaio che, in occasione della stipula di un mutuo ipotecario, si era limitato a recepire i documenti concernenti le generalità della mutuataria, forniti dalla stessa banca mutuante, senza esaminarli e senza operare, a sua volta, alcun ulteriore accertamento circa l'identità della persona che era tenuto, invece, ad identificare compiutamente. Rapporti tra obbligo di diligenza, compenso del notaio e sua responsabilitàDella particolare connotazione della natura dell'attività del notaio ne risentono anche i rapporti tra la sua responsabilità professionale, l'obbligo di diligenza ed il diritto al compenso. Il notaio che non abbia percepito il compenso per l'attività svolta, o il rimborso delle spese sostenute, può legittimamente rifiutare il rilascio delle copie autentiche dell'atto da lui rogato ma non può rifiutarsi di portare a compimento l'incarico ricevuto ovvero di compiere le attività necessarie per assicurarne gli effetti. In applicazione di tale principio, di recente, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito la quale aveva dichiarato la responsabilità professionale di un notaio che, incaricato di rogare un atto di cessione del credito, non avendo ricevuto il pagamento dell'onorario, aveva omesso di notificarlo al debitore ceduto, rendendo così irripetibile il pagamento da questo effettuato in buona fede al cedente (Cass. III, n. 904/2013). Il notaio ha difatti la facoltà di rifiutare la propria prestazione professionale, se le parti non depositino presso di lui le somme necessarie per le tasse, l'onorario e le spese, ma, una volta che abbia comunque accettato di eseguire la prestazione richiestagli e di ricevere l'atto, il mancato pagamento di tali importi non lo autorizza a sottrarsi all'obbligo di provvedere alle formalità susseguenti (tra le quali la registrazione e la trascrizione dell'atto), pena il risarcimento del danno in tal modo causato alle parti (Cass. III, n. 20995/2012), in forza dell'interpretazione dell'art. 28 della l. n. 89/1913. Tale norma difatti consente al notaio di rifiutare il suo ministero, se le parti non depositino presso di lui l'importo delle tasse, degli onorari e delle spese dell'atto (salvo che si tratti di persone ammesse al gratuito patrocinio o di testamenti). Essa è letta nel senso per il quale il professionista, ove non si avvalga di tale facoltà ed accetti egualmente di rogare l'atto pur senza aver ricevuto anticipo alcuno, non può interrompere la propria prestazione, invocando la norma di cui all'art 1460 c.c. di fronte all'inadempimento del cliente. Il notaio ha un preciso Obbligo di condurre a termine le operazioni iniziate, sia nei confronti del cliente, verso il quale risponde degli eventuali danni ex art. 2671 c.c., sia nei confronti del fisco, sia nei confronti dei terzi, in omaggio alla tutela dell'affidamento e della sicurezza del movimento degli affari in campo giuridico, che verrebbero compromessi se determinati atti potessero essere rogati senza la successiva effettuazione delle occorrenti formalità (si vedano, per tutte, Cass. III, n. 3433/1981, e Cass. II, n. 1148/1979). Responsabilità c.d. «per relazioni preliminari notarili»L'orientamento, formatosi sotto la previgente codificazione, per il quale si riteneva non gravante in capo al notaio, rogante un atto di compravendita immobiliare, l'obbligo di effettuare le preliminari visure catastali ed ipotecarie, salvo espresso e specifico incarico conferitogli, è ormai definitivamente superato perlomeno a partire degli anni sessanta del secolo scorso. Diverse sono tra loro però le argomentazioni poste alla base di tale revirement, comunque tutte variamente riconducenti la relativa responsabilità nell'area contrattuale. Di recente emersione è altresì quell'orientamento che colloca il detto «dovere» al di fuori dalla prestazione professionale (quindi dal parametro della diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma 2, c.c.), riconducendolo invece nell'ambito della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., con conseguenze di natura sostanziale. La giurisprudenza di legittimità pacificamente ritiene difatti che il notaio, ove richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, sia tenuto al compimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti (in termini non solo di scopo tipico dell'atto ma anche di scopo concretamente perseguito dalle stesse). Il riferimento è, in particolare ma non esclusivamente, all'effettuazione delle visure (catastali ed ipotecarie) ed in generale delle verifiche e degli accertamenti volti all'esatta individuazione del bene e della sua libertà (ex plurimis: Cass. III, n. 14934/2002; Cass. II, n. 547/2002; Cass. II, n. 10493/1999; in senso conforme alla precedente si vedano anche, Cass. III, n. 7127/1987 e Cass. III, n. 1840/1987, le quali riconducono il compimento delle attività accessorie e successive alla diligenza qualificata, cioè a quella del professionista sufficientemente preparato e avveduto, tale che la sua opera non possa ridursi alla mera passiva registrazione della volontà delle parti; per una delle prime statuizioni alle quali si riconduce la pacifica affermazione del principio si veda Cass. III, n. 2861/1969, che riconduce l'obbligo sia alla legge che all'incarico professionale ricevuto dalle parti ed avente ad oggetto l'atto di compravendita). Il principio è stato ribadito da Cass. III, n. 21775/2019, per la quale rientra tra gli obblighi del notaio richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare e, in particolare, nell'obbligo di buona fede oggettiva, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed in particolare il compimento delle cosiddette "visure" catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni. Nella specie, con la citata ordinanza, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del notaio per il mancato acquisto del diritto di proprietà sul compendio immobiliare compravenduto per atto dal medesimo rogato, nonostante le anomalie emergenti dalle visure immobiliari impedissero di verificare con certezza la titolarità, in capo ad uno dei precedenti danti causa della parte venditrice, del diritto di proprietà sui beni venduti. Sulla scia dell'orientamento di cui innanzi la recente Cass. III, n. 25865/2020 ha chiarito che il notaio rogante un contratto di mutuo ipotecario funzionalmente collegato a compravendita immobiliare è tenuto a compiere le visure ipotecarie e catastali allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, ma non anche a rendere informazioni in merito alla convenienza economica dell'operazione negoziale e, quindi, ad accertare la ragionevole possibilità per l'istituto di credito di soddisfarsi, in sede di espropriazione del bene ipotecato, a fronte dell'inadempimento del mutuatario. Nella specie, la Suprema corte ha ritenuto esente da critiche la sentenza che aveva escluso la responsabilità del notaio per non aver accertato, con una propria perizia, l'effettiva consistenza dell'immobile - di un solo vano, anziché di tre – e, conseguentemente, il suo valore, insufficiente a garantire il credito della banca –. Il notaio incaricato della redazione e autenticazione di un contratto di compravendita immobiliare non può limitarsi ad accertare la volontà delle parti e sovrintendere alla compilazione dell'atto ma deve compiere l'attività necessaria ad assicurarne serietà e certezza degli effetti tipici e risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle dette parti, poiché contenuto essenziale della sua prestazione professionale è l'obbligo di informazione e consiglio. In particolare, per Cass. III, n. 7283/2021 , egli è tenuto a compiere una verifica di natura tecnica ed essenzialmente giuridica che ricomprende anche la stabilità o meno nel tempo dei titoli giudiziali trascritti, dovendo acquisire informazioni presso la conservatoria dei registri immobiliari sulla loro definitività. In applicazione del principio , sancito dopo aver ripercorso gli approdi di legittimità in materia di respon sabilità professionale del notaio , la Suprema Corte ha cassato la sentenza che aveva escluso la responsabilità professionale di un notaio rogante un atto di compravendita immobiliare senza compiere le opportune indagini in ordine al titolo di proprietà dell'immobile acquistato per usucapione dal venditore in forza di una sentenza di primo grado che, benché trascritta, era stata impugnata e, quindi, non recava l ' attestazione di passaggio in giudicato, censurando anche l'affermazione del giudice di secondo grado per la quale l'informazione sulla definitività della menzionata sentenza fosse una nozione "alla portata di tutti". La giurisprudenza più risalente riconduceva il detto obbligo all'art. 2913 c.c., in tema di inefficacia delle alienazioni del bene pignorato, ed alla funzione pubblica del notaio, argomentata in particolare dall'art. 28 della l. n. 89 del 1913 e successive modificazioni (ex plurimis, Cass. III, n. 2444/1959, in Foto it., 1960, 1, 100, la quale, per la prima volta, ancorché incidentalmente, precisa che l'obbligo in oggetto, ricollegato alla prestazione professionale del notaio, non è subordinato ad un esplicito conferimento in capo al professionista dell'incarico di effettuare le visure). In tempi più recenti si è fatto riferimento agli artt. 4 e 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, in forza dei quali alle domande di voltura devono essere acquisiti i certificati catastali ed il notaio è tenuto alle verifiche catastali ed ipotecarie volte ad accertare la condizione giuridica ed il valore dell'immobile, quale attività distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell'atto (Cass. III, n. 13825/2004 la quale, dal principio di cui innanzi, argomenta che trattasi non di mera attività di «aggiornamento» dei dati catastali e, quindi, suscettibile di autonoma voce tariffaria). Successivamente, come sostenuto dall'attuale prevalente giurisprudenza di legittimità, fonte dell'obbligo per il notaio di porre in essere le attività accessorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, ed in particolare di effettuare le «visure catastali ed ipotecarie», è individuata nella diligenza che il professionista è tenuto ad osservare nell'espletamento della prestazione d'opera professionale, sia essa caratterizzata da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, perché necessarie in quanto tese ad assicurare la serietà e certezza dell'atto giuridico posto in essere (ex plurimis: Cass. II, n. 9320/2016; Cass. S.U., n. 13617/2012, per la quale l'omissione del detto obbligo è suscettibile anche di integrare l'illecito disciplinare di cui all'art. 138 della l. n. 89/1913; Cass. III, n. 13015/2006; in senso parzialmente difforme, ancorché da ritenersi ormai superato dalla pacifica giurisprudenza successiva, si vedano Cass. II, n. 23934/2004, e Cass. III, n. 2699/1994, le quali ritengono sussistente l'obbligo dell'effettuazione delle visure solo nell'ipotesi di vendita tramite atto pubblico e non nel caso in cui il notaio si limiti ad autenticare le firme apposte su di una scrittura privata interamente predisposta dagli stessi contraenti, salvo il conferimento di un espresso incarico in tal senso). L'obbligo di cui innanzi partecipa dunque della prestazione d'opera professionale alla quale è tenuto il notaio che non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di compilazione dell'atto, estendendosi, invece, anche alle attività preparatorie e successive volte ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto e del risultato pratico perseguito dalle parti, con conseguente eventuale responsabilità contrattuale. Pur caratterizzandosi, normalmente, quella del notaio, come prestazione di comportamenti e non di risultato, il professionista è difatti tenuto a predisporre i mezzi di cui dispone, in vista del conseguimento del risultato perseguito dalle parti, impegnando la diligenza ordinaria media rapportata alla natura della prestazione, ex art. 1176 comma 2, c.c. (ex plurimis, Cass. III, n. 14865/2013 per la quale le dette attività preliminari ed accessorie costituiscono obblighi derivanti dall'incarico conferito dal cliente, quindi ricompresi nel rapporto di prestazione d'opera professionale ex artt. 1176 e 2230 c.c., in quanto tese ad assicurare la serietà e la certezza dell'atto giuridico posto in essere, in conformità alla spirito dell'art. 1 della l. n. 89/1913). Cass. III, n. 15305/2013 precisa altresì che a nulla rileva in senso contrario, rispetto alla configurabilità della