Decreto legislativo - 6/09/2005 - n. 206 art. 114 - Responsabilità del produttore

Francesco Agnino

Responsabilità del produttore

 

1. Il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.

Inquadramento

Il Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) contiene 14 articoli dedicati alla responsabilità per danno da prodotti difettosi (artt. da 114 a 127).

Secondo la definizione normativa, in linea generale un prodotto si considera difettoso “quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere”. In altre parole, un prodotto difettoso è un prodotto non sicuro.

Nel valutare se l'aspettativa di sicurezza è soddisfatta o meno (e quindi se il prodotto è intrinsecamente difettoso oppure no), secondo il Codice del Consumo si deve però tener conto di tre circostanze. Vediamole una per una.

La prima circostanza è riferita al grado di accuratezza delle informazioni  fornite dal produttore: si deve aver riguardo al “modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, (al)la sua presentazione, (al) le sue caratteristiche palesi, (al)le istruzioni e (al)le avvertenze fornite”.

La seconda circostanza che va tenuta in considerazione è ilgrado di accuratezza della progettazione  che sta alla base del prodotto: si deve infatti considerare “l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere”.

Inoltre, bisogna effettuare il test sulle aspettative di sicurezza nel giusto scenario temporale, ossia nel “tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione”; infatti, “(u)n prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio”.

Da ultimo, in caso di produzione seriale, occorre tener presente che il difetto può essere un difetto di fabbricazione che colpisce solo un prodotto all'interno di un lotto determinato: in tal caso, il“prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie”.

È importante notare che la responsabilità da prodotto difettoso è una forma di responsabilità extracontrattuale: ciò significa che il produttore è responsabile – e dovrà quindi risarcire il danno – anche se il soggetto danneggiato non è l'acquirente del prodotto, ma è un soggetto terzo. Una diversa  e particolare responsabilità è prevista per il rivenditore quando il prodotto presenta un difetto di conformità (prodotto inidoneo all'uso o che non privo di certe qualità). 

Prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 224/1988, il consumatore danneggiato da un prodotto difettoso aveva a disposizione solo lo strumento codicistico. Le norme riguardanti la vendita e in particolare la garanzia per vizi, per quanto interpretate alla luce di nuovi criteri — la funzione e lo scopo piuttosto che la lettera — non possono dare una risposta sufficiente alle richieste del consumatore, non fosse altro perché esse limitano la tutela alle varie fasi, singolarmente intese, della vicenda commerciale del prodotto. In sostanza le norme vigenti del codice non sono atte a una soddisfacente disciplina delle vendite a catena, proprio perché il codice del 1942 considera la vendita alla stregua di un affare individuale. Questa carenza è ancora più palesata dall'ampia libertà di azione, in termini di modifiche o esclusioni della garanzia per i vizi della cosa oggetto di scambio, di cui godono le parti in causa in un contratto di vendita, salvo a non rientrare nel campo di applicazione degli artt. 1469-bis e ss. c.c.

Le poche cause decise in tema di responsabilità da prodotto difettoso – prima dell'entrata in vigore della disciplina specifica — hanno visto di massima l'attore-consumatore vittorioso, ora in base alla clausola generale di responsabilità ex art. 2043 c.c., ora per il tramite dell'art. 2050 c.c. Più in particolare, il produttore di un bene difettoso è stato dichiarato civilmente responsabile dalla giurisprudenza: a) a titolo di colpa, ma secondo criteri di responsabilità oggettiva, per i c.d. difetti di fabbricazione, relativi cioè, ad un singolo esemplare di una categoria produttiva del tutto immune da difetti o da altre anomalie; b) in termini effettivi di colpa per i difetti di progettazione, che riguardano, cioè, prodotti mal concepiti originariamente, nei quali il difetto non riguarda il singolo esemplare ma l'intera categoria di prodotti; c) secondo il criterio dell'attività pericolosa ex art. 2050 c.c. Tale norma è stata applicata anche alle ipotesi di c.d. «rischi da sviluppo», in cui il difetto del prodotto nasce dall'inosservanza del patrimonio tecnico conoscitivo disponibile non tanto al momento della fabbricazione, quanto in uno successivo.

