Decreto legislativo - 3/04/2006 - n. 152 art. 304 - (Azione di prevenzione)

Francesco Agnino

(Azione di prevenzione)

1. Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.

2. L'operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l'evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell'operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire. La comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l'operatore alla realizzazione degli interventi di cui al comma 1. Se l'operatore non provvede agli interventi di cui al comma 1 e alla comunicazione di cui al presente comma, l'autorità preposta al controllo o comunque il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio irroga una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.

3. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in qualsiasi momento, ha facoltà di:

a) chiedere all'operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente;

b) ordinare all'operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, precisando le metodologie da seguire;

c) adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie.

4. Se l'operatore non si conforma agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non può essere individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall'effettuato pagamento.

Inquadramento

Secondo parte della dottrina non dovrebbero esserci dubbi sull'applicabilità della sanzione amministrativa di cui al secondo comma dell'art. 304 d.lgs. n. 152/2006 all'operatore interessato incolpevole che, avendo la disponibilità del sito, abbia rilevato nell'esercizio della sua attività delle contaminazioni storiche (Fimiani, 401). In effetti, l'art. 304 nel prevedere al primo comma che quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore interessato adotta, entro le ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza e nell'incipit del secondo comma che l'operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione, non richiede che l'operatore sia anche il «responsabile» della minaccia imminente per l'ambiente, così lasciando intendere che l'obbligo di comunicazione gravi anche sull'operatore incolpevole in quanto soggetto «interessato» (Alesci, 2378).

Inoltre, per la giurisprudenza di legittimità il reato di mancata effettuazione della comunicazione, prevista in caso di imminente minaccia di danno ambientale di un sito inquinato (artt. 242 e 257 d.lgs. n. 152/2006), è configurabile anche nel caso in cui intervengano sul luogo dell'inquinamento gli operatori di vigilanza preposti alla tutela ambientale, in quanto tale circostanza non esime l'operatore interessato dall'obbligo di comunicare agli organi preposti le misure di prevenzione e messa in sicurezza che intende adottare, entro 24 ore ed a proprie spese, per impedire che il danno ambientale si verifichi (Cass. pen. n. 40856/2010).

In altri termini, in tema di bonifica dei siti inquinati, il reato previsto dall'art. 257, comma primo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è integrato dalla omessa segnalazione che il responsabile dell'inquinamento è obbligato ad effettuare alle autorità indicate in base all'art. 242 del medesimo decreto in conseguenza del semplice verificarsi dell'evento potenzialmente inquinante e prescinde dal superamento delle soglie di contaminazione dell'area inquinata (Cass. pen. n. 20237/2017; Cass. pen. n. 12388/2017, ove nello stesso senso si è affermato che In tema di bonifica dei siti inquinati, il reato previsto dall'art. 257, comma 1, ultima parte, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è integrato dalla omessa comunicazione che il responsabile dell'inquinamento è obbligato ad effettuare ai sensi dell'art. 242, comma 1, del medesimo decreto in conseguenza del semplice verificarsi dell'evento potenzialmente inquinante e non dalla violazione degli altri obblighi di informazione previsti dai commi successivi del medesimo art. 242).

Ai fini dell'applicazione dell' art. 304 d.lgs. n. 152/2006 , secondo cui, in caso di minaccia imminente di un  danno ambientale, l'operatore interessato deve adottare, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza e far precedere tali interventi da una comunicazione alla competente amministrazione, la nozione di «operatore interessato» non va confusa con quella del responsabile di un pericolo di danno ambientale (Cass. n. 34000/2023, nella specie, la società titolare di concessione di coltivazione petrolifera era l'operatore interessato il quale, venuto a conoscenza della minaccia imminente di danno ambientale, a causa del superamento delle concentrazioni soglia contaminazione per due metalli pesanti (ferro e manganese), era tenuto ad adottare le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza del sito e a dare comunicazione all'autorità amministrativa preposta alla tutela del territorio, anche se l'attività di estrazione degli idrocarburi non era ancora stata avviata).