detta responsabilità contrattuale in capo al notaio, la circostanza dell'eventuale configurabilità di una responsabilità del venditore che abbia garantivo la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura (per la configurabilità di responsabilità solidale del notaio e di altro soggetto si vedano, ex plurimis: Cass. II, n. 7404/2015 e Cass. III, n. 5946/1999). In applicazione del principio è stata ritenuta sussistente la responsabilità del notaio che, chiamato a stipulare un atto di compravendita immobiliare tra l'avente causa del mutuatario ed un terzo, e sapendo dell'esistenza dell'ipoteca a garanzia del credito fondiario, aveva omesso di verificare l'esistenza di pignoramenti non solo a carico del venditore, ma anche a carico del mutuante e dante causa di quest'ultimo. Ciò sull'assunto che la banca concedente un mutuo fondiario garantito da ipoteca, soggetto alla disciplina del r.d. 16 luglio 1905 n. 646, in caso di inadempimento, può espropriare l'immobile ipotecato nei confronti del mutuatario, con atto opponibile anche all'avente causa di questi, e che tale nozione deve ritenersi necessariamente ricompresa tra le conoscenze di un notaio. In tali termini ha statuito Cass. III, n. 20991/2012, per la quale il contenuto della prestazione d'opera professionale del notaio è integrato, ex art. 1374 c.c., dall'obbligo di effettuare le attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, in particolare le «visure». Tale obbligo, fatta sempre salva la concorde dispensa ad opera di tutte le parti, resta fermo anche allorquando la libertà degli immobili compravenduti venga dedotta in condizione e non viene meno qualora tutte le parti del contratto abbiano reso dichiarazione di avveramento della condizione stessa. Con tale dichiarazione, infatti, le parti si limitano a darsi atto del ritenuto avveramento della condizione senza che sia ravvisabile una manifestazione di volontà diretta al notaio e intesa a dispensarlo dallo svolgimento delle attività necessarie per il conseguimento del risultato da esse voluto (Cass. I, n. 10493/1999). È stata altresì esclusa la possibilità di invocare, da parte del notaio, la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 c.c., con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. L'inosservanza del detto obbligo non sarebbe difatti riconducibile ad un'ipotesi di imperizia, alla quale si applica quella limitazione, bensì a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'art. 1176 comma 2 c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve (si vedano: Cass. III, n. 22398/2011, nella specie, il notaio aveva argomentato l'operatività dell'art. 2236 c.c. in forza dell'arretrato in cui versavano le Conservatorie all'epoca della stipula e per la necessità di esaminare le annotazioni provvisorie di cui al cd. «mod. 60»; Cass. II, n. 4427/2007; Cass. II, n. 4427/2005, che ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità del contratto di compravendita di un immobile che era risultato gravato da uso civico e del quale il venditore era solo colono perpetuo, condannando il notaio, in solido con il venditore, alla restituzione del prezzo, oltre accessori). L'inosservanza dei detti «obblighi accessori» darebbe luogo a responsabilità per inadempimento, in quanto gravanti in capo al notaio in forza del contratto di prestazione d'opera professionale, a nulla rilevando quindi che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, con la conseguente, ontologica, non configurabilità del concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c. (Cass. III, n. 26020/2011 e Cass. III, n. 24733/2007). Tale ultimo approdo, circa l'inoperatività, «ontologica», dell'art. 1227 c.c., sembrerebbe però porsi in contrasto con altro precedente arresto di legittimità, che invece argomenta dall'assunto per il quale tra notaio e cliente intercorrerebbe un rapporto professionale inquadrabile nello schema del mandato. In virtù di esso il professionista sarebbe tenuto a fare tutto quanto è nelle sue possibilità per la realizzazione del risultato pratico che il cliente si prefigge. La violazione di detto obbligo e l'eventuale danno che ne sia derivato non possono essere comunque posti a carico del notaio se il cliente non s'è premurato di evitarne l'incidenza, usando l'ordinaria diligenza di cui al secondo comma dell'art. 1227 c.c. Nei detti termini ha argomentato la Suprema Corte in un caso nel quale il cliente aveva acquistato con un unico atto due immobili, chiedendo di usufruire dei benefici concessi per l'acquisto della «prima casa»; l'Ufficio del registro aveva negato il riconoscimento beneficio ed il notaio aveva versato, di propria tasca, un'ulteriore somma per la registrazione, chiedendone poi il rimborso al cliente che si era rifiutato di rimborsare il professionista. Quest'ultimo aveva ottenuto decreto ingiuntivo oggetto però di opposizione accolta, sul presupposto che il notaio avrebbe dovuto supporre che, stipulando un unico atto, sarebbero sorte questioni per il conseguimento del beneficio in questione e che, in ogni caso, il notaio avrebbe dovuto coltivare il ricorso innanzi alla commissione tributaria. In applicazione del principio il Giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata, per avere il giudice di merito del tutto omesso di accertare se il cliente avesse adottato l'ordinaria diligenza per evitare l'incidenza del danno, sperimentando il menzionato ricorso tributario (Cass. I, n. 2396/1997). L'ontologica inconfigurabilità del concorso colposo del danneggiato è però ribadita da Cass. III, n. 13592/2019, per la quale in caso di inadempimento ai propri obblighi professionali il notaio non può invocare una diminuzione della propria responsabilità verso il cliente per il solo fatto che quest'ultimo non abbia controllato se la stesura dell'atto (nella specie, una dichiarazione di successione a fini fiscali) sia stata compiuta in modo tecnicamente corretto, stante che nel rapporto di prestazione di opera intellettuale colui che si rivolge ad un professionista ha diritto di pretendere una prestazione eseguita a regola d'arte ex art. 1176, comma 2, c.c. non essendo, per ciò stesso, ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c. La responsabilità in oggetto è esclusa solo nel caso di espresso esonero da tale incombenza, ad opera di tutte le parti contrattuali (ex plurimis: Cass. III n. 13592/2019, nonché la precedente Cass. III, n. 14865/2013) con clausola inserita nell'atto pubblico o nella scrittura privata autenticata, purché giustificata da esigenze concrete delle parti, in ipotesi motivate da ragioni di urgenza nel compimento dell'atto o da altre ragioni e, quindi, non già meramente di stile ma costituente parte integrante del contratto (ex plurimis: Cass. II, n. 9320/2016, in particolare per la necessità dell'espresso esonero ad opera di tute le parti contraenti; Cass. II, n. 21612/2009; Cass. III, n. 13015/2006; Cass. II, n. 5868/2006; Cass. III, n. 14934/2002). In tale ipotesi, non ha rilievo nemmeno il c.d. «dovere di consiglio» relativo alla portata giuridica della stessa clausola, giacché essa, implicando l'esonero da responsabilità del notaio, esclude la rilevanza di ogni spiegazione da parte del professionista. Oltre ad applicare il principio di cui innanzi la Suprema Corte, rigettando il ricorso avanzato da uno dei contraenti e confermando la sentenza impugnata, ha altresì ritenuto irrilevante che l'esonero da responsabilità a favore del notaio non fosse stato stabilito con clausola scritta, non essendo la scrittura richiesta per la sua validità, ed ha escluso che essa potesse essere considerata invalida ai sensi dell'art. 1229 c.c., non ponendosi come limitativa della responsabilità anche nei casi di dolo e colpa grave (Cass. III, n. 25270/2009; nel senso per il quale la clausola di esonero non possa ritenersi concessa implicitamente, neanche da una sola delle parti dell'atto, e non possa essere ricavata per facta concludentia, si vedano, per tutte: Cass. III, n. 26020/2011; Cass. III, n. 8470/2002). La responsabilità del notaio potrebbe comunque sussistere anche nel caso di espresso esonero dall'attività di cui innanzi, ad opera di tutte le parti contrattuali, nel caso in cui possa ritenersi gravante su di lui un dovere di informazione. Dovendo l'attività del professionista estendersi a quanto necessiti per assicurare la certezze degli effetti tipici dell'atto ed il risultato utile e pratico perseguito dalle parti, il notaio, pur esonerato dall'esecuzione delle visure, che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto di un'iscrizione pregiudizievole gravante sull'immobile oggetto della compravendita, deve informarne le parti, essendo tenuto comunque all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui all'art. 1176 comma 2, c.c., e della buona fede, ex art. 1375 c.c. (ex plurimis: Cass. civ. III, n. 15726/2010; Cass. III, n. 264/2006; Cass. III, n. 5158/2001). A nulla rilevando, peraltro, se sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura (Cass. III, n. 15305/2013; ritiene che la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e le visure dei registri immobiliari, in quanto funzionali alla corretta informazione del cliente sulla convenienza dell'atto, facciano parte dell'oggetto della prestazione d'opera intellettuale, anche, più di recente, Cass. II, n. 9320/2016; per la configurabilità di responsabilità solidale del notaio e di altro soggetto si vedano, ex plurimis: Cass. II, n. 7404/2015 e Cass. III, n. 5946/1999). Non incorre comunque in responsabilità per negligenza professionale il notaio che, nell'ipotesi di compravendita di un immobile gravato dalla trascrizione di una domanda giudiziale pregiudizievole chiaramente indicata nel rogito, abbia omesso di avvertire l'acquirente di ulteriori, ipotetici ed eventuali rischi, non prevedibili al momento della stipula, correlati alla proposizione, quale possibile sviluppo della controversia pendente, di altre domande non ancora avanzate. Proprio in applicazione di tale principio, la Cass. III, n. 20297/2019, ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità del notaio per non aver informato l'acquirente che, nell'azione di petizione ereditaria intentata dall'erede non legittimario asseritamente pretermesso nei confronti dell'erede testamentario, vi era il rischio di impugnazione del testamento olografo, divenuto oggetto di querela di falso successivamente alla stipula. Il notaio incaricato della stipula di un contratto avente ad oggetto diritti reali su beni immobili non può però limitarsi ad accertare la volontà delle parti e a sovrintendere alla compilazione dell'atto, essendo tenuto a compiere l'attività necessaria ad assicurare la serietà e certezza dei relativi effetti tipici, e il risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse, dal momento che contenuto essenziale della sua prestazione professionale è l'obbligo di informazione e consiglio. Così argomentando, Cass. III, n. 4911/2022 ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato la responsabilità professionale di un notaio il quale, in sede di stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario, aveva omesso di accertare che l'immobile ipotecato era incommerciabile, in quanto gravato da usi civici non affrancati. Tale orientamento è aderente a quanto già statuito da Cass. III, n. 7283/2021, per la quale il notaio incaricato della redazione e autenticazione di un contratto di compravendita immobiliare non può limitarsi ad accertare la volontà delle parti e sovrintendere alla compilazione dell'atto ma deve compiere l'attività necessaria ad assicurarne serietà e certezza degli effetti tipici e risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle dette parti, poiché contenuto essenziale della sua prestazione professionale è l'obbligo di informazione e consiglio. In particolare, egli è tenuto a compiere una verifica di natura tecnica ed essenzialmente giuridica che ricomprende anche la stabilità o meno nel tempo dei titoli giudiziali trascritti, dovendo acquisire informazioni presso la conservatoria dei registri immobiliari sulla loro definitività. In applicazione del principio la citata statuizione ha cassato la sentenza che aveva escluso la responsabilità professionale di un notaio rogante un atto di compravendita immobiliare senza compiere le opportune indagini in ordine al titolo di proprietà dell'immobile acquistato per usucapione dal venditore in forza di una sentenza di primo grado che, benché trascritta, era