Nella giurisprudenza di merito si è osservato che nella vendita "a catena", spettano all'acquirente due azioni: quella contrattuale, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l'autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori (restando salva l'azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio); quella extracontrattuale, che è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell'altrui sfera giuridica (Trib. Spoleto, 14 ottobre 2022, n. 633).

L'art. 114 d.lgs. n. 206/2005, intitolato «Responsabilità del produttore», prevede (in termini identici al d.P.R. n. 224/1988) che: il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.

Si intende, innanzitutto, una responsabilità nei confronti dell'utente del prodotto ma anche di qualsiasi altro soggetto, diverso dall'utente, che sia rimasto comunque danneggiato in conseguenza dell'uso del prodotto.

Con tale principio il legislatore riafferma, anche nel nuovo codice del consumo, la sussistenza di una responsabilità del produttore nei confronti dell'utente, per i danni derivanti dal prodotto difettoso, a prescindere dall'esistenza di un rapporto contrattuale tra questi soggetti e quindi anche se l'utente non abbia acquistato il prodotto direttamente dal produttore.

Peraltro, già prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 224/1988 (Cass. n. 19134/2004) il danneggiato da prodotto difettoso che non avesse stipulato un contratto di acquisto con il fabbricante poteva agire nei suoi confronti ex art. 2043 c.c. (Cass. n. 5164/2003), pur dovendo provare − in linea di principio − la colpa dello stesso fabbricante.

In tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi, a mente dell'art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 224 del 1988, applicabile ratione temporis, si considera produttore chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione, non essendo tuttavia sufficiente l'utilizzo da parte del convenuto di un nome, apposto sul prodotto, che appartenga anche ad altri soggetti (Cass. n. 21841/2019, nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto provato che la società convenuta fosse il produttore di una autovettura, solo perché nella propria denominazione sociale era contenuto il nome del marchio che risultava apposto sul mezzo, comune ad altre società del medesimo gruppo).

Il gestore di una rete elettrica va considerato come produttore. Per l'effetto, l'utente che subisce un danno a causa di una sovratensione elettrica dovuta a un cambiamento del livello di tensione operato dal gestore ha diritto ad ottenere il risarcimento. La Corte UE precisa i criteri per inquadrare il gestore dell'energia tra i produttori e applicare quindi la direttiva 85/374 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. Ha delineato la nozione di prodotto contenuta nella direttiva che include, all'articolo 2, anche l'elettricità. Nel caso dei servizi di distribuzione di energia elettrica, il gestore non si limita a consegnare un prodotto, “ma partecipa al processo della sua produzione, modificando una delle sue caratteristiche, vale a dire la sua tensione”. Solo con l'intervento del gestore l'energia può essere offerta al pubblico per l'utilizzo e il consumo e solo il gestore può modificare il livello di tensione di energia, che è una caratteristica del prodotto. Poiché il gestore può modificare il livello di tensione, egli va considerato come produttore, con l'applicazione delle regole Ue sulla responsabilità per danni da prodotto. Di conseguenza, un utente che subisce un danno a causa del cambiamento nella tensione nel servizio di fornitura di energia potrà agire in giudizio nei confronti del gestore che, in quanto produttore, sarà responsabile dei danni causati al cliente finale (Corte giustizia UE n. 691/2022).

Inoltre, in tema di responsabilità del produttore, la "difettosità" del prodotto, di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), non coincide con la sua pericolosità (in quanto i prodotti pericolosi non sono, per ciò solo, "difettosi"), né l'accertamento consente al giudice di stabilire come quel prodotto debba essere progettato o costruito, dovendosi piuttosto stabilire se il prodotto che si assume difettoso sia stato progettato e costruito rispettando gli standard minimi richiesti dalle leges artis e dalla normativa di settore o dalle regole di comune prudenza (Cass. n. 29386/2023).

