Decreto legislativo - 6/09/2005 - n. 206 art. 120 - Prova

Francesco Agnino

Prova

 

1. Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno.

2. Il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell'articolo 118. Ai fini dell'esclusione da responsabilità prevista nell'articolo 118, comma 1, lettera b), è sufficiente dimostrare che, tenuto conto delle circostanze, è probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

3. Se è verosimile che il danno sia stato causato da un difetto del prodotto, il giudice può ordinare che le spese della consulenza tecnica siano anticipate dal produttore.

Inquadramento

Quanto alla regolazione dell'onere della prova l'art. 120 d.lgs. n. 205/2006 prevede che «il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno», mentre «il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell'art. 6».

Sotto il profilo probatorio, quindi, la disciplina prevede una puntuale ripartizione dell'onere della prova. Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno. Egli, pertanto, non deve dimostrare la colpa del produttore né l'esistenza di un specifico vizio del bene. In tal senso, chi agisce in giudizio deve dar prova — in presenza di un danno riconducibile al bene in questione — che quel prodotto non presentava la sicurezza che ci si può legittimamente attendere sulla base dei criteri enucleati dalla stessa disciplina. Sotto il profilo istruttorio, inoltre, la norma prevede che quando è verosimile che il danno sia stato causato da un difetto del prodotto, il giudice può ordinare che le spese della consulenza tecnica siano anticipate dal produttore. Una volta fornita la prova di tali elementi spetta al produttore dimostrare che il bene non era difettoso.

Il che significa che spetta innanzitutto al soggetto danneggiato di dimostrare che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l'uso, che ha subito un danno e che quest'ultimo è in connessione causale con detto difetto e che, una volta che il danneggiato ha fornito tale prova, grava sul produttore l'onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto riscontrato non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione ovvero che all'epoca non era riconoscibile come tale a causa dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche (Cass. n. 13458/2013).

In questa sede deve osservarsi come il giudice comunitario ha fatto riferimento anche al principio di precauzione, osservando che l'articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, dev'essere interpretato nel senso che non osta a un regime probatorio nazionale, come quello di cui al procedimento principale, in base al quale il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un'azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest'ultimo, può ritenere, nell'esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo, che, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l'esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l'insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia. I giudici nazionali devono tuttavia assicurarsi che l'applicazione concreta che essi danno a tale regime probatorio non conduca a violare l'onere della prova instaurato da detto articolo 4 né ad arrecare pregiudizio all'effettività del regime di responsabilità istituito da tale direttiva (fattispecie relativa all'azione risarcitoria intrapresa da alcuni cittadini francesi per danni provocati da un vaccino difettoso (CGUE II, 21 giugno 2017,  n. 621).

Pertanto, per il giudice comunitario il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un'azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest'ultimo, può ritenere, nell'esercizio del libero apprezzamento garantitogli al riguardo, che, nonostante la ricerca medica non stabilisca né escluda l'esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l'insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti, i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia.

Alla deriva presuntiva fa da sponda l'affermazione che il nesso causale tra difetto del vaccino e danno provocato a seguito della somministrazione non debba essere determinato in maniera scientifica e avallato dalla ricerca medica; e da argine l'avvertenza che la sussistenza di un nesso di causalità tra vizio del vaccino e danno non possa considerarsi dimostrata dalla mera presenza di indizi fattuali predeterminati (quali la vicinanza temporale tra somministrazione ed insorgenza, l'assenza di precedenti familiari e personali rispetto alla patologia).

Si uniformano, sul punto dell'impossibilità di considerare dimostrata la sussistenza di un nesso di causalità in presenza di taluni indizi fattuali predeterminati, le conclusioni ritraibili dalla sentenza della Suprema Corte di cassazione italiana laddove ritiene inammissibile il ricorso di legittimità allorquando con la censura si denunci la sentenza di appello per aver escluso la sussistenza di un nesso causale tra vaccino e danno in adesione acritica alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, esprimendo un mero dissenso diagnostico, senza contenere elementi decisivi al fine di confutare le affermazioni del consulente tecnico d'ufficio (Cass. n. 11482/2017).