stata impugnata e, quindi, non recava l'attestazione di passaggio in giudicato, censurando anche l'affermazione del giudice di secondo grado per la quale l'informazione sulla definitività della menzionata sentenza fosse una nozione "alla portata di tutti". L'orientamento che riconduce alla diligenza professionale qualificata, di cui all'art. 1176 comma 2 c.c., l'obbligo del notaio di compiere le attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti (tre le quali le «visure catastali ed ipotecarie»), con le implicazioni di cui innanzi (anche in termini di non applicabilità della limitazione di responsabilità ex dell'art. 2236 c.c.), è messo in discussione con una recente sentenza di legittimità. Cass. III, n. 16990/2015 , in particolare, conviene con l'orientamento di cui innanzi circa il criterio per la valutazione della diligenza qualificata del professionista (nella specie notaio), ex artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c., ritenendola speciale e rafforzata e di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta. Precisa altresì, che l'art. 2236 c.c. non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza (per tutti, si veda, Cass. III, n. 16254/2012, in materia di contratto di appalto). Per converso, la citata sentenza del 2015, in ciò discostandosi dichiaratamente dall'orientamento di legittimità da lei stessa ricostruito, ritiene che l'omissione dell'obbligo del notaio di compiere le attività preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, di effettuare le visure catastali e ipotecarie, sia fonte di responsabilità per violazione non già dell'obbligo di diligenza professionale qualificata ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte. Essa, in primo luogo, è regola di comportamento, esplicazione del dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., trovando quindi applicazione a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali. Il consociato è quindi tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificandosi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità (ex plurimis: Cass. I, n. 1618/2009; Cass. III, n. 22819/2010; Cass. S.U., n. 28056/2008). La buona fede è altresì regola di interpretazione del contratto, in quanto, intesa quale buona fede oggettiva o criterio di correttezza, è criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte altra e diversa da quella eteronoma suppletiva (art. 1374 c.c.) sia da quella cogente (art. 1339 c.c.), imponendo di compiere quanto è necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, sempre nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, cioè tale da non sostanziarsi in attività gravose o eccezionali ovvero tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (ex plurimis, Cass. III, n. 6735/2005 e Cass. III, n. 2422/2004). Ne consegue, precisa la Suprema Corte, che l'impegno imposto dall'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza deve essere correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto ed alla qualità dei soggetti coinvolti. Sicché, con riferimento ai detti obblighi gravanti in capo al notaio, la clausola generale in oggetto deve essere valutata alla stregua della «causa concreta» dell'incarico conferito al professionista, in ragione cioè dello scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione e, quindi, dell'interesse che l'operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare, anche nel caso in cui il contratto di trasferimento non assuma la forma di atto pubblico bensì di scrittura privata autenticata (contra, nel senso per il quale il notaio incaricato della autenticazione di una scrittura privata, il cui contenuto sia stato predisposto già da altri o dagli stessi contraenti, non è tenuto ad effettuare le visure ipotecarie, a meno che non gli sia stato conferito incarico espresso, Cass. II, n. 23934/2004, la quale però riconduce l'obbligo in oggetto alla diligenza ex art. 1176 comma 2 c.c.). Nella specie, in applicazione del principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda risarcitoria nei confronti del notaio, il quale aveva rettificato un atto di compravendita – da lui stesso redatto – inserendovi un appezzamento di giardino, retrostante il fabbricato compravenduto, senza effettuare le visure che avrebbero permesso di accertare la diversa titolarità del terreno. L'esigenza di limitare lo «sforzo» (di diligenza o di «correttezza») del notaio entro limiti non eccessivamente onerosi, pur ritenendo non applicabile l'art. 2236 c.c. per i motivi anzidetti, è invero sentita anche dall'orientamento giurisprudenziale allo stato (almeno numericamente) prevalente che colloca gli obblighi in esame nell'ambito della diligenza qualificata, ex art. 1176 comma 2 c.c., considerandoli, quindi, oggetto della prestazione d'opera professionale, incidendo ciò anche sul versante della consistenza del relativo onere probatorio. Cass. III, n. 10133/2015 al riguardo, invero circostanziando ulteriormente un orientamento di legittimità già formatosi, ritiene determinante l'individuazione della portata della diligenza esigibile nel caso concreto al fine esonerare da responsabilità il notaio rogante, con specifico riferimento all'accertamento dell'esistenza o meno di formalità pregiudizievoli alla data della stipulazione dell'atto. Per la Suprema Corte, in particolare, non è esigibile, sotto il profilo della diligenza richiesta al notaio rogante, una condotta di verifica dei pubblici registri che, pur astrattamente idonea ad evitare il danno mediante il rilievo di tutte le iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, risulti in concreto eccessivamente onerosa per la quantità delle formalità da verificare (non tutte riferibili alla parte ovvero all'oggetto contrattuale) oppure per irregolarità nella tenuta dei registri o nella registrazione dell'atto in oggetto. Da tale impostazione deriverebbero altresì conseguenze sostanziali circa la consistenza dell'onere probatorio gravante in capo al professionista, convenuto per risarcimento danni, in merito alla inesigibilità di una condotta differente in termini quantitativi e temporali (per i riflessi in tema di riparto dell'onere probatorio si veda più dettagliatamente il paragrafo a ciò specificamente dedicato). Sempre argomentando della diligenza in concreto esigibile, in precedenza, è stata esclusa la responsabilità del notaio per non avere rilevato l'esistenza di un'iscrizione ipotecaria pregiudizievole, in occasione di una compravendita immobiliare, nell'ipotesi di errore causato da una condotta negligente del conservatore dei registri immobiliari, tale da aver reso di fatto impossibile l'individuazione dell'iscrizione ipotecaria con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale, cioè quella qualificata ex art. 1176 comma 2 c.c. (Cass. III, n. 16549/2012). Si è però precisato che lo sforzo di diligenza esigibile implica che il notaio debba effettuare le verifiche anche attraverso le risultanze del registro generale, ove il registro particolare non sia aggiornato, salvo il caso che, per il numero elevato di formalità da consultare, ciò costituirebbe un'attività eccessivamente onerosa. Nel qual caso, tuttavia, il notaio non può senz'altro ritenersi esentato dalla consultazione del registro generale ma è tenuto ad avvertire il cliente che le visure effettuate non sono aggiornate, in adempimento dell'obbligo di correttezza che presiede all'esecuzione del contratto e che si traduce nell'obbligo di informazione del professionista nei confronti del cliente (Cass. II, n. 1330/2004). Specifica però Cass. II, n. 7261/2003 che l'obbligo di verificare le risultanze del registro generale, in caso di mancato aggiornamento del registro particolare, può ritenersi sussistente purché tale mancato aggiornamento riguardi un periodo di tempo limitato. L'indagine alla quale è tenuto il professionista non va inoltre estesa oltre l'esame del registro particolare, attraverso il riferimento alla tavola alfabetica ed indagine nominativa, che consentono solo di reperire formalità già inserite nello stesso registro. Le stesse esigenze si pongono alla base di una limitazione del «dovere di consiglio» gravante sul notaio. Tale dovere integra il contenuto essenziale della sua prestazione professionale, non essendo egli il notaio un mero destinatario delle dichiarazioni delle parti, ed ha normalmente ad oggetto questioni tecniche, cioè problematiche, che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio, in ipotesi, che una vendita immobiliare possa risultare inefficace a causa della condizione giuridica dell'immobile trasferito. Tale contenuto non può però essere dilatato fino al controllo di circostanze di fatto il cui accertamento rientra nella normale prudenza, come la solvibilità del compratore nella vendita con pagamento dilazionato del prezzo, o l'inesistenza di vizi della cosa. Così argomentando la Suprema Corte ha ritenuto che qualora in sede di stipula di un atto di compravendita immobiliare l'alienante abbia dichiarato estinto il debito a garanzia del quale sia stata iscritta un'ipoteca sul bene, deve ritenersi che l'acquirente abbia controllato, secondo la diligenza normale del padre di famiglia, la veridicità di tale circostanza attraverso la richiesta di esibizione della relativa quietanza, senza che sia configurabile a carico del notaio l'obbligo professionale avente ad oggetto il consiglio di effettuare la relativa verifica (Cass. II, n. 7707/2007). Non costituisce altresì oggetto di un'obbligazione accessoria, rispetto a quella principale con cui un notaio si impegni a redigere l'atto di compravendita di un immobile già gravato da ipoteca a garanzia della restituzione di un credito fondiario, la notificazione, da parte del professionista, dell'avvenuto subingresso dell'acquirente – in qualità di mutuatario ed in forza di un contratto di accollo – nel contratto di mutuo fondiario (Cass. III, n. 11141/2013). Parimenti, il notaio che inserisca, nella redazione dell'atto pubblico di trasferimento immobiliare, la dichiarazione della parte venditrice, accettata dall'acquirente, di estinzione del debito garantito da ipoteca sull'immobile, con impegno a provvedere alla cancellazione di quest'ultima a proprie cura e spese, non risponde per la mancata veridicità della dichiarazione poiché non è tenuto ad alcuna attività accertativa a fronte di una espressione del potere valutativo del contraente, al quale solo spetta apprezzare il rischio di quella operazione negoziale (Cass. III, n. 21792/2015). Quando lo scopo pratico dell'atto è messo a rischio da mancate verifiche o dalle dinamiche tecniche proprie della negozialità, ha precisato Cass. VI-III, n. 21205 del 2022, il notaio deve rispondere anche per omessa informazione, oltre che per difetto delle doverose attività di accertamento; quando, invece, le parti hanno assunto impegni negoziali espressi, soggetti ad apprezzamento di affidabilità e convenienza (come quello alla cancellazione delle riscontrate formalità), il notaio non è tenuto a rispondere del susseguente inadempimento della parte obbligata. Per converso, il notaio incaricato della stipula di un atto di compravendita immobiliare risponde dei danni patiti dall'acquirente a causa dell'assenza nell'immobile dei requisiti per il rilascio del certificato di abitabilità, a nulla rilevando che la mancanza di quei requisiti potesse essere agevolmente accertata dall'acquirente stesso, quando non sia dimostrato che il professionista abbia informato il cliente di tale situazione e delle sue possibili conseguenze. In applicazione del principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso l'inadempimento del notaio con riferimento al contratto di prestazione d'opera professionale, ritenendo il professionista in grado di percepire, in base ai titoli di provenienza, la mancata consonanza dell'immobile compravenduto rispetto ai vincoli imposti in un atto d'obbligo intercorso tra il costruttore ed il Comune, e perciò tenuto a sollecitare l'attenzione delle parti stipulanti su detta situazione (Cass. III, n. 10296/2012). Per una concreta applicazione in sede di merito del principio in forza del quale l'inosservanza degli obblighi accessori e successivi rispetto all'atto rogato darebbe luogo a responsabilità per inadempimento, in quanto gravanti in capo al notaio in forza del contratto di prestazione d'opera professionale, si veda App. Milano I, n. 16/2014 (in Notaio.org). Tale sentenza di chiarisce difatti che il notaio rogante un atto