Decreto legislativo - 3/04/2006 - n. 152 art. 310 - (Ricorsi)

Francesco Agnino

(Ricorsi)

1. I soggetti di cui all'articolo 309, comma 1, sono legittimati ad agire, secondo i principi generali, per l'annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale.

2. Nell'ipotesi di cui al comma 1, il ricorso al giudice amministrativo[, in sede di giurisdizione esclusiva,] può essere preceduto da una opposizione depositata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio o inviata presso la sua sede a mezzo di posta raccomandata con avviso di ricevimento entro trenta giorni dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell'atto. In caso di inerzia del Ministro, analoga opposizione può essere proposta entro il suddetto termine decorrente dalla scadenza del trentesimo giorno successivo all'effettuato deposito dell'opposizione presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio1.

3. Se sia stata presentata l'opposizione e non ancora il ricorso al giudice amministrativo, quest'ultimo è proponibile entro il termine di sessanta giorni decorrenti dal ricevimento della decisione di rigetto dell'opposizione oppure dal trentunesimo giorno successivo alla presentazione dell'opposizione se il Ministro non si sia pronunciato.

4. Resta ferma la facoltà dell'interessato di ricorrere in via straordinaria al Presidente della Repubblica nel termine di centoventi giorni dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell'atto o provvedimento che si ritenga illegittimo e lesivo.

[1] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, punto 36), dell'Allegato 4 al D.Lgs.2 luglio 2010, n. 104.

Inquadramento

Con riferimento al problema della legittimazione di organismi esponenziali delle varie componenti sociali all'impugnativa di provvedimenti lesivi dell'interesse alla conservazione dei valori ambientali, si fronteggiano in giurisprudenza due opposti orientamenti. Secondo un pregresso orientamento, la legittimazione attribuita dagli artt. 13 e 18, l. n. 349 del 1986 alle associazioni ambientaliste non potrebbe giustificare l'impugnazione di atti avente valenza meramente urbanistica, quando non ne sia dimostrata, in concreto, la contestuale incidenza negativa su valori ambientali, per cui dovrebbe essere esclusa con riferimento ad atti volti soltanto all'utilizzazione del territorio, senza diretti riflessi sui valori ambientali trattandosi, pur sempre, di una legittimazione eccezionale, che come tale, dovrebbe essere delimitata entro i perimetri fissati dalla legge, non tollerando alcuna estensione in altri settori dove non si rinvenga il «danno ambientale» richiesto, come presupposto, dal comma 5 dell'art. 18.

Invero, pur non volendo revocare in dubbio che la tutela degli interessi ambientali possa richiedere anche l'impugnazione di atti amministrativi generali, di valenza urbanistica e di natura pianificatoria o programmatoria, qualora incidenti negativamente su profili squisitamente ambientali; nondimeno l'effettivo determinarsi di una situazione siffatta deve essere accertato dal giudicante, caso per caso, giacché non ogni atto di governo del territorio ha una prevalente incidenza su valori ambientali (è sì incontestabile che qualunque attività dell'Uomo abbia ricadute ambientali, ma questa è una considerazione che non trova riscontro giuridico nello specifico ordinamento dell'ambiente, siccome risultante dalle norme che definiscono la materia, la relativa organizzazione pubblica delle competenze e dei procedimenti amministrativi rilevanti). Diversamente opinando, la legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche, già connotata da una particolare latitudine (come sopra chiarito), si espanderebbe in modo eccessivo, ben oltre i limiti invalicabili segnati dalla natura del giudizio amministrativo come processo di parti. Ed invero, portando alle estreme conseguenze logiche la tesi patrocinata dalle associazioni ambientaliste (secondo le quali la loro legittimazione sussisterebbe a fronte di qualunque, anche indiretta interferenza, di atti amministrativi di natura urbanistica, con gli interessi ambientali) il ruolo di dette associazioni si trasformerebbe in un sorta di «ministero» pubblico, posto a presidio dell'indifferenziata e trasversale tutela del bene/valore ambiente.

Un tale ruolo non è tuttavia attribuito dall'ordinamento alle associazioni ambientaliste le quali rimangono comunque una parte privata del giudizio amministrativo, legittimate come tali a ricorrere e a resistere nei limiti della diretta correlazione tra le illegittimità denunciate e gli interessi dalle stesse istituzionalmente protetti. In altri termini, le associazioni ambientaliste possono impugnare qualunque atto amministrativo, ma la specialità della loro legittimazione a ricorrere, condizionata a monte dagli scopi da esse perseguiti, consente loro unicamente la deduzione di censure funzionali al soddisfacimento di interessi ambientali (Cons. giust. amm. Sicilia n. 933/2012).

Secondo un diverso orientamento, invece, vi sarebbe una inscindibilità tra la materia urbanistica e quella ambientale, per cui la suddivisione tra ambiente ed urbanistica verrebbe a risolversi, in sostanza, in un equivoco culturale ancor prima che giuridico, che non tollererebbe un criterio tradizionale di riparto di competenze mediante un approccio che ne ignora le peculiarità: in primis quella di essere una specie di contenitore nel cui ambito è dato ritrovare i più vari beni tutelabili dall'ordinamento, essendo evidente, infatti, che con lo strumento urbanistico si possa e debba tutelare anche il bene ambiente o paesaggio (T.A.R. Sardegna n. 91/2012, a mente del quale la legittimazione ad agire delle associazioni e/o comitati ambientalisti spetta non solo con riferimento alla tutela degli interessi ambientali in senso stretto, ma anche con riferimento alla tutela ambientale in senso lato, che implica in quanto tale la possibilità di impugnare atti aventi finalità urbanistica (nella specie un piano urbanistico comunale), ove si riconnettano specifici interessi ambientali — debitamente evidenziati in ricorso, a pena di inammissibilità — da tutelare anche in via strumentale ed indiretta attraverso l'annullamento, totale o parziale, dello strumento urbanistico». Fermo restando che in questi casi saranno da ritenere in concreto ammissibili solo censure inerenti profili di illegittimità in qualche modo incidenti sulla tutela degli interessi di natura ambientale rappresentati dall'associazione).