La controversia era stata promossa dai genitori di un ragazzo autistico, i quali, ritenendo che la patologia del minore fosse attribuibile alla somministrazione del vaccino antipolio, chiedevano l'indennizzo ex lege n. 210/1992. I consulenti tecnici di ufficio, sia in primo che in secondo grado, muovendo dall'osservazione che nella letteratura scientifica non emergono studi epidemiologici definitivi in grado di correlare la frequenza dell'autismo con quella della vaccinazione antipolio Sabin, avevano ritenuto di trovarsi, nella specie, di fronte ad una patologia causata, in termini statisticamente accettabili e probanti, da fattori genetici (Cass. n. 12427/2016, ha escluso il nesso eziologico tra vaccinazione contro il morbillo, la rosolia e la parotite e autismo sulla base della valutazione, da parte dei consulenti d'ufficio, delle posizioni assunte dagli esperti e di dettagliati richiami ai loro elaborati). Gli argomenti a supporto del ricorso di legittimità, unitamente alle valutazioni prospettate dal consulente di parte, non riuscivano a superare nel caso concreto, la prospettazione della mera possibilità teorica della sussistenza di un nesso causale tra vaccino e autismo, quanto dire che il nesso causale tra danno e vaccino costituiva solo un'ipotesi possibile (Cass. n. 23363/2016).

Stando così le cose, i giudici di legittimità dichiarano che spetta al danneggiato la prova del nesso causale tra la somministrazione vaccinale ed il verificarsi dei danni alla salute, mentre compete al giudice di merito la valutazione secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica.

La sentenza europea osserva come il danneggiato abbia l'onere provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno; ma il livello probatorio e il tipo di prova sufficiente per il raggiungimento di tale livello non sono oggetto di armonizzazione da parte della direttiva, si tratta di questioni che devono essere risolte dal giudice nazionale.

Quanto alla normativa applicabile, la Corte di Cassazione ha rilevato che: nell'attuale assetto normativo della compravendita, ove ricorrano i presupposti individuati dall'art. 128 del d,lgs. n. 206 del 2005 e, dunque, si tratti di vendita di "beni di consumo" (intendendosi per tale "qualsiasi bene mobile") operata da un soggetto qualificabile in termini di "venditore" alla stregua di tale disciplina speciale (e, cioè, "qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1"), trovano applicazione innanzitutto le norme del codice del consumo, potendosi ricorrere a quelle fissate dal codice civile solo per quanto ivi non previsto (Cass. n. 13148/2020, nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva erroneamente applicato le norme civilistiche in materia di vendita, anziché la disciplina relativa ai contratti di consumo, pur risultando dalla decisione impugnata che la compravendita aveva ad oggetto un'autovettura, alienata da una concessionaria di rivendita di autovetture usate - e, quindi, un operatore commerciale - ad una persona fisica, che l'aveva acquistata per ragioni personali).

La tesi della responsabilità oggettiva

Scopo precipuo della direttiva comunitaria n. 374/85 e della normativa interna di recepimento è quello di introdurre negli stati membri una armonizzazione delle rispettive discipline giuridiche in materia di responsabilità del produttore individuando nel consumatore o utilizzatore un vero e proprio centro di diritti soggettivi, come tale meritevole di tutela, entro certi limiti, in ipotesi di danni sofferti in dipendenza dei difetti del prodotto acquistato.

La direttiva comunitaria accoglie nei confronti del produttore che immette sul mercato prodotti difettosi un modello di responsabilità extracontrattuale oggettivo, svincolato da ogni indagine in ordine all'elemento soggettivo in capo al produttore, quale la colpa, e da ogni rapporto negoziale tra produttore e consumatore consentendo il superamento degli angusti limiti che la legislazione comune e la giurisprudenza precedente imponevano al danneggiato per ricondurre la fattispecie nell'alveo della responsabilità contrattuale ovvero in quello della responsabilità ex art. 2043 c.c. (Trib. Napoli, 21 marzo 2006).