Rapporti tra illecito contravvenzionale e illecito amministrativo

Questione di indubbio interesse è rappresentata dallo studio del controverso rapporto tra l'illecito contravvenzionale di cui all'art. 257 e l'illecito amministrativo di cui all'art. 304, comma 2, d.lgs. n. 152/2006. Entrambe le norme, infatti, prevedono per il medesimo fatto – costituito dalla mancata effettuazione della comunicazione – rispettivamente la pena alternativa dell'arresto e dell'ammenda e la sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo. L'autorità competente a irrogare la sanzione amministrativa è quella preposta al controllo – autorità che, trattandosi del procedimento di bonifica, andrebbe individuata nella Regione – ovvero il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

Ora, com'è noto, in base all'art. 9 della l. 24 novembre 1981, n. 689, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanziona amministrativa, ovvero da una pluralità di sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale». La norma sancisce il principio di specialità c.d. «eterogeneo», ma non dice quale sia la «disposizione speciale» né offre i criteri per determinarla.

Per risolvere il concorso apparente tra illeciti penali e illeciti amministrativi, un'illustre dottrina propone, innanzitutto, di distinguere le norme in conflitto in base alla loro natura (Mantovani, 965). Se le norme hanno natura «eterogenea», stante le diverse finalità che le rispettive sanzioni perseguono – ad es. l'una punitiva e l'altra risarcitoria o reintegratrice – il concorso tra le norme sottostà al «principio della integrale valutazione giuridica del fatto», «in base al quale entrambe le norme, penale e amministrativa, devono trovare applicazione perché nessuna delle due esaurisce integralmente l'intero disvalore del fatto e le diverse finalità da esse perseguite». Se, invece, le norme hanno natura «omogenea», avendo le rispettive sanzioni finalità primaria punitiva (Padovani, 392), troverà applicazione il principio del ne bis in idem sostanziale, come accade per il concorso apparente di norme penali. Secondo tale dottrina, inoltre, il concorso apparente di norme dovrebbe ammettersi solo tra la norma sul reato e la norma sull'illecito amministrativo che prevedano una sanzione pecuniaria, ipotesi che, tra l'altro, non ricorre in pieno nel caso di specie, contemplando la contravvenzione la pena alternativa dell'arresto.

Anche nel caso dell'art. 9 l. n. 689/1981, poi, il raffronto tra le disposizioni va operato – e, quindi, il rapporto di specialità va accertato – in «astratto» e non in concreto, ossia tra fattispecie tipiche astrattamente previste dalle norme e non tra fattispecie concrete (Corte cost. n. 97/1987; Cass. S.U. n. 1963/2010).

Non è agevole, tuttavia, comprendere nel nostro caso che natura abbia la sanzione amministrativa. Per la natura risarcitoria – e, quindi, per l'eterogeneità rispetto alla sanzione penale – potrebbe deporre la «collocazione» della norma che contiene l'illecito amministrativo, cioè l'art. 304, che è inserito nella Parte Sesta del T.U.A. dedicata alle «Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente». Anche la «modalità di irrogazione della sanzione» potrebbe deporre in tal senso, prevedendo la norma l'applicazione di una somma di danaro per ogni giorno di ritardo, alla stregua di interessi moratori.

Nulla, però, vieta di individuare nelle modalità di irrogazione una funzione punitiva, vista non solo l'entità della sanzione che può essere persino più elevata di quella penale, ma anche la «struttura» della stessa, che, nel prevedere un minimo e un massimo edittale, richiama in maniera evidente quella della pena pecuniaria dei reati.

Se, come riteniamo preferibile, si depone per l'omogeneità delle sanzioni, il problema del concorso tra le norme che le prevedono va risolto alla luce dei criteri elaborati dalla dottrina per dirimere il conflitto apparente di norme penali.

In particolare, con specifico riferimento al rapporto tra l'art. 257 d.lgs. n. 152/2006 e il secondo comma dell'art. 304 T.U.A., secondo un primo orientamento (Micheletti, 345), sarebbero prospettabili due soluzioni: 1) ritenere che tra i due illeciti sussista un «rapporto di specialità unilaterale», presentando l'illecito amministrativo, rispetto all'ipotesi contravvenzionale, l'elemento specializzante del soggetto attivo, individuato nell'«operatore»; 2) ovvero ritenere che tra gli illeciti non sussista alcun rapporto di specialità, poiché anche l'«operatore» è da considerarsi «responsabile» di un evento che, tra l'altro, è il medesimo (posto che la «minaccia di un danno ambientale» cui si riferisce il primo comma dell'art. 304 equivale all'«evento potenzialmente in grado di contaminare il sito» di cui al primo comma dell'art. 242) e le modalità di comunicazione sono le medesime per entrambi i soggetti. Di conseguenza, nel primo caso, riguardando gli illeciti diverse tipologie di intraneus, la fattispecie di reato potrà essere commessa solo dal «responsabile» cui si riferisce l'art. 242 d.lgs. n. 152/2006, mentre l'illecito amministrativo dal solo «operatore» cui si riferisce la Parte VI del T.U.A. (Micheletti, 340). Nel secondo caso, invece, entrambi gli illeciti sarebbero applicabili cumulativamente nei confronti dello stesso soggetto (Fimiani, 410).