di compravendita immobiliare non può rifarsi unicamente ai dati catastali del bene dovendone al contrario accertare l'effettiva proprietà in capo al venditore attraverso l'esame dei titoli di provenienza. Nella specie la Corte territoriale ha individuando la responsabilità del notaio (oltre che quella solidale del geometra che aveva errato nel frazionamento dell'immobile) per aver stipulato un contratto di compravendita avente ad oggetto anche un subalterno esulante dal diritto di proprietà dell'alienante, ravvisando la condotta colposa nell'aver il professionista redatto l'atto imitandosi a considerare soltanto le planimetrie predisposte dal geometra, senza consultare con la dovuta «perizia» i precedenti atti di provenienza. Per verificare che i beni siano realmente di proprietà dei venditori è necessario difatti accertarsi che i medesimi costituiscano l'oggetto del contratto d'acquisto da parte del dante causa. Tale accertamento va effettuato confrontando la descrizione e le coerenze dei beni oggetto del titolo di provenienza con quanto riportato nelle schede catastali redatte dal geometra e la mancata coincidenza delle due descrizioni dovrebbe indurre il notaio a rilevare l'errore o a far sorgere un dubbio in merito, da sciogliere con i dovuti controlli. Quindi, nel predisporre la descrizione del bene oggetto della compravendita il notaio non può limitarsi a richiamare i dati identificativi catastali risultanti dalle ultime schede catastali, dovendo invece esaminare il titolo di provenienza. Le risultanze dei registri catastali – preordinati a fini essenzialmente fiscali – difatti, come chiarisce il giudice di merito, hanno valore meramente indiziario e da esse non può trarsi la prova decisiva della consistenza degli immobili e della loro appartenenza. Quanto detto rileva tanto più se quelle risultanze sono contraddette da altre emergenze, in particolare risultanti dal titolo di provenienza, poiché, in tema di compravendita immobiliare, ai fini dell'individuazione dell'immobile oggetto del contratto, più che i dati catastali ha valore determinante il contenuto descrittivo del titolo ed i confini indicati nel titolo stesso. La c.d. «responsabilità da contatto sociale qualificato» nelle «Relazioni preliminari notarili» (e non solo). Ritiene che la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e le visure dei registri immobiliari, in quanto funzionali alla corretta informazione del cliente sulla convenienza dell'atto, facciano parte dell'oggetto della prestazione d'opera intellettuale, anche, più di recente, Cass. II, n. 9320/2016. Essa fa altresì un chiaro riferimento, ancorché in termini «alternativi», alla teoria del «contatto sociale qualificato» e, quindi, alla relativa responsabilità contrattuale (da «contatto sociale») del notaio nei confronti non solo del mutuatario-acquirente ma anche del mutuante. Con riferimento ad un caso in cui un soggetto interessato a stipulare un mutuo ipotecario con una banca aveva incaricato un notaio di effettuare le necessarie visure, la Suprema Corte ha infatti ritenuto che la relazione preliminare determini, in ogni caso, l'assunzione da parte del professionista dei relativi obblighi non soltanto nei confronti del mutuatario, il quale gli abbia da solo conferito l'incarico di effettuare le visure, ma anche della banca mutuante. Tale responsabilità nei confronti del mutuante il Giudice di legittimità la ritiene sussistente sia che si intenda l'istituto bancario quale terzo ex art. 1411 c.c., che beneficia del rapporto contrattuale di prestazione professionale concluso dal cliente mutuatario, sia che si individui un'ipotesi di responsabilità «da contatto sociale». Quest'ultima sarebbe fondata sull'affidamento che la banca mutuante ripone nel notaio in quanto esercente una professione protetta, ed avente perciò lo stesso contenuto di un'obbligazione contrattuale, indipendentemente dalla formale assunzione della qualità di committente nel contratto di prestazione d'opera professionale. L'applicazione della teoria in esame anche alla responsabilità professionale del notaio ha invero origini più risalenti, ancorché non remote, non essendo comunque limitata all'ipotesi di «relazioni preliminari». Il riferimento più risalente lo si rinviene, in particolare, in Cass. III, n. 14934/2002 che ha affermato, sebbene solo in termini astratti non ritenendo sussistenti i presupposti per un'applicazione alla fattispecie concreta, la configurabilità a carico del notaio in un caso di omessa cancellazione di ipoteca, della responsabilità da contatto sociale nei confronti della parte diversa dal cliente. Secondo tale sentenza, infatti, non vi è dubbio che l'attività professionale del notaio rientri tra quelle protette e crei un alto affidamento nel soggetto che riceve la prestazione. Sicché, anche nel caso in cui il notaio svolga la propria attività professionale in favore di un soggetto la sua attività deve sempre avere le stesse caratteristiche e qualità previste dalle norme di varia natura che ad essa presiedono, ciò anche nei casi in cui la prestazione non sia effettuata sulla base di un contratto di prestazione d'opera, sussistendo in ogni caso una sua responsabilità. Argomentando dalla natura contrattuale della responsabilità del notaio nei confronti del cliente, la Suprema Corte ha precisato inoltre che legittimato a farla valere è esclusivamente la parte che ha richiesto detta prestazione, concludendo il contratto d'opera professionale. Proprio nel fare applicazione del suindicato principio, è stata esclusa la detta legittimazione del ricorrente, avendo il giudice del merito rilevato, nell'impugnata sentenza, che in sede di stipula di contratto di permuta immobiliare l'incarico al notaio di provvedere alla cancellazione delle ipoteche era stato conferito da soggetti diversi dai ricorrenti per cassazione. È stata in particolare esclusa anche la possibilità di considerare, nella specie, in capo al notaio una responsabilità da «contatto sociale» nei confronti dei detti ricorrenti per cassazione, in quanto tale tipo di responsabilità presuppone l'effettuazione di una prestazione inesatta da parte dell'esercente la professione «protetta» che, nel caso concreto non era stata prestata in favore dei ricorrenti bensì di coloro – gli originari attori – che erano divenuti proprietari del bene ipotecato. Sembrerebbe però potersi evidenziare un'ipotesi di inversione logica del ragionamento testé riportato in quanto l'obbligazione corrispondente alla prestazione professionale (e non meri obblighi di protezione) nasce in capo all'esercente la professione «protetta» in quanto vi è stato il contatto sociale, non potendosi invece dire il contrario. Esplicitamente è stata fatta applicazione dell'art. 1411 c.c. nel ritenere che qualora il notaio non adempia correttamente la propria prestazione, compresa quella attinente alle attività preparatorie (tra cui il compimento delle visure catastali ed ipotecarie), la responsabilità contrattuale sia ipotizzabile nei confronti di tutte le parti dell'atto rogato (nella specie, il venditore che non aveva concluso il contratto con il professionista) se da tale comportamento abbiano subito danni e purché non lo abbiano (tutte) esonerato da tali attività. Cass. III, n. 14865/2013, in particolare, argomenta dalla funzione dell'attività del notaio, tesa ad assicurare la serietà, e la certezza degli atti giuridici (ex art. 1 della l. n. 89 del 1913). Per quanto il contratto di prestazione professionale possa essere stipulato con il notaio da una sola delle parti del contratto rogando, proprio per la suddetta funzione, creditori della corretta prestazione notarile sarebbero quindi tutte le parti del contratto redigendo. In questo caso il contratto di prestazione professionale del notaio (ricomprendente l'obbligo di porre in essere attività preparatorie ed accessorie), nei confronti della parte che non ha provveduto alla sua stipulazione, svolge gli effetti del contratto in favore di terzo ex art. 1411 c.c. Ne consegue che quest'ultimo soggetto può far valere direttamente nei confronti del professionista i suoi diritti alla corretta prestazione. Proprio in forza di queste argomentazioni, la Suprema Corte sostiene che solo la concorde volontà delle parti, e non solo quella del soggetto che ha concluso il contratto d'opera intellettuale con il notaio (e si è fatto carico del pagamento del compenso), possa esonerare il notaio dallo svolgimento delle attività accessorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, dal compimento delle c.d. «visure catastali e ipotecarie» allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà da pregiudizi. Delle connotazioni peculiari della funzione notarile, per cui aspetti privatistici della prestazione si intersecano con il carattere pubblico di interesse generale della attività professionale, ne discende che l'interesse al compimento delle visure, da parte del pubblico ufficiale, è non solo dell'acquirente ma anche del venditore, cui torna utile non trovarsi successivamente esposto, in caso di scoperta di vincoli o pesi sul bene ceduto, ad azioni di risoluzione, con inevitabili effetti restitutori, ovvero di garanzia o di risarcimento di danni. La teoria del contatto sociale qualificato è stata di recente applicata ad altra e differente fattispecie, inerente alla responsabilità del notaio delegato dal giudice dell'esecuzione per le operazioni di vendita nelle esecuzioni immobiliari ex art. 591-bis c.p.c., ritenendo che pur agendo il notaio quale sostituto del giudice (in quanto delegato ad una funzione pubblica) egli risponda nei confronti dei terzi, personalmente ed a titolo contrattuale (appunto, «da contatto sociale»). In particolare Trib. Avellino, n. 239/2016 (in Ridare.it), in primo luogo ha ritenuto che nel caso di cui innanzi il notaio, pur svolgendo la propria attività professionale, assuma le vesti di pubblico ufficiale ex art. 357 c.p.c., svolgendo attività di rilevanza pubblicistica, ed il ruolo di sostituto del giudice e non di suo ausiliario, per il quale invece troverebbe applicazione la responsabilità extracontrattuale ex art. 64 c.p.c. Sicché, il professionista risponderebbe nei confronti delle parti del procedimento per responsabilità contrattuale da «contatto sociale», in quanto, anche se il rapporto professionale si costituisce solo con il giudice, il notaio agisce nell'interesse della procedura e di tutti i soggetti in essa coinvolti che con lui vengano in contatto, compreso il debitore, dovendo operare con la diligenza qualificata di cui all'art. 1176 comma 2 c.c. Con riferimento alla funzione di sostituto del giudice, il tribunale di cui innanzi, esplicitamente, si pone in contrasto con un risalente orientamento di legittimità per il quale il notaio delegato sarebbe un ausiliario del giudice, in quanto soggetto privato estraneo all'ordine giudiziario ancorché attributario, in forza di delega, di specifiche competenza in quanto investito dal giudice di attribuzione strumentali all'esercizio della giurisdizione, con conseguente applicabilità dell'art. 64 citato (il riferimento è a Cass. II, n. 1545/1973, ancorché avente ad oggetto il consulente tecnico nominato dal giudice). Secondo un differente nonché recente orientamento, fatto proprio dalla sentenza in esame, l'attività del notaio delegato supererebbe i limiti dell'attività propria degli ausiliari in quanto di natura non esclusivamente accessoria o collaterale e tale invece da produrre gli stessi effetti processuali dell'attività del giudice, alla quale conseguirebbe, peraltro, l'inapplicabilità dell'art. 68 c.p.c. (Il riferimento potrebbe essere alle statuizioni che ravvisano un rapporto di servizio tra consulente e autorità, sia essa P.A. o autorità giudiziaria, tra le quali, ex plurimis: Cass. S.U., n. 19891/2014; Cass. S.U., n. 11/2012; Cass. S.U., n. 30786/2011; Cass. S.U., n. 23599/2010; Cass. III, n. 15030/2005, con particolare riferimento al commercialista nominato curatore fallimentare). A quanto detto sembrerebbe però appena il caso di aggiungere che la Cgue, II, Sentenza 9 marzo 2017 – Cause C-551/15 e C-484/15, ha statuito che i notai chiamati a svolgere un'attività nei procedimenti di esecuzione forzata in attuazione del Regolamento (UE) 805/2004 sul titolo esecutivo europeo non possono essere qualificati come giudici o come autorità giurisdizionali nazionali se il procedimento interno non rispetta il principio del contraddittorio. Pertanto, i mandati di esecuzione non sono assimilati ai