La responsabilità del produttore viene comunemente definita come «oggettiva» in contrapposizione alla responsabilità basata sull'elemento soggettivo della colpa.

La responsabilità del produttore è, infatti, fondata sul criterio di imputazione non già della colpa, bensì del solo fatto della produzione e della messa in circolazione del bene «difettoso» (qualifica, quest'ultima, indipendente da una «colpa» del produttore).

La tutela prevista a favore del consumatore in materia di danno da prodotti difettosi configura in capo al produttore o all'importatore del prodotto nella Comunità Europea, relativamente ai danni da prodotto difettoso, una responsabilità di natura oggettiva, fondata non sulla colpa, ma sulla riconducibilità causale del danno alla presenza di un difetto nel prodotto: il danneggiato — in presenza di un danno riconducibile al bene in questione — deve provare l'esistenza di un vizio che renda il bene non conforme agli standard minimi di sicurezza previsti per legge, nonché il collegamento causale tra il difetto e il danno (Trib. Bari, 26 maggio 2016, n. 2937).

Il dato che pare significativo evidenziare è che il produttore è responsabile anche se, accertato un difetto ai sensi dell'art. 117 d.lgs. n. 206/2005, e il nesso di causalità fra il difetto ed il danno, la causa specifica del difetto rimane ignota (Trib. Roma, 14 novembre 2003). Ad esempio, facendo riferimento ad un caso concreto emblematico sotto questo profilo, se si accerta che la bottiglia di bibita gassata sullo scaffale è esplosa non appena appresa dal consumatore (senza alcun comportamento anomalo da parte di questi), il prodotto si deve considerare (o meglio presumere) difettoso alla stregua dell'art. 117, non essendo dotato della sicurezza che ci si può legittimamente attendere da un prodotto di quel tipo (Trib. Roma, 17 marzo 1998): il produttore, se non riesce a fornire alcuna delle prove liberatorie previste dall'art. 118 d.lgs. n. 205/2006, è comunque responsabile, anche se la causa specifica dello scoppio (ossia del difetto) rimanga del tutto ignota e non sia stata raggiunta la prova di una colpa dello stesso produttore (può darsi, ad esempio, che un terzo in un momento successivo alla messa in circolazione del prodotto, abbia alterato il contenuto della bottiglia poi scoppiata ma la distruzione e dispersione del prodotto impedisca ogni accertamento sul punto). Altro discorso è se rimane ignota, specificamente, la causa, non già del difetto del prodotto, ma del danno subito dall'utente del prodotto: ad esempio, un soggetto ingerisce una bevanda e subito dopo ha un malore, ma il perito non è in grado di affermare che il malore sia stato provocato specificamente dall'ingestione della bevanda: qui, a mio avviso, ancora prima del difetto (anche soltanto presunto), manca la prova del nesso di causalità fra l'eventuale difetto e il danno.

La natura oggettiva della responsabilità del produttore, in quanto comportante una presunzione iure et de iure di colpa in caso di messa in circolazione di un prodotto difettoso, è stata ripetutamente affermata anche dalla giurisprudenza formatosi nel vigore della pregressa disciplina (Trib. Roma 4 dicembre 2003; Trib. Roma, 17 marzo 1998).

Pertanto, si rileva che la tutela prevista a favore del consumatore in materia di danno da prodotti difettosi dal d.P.R. n. 224/1988- emanato in attuazione della direttiva Cee numero 85/374 ed oggi trasfusa nel Codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206/2005 — configura in capo al produttore o all'importatore del prodotto nella Comunità europea, (relativamente ai danni di cui all'art. 11 dello stesso d.P.R.) una responsabilità di natura oggettiva, fondata non sulla colpa, ma sulla riconducibilità causale del danno alla presenza di un difetto nel prodotto (cfr. artt. 1, 6 e 7). In particolare il legislatore nazionale, dando attuazione alla direttiva comunitaria, ha inteso accordare una tutela più ampia al consumatore, superando i rigorosi limiti che in precedenza essa incontrava sia nell'ambito del rapporto con il venditore, in considerazione della contenuta azionabilità nel tempo dei diritti di garanzia riconosciuti dalla disciplina ordinaria della vendita, sia al di fuori del rapporto negoziale, in quanto ancorata agli oneri probatori imposti dalle regole in tema di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (Cass. n. 13432/2010).