Entrambe le soluzioni prospettate, a nostro avviso, non sono accettabili. Nel primo caso, infatti, si tratterebbe di una palese violazione del principio di uguaglianza posto che, per il medesimo fatto, il «responsabile» – che, come detto, può anche essere un privato che non svolge alcuna attività di rilevanza ambientale – sarebbe chiamato a rispondere a titolo di reato, mentre l'«operatore» – cui si richiedono una maggiore attenzione per l'ambiente e più stringenti doveri di informazione in ragione della professione svolta – risponderebbe solamente a titolo di illecito amministrativo, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano sostanziale e processuale; e si consideri, altresì, che l'operatore, in base al secondo comma dell'art. 304 T.U.A., risponderebbe non solo per l'omessa comunicazione, ma anche per non aver provveduto «agli interventi di cui al comma 1», ossia alle «necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza».

Nel caso di specie, infatti, si tratta di un rapporto tra fattispecie in cui l'elemento specializzante è rappresentato dalla «qualifica del soggetto attivo» dell'illecito, che determina inevitabilmente una disparità di trattamento per un fatto avente i medesimi presupposti oggettivi. E ciò è vero anche se, come si è fatto notare, la sanzione amministrativa potrebbe essere paradossalmente più severa di quella penale, prevedendo il pagamento di almeno mille euro per ogni giorno di ritardo nell'effettuare la comunicazione (Di Landro, 9).

La seconda soluzione, viceversa, violerebbe il principio del ne bis in idem sostanziale, poiché si applicherebbero per un medesimo fatto due fattispecie sanzionatorie diverse, eludendo quanto è espressamente stabilito dall'art. 9 della l. n. 689/1981, che impone all'interprete di individuare la disposizione speciale.

In base ad un secondo orientamento (Di Landro, 15), invece, tra le due norme sussisterebbe un rapporto di specialità ma in senso inverso rispetto a quello esaminato precedentemente, in quanto, si sostiene, il soggetto attivo del reato, ossia il «responsabile», sarebbe più circoscritto di quello dell'illecito amministrativo, rappresentato da un più generico «operatore interessato». Di conseguenza, individuandosi la disposizione speciale nell'art. 257 T.U.A., sarebbe applicabile unicamente l'illecito contravvenzionale.

È arduo, tuttavia, sostenere che il concetto di «operatore» sia più ampio di quello di «responsabile», poiché l'operatore che cagiona un evento potenzialmente inquinante (o una minaccia imminente per l'ambiente), è al tempo stesso responsabile di quell'evento (o minaccia). Il primo concetto, infatti, attribuisce solamente una «qualifica» a una persona fisica o giuridica in virtù della professione e dell'attività svolta, al solo fine dell'applicazione della disciplina contenuta nella Parte VI del T.U.A., che di conseguenza non si applica ai soggetti privi di tale qualifica; quella di «responsabile», invece, è la «condizione» di colui che deve rispondere delle proprie azioni od omissioni e che può essere tanto un operatore quanto un comune cittadino. Quest'ultima interpretazione, tuttavia, a differenza della precedente, ha il pregio di individuare, seppur con argomentazioni non del tutto convincenti, la disposizione speciale ai sensi dell'art. 9 l. n. 689/1981, e di evitare, così, la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale e quello di uguaglianza.

È stata prospettata, altresì, una diversa linea esegetica (De Santis, 1481)– che, fondandosi su un'interpretazione letterale dell'art. 242 T.U.A., si pone al di fuori della questione relativa al concorso tra illeciti di natura diversa – in base alla quale il secondo comma dell'art. 304 non interferirebbe con l'art. 257, poiché, al richiamo operato dall'art. 242 alle modalità di effettuazione della comunicazione, sarebbe estraneo il «contenuto d'obbligo». Il rinvio, in pratica, sarebbe limitato alle sole forme estrinseche del suo adempimento, con riferimento, quindi, ai soggetti destinatari e al contenuto descrittivo della comunicazione. Ne consegue che, ricorrendone gli estremi, troverà applicazione solo la fattispecie di reato di cui all'art. 257 T.U.A. Questo orientamento, tuttavia, non chiarisce quale sia la sorte della sanzione amministrativa, cioè se questa sia destinata a soccombere sempre nei confronti della contravvenzione o residui un suo margine di applicazione nei confronti del responsabile che sia anche «operatore».