titoli esecutivi europei e non godono, quindi, della libertà di circolazione fissata dal citato regolamento UE. Per la Corte, in particolare, la nozione di organo giurisdizionale formulata dal detto regolamento si riferisce unicamente alle autorità giudiziarie, sarebbe lo stesso contesto della libera circolazione delle decisioni, alla base del funzionamento del titolo esecutivo europeo, ad imporre un'interpretazione restrittiva degli elementi che definiscono la nozione di giudice. Una dottrina, pur condividendo la qualifica di sostituto del giudice e non di suo ausiliario, critica la riconducibilità della responsabilità del notaio, operante quale delegato dal giudice dell'esecuzione ex art. 591-bis c.p.c., a quella contrattuale da contatto sociale. Si evidenzia in particolare che nei casi nei quali la giurisprudenza ha attribuito alla responsabilità del notaio natura contrattuale da contatto sociale (trattasi dei casi innanzi già esaminati) il notaio era stato indubbiamente individuato e scelto da almeno una parte privata ed aveva svolto una pubblica funzione tipica notarile in senso stretto. Per converso, nell'ipotesi in esame, l'incarico proviene in via autoritativa dall'Autorità giudiziaria e riguarda una funzione tipica della giurisdizione, non sovrapponibile all'oggetto normale della «funzione protetta» del professionista delegato per cui quest'ultimo è gravato da obblighi di terzietà ed imparzialità del tutto sovrapponibili a quelli del giudice, del quale, appunto, è il sostituto e non mero ausiliario (Salvetti). Sembrerebbe potersi evidenziare però, in senso critico rispetto alle appena prospettate argomentazioni dottrinali, che la teoria del «contatto sociale qualificato» (e, quindi, della relativa responsabilità contrattuale) prescinde dalla «scelta» del professionista», come nel caso di responsabilità medica, fondandosi sul «contatto», sulla sua «qualificazione», in ragione dell'attività espletata e della sua rilevanza (anche ex art. 2 Cost.), e, quindi, sul conseguente obbligo di prestazione (e non di mera protezione) gravante in capo al professionista. È appena il caso di rilevare, difatti, a conferma delle esposte argomentazioni, che per costante orientamento giurisprudenziale (anche di legittimità) rileva anche il «contatto sociale» meramente fortuito, occasionale ed informale, con quanto ne consegue circa l''eventuale responsabilità professionale di natura contrattuale (come ribadito, di recente, da Cass. civ. III, n. 19670/2016, anche se con particolare riferimento al rapporto tra medico e paziente, la quale ha qualificato in termini di «contratto» il rapporto instauratosi a seguito del comportamento di un medico di base che, nel corso di un incontro occasionale con un suo assistito in procinto di partire per il Kenia, aveva suggerito una profilassi antimalarica, poi rivelatasi inefficace). Il notaio, oltretutto, pur se delegato dal giudice dell'esecuzione per le operazioni di vendita nelle esecuzioni immobiliari ex art. 591-bis c.p.c., rimane pur sempre un professionista, la cui attività deve pertanto sempre ispirarsi anche alle relative regole deontologiche. Quanto detto rileva maggiormente considerando che la Suprema Corte, la Sezioni Unite, ritiene coerente con le esigenze di tutela del prestigio dell'ordine professionale l'osservanza delle norme deontologiche nei rapporti in genere, anche da «contatto sociale», con riferimento ai quali il professionista (nella specie avvocato) ottenga fiducia ed ingeneri l'affidamento nel terzo in ragione della spendita della sua qualità (Cass. S.U., n. 6216/2005). Tale approdo delle Sezioni Unite, ancorché in merito ad un giudizio di responsabilità disciplinare per fatti commessi in assenza di un rapporto professionale, potrebbe avere ripercussioni rilevanti in tema di responsabilità professionale (contrattuale da «contatto sociale») non solo dell'avvocato ma anche (e, forse, a fortiori) del notaio. Ciò soprattutto laddove il «contatto» e, quindi, il ragionevole affidamento, possano dirsi ancor più qualificati in virtù delle delega conferitagli dal giudice dell'esecuzione (e dall'operare, il detto professionista, quale sostituto del giudice). La dissertazione di cui innanzi non è ovviamente fine a se stessa, in ragione delle sostanziali differenze tra le due tipologie di responsabilità. Quella extracontrattuale difatti, presuppone, sul piano soggettivo, la capacità di intendere e di volere del danneggiante, mentre tale capacità non è richiesta per configurare la responsabilità da inadempimento (art. 2046 c.c.). Il debitore colposamente inadempiente gode della limitazione del risarcimento al danno prevedibile al tempo in cui è sorta l'obbligazione (art. 1225 c.c.), mentre il danneggiante aquiliano è tenuto a risarcire tutti i danni arrecati nell'ipotesi di illecito doloso ma anche colposo (argomentabile dall'art. 2056 c.c.). L'autore dell'illecito aquiliano gode altresì di un regime di riparto dell'onere probatorio più favorevole rispetto al debitore, dovendo il danneggiato aquiliano provare il fatto illecito e non dovendo il creditore provare l'inadempimento ma solo allegarlo (oltre che provare il titolo). Il creditore non ha l'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, dovendo quest'ultimo provare il diligente (perito e prudente) adempimento ovvero la causa esterna, mentre sul danneggiato aquiliano grave l'onere di provare la colpa dell'autore del fatto illecito (salve ipotesi di responsabilità per colpa presunta od oggettiva). Differente è, infine, il regime della prescrizione, cinque anni nel caso di diritto al risarcimento danni da fatto illecito, ex art. 2947 c.c., e dieci anni per il diritto al risarcimento del danno da inadempimento, ex art. 2946 c.c. Autorevole dottrina, difatti, fa riferimento alla rilevanza del «contatto sociale» funzionale, in quanto volto ad uno specifico fine, ove è la stessa qualificazione professionale (nella specie del medico ma esportabile anche al notaio) fonte di affidamento da parte dei soggetti che ne vengono a contatto. Proprio dal detto affidamento, in combinato con il principio di buona fede, nascerebbero obblighi di conservazione dell'altrui sfera giuridica tali da caratterizzare l'eventuale responsabilità in termini non aquiliani ed attribuendole natura contrattuale (Castronovo, 2006, 482) ovvero collocandola in una zona di confine tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale (Lipari, 194). L'elaborazione dottrinal-giurisprudenziale italiana della responsabilità da contatto sociale evidenzia come essa stessa si sia resa autonoma rispetto all'originaria elaborazione in Germania, così conferendo forma giuridica a rapporti differenti da quelli di natura precontrattuale ma pur sempre caratterizzati da un affidamento reciproco tra le parti, generato dalla qualificazione giuridica di una delle parti, ove la buona fede è fonte di obblighi di protezione la cui violazione iscrive la relativa responsabilità nell'area contrattuale (Castronovo, 2015, 131). Danno: nesso causale e riparto dell'onere probatorioPer la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, la responsabilità del prestatore d'opera intellettuale, nei confronti del cliente, per negligente o imperito (ovvero imprudente) svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova, oltre che del titolo (contrattuale o da «contatto sociale»), del danno e del nesso eziologico tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, con allegazione dell'inadempimento qualificato del creditore (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. III, n. 1121372017, in materia di prestazione d'opera professionale avente ad oggetto la cura della contabilità fiscale) In tema di nesso causale oltre che di riparto dell'onere probatorio, con particolare riferimento alla responsabilità del notaio la giurisprudenza, in attuale continua evoluzione, tende ad applicare le comuni regole caratterizzanti la responsabilità contrattuale, in particolare nell'attività professionale. Riparto dell'onere probatorio. La giurisprudenza di legittimità nell'attualità è giunta a rivisitare la sua impostazione in merito agli effetti, anche in termini di riparto dell'onere probatorio, della distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, con particolare riferimento anche alla materia della responsabilità professionale ed in specie a quella del notaio. Dalla tradizionale distinzione di cui innanzi si argomentava difatti per sostenere che, nelle obbligazioni di mezzi, essendo aleatorio il risultato, incombesse sul creditore l'onere di provare che il mancato risultato fosse dipeso da scarsa diligenza (o perizia o prudenza) e che, nelle obbligazioni di risultato, per converso, incombesse sul debitore l'onere di provare che il mancato risultato fosse dipeso da causa a lui non imputabile. La distinzione tra le due tipologie di obbligazioni, pur conservando la funzione descrittiva innanzi evidenziata, è invece superata, quanto meno in tema di riparto dell'onere probatorio, già da Cass. S.U., n. 13533/2001, cit., che sancisce il principio della vicinanza della prova, oltre che a partire dalla già citata Cass. S.U., n. 577/2008, anche se con particolare riferimento alla responsabilità professionale medica (si veda quanto chiarito nei precedenti paragrafi). La Suprema Corte, con la citata sentenza a Sezioni Unite del 2001, afferma difatti che il meccanismo di ripartizione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., in materia di responsabilità contrattuale, in conformità a criteri di ragionevolezza per identità di situazioni probatorie, di riferibilità in concreto dell'onere probatorio alla sfera di azione dei singoli soggetti e di distinzione strutturale tra responsabilità contrattuale e da fatto illecito, è identico, sia che il creditore agisca per l'adempimento dell'obbligazione, ex art. 1453 c.c., sia che si domandi il risarcimento per inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c., senza che rilevi in alcun modo alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato. In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, quindi anche nascente da contratto di prestazione d'opera intellettuale (o da «contatto sociale qualificato»), in virtù del principio da ultimo citato, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte. Graverà invece sul creditore convenuto l'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Identico criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento, ex art. 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione. Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. Nell'affermare il principio di diritto che precede, le Sezioni Unite precisano altresì che esso trova un limite nell'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell'inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l'adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento (Cass. S.U., n. 13533/2001, cit.). Sicché, chiariscono nel 2008 le Sezioni Unite, proprio in applicazione del suddetto principio della vicinanza della prova, che, come detto, prescinde nella sua applicazione dalla dogmatica distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. di comportamento (o di mezzi) non è qualunque inadempimento bensì solo quello causa (o concausa) efficiente del danno. L'allegazione del creditore non può dunque attenere ad un inadempimento qualunque esso sia ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno (Cass. S.U., n. 577/2008, cit.; si vedano altresì, nel senso che è qualificato l'inadempimento quando è astrattamente idoneo a provocare, quale causa o concausa efficiente, l'evento di danno, ex plurimis, con particolare riferimento all'attività ella professione medica, Cass. III, n. 20547/2014, Cass. III, n. 27855/2013). La natura contrattuale della responsabilità del professionista (anche del notaio), quindi, in applicazione degli evidenziati principi di cui alle Sezioni unite del 2008, implica, sotto il profilo del riparto dell'onere probatorio, che incombe in capo all'attore che agisca per il risarcimento del danno l'onere di provare il titolo (il contratto o il «contatto sociale qualificato») ed il danno e di allegare (quindi non provare) l'inadempimento qualificato del professionista (cioè astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato). A carico del debitore (quindi anche del professionista notaio) resta invece l'onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, perito e prudente e che, quindi, l'inadempimento non vi è stato