Pur riconoscendo la natura oggettiva della responsabilità da prodotto difettoso, nella giurisprudenza di merito si è affermato che «la normativa in tema di responsabilità del produttore non consente la risarcibilità di qualsiasi danno cagionato dal prodotto rivelatosi difettoso, ma limita la sfera dei danni risarcibili al danno cagionato dalla morte o da lesioni personali e alla distruzione o deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all'uso o al consumo privato, nella misura eccedente la somma di l. 750.000» (Trib. Milano, 12 febbraio 2005).

Ed ancora, la natura obiettiva della responsabilità per danno da prodotto difettoso, non impedisce il risarcimento del danno morale qualora le lesioni personali, riportate dal consumatore, siano ascrivibili ad un comportamento colposo del produttore (Trib. Vercelli, 5 febbraio 2003, nella specie il giudice, ravvisato un contegno colposo del produttore che ha predisposto e allegato alla caffettiera istruzioni lacunose ed ambigue, in modo particolare quelle relative alla valvola, ossia la componente che garantisce la sicurezza complessiva del prodotto).

Pertanto, il produttore risponde del danno morale patito da chi abbia riportato lesioni personali per l'uso del prodotto, ancorché si verta in un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che prescinde dall'accertamento della colpevolezza dell'agente (App. Milano, 21 febbraio 2007).

La tesi della responsabilità presunta

Parte della dottrina ha profilato la responsabilità in termini assolutamente incompatibili con una responsabilità oggettiva, sostenendo che essa può essere tecnicamente genuina solo quando prescinde del tutto dalla valutazione qualitativa del prodotto e si aggancia alla circostanza della verificazione in rerum natura di un evento dannoso eziologicamente riconducibile all'atto di messa in circolazione dello stesso (Ghidini, 222).

Tale formante dottrinario è stato seguito da altra giurisprudenza di legittimità che ha inquadrato la responsabilità da prodotto difettoso nell'ambito della responsabilità presunta (e non già oggettiva), posto che essa prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un «difetto» del prodotto.

Infatti, la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, prescindendo infatti tale accertamento dalla prova della colpevolezza del produttore (elemento soggettivo), ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto (elemento oggettivo). Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato — ai sensi dell'art. 8 d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 (trasfuso nell'art. 120 cod. cons.) — la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno, salva comunque la prova liberatoria del produttore, il quale andrà esente dalla responsabilità per danni da prodotto difettoso ove lo stesso provi il verificarsi di una delle cause di esclusione previste ex lege (Cass. n. 15851/2015).

La responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato - ai sensi dell'art. 120 del d.lgs. n. 206/2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall'art. 8, d.P.R. n. 224/1988 - la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore - a norma dell'art. 118 dello stesso codice - la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all'epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (Cass. n. 29828/2018, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, valorizzando la prova testimoniale in contrasto con le risultanze della disposta consulenza, aveva erroneamente desunto la pericolosità di un fuoco di artificio dal mero verificarsi del danno conseguente all'esplosione anticipata del medesimo, tralasciando le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio ove era stato escluso che il prodotto presentasse difetti di fabbricazione e posto in rilievo che l'evento si fosse verificato per il malgoverno del mortaio da parte del danneggiato).