Orbene, viste le conseguenze paradossali cui porterebbe il riconoscimento di un rapporto di specialità tra le due norme e l'incertezza sul destino della sanzione amministrativa in base all'ultimo orientamento citato, si avanzano le seguenti considerazioni e soluzioni.

A meno di non voler individuare nei presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito amministrativo degli elementi specializzanti – e ritenere, quindi, che la «minaccia imminente» di verificazione di un danno ambientale di cui all'art. 304 sia un'ipotesi speciale dell'«evento potenzialmente in grado di contaminare il sito» di cui all'art. 244 e che l'«operatore interessato» sia un'ipotesi speciale del «responsabile» di cui all'art. 242 –, non sembra ravvisarsi alcuna relazione di genere a specie tra gli artt. 257 e 304. A nostro parere, invero, i fatti sanzionati dalle norme sono pressoché identici, e tale identità è evidentemente il frutto della disattenzione del legislatore, che rappresenta l'ennesimo esempio della sciatteria con cui si è intervenuti in una materia così delicata e importante come quella ambientale (soprattutto, quando, abbraccia profili di responsabilità penale).

Orbene, in tale ottica, un primo criterio che si propone per districare la spinosa questione è quello che fa leva sulla «gravità in concreto» dell'omissione, che potrà far propendere per l'irrogazione della pena detentiva (e, quindi, per l'applicazione dell'art. 257 T.U.A.) ovvero per la sanzione pecuniaria, che, però, si è visto essere comune ad entrambe le fattispecie.

Indici della gravità del fatto potranno essere individuati, innanzitutto, nel tipo e nell'intensità dell'elemento soggettivo – e, quindi, se l'omissione è stata realizzata con dolo o con colpa –, potendosi riservare l'applicazione della contravvenzione alle sole ipotesi di trasgressione dolosa dell'obbligo di comunicazione.

Altro indice di gravità può essere desunto dal periodo di tempo trascorso dalla verificazione dell'evento, senza che il responsabile abbia proceduto ad effettuare la comunicazione alle autorità competenti. Tale dato, in particolare, può risultare decisivo qualora si propenda per l'irrogazione di una delle sanzioni pecuniarie previste dagli artt. 257 e 304 T.U.A. Nel caso concreto, infatti, la sanzione amministrativa può risultare più afflittiva dell'ammenda, poiché, in base a quanto stabilito dal secondo comma dell'art. 304, per ogni giorno di ritardo può essere irrogata la pena non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro, mentre l'art. 257 prevede nel massimo l'ammenda di ventiseimila euro (Alesci, 2386).

Problematico, in questo caso, il coordinamento tra l'autorità giudiziaria titolare dell'esercizio dell'azione penale – cioè il magistrato del pubblico ministero – e l'autorità amministrativa competente ad irrogare la sanzione (art. 13 ss. l. n. 689/1981).

Un secondo criterio fa leva sull'interpretazione logico-sistematica del combinato disposto degli artt. 257 e 304 T.U.A. Quest'ultimo articolo, infatti, si riferisce alla minaccia imminente di un «danno all'ambiente», che consiste in «qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima» (art. 300 T.U.A.). L'ambito di applicazione dell'art. 304, quindi, si estende alla minaccia di danno a qualsiasi matrice ambientale, e, pertanto, non solamente il suolo, il sottosuolo e le acque sotterranee (cui si riferisce la normativa in materia di bonifiche; cfr. art. 240, lett. a), ma anche l'aria e l'acqua.

Può reputarsi, allora, che la norma che prevede la contravvenzione – il cui ambito è circoscritto agli eventi (potenzialmente) lesivi del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee – assorba il disvalore dell'illecito amministrativo, che mantiene la sua operatività con riferimento alle minacce di danno alle altre matrici ambientali. Si vuol dire, in definitiva, che, se non esistesse la fattispecie contravvenzionale, la mancata comunicazione dell'evento potenzialmente inquinante per il suolo, il sottosuolo e le acque sotterranee sarebbe sussumibile necessariamente sotto l'art. 304; ma essendo stata prevista per quel fatto omissivo una disposizione ad hoc, cioè l'art. 257 T.U.A., quest'ultima deve prevalere, in quanto esprime l'intero disvalore del fatto e perché ciò corrisponde alla ratio stessa della sua introduzione, ossia quella di sanzionare con una pena criminale determinati comportamenti in relazione a determinate situazioni (c.d. principio di frammentarietà).

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