ovvero che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta, cioè rapportata alla concreta attività posta in essere ex art. 1176 comma 2 c.c. Il debitore potrà altresì provare che, pur se a lui imputabile, l'inadempimento o l'inesatto adempimento non è stato causalmente rilevante. Il detto criterio di riparto non muta neanche in ragione dell'eventuale operare della limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c., gravando sul professionista debitore la prova della sussistenza dei presupposti per l'operabilità della norma di cui innanzi (ex plurimis: Cass. III, n. 24791/2008; Cass. III, n. 583/2005). La diligenza esigibile dal professionista o dall'imprenditore, nell'adempimento delle obbligazioni assunte nell'esercizio delle loro attività, è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione a loro richiesta. Nella controversia concernente l'inadempimento contrattuale del professionista, pertanto, questi, per andare esente da un giudizio di condanna, ha l'onere di provare che l'insuccesso è dipeso da causa a lui non imputabile anche quando la prestazione richiestagli richiedeva la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, posto che problemi speciali esigono dal professionista una competenza speciale. Né a tale conclusione osta l'art. 2236 c.c., il quale non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza (ex plurimis, Cass. III, n. 16254/2012, con riferimento, in generale, alle prestazioni d'opera professionale e, in particolare, nella materia dell'appalto). Nonostante rimanga immutato il riparto dell'onere probatorio comunque, acclarata la colpa del professionista, il rilievo che la prestazione eseguita comporta la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà può essere compiuto d'ufficio dal giudice sulla base di risultanze istruttorie ritualmente acquisite, non formando oggetto di un'eccezione in senso stretto (Cass. III, n. 25746/2015). La domanda di risarcimento del danno, basata sulla colpa grave, peraltro, contiene quella per colpa lieve, senza che, pertanto, la pronuncia di condanna fondata su colpa lieve del professionista possa dar luogo a vizio di ultrapetizione (Cass. II, n. 8546/2005). In dottrina si prospetta l'applicazione, anche con riferimento alla responsabilità professionale, del principio della «vicinanza della prova», in forza del quale la dimostrazione di determinati fatti deve essere fornita da chi è più vicino ad essi e, quindi, alla loro prova, che permea di sé la responsabilità anche contrattuale. Trattasi di principio già fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità anche con riferimento alla responsabilità professionale, sul presupposto che essa abbia natura contrattuale (da contratto a da «contatto sociale»), laddove, invece, le regole di riparto muterebbero sensibilmente nel caso di responsabilità extracontrattuale. Sicché, graverebbe in capo al cliente, in quanto creditore della prestazione professionale, l'onere di provare non solo il titolo ma anche il non raggiungimento del risultato ovvero la mancata tenuta della condotta (oltre che il danno ed il nesso eziologico). Graverebbe invece sul professionista, in quanto debitore della prestazione professionale, dimostrare l'esatto adempimento mediante la dimostrazione della diligenza e della perizia impiegate e della causa non imputabile (Fortino, 65, anche con riferimento alla responsabilità del professionista legale). La dottrina pone in evidenza la necessità, sempre più sentita soprattutto dai giudici di merito ma anche dalla Suprema Corte, di adattare alle singole concrete fattispecie oggetto del contendere ai principi della «presunzione di persistenza del diritto insoddisfatto e della «riferibilità o vicinanza o disponibilità della prova». Trattasi di principi elaborati, in generale, in tema di inadempimento delle obbligazioni, ed in particolare con riferimento alla responsabilità per autolesione dell'alunno, in merito alla tutela reale per il lavoratore ingiustamente licenziato oltre che nella materia della responsabilità professionale. Muovendo dall'art. 1312 del c.c. previgente ed analizzando l'attuale art. 2967 c.c. (quale disposizione in bianco), in relazione all'art. 24 Cost., si concorda con la circostanza per la quale il riparto dell'onere probatorio tra creditore-attore e debitore-convenuto debba ritenersi non «cristallizzato» sulla rigida posizione che gli stessi occupano nel rapporto giuridico obbligatorio ma, al contrario, debba ancorarsi alla concreta vicenda oggetto del contendere. Solo così argomentando il principio della riferibilità della prova può essere ricondotto, come insegna la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, all'art. 24 Cost. che connette al diritto di azione in giudizio il divieto di interpretare la legge in modo da renderne impossibile o troppo difficile l'esercizio (Antezza, 2006, 6, 29). Rimane però il problema, evidenziato dalla detta dottrina, dell'«ancoraggio» della decisione del giudice in merito all'individuazione del soggetto «più vicino alla prova», a parametri non fissi ma comunque tali da non mettere in crisi un altro importante principio giuridico, quello della certezza del diritto. Esso, difatti, si pone a base del giudizio circa la ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale che ogni soggetto deve (rectius: dovrebbe) effettuare prima di agire o resistere in giudizio. Per tale tesi, quindi, ci si deve chiedere se in ogni caso di obbligazioni di mezzi, coincidendo l'inadempimento con il difetto di diligenza e/o di perizia (rapportato al risultato voluto dal debitore), la prova sia sempre «vicina» a chi debba eseguire la prestazione. Ci si deve quindi domandare se, perlomeno in alcuni casi, vi sia spazio per opinare diversamente sempre muovendo dalle circostanze concrete, ricordando che l'articolo 24 Cost., oltre a sancire il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, invocato a giustificazione dell'applicazione dei citati principi in tema di riparto dell'onere probatorio, dispone che la difesa, anche del debitore professionista-convenuto, è diritto inviolabile. Tale diritto potrebbe rischierebbe quindi di divenire di «impossibile o troppo difficile esercizio» qualora si «cristallizzasse» l'onere della prova dell'adempimento in capo al professionista a prescindere da una attenta considerazione del caso concreto (Antezza, 2006, 6, 29; per il riparto dell'onere probatorio nelle prestazioni d'opera professionali, in particolare in merito alla responsabilità medica per «danno da nascita oltre la volontà del genitore» per mancata diagnosi di malattia del feto, si veda anche Antezza, 2006, 7-8, 15; per l'onere della prova dell'inesatto o del mancato adempimento della propria prestazione da parte del notaio, si veda, per tutti, Celeste, 321). Con particolare riferimento proprio alla responsabilità professionale del notaio, la giurisprudenza di legittimità mostra di coordinare i suddetti principi governanti il riparto dell'onere probatorio con il principio della diligenza esigibile, ancorché qualificata ex art. 1176 comma 2 c.c. Si avverte difatti l'esigenza di limitare lo «sforzo» di diligenza del notaio entro limiti non eccessivamente onerosi soprattutto con riferimento alla c.d. responsabilità da relazioni preliminari notarili. Cass. III, n. 10133/2015 al riguardo, come già evidenziato trattando delle attività accessorie e successiva all'atto rogato o rogando, invero circostanziando ulteriormente un orientamento di legittimità già formatosi, ritiene determinante l'individuazione della portata della diligenza esigibile nel caso concreto al fine esonerare da responsabilità il notaio rogante, con specifico riferimento all'accertamento dell'esistenza o meno di formalità pregiudizievoli alla data della stipulazione dell'atto di compravendita immobiliare. Per la Suprema Corte, in particolare, non è esigibile, sotto il profilo della diligenza richiesta al notaio rogante, una condotta di verifica dei pubblici registri che, pur astrattamente idonea ad evitare il danno mediante il rilievo di tutte le iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, risulti in concreto eccessivamente onerosa per la quantità delle formalità da verificare (non tutte riferibili alla parte ovvero all'oggetto contrattuale) oppure per irregolarità nella tenuta dei registri o nella registrazione dell'atto in oggetto. Ne consegue quindi, in ragione della natura contrattuale della responsabilità in esame e della necessaria verifica in concreto della diligenza esigibile, l'onere probatorio in capo al notaio convenuto di delimitare l'ambito della diligenza da lui esigibile nel caso concreto. Egli deve in particolare dare conto non solo dell'estensione quantitativa e temporale degli accertamenti e delle visure esperite ma anche di quelle esperibili nonché della regolarità o meno delle registrazioni effettuate dalla conservatoria nel periodo in contestazione. Nel caso in cui si contesti la regolarità di una singola registrazione, sul notaio grava altresì l'onere di provare l'idoneità della specifica registrazione a rendere infruttuose eventuali ricerche del titolo reso pubblico. In applicazione del principio la citata Cass. III, n. 10133/2015 ha confermato la condanna, non avendo il notaio offerto la prova né delle visure effettuate né di quelle esperibili, in ragione delle condizioni di lavoro della conservatoria nei giorni immediatamente precedenti la stipula dell'atto (per un'applicazione in sede di merito del riparto dell'onere probatorio in merito ad una ipotesi di responsabilità per «relazione notarile preliminare» avente ad oggetto le visure catastali ed ipotecarie, con particolare riferimento al nesso eziologico tra condotta colpevole del notaio, danno evento e danno conseguenza, ex plurimis, si veda Trib. Bologna, III, n. 2095/2016; più in particolare, per la prova del nesso eziologico si rinvia al paragrafo successivo). Il nesso eziologico: il danno risarcibile, «forma» del risarcimento e solidarietà passiva. La giurisprudenza di legittimità, come evidenziato nei paragrafi precedenti, ritiene configurabile la responsabilità professionale del notaio che rogiti un contratto di compravendita immobiliare senza compiere le visure dei pubblici registri per verificare la libertà e disponibilità dell'immobile ovvero che non adempia agli obblighi accessori ancorché successivi alla stipula dell'atto e, più in generale, nel caso di inadempimento della prestazione d'opera professionale. Necessita però sempre la verifica della sussistenza di un nesso eziologico tra l'evento di danno causato dall'inadempimento (consistente in ipotesi nell'acquisto di un bene gravato da formalità pregiudizievole ovvero nella mancata trascrizione di un atto di vendita) ed il danno conseguenza di tale evento. Sicché occorre valutare in quale situazione economica il cliente si sarebbe trovato qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione. I detti principi trovano altresì applicazione in generale con riferimento alla risarcibilità dei danni da responsabilità professionale del notaio (ad esempio per illegittimo protesto). Con particolare riferimento all'omessa esecuzione delle visure tale implicante l'omessa informazione al cliente in merito al vincolo gravante sull'immobile, la Suprema Corte, proprio in applicazione del detto principio, nel caso in cui il prezzo di una compravendita immobiliare risultava essere stato corrisposto quasi per intero dall'acquirente in data anteriore alla stipulazione dell'atto notarile, ha ritenuto identificabile il danno risarcibile unicamente nel versamento della parte residua del corrispettivo. Ritenendo, per converso, il pregiudizio anteriormente subito dal cliente riconducibile ad una serie causale del tutto indipendente dalla condotta del notaio (Cass. III, n. 18244/2014; si veda altresì Cass. II, n. 18376/2004 per la quale la sola esistenza del vincolo, oggetto di informazione omessa per colpa dal notaio rogante, non è di per se sola tale da sorreggere la domanda risarcitoria dell'acquirente). Nel caso di prezzo interamente pagato antecedentemente al momento della stipula del contratto, nonostante l'omesso accertamento da parte del notaio dell'esistenza di una trascrizione pregiudizievole sull'immobile, l'unico danno risarcibile ascrivibile al professionista è stato ritenuto consistente nelle spese connesse al rogito (ex plurimis: Cass. III, n. 3657/2013, per la quale ai fini dell'accertamento del danno occorre valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione; Cass. III, n. 16905/2010; per un'applicazione in sede di merito del necessario accertamento del nesso eziologico tra condotta colpevole del notaio, danno evento e danno conseguenza, in merito ad una ipotesi di responsabilità per «relazione notarile preliminare» avente ad oggetto le visure catastali ed ipotecarie, si veda, ex plurimis, Trib. Bologna III, n. 2095/2016). Cass. III, n. 15761/2018 ha però ritenuto irrilevante la circostanza dell'avvenuto intero pagamento del prezzo antecedentemente al rogito in un caso nel quale l'attore aveva agito per il risarcimento dei danni consistenti nella somma aggiuntiva che era stato costretto a pagare al fine di rendere l'immobile acquistato libero dall'iscrizione esistente. In tale circostanza, la detta sentenza ha difatti precisato che Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie e di pignoramenti sull'immobile, può essere condannato al risarcimento per equivalente commisurato, quanto al danno emergente, all'entità della somma complessivamente necessaria perché l'acquirente consegua la cancellazione del vincolo pregiudizievole, la cui determinazione deve essere rimessa al giudice di merito (nello stesso senso, circa i criteri di quantificazione del danno emergente, si veda anche Cass. III, n. 22820/2017). Il notaio che, incaricato della stipulazione di un contratto di compravendita di una quota ideale di bene in comunione ereditaria, ometta di accertarsi della sussistenza della trascrizione di una domanda di divisione, viola gli obblighi di buona fede exart. 