Riparto dell'onere della prova

Quanto alla regolazione dell'onere della prova l'art. 120 d.lgs. n. 205/2006 prevede che «il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno», mentre «il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell'art. 6». Il che significa che spetta innanzitutto al soggetto danneggiato di dimostrare che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l'uso, che ha subito un danno e che quest'ultimo è in connessione causale con detto difetto e che, una volta che il danneggiato ha fornito tale prova, grava sul produttore l'onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto riscontrato non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione ovvero che all'epoca non era riconoscibile come tale a causa dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche.

Pertanto, incombe sul danneggiato la dimostrazione del collegamento causale, non già tra il prodotto e il danno, bensì tra «difetto e danno» (Cass. n. 15851/2015, a mente della quale la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto; incombe, pertanto, al soggetto danneggiato — ai sensi del d.P.R. n. 224/1988, art. 8 applicabile ratione temporis — la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno, mentre il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni di cui all'art. 6 del richiamato d.P.R.; Cass. n. 13458/2013; Cass. 12665/2013; Cass. n. 20985/2007).

Nella medesima prospettiva è stato evidenziato dalla Corte di Cassazione che la formulazione letterale dell'art. 1 d.P.R. n. 224/1988, nel far dipendere la speciale responsabilità del produttore per prodotti difettosi dal nesso di causalità tra il danno ed il difetto del prodotto, pone un prerequisito della responsabilità stessa, con funzione delimitativa dell'ambito di applicabilità di essa. Pertanto incombe sul danneggiato che chiede il risarcimento provare gli elementi costitutivi di tale diritto, senza che si possa affermare che la prova semplice del nesso di causalità fra il danno ed il prodotto sia sufficiente a trasferire sul produttore l'onere di dimostrare che il prodotto non era difettoso o che sussistono altre cause di esclusione della responsabilità. (Cass. n. 6007/2007).

La prova della difettosità del prodotto possa basarsi su presunzioni semplici, ergo che il giudice, una volta acquisita, tramite fonti materiali di prova (o anche tramite il notorio o a seguito della non contestazione) la conoscenza di un «fatto secondario» deduca, in via indiretta, l'esistenza del «fatto principale» ignorato (nella specie «il difetto» del prodotto), purché le presunzioni abbiano il requisito della gravità (il che significa che l'esistenza del fatto ignoto deve essere desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica), della precisione (il che impone che il fatto noto, da cui muove il ragionamento probabilistico, e il percorso che si segue non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica), della concordanza, il che postula che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto (Cass. n. 13458/2013).

Il danneggiato deve provare il difetto del prodotto (oltre al danno e al nesso di causalità), laddove il difetto da provare è l'insicurezza del prodotto e non il vizio intrinseco di progettazione o fabbricazione né tanto meno un vizio di fabbricazione dovuto a colpa del fabbricante: una volta raggiunta la prova di tali circostanze, si presume iuris tantum la responsabilità del produttore (Cass. n. 10482/2004), il quale per liberarsi da tale responsabilità deve dimostrare le circostanze di cui all'art. 118 d.lgs. n. 206/2005 (che si risolvono, sostanzialmente, in un'assenza o interruzione del nesso causale tra propria condotta ed evento) e non basta la generica dimostrazione di diligenza o mancanza di colpa. In altri termini, la responsabilità del produttore è fondata sulla prova − da parte del danneggiato − del solo rapporto di causalità fra il difetto del prodotto (nell'accezione sopra esposta) ed il danno subito, e da tale responsabilità il produttore si può liberare provando determinati fatti interruttivi del nesso causale (Trib. Ascoli Piceno, 5 marzo 2002).

In altri termini, avendo la responsabilità da prodotto difettoso natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto: incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno (Cass. n. 23477/2018).

In pratica, all'attore basterà provare che il danno si è verificato in occasione di un utilizzo non anomalo del prodotto. Ad esempio, il fatto che il prodotto sia esploso o si sia incendiato senza particolari circostanze concomitanti, (ad es. comportamento negligente danneggiato), oltre alla recente fabbricazione del prodotto, faranno presumere l'esistenza del difetto. Ancora, se sul prodotto non ha interferito il fatto di terzi, si presume che il difetto sia originario di fabbrica.