Evoluzione normativa

L'affermazione della responsabilità da prodotto difettoso si sviluppa nell'ambito della fase matura dell'industrializzazione e della produzione su scala. In particolar modo, l'esigenza di tutelare i consumatori dall'acquisto e dall'utilizzo di prodotti non sicuri emerge con l'affermarsi di istanze sociali tese a garantire i soggetti più deboli del ciclo economico. Maturata nell'ambito degli ordinamenti di common law, la responsabilità del produttore si afferma nel nostro ordinamento nella seconda metà del XX secolo.

In tale direzione si pone il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244 di recepimento della direttiva 85/374/Cee del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. La disciplina legislativa in oggetto non sostituisce i rimedi già vigenti sulla base delle disposizioni generali del codice civile ma si affianca ad essi, individuando una disciplina settoriale e di carattere residuale, la cui concreta utilizzazione è rimessa alla scelta dell'attore.

Sempre nel contesto della responsabilità civile si colloca un successivo intervento della Comunità Europea diretto ad introdurre, questa volta sotto il profilo contrattuale, una disciplina armonizzata sui vizi presenti nei beni di consumo e sulle relative garanzie. Il provvedimento in questione è la direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. La direttiva si incentra sul principio di conformità dei beni a quanto stabilito nel contratto e fa discendere dalla mancanza di conformità, nel cui ambito vanno concettualmente ricompresi tutti i vizi del bene, il diritto del consumatore al ripristino, senza spese della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, o ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto. La direttiva 1999/44/CE è stata recepita in Italia dal d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24 che ha introdotto nel codice civile gli artt. 1519-bis e ss.

Sul piano della prevenzione un ruolo fondamentale è stato svolto dalle Comunità Europee che hanno obbligatoriamente introdotto nel nostro ordinamento disposizioni tese a garantire gli standard di sicurezza. Ciò al fine, innanzitutto, di ottenere un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei consumatori, come specificato dagli artt. 95 e 153, §§ 1 e 3, del Trattato CE. Sotto altro profilo, le norme sulla sicurezza dei prodotti favoriscono un corretto esercizio della concorrenza tra imprese, i cui prodotti devono rispettare le condizioni di sicurezza generale per poter essere venduti lecitamente, considerando altresì che la sicurezza e la qualità dei prodotti costituiscono un valore in sé giuridicamente tutelabile (Cass. n. 1158/1998 nel caso di impresa commerciale avente ad oggetto la produzione e vendita di un prodotto, la costante rispondenza del prodotto posto in commercio ai canoni di qualità che la clientela ha diritto di esigere costituisce uno degli elementi primari e costitutivi della personalità dell'impresa, tale da legittimare ogni tutela nei confronti di possibili lesioni prodotte dall'illecito comportamento di terzi. I danni risentiti da un'impresa commerciale a causa dell'illecito comportamento di un fornitore rientrano nel concetto di responsabilità extracontrattuale qualora essi incidano, anche se in modo non distruttivo, sul buon nome dell'impresa commerciale stessa e sul suo avviamento commerciale). In tale ambito, accanto a disposizioni specifiche nei differenti settori merceologici, la Comunità Europea ha adottato dapprima la direttiva 92/59/Cee, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, e poi, sull'esperienza di questa, la direttiva 2001/95/Cee del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, sulla sicurezza generale dei prodotti.