1175 c.c., finalizzati a garantire la più ampia tutela possibile alla libertà negoziale delle parti, incorrendo in responsabilità professionale per non aver posto l'acquirente in condizione di valutare pienamente opportunità e convenienza dell'affare all'esito della ponderazione della situazione di litigiosità della res (Cass. III, n. 2525/2019). In tema di vendita, la responsabilità risarcitoria del notaio, che non abbia comunicato all'acquirente l'esistenza di una trascrizione pregiudizievole, non può però essere automaticamente commisurata al valore del bene oggetto dell'evizione, dovendosi all'uopo verificare se il prezzo di acquisto sia stato effettivamente corrisposto dall'acquirente: il danno da evizione totale è infatti commisurato proprio alla restituzione del prezzo, oltre al rimborso delle spese della vendita ed ai frutti che l'acquirente abbia dovuto corrispondere a colui dal quale sia stato evitto, gli accessori e le spese giudiziali. Così argomentanto Cass. I, n. 17810/2019ha cassato con rinvio la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva commisurato il danno risarcibile dal notaio al valore del bene oggetto dell'evizione a prescindere dalla circostanza, pur indicata in sentenza, che un prezzo di acquisto non era mai stato corrisposto. Medesime sono le argomentazioni nel caso di inosservanza degli obblighi inerenti attività non preliminari all'atto di compravendita ma comunque accessorie ancorché successive, come nel caso di tardiva trascrizione dell'atto di compravendita rogato ovvero di tardiva iscrizione ipotecaria, oltre che di omessa annotazione da parte del professionista della revoca della procura a vendere. Nel caso di tardiva trascrizione dell'atto di compravendita, in particolare, il mancato guadagno derivante all'acquirente dall'impossibilità di rivendere il bene a terzi, per la presenza del vincolo ipotecario nel frattempo iscritto, non giustifica, di regola, un risarcimento a carico del notaio, non assumendo la mancata vendita carattere di definitività, tale da determinare un corrispondente, definitivo, depauperamento del patrimonio nel suo concreto valore, salvo il concorso di particolari fattori, da provarsi da parte dell'attore. Tra i quali fattori possono annoverarsi, esemplificativamente, il mancato impiego del numerario in attività vantaggiose e l'impossibilità di realizzare in futuro lo stesso prezzo per il quale si è ricevuta offerta per effetto del mutamento di valori immobiliari (Cass. III, n. 19493/2013; in precedenza si veda anche Cass. III, n. 6 del 1994). Parimenti, in ipotesi di tardiva iscrizione ipotecaria, nonostante l'incarico di effettuare tempestivamente l'iscrizione, occorrerà verificare se il cliente avrebbe potuto, con ragionevole certezza, conseguire una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il notaio avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione. Cass. II, n. 566/2000 , in particolare, non si limita ad affermare il detto principio ma chiarisce che nel caso in cui il notaio che abbia ricevuto un atto soggetto ad iscrizione o a trascrizione debba procurare che questa venga eseguita nel più breve tempo possibile ovvero immediatamente, su richiesta del cliente, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito e alla sua libera valutazione, l'accertamento del rispetto delle tempistiche, in relazione alla diligenza richiesta ex art. 1176 comma 2 c.c. ed esigibile con riferimento alla circostanze del caso concreto. Sicché occorrerà tenere in debito conto le determinanti del caso concreto attinenti sia ai tempi che ai mezzi di normale impiego per l'esecuzione dell'iscrizione (o della trascrizione), sia alle evenienze non imputabili al notaio, al fine di verificare se l'indugio frapposto dal professionista giustifichi l'affermazione della sua responsabilità contrattuale verso il cliente. Nel caso di assenza di una esplicita richiesta delle parti di procedere alla trascrizione «immediatamente» ovvero entro un ben preciso ed indicato termine comunque il notaio, al pari di altro pubblico ufficiale che abbia ricevuto o autenticato l'atto, ex art. 2671 c.c. ha l'obbligo di curare che la trascrizione venga eseguita «nel più breve tempo possibile». Con la detta norma il legislatore ha difatti escluso la predeterminazione, per tale adempimento, di un termine unico, applicabile in tutti i casi, sicché il notaio, nell'assolvimento dell'obbligo suddetto, deve usare quella particolare sollecitudine imposta dall'importanza della formalità e dall'esigenza della più pronta tutela dell'interesse delle parti, indipendentemente da una esplicita richiesta delle stesse, da valutarsi con riferimento alle circostanze del caso concreto ed in ragione del parametro di cui all'art. 1176 comma 2 c.c., al fine di una sua eventuale responsabilità contrattuale verso il cliente (ex plurimis, Cass. III, n. 4111/1990; negli stessi termini Cass. III, n. 3433/1981, la quale precisa che il detto termine non è automaticamente individuabile in quello di trenta giorni, previsto, per i diversi fini meramente fiscali, dallo stesso art. 2671 c.c. nonché da leggi tributarie in materia di imposte ipotecarie). Nel solco interpretativo di cui innanzi Cass. II, n. 1439/2023 chiarisce che In tema di responsabilità del notaio, l'art. 2671 c.c., richiedendo che la trascrizione dell'atto sia effettuata dal pubblico ufficiale "nel più breve tempo possibile", non effettua una rigida predeterminazione del termine, che spetta al giudice del merito stabilire di volta in volta, avuto riguardo alla particolare sollecitudine con la quale la prestazione contrattuale richiesta al professionista deve essere espletata; ne deriva che in caso di reiterati ritardi nel compiere la trascrizione degli atti ricevuti o autenticati sussiste la responsabilità disciplinare del notaio, senza che assuma alcun rilievo l'eventuale danno subito dalle parti stipulanti. Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte d'appello che aveva ritenuto sussistere la responsabilità del notaio che aveva ripetutamente registro atti dallo stesso rogati oltre il termine di venti giorni. Ciò è stato affermato con la precisazione per cui deve ritenersi che l'art. 2671 c.c. non sia stato abrogato implicitamente dall'entrata in vigore degli artt. 3 bis del d.lgs. n. 463 del 1997 e 4 del d.P.R. n. 308 del 2000, non sussistendo una incompatibilità fra queste disposizioni, relative all'individuazione di un termine per l'adempimento tributario connesso alla redazione telematica dell'atto, e la precedente norma codicistica, volta invece a prescrivere a carico dei notai e degli altri pubblici ufficiali un obbligo di natura privatistica verso le parti interessate. Il notaio che invece omette di annotare sull'originale la revoca della procura, così come è prescritto dall'art. 59 della l. n. 89/1913, consentendo, in tal modo, al procuratore di vendere, dopo e nonostante la revoca della procura, un immobile che in precedenza, nella qualità, aveva promesso in vendita, risponde dei danni conseguenti alla vendita solo se sia in concreto provato che, senza tale atto, i proprietari del bene promesso in vendita avrebbero potuto sottrarsi all'obbligo di alienazione – coercibile a norma dell'art. 2932 c.c. – contratto, nel loro nome, dal procuratore prima della revoca della procura, ed avrebbero potuto così evitare il trasferimento del bene (Cass. III, n. 5630/1993). Nella materia che ci occupa occorre altresì evidenziare che il risarcimento del danno futuro (sia in termini di danno emergente che di lucro cessante) non può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi al momento del giudizio e, quindi, deve avvenire secondo un criterio di rilevante probabilità. Sicché il rischio concreto di pregiudizio è configurabile quale danno futuro ogni volta che l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocabilmente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto. In applicazione del principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del notaio, pur avendone accertato la negligenza, in relazione alla compravendita di un immobile gravato da ipoteca per il quale l'istituto di credito aveva richiesto all'acquirente il pagamento della frazione di mutuo rimasta insoluta (Cass. civ. III, n. 10072/2010). Con particolare riferimento ai c.d. danni da illegittimo protesto di assegno bancario, la Suprema Corte chiarisce che la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all'esistenza di un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente al risarcimento, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, oltre alla mancanza di un'efficace rettifica. Fermo restando però l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l'esistenza e l'entità del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il profilo dell'onore e della reputazione, o la lesione della vita di relazione o della salute. In applicazione del suddetto principio, Cass. I, n. 23194/2013 ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto il danno non provato, attesa la pubblicazione sul bollettino con la causale «firma contestata» e l'annotazione che la firma fosse risultata «apocrifa». Nello stesso senso Cass. III, n. 2216/2012 la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento, evidenziando come il ricorrente, in quanto soggetto pluriprotestato, avesse l'onere di provare che il protesto in oggetto, benché illegittimamente elevato, aveva leso la sua reputazione professionale, procurandogli un danno sul piano dell'affidabilità commerciale e dell'immagine sociale ulteriore rispetto alla già maturata compromissione di tali valori conseguente ai precedenti plurimi protesti. In senso conforme anche Cass. I, n. 7211/2009 la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la generica domanda di risarcimento in cui si accennava a spese in sede penale e per azioni tendenti a limitare il danno, senza provarle, e senza provare altri pregiudizi patrimoniali riconducibili all'attività professionale svolta. Provato il danno nei termini di cui innanzi, il risarcimento può anche essere disposto in forma specifica, mediante la condanna alla cancellazione del vincolo taciuto, con il pagamento della somma necessaria a tal fine ed il compimento delle necessarie formalità (ex plurimis: Cass. III, n. 22223/2014; Cass. III, n. 15305/2013, la quale precisa che ai detti fini non necessita il consenso del creditore procedente; Cass. III, n. 6/1994). La possibilità del risarcimento in forma specifica nella fattispecie in esame necessita però di essere coordinata con la procedura esecutiva eventualmente in atto con riferimento a quel bene, essendo quindi condizionata alla possibilità di ottenere, a tal fine, il consenso del creditore procedente, e che il relativo incombente non sia eccessivamente gravoso, sia per la natura dell'attività occorrente, che per la congruità, rispetto al danno, della somma da pagare (Cass. III, n. 903/2013, si veda, negli stessi