Sul punto si ricordano: in materia di scoppio di airbag (Cass. n. 14/2010); in tema di rottura del manico di una confezione di bottiglie d'acqua (Trib. Benevento, 24 febbraio 2006).

Pertanto, il danneggiato deve provare il danno, il rapporto causale con l'uso del prodotto e che questo uso ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, tali da evidenziare la mancanza della sicurezza che ci si poteva legittimamente attendere; mentre il produttore è tenuto a dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto è stato messo in circolazione (Trib. Milano, 23 settembre 2008, n. 11162, fattispecie relativa allo svuotamento di una protesi mammaria, avvenuta circa due anni dopo il suo inserimento nel corpo della danneggiata).

Peraltro, sebbene la prova della difettosità di un prodotto possa basarsi su presunzioni semplici, non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall'utilizzatore di un prodotto sia l'inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest'ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un'attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell'esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all'utilizzazione del prodotto stesso (Cass. n. 3258/2016, nella specie confermata la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità del produttore per i danni lamentati da un consumatore, il quale assumeva di essere stato colpito a seguito dell'esplosione di un fustino di candeggina, atteso che la prova espletata in primo grado aveva dimostrato unicamente che il fustino era stato riscontrato come rotto durante l'utilizzo, ma non vi era prova che quello specifico prodotto si fosse rotto per un «difetto» di produzione piuttosto che per un semplice fatto accidentale ascrivibile al danneggiato).

È erroneo ritenere che la responsabilità del produttore introdotta dalla disposizione dell'art. 1 d.P.R. n. 224/1988, al fine di uniformare la legislazione nazionale alla direttiva comunitaria del 25 luglio 1985 n. 374, presupponga solo la prova del nesso di causalità tra la detenzione del prodotto o la sua utilizzazione e l'evento e che sia accertato il predetto nesso, essendo, quindi, a carico del produttore che pretenda di sottrarsi alla predetta responsabilità l'onere di dedurre e provare che il prodotto non era difettoso o che ricorressero le altre cause di esclusione della responsabilità analiticamente indicate dall'art. 6 della medesima legge (Cass. n. 6007/2007).

Al contrario, deve escludersi la responsabilità del produttore tutte le volte che l'evento dannoso si riferibile esclusivamente alla condotta malaccorta del medesimo danneggiato: la tutela del consumatore non può ragionevolmente estendersi all'impiego di materiali — o all'adozione di cautele specifiche — che reggano anche ad un uso del prodotto univocamente prospettato all'utente come non conforme a minimali modalità di utilizzo, a loro volta corrispondenti a regole di comune prudenza, né particolarmente gravose o tali da limitare apprezzabilmente l'impiego del bene o da richiedere un impegno o un'attenzione inesigibili (Cass. n. 16808/2015).

Secondo la Cassazione, quindi, gli obblighi gravanti sul produttore a norma del d.lgs. n. 206/2005, non possono ragionevolmente estendersi all'impiego di materiali, o all'adozione di cautele specifiche, tali da reggere anche ad un uso del prodotto univocamente prospettato all'utente come non conforme a minimali modalità di utilizzo, queste ultime a loro volta corrispondenti a regole di comune prudenza, non particolarmente gravose, né implicanti apprezzabili limitazioni nell'impiego del bene. In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la responsabilità del fabbricante per i danni subiti dall'attore a seguito dello scoppio dello pneumatico di una ruota di un carrellino pieghevole, che lo stesso danneggiato aveva gonfiato adoperando il compressore ad una pressione superiore di circa quattro volte a quella massima, chiaramente indicata sulla ruota da gonfiare.

La responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato - ai sensi dell'art. 120 del d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall'8 del d.P.R. n. 224 del 1988 - la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore - a norma dell'art. 118 dello stesso codice - la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all'epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (Cass. n. 11317/2022).

Bibliografia

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