La direttiva 2001/95/Cee è intesa a garantire che i prodotti immessi sul mercato siano sicuri (art. 1, comma 1). A tal fine essa introduce a livello comunitario un obbligo generale di sicurezza per tutti i prodotti immessi sul mercato, o altrimenti forniti o resi disponibili ai consumatori, destinati ai consumatori o suscettibili, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzati dai consumatori anche se non loro specificamente destinati. Le disposizioni investono direttamente gli Stati membri chiamati a garantire la sicurezza dei prodotti e a determinare le sanzioni irrogabili in caso di infrazioni. La direttiva assume rilievo di disciplina residuale e di cornice, applicandosi in assenza di specifiche disposizioni sulla sicurezza dei prodotti e quando vi siano lacune in tale legislazione settoriale. La sua applicazione non pregiudica la direttiva 85/374/Cee relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi (art. 17). Nel nostro ordinamento la direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti è stata attuata con il d.lgs. 21 maggio 2004, n. 172.

Alla luce di tali considerazioni si comprende bene che la tutela del consumatore non si esaurisce nel momento contrattuale o nell'ambito dei possibili rimedi nel caso in cui il danno si sia già prodotto, poiché una efficace politica di tutela della salute e della sicurezza richiede, innanzitutto, un adeguato sistema di prevenzione volto ad impedire l'immissione sul mercato e la circolazione di prodotti difettosi.

Sul piano più strettamente normativo, l'unità concettuale della teoria della sicurezza dei beni viene ricomposta a seguito dell'approvazione del Codice del consumo, di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Tale atto normativo raccoglie in un unico testo le disposizioni vigenti in materia di tutela del consumatore, dando luogo ad una prima codificazione minimale del diritto dei contratti di matrice comunitaria, sia pur limitando l'intervento al settore dei contratti del consumo.

In tal senso, il testo in oggetto non introduce disposizioni riguardanti la disciplina di parte generale del contratto o il cospicuo settore dei contratti professionali, nei cui riguardi si annoverano talune disposizioni comunitarie, come in tema di subfornitura. La codificazione del diritto europeo dei contratti è peraltro questione che interessa l'ordinamento comunitario in sé considerato e non soltanto l'ordinamento italiano, poiché la creazione di un nucleo comune di regole o di principi in materia di contratto europeo è di competenza non dei singoli Stati membri ma dell'Unione Europea.

Il Codice del consumo si colloca in un consolidato indirizzo volto ad armonizzare e coordinare in modo sistematico le regole concernenti i rapporti con i consumatori. Il suo ambito normativo si estende al di là del momento più strettamente contrattuale, ricomprendendo tutte le fasi in cui il consumatore è coinvolto in relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi.

La ratio sottesa al regime della responsabilità del produttore per danni da prodotti difettosi è regolata dal nostro legislatore, alla luce delle considerazioni suesposte, secondo una visione relativista e non prettamente severa la quale supportata dalla natura presunta di una siffatta responsabilità, come sostenuta in giurisprudenza, fa chiaramente emergere un duplice versante di interessi che non possono essere sacrificati uno a discapito dell'altro imponendosi pertanto la necessità di controbilanciare queste due esigenze che constano rispettivamente, da un lato nel garantire la tutela del consumatore, quale soggetto debole del rapporto e dall'altra, di non veder sacrificato e conseguentemente bloccato il progresso tecnologico del settore produttivo per eccessivo accanimento nei confronti dei produttori.

Si consideri, in tal senso, come sia assolutamente pacifica la natura extracontrattuale della responsabilità del produttore in quanto tale prescindente da qualsiasi rapporto negoziale tra produttore e consumatore (Parma).

La giurisprudenza anteriore al d.P.R. n. 224/1988

Anche prima della entrata in vigore del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 il danno dal prodotto difettoso era risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 2050 c.c., nell'ipotesi specifica di attività pericolosa.