termini, anche Cass. II, n. 14813/2006). Sotto il versante processuale, poi, Cass. III, n. 22223/2014 evidenzia che il risarcimento del danno in forma specifica rappresenta, rispetto a quello per equivalente, una forma – più ampia ed onerosa per il debitore – di ristoro del pregiudizio dallo stesso arrecato. Con la conseguenza che costituisce una mera emendatio libelli, consentita anche in sede di precisazione delle conclusioni, la richiesta di risarcimento per equivalente avanzata in corso di giudizio, nonostante nell'atto introduttivo dello stesso fosse stato domandato il risarcimento in forma specifica. Tale principio nella specie è stato proprio applicato in un caso di responsabilità professionale di un notaio, per non avere reso edotti gli acquirenti di un immobile dell'esistenza di un pignoramento sul bene. Gli aventi causa, pur avendo chiesto inizialmente il risarcimento in forma specifica, mediante cancellazione della trascrizione e, comunque, il ristoro dei danni eventualmente dovuti dall'esecuzione coattiva, avevano difatti successivamente domandato, al momento della precisazione delle conclusioni, il risarcimento del danno per equivalente, sotto forma di rimborso del prezzo dell'immobile. Il risarcimento potrebbe altresì essere disposto per equivalente ma quantificato in base all'importo necessario per la cancellazione del vicolo, a nulla rilevando l'effettivo utilizzo da parte dell'attore del detto denaro per l'effettiva liberazione del bene, non attenendo ciò alla liquidazione del danno, invece ritenuto sussistente e quantificato, ma a mera scelta gestionale del creditore che ben può conservare il bene gravato da vincolo e, quindi, con il danno del suo minor valore commerciale (Cass. III, n. 14865/2013). In merito Cass. III, n. 26192/2020 ha ulteriormente chiarito che Il notaio rogante il contratto di compravendita di un immobile che abbia omesso di effettuare le dovute visure ipotecarie è tenuto a risarcire all'acquirente del cespite, successivamente sottoposto ad esecuzione immobiliare da parte del creditore ipotecario, un danno commisurato all'effettivo nocumento sofferto dall'acquirente; questo può essere liquidato in misura pari al valore dell'immobile perduto a seguito della vendita forzata ovvero, per equivalente, all'esborso necessario per ottenere l'estinzione del processo esecutivo e la cancellazione dell'ipoteca, in tale senso lato potendosi intendere le spese di purgazione dell'immobile e, cioè, la sua sottrazione al rischio di legale evizione nel corso della procedura espropriativa. Nei precedenti paragrafi, in più circostanze, si è dato atto della possibilità del configurarsi di solidarietà passiva nell'obbligo risarcitorio tra notaio ed altri soggetti (in ipotesi il venditore). Essa si giustifica in virtù del più generale principio per il quale tra i corresponsabili di un danno sussiste sempre responsabilità solidale e paritaria, a nulla rilevando che ciascuno di essi abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso finale rendendosi inadempiente ad obblighi scaturiti da fonti diverse. Quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi ed il danneggiato, tali soggetti debbono difatti essere considerati corresponsabili in solido. Ciò non tanto sulla base dell'estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell'art. 2055 c.c., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi stessi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento (dei quali, del resto, l'art. 2055 c.c. costituisce un'esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo. Si esclude peraltro che uno dei responsabili possa rispondere in via soltanto sussidiaria rispetto agli altri, in difetto, in tale senso, di una norma di legge o di una volontà convenzionale Con specifico riferimento alla materia che ci occupa è stata fatta applicazione del principio di cui innanzi in un caso nel quale l'acquirente per atto pubblico notarile di un immobile, a seguito della dichiarazione di inefficacia della vendita, per l'esistenza a carico del suo venditore della pregressa trascrizione di una sentenza che dichiarava inefficace il titolo di acquisto dello stesso, aveva chiesto la condanna solidale al risarcimento del danno del venditore e del notaio rogante, per non avere questi segnalato la presenza della trascrizione pregiudizievole. La Suprema Corte ha nella specie ritenuto che detti soggetti dovessero rispondere solidalmente del danno, in quanto causato dai rispettivi inadempimenti contrattuali del contratto di compravendita e del contratto d'opera professionale. Il Giudice di legittimità ha altresì escluso, in assenza di una previsione normativa o convenzionale di sussidiarietà della responsabilità del notaio, che il professionista dovesse rispondere soltanto nel caso che il danno non fosse stato risarcito dal venditore (Cass. III, n. 5946/1999). Sempre argomentando dal fondamento delle solidarietà passiva e dalla conseguente insussistenza di onere di escutere l'uno, piuttosto (o prima) dell'altro dei condebitori, Cass. II, n. 7404/2012 ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto indipendenti ed autonome, nei confronti del promissario acquirente, le responsabilità del promittente venditore, che nelle more tra preliminare e definitivo aveva concesso ipoteca sul bene promesso in vendita, e del notaio chiamato a rogare il contratto definitivo, che l'aveva trascritto dopo ben sei mesi dalla stipula, posteriormente all'iscrizione delle suddette ipoteche (si vedano negli stessi termini in tema di solidarietà passiva, ex plurimis, ancorché con riferimento a fattispecie differente dalla responsabilità del notaio ed inerenti la negoziazione di titoli di credito, Cass. I, n. 23460/2014 e Cass. III, n. 7610/2010). Per una concreta applicazione in sede di merito del principio di solidarietà passiva si veda App. Milano I, n. 16/2014 (in «Notaio.org») che ha individuando la responsabilità del notaio, oltre che quella solidale del geometra che aveva errato nel frazionamento dell'immobile, per aver stipulato un contratto di compravendita avente ad oggetto anche un subalterno esulante dal diritto di proprietà dell'alienante (nella specie la Corte territoriale ha condannato i due professionisti in solido a rifondere quanto l'alienante era stato tenuto a corrispondere all'acquirente in ragione del detto errore). Prescrizione del diritto al risarcimento del danno e dies a quoConcorde è altresì l'orientamento di legittimità in ordine all'individuazione del momento iniziale del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale, anche con riferimento alla prestazione d'opera intellettuale del notaio. Momento determinante è, ai fini di cui innanzi, non la determinazione dell'evento dannoso ad opera della condotta del professionista bensì la manifestazione all'esterno della produzione del danno, divenendo sono all'esito di essa oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato (ex plurimis: proprio in materia di responsabilità del notaio, Cass. III, n. 18606/2016, Cass. II, n. 6747/2016, Cass. III, n. 3176/2016; con riferimento alla responsabilità del commercialista, Cass. II, n. 6921/2015; in merito alla responsabilità dell'avvocato, Cass. III, n. 16463/2009, Cass. II, n. 16658/2007, Cass. III, n. 10493/2006). In applicazione del principio, la Suprema Corte, in fattispecie relativa alla responsabilità di un notaio per aver erroneamente indicato il valore catastale degli immobili nel redigere una dichiarazione di successione, ha cassato la sentenza impugnata che aveva ancorato il dies a quo di decorrenza della prescrizione alla data della denuncia di successione, anziché a quella della notifica al danneggiato dell'avviso di accertamento della maggiore imposta (Cass. III, n. 18606/2016). L'accertamento (di fatto nonché rimesso al giudice di merito) del momento nel quale il danno diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato deve però essere effettuato alla stregua della diligenza da questi esigibile, ex art. 1176 c.c., secondo «standards» obiettivi ed in relazione alla specifica attività del professionista. In un caso di responsabilità di un notaio per non avere fornito agli acquirenti in una compravendita immobiliare un'adeguata informazione in ordine alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dal contratto, attinenti alla perdita dei vantaggi legati al tasso d'interesse agevolato, la Suprema Corte ha così ritenuto che la sentenza impugnata, nell'ancorare il dies a quo di decorrenza della prescrizione alla mera stipula dell'atto, avesse pretermesso la doverosa indagine sul momento in cui si era prodotto e reso conoscibile il danno lamentato dagli acquirenti (Cass. II, n. 6747/2016). Ai fini dell'individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, quindi, si deve avere riguardo all'esistenza di un danno risarcibile e al suo manifestarsi all'esterno come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza da quest'ultimo esigibile ai sensi dell'art. 1176 c.c., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista, in base a un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito (in tali termini anche, ex plurimis:Cass. III, n. 22059/2017; Cass. III, n. 3176/2016). Sicché, in fattispecie relativa a responsabilità di un notaio per aver rogato una compravendita trascurando l'inidoneità della procura adoperata dal venditore a superare i vizi derivanti da un conflitto di interessi, Cass. III, n. 16631/2023 ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto il termine di prescrizione decorrente dal momento in cui alla parte contrattuale che si riteneva danneggiata era stato notificato atto di citazione finalizzato all'annullamento del menzionato contratto traslativo. Il medesimo principio è stato altresì applicato alla diversa fattispecie inerente la responsabilità di un notaio per aver erroneamente asseverato l'inesistenza di pesi e vincoli sul bene immobile oggetto di una compravendita. Cass. III, n. 3176/2016 ha difatti ritenuto che la sentenza impugnata, avendo ancorato il momento iniziale della decorrenza della prescrizione alla mera stipula dell'atto, avesse pretermesso la doverosa indagine sul momento in cui si era prodotto e reso conoscibile il danno lamentato dagli acquirenti, i quali avevano subito la risoluzione di un successivo contratto di compravendita, dagli stessi concluso con terzi, in quanto l'immobile era risultato gravato da ipoteca. È il caso di rilevare infine che opera anche con riferimento alla responsabilità professionale in oggetto l'assunto per il quale l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione. In tali cause, salva l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto od il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento. In applicazione del principio, Cass. III, n. 211026/2014, in fattispecie relativa alla responsabilità di un notaio per redazione di un atto rivelatosi errato, ha confermato la sentenza con la quale il giudice di merito aveva ritenuto che il conseguente danno si era verificato con la redazione della scrittura, da cui decorreva il termine di prescrizione del diritto al risarcimento. In merito all'ipotesi di trascrizione di un atto poi dichiarato inefficace, quanto innanzi evidenziato deve però coordinarsi con la circostanza per cui, la detta ipotesi, non costituisce illecito permanente, in quanto l'eventuale pregiudizio subito dal terzo non è conseguenza della trascrizione, in sé legittima, ma dell'atto inefficace in base al quale si è proceduto a essa. Sicché, conclude Cass. III, n. 8543 del 2024, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno che si assume causato a terzi dal notaio è soggetta al termine di cui all'art. 2947 c.c., decorrente non dalla cancellazione della formalità, ma dal compimento dell'atto e della correlata pubblicità nei registri immobiliari. BibliografiaAlpa, Aspetti attuali della responsabilità del notaio, in Riv. not. 1984; Angeloni, La responsabilità civile del notaio, Padova, 1990; Antezza, La responsabilità civile per mancata diagnosi di malattia del feto, in Il merito 2006, 7-8; Antezza, Il riparto dell'onere probatorio non può rigidamente fondarsi sulla posizione delle parti, in Il merito 2006, 6; Bianca, Diritto civile, 4, l'obbligazione Milano, 1993; Bianca, Diritto civile, 3, il contratto, Milano, 1990; Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015; Castronovo, Profili della responsabilità medica, in AA.VV., Studi in onore di P. 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