A ben vedere, l'indirizzo giurisprudenziale più restrittivo risulta attualmente superato in conseguenza della nuova disposizione introdotta al riguardo dall'art. 310 comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Secondo tale disposizione, infatti, la legittimazione ad agire va valutata secondo i principi generali, per cui vanno ritenute ammissibili tutte le censure astrattamente proponibili, purché siano funzionali al soddisfacimento di uno specifico interesse ambientale, mentre non possono essere ritenute ammissibili le censure il cui accoglimento comporti l'annullamento di una parte scindibile dello strumento urbanistico, ove non sia stato evidenziato, in ricorso, un interesse ambientale connesso all'eliminazione di detta parte della disciplina urbanistica. Pertanto, si deve ritenere l'ammissibilità del ricorso presentato contro un intervento ritenuto lesivo e compressivo del bene ambientale, inteso nella sua integralità (nel caso di specie: piano di spiaggia) stante la denunciata aggressione alla spiaggia ed alla vegetazione circostante, senza che possa valere ad escluderla il rilievo secondo cui le autorità legislativamente preposte alla tutela del bene ambientale non abbiano adottato provvedimenti di vincolo sui territori oggetto della pianificazione, in quanto la legittimazione come sopra definita ha proprio lo scopo non tanto di ampliare la platea dei soggetti titolari di interesse alla censura dell'atto amministrativo ex parte subiecti, quanto quello di consentire, ex parte obiecti, una più ampia tutela del bene ambientale, anche laddove le autorità preposte alla sua protezione non siano capaci di garantirla (T.A.R. Calabria n. 378/2009).

La legittimazione degli organismi periferici

Accanto alla legittimazione riconosciuta ex lege dagli artt. 13 e 18 l. n. 349/1986 (ora integrato, nel comma residuo, dall'art. 310 d.lgs. n. 152/2006), continuano a sopravvivere e ad applicarsi, a tutte le associazioni sprovviste della suddetta legittimazione legale — e quindi anche alle articolazioni territoriali delle associazioni nazionali titolate ex lege — i criteri, da tempo elaborati in via pretoria, ai fini della selezione dei soggetti collettivi legittimati a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa.

Ebbene, detti criteri — da calare, volta per volta, nella concreta fattispecie sottoposta al vaglio giurisdizionale — si incentrano, come ampiamente noto, sull'effettiva e non occasionale militanza del soggetto associativo a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, sull'esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come un istituzionale compito dell'associazione e delle sue articolazioni territoriali nonché sulla vicinanza spaziale della fonte del paventato pregiudizio agli interessi/beni giuridici protetti al centro principale dell'attività dell'associazione o della sua specifica struttura periferica (Cons. Stato n. 784/2012).

È stata inoltre evidenziata l'autonomia tra le due legittimazioni processuali delle associazioni ambientaliste, ossia quella legale, spettante alle sole strutture nazionali, e quella sostanziale, riconoscibile anche alle articolazioni periferiche, qualora ricorrano in concreto gli indici sopra richiamati. Diversamente argomentando, la fondamentale attività di tutela degli interessi relativi a beni collettivi e comuni — essenzialmente assicurata nel panorama istituzionale nazionale proprio dal sistema giurisdizionale amministrativo — risulterebbe gravemente menomata in conseguenza della preclusione dell'accesso ai suddetti rimedi giurisdizionali da parte delle associazioni ambientaliste le quali, in generale molto meglio delle singole persone fisiche, sono in grado di cogliere la dimensione superindividuale degli interessi tutelati e delle relative lesioni ascrivibili ad atti amministrativi (in ipotesi) illegittimi (Cons. giust. amm. Sicilia n. 933/2012). 

Peraltro si è evidenziato che in materia di danno ambientale, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 310 del d.lgs. n. 152 del 2006, le controversie derivanti dall'impugnazione, da parte dei soggetti titolari di un interesse alla tutela ambientale di cui al precedente art. 309, dei provvedimenti amministrativi adottati dal Ministero dell'ambiente per la precauzione, la prevenzione e il ripristino ambientale, restando invece ferma la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle cause risarcitorie o inibitorie promosse da soggetti ai quali il fatto produttivo di danno ambientale abbia cagionato un pregiudizio alla salute o alla proprietà, secondo quanto previsto dall'art. 313, comma 7, dello stesso decreto legislativo. L'eventualità che l'attività nociva sia svolta in conformità a provvedimenti autorizzativi della P.A. non incide sul riparto di giurisdizione (atteso che ai predetti provvedimenti non può riconoscersi l'effetto di affievolire diritti fondamentali dei terzi) ma esclusivamente sui poteri del giudice ordinario, il quale, nell'ipotesi in cui l'attività lesiva derivi da un comportamento materiale non conforme ai provvedimenti amministrativi che ne rendono possibile l'esercizio, provvederà a sanzionare, inibendola o riportandola a conformità, l'attività rivelatasi nociva perché non conforme alla regolazione amministrativa, mentre, nell'ipotesi in cui risulti tale conformità, dovrà disapplicare la predetta regolazione ed imporre la cessazione o l'adeguamento dell'attività in modo da eliminarne le conseguenze dannose (Cass. S.U., n. 8092/2020).

Bibliografia

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