L'applicazione dell'art. 2043 c.c. comporta la necessità, da parte del danneggiato, di dimostrare non solo il danno, ma anche il nesso causale che lega il pregiudizio al comportamento quantomeno colposo dell'agente. L'onere della prova avrebbe potuto costituire un effettivo ostacolo alla formazione della responsabilità del produttore. In realtà la giurisprudenza ha cercato di superare tale limite ricorrendo ai criteri presuntivi di cui agli art. 2727 ss. c.c., facendo derivare la prova della colpa dal verificarsi di un certo fatto. Utilizzando il criterio delle presunzioni semplici è infatti possibile partire da un fatto noto per risalire ad uno ignoto. Ad essere vietata è soltanto la praesumptio de praesumpto, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivare un'altra presunzione.

Nel cosiddetto caso Saiwa la Cassazione (Cass. n. 1270/1965), esclusa la colpa del rivenditore per danni provocati dal consumo di generi alimentari avariati, lì dove il prodotto sia uscito sigillato dalla fabbrica, è stato ritenuto legittimo ricondurre la causa dell'alterazione dei biscotti al comportamento negligente del fabbricante. Ciò in assenza della prova della colpa del venditore derivante dalla conservazione del bene senza le dovute cautele o dalla messa in commercio in data successiva alla scadenza.

Secondo la Corte di Cassazione (Cass. n. 12023/1995), in tema di prova per presunzioni ciò che rileva è il rispetto dei principi di diritto che le regolano, tra i quali non rientra la necessità che il fatto ignoto appaia come l'unica conseguenza possibile dei fatti noti, essendo al contrario, sufficiente che esso sia da questi desumibile secondo l'id quod plerumque accidit.

Sempre in base all'applicazione dell'art. 2043 c.c., fondato sul principio del neminem laedere, la Cassazione ha ritenuto la ditta produttrice e il distributore di una bottiglietta di bevanda gassata responsabili dei danni riportati a causa dello scoppio. In concorso con la responsabilità extracontrattuale è stata ritenuta configurabile a carico del distributore la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. per avere fornito merce difettosa (Cass. n. 1376/1980). La giurisprudenza di merito ha invece escluso a carico del distributore e della ditta produttrice della merce l'ipotesi di responsabilità di cui all'art. 2050 c.c., attesa la non configurabilità di un'attività pericolosa in re ipsa, né quella di cui all'art. 2051 c.c., data la mancanza dell'effettiva disponibilità della res da parte del distributore (App. Roma, 30 luglio 1992, ha ritenuto che la commercializzazione di succhi di frutta o di prodotti similari non è qualificabile come «attività pericolosa» a norma dell'art. 2050 c.c. che consente l'esonero da responsabilità da parte dei distributori (importatore e dettagliante) solamente provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno)

In altra decisione, pur riguardante l'esplosione di una bottiglia difettosa, è stato ritenuto responsabile esclusivamente il produttore (App. Roma, 30 luglio 1992).

Particolarmente delicato è il tema di fabbricazione di un prodotto difettoso da parte di più soggetti. Utilizzando il criterio della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c., nel caso in cui al processo produttivo di un determinato bene avevano partecipato in fasi diverse più soggetti, la Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità solidale di tutti i soggetti che avevano senza diligenza contribuito alla fabbricazione di un prodotto difettoso (Cass. n. 3816/1986). La Corte, in particolare, non ha ritenuto esente da responsabilità l'acquirente di un pezzo difettoso che proceda all'assemblaggio del bene per i danni derivati dall'uso del prodotto finale per il solo fatto che il difetto è imputabile ad altri e cioè dal fornitore del pezzo. Secondo la Cassazione, colui che procede ad assemblare il bene ha il dovere di sottoporre il pezzo acquistato a diligente controllo e restando, quindi, la sua responsabilità esclusa soltanto nell'ipotesi in cui il pezzo stesso sia stato destinato, dopo l'assemblaggio, dal produttore finale ad un impiego atipico e da lui non prevedibile.

Il comportamento dell'utilizzatore del bene che ha concorso a determinare l'evento è stato ritenuto fattore idoneo ad escludere la responsabilità del produttore.

In tal senso si è ritenuto che nell'ipotesi dell'incendio del mobilio di un appartamento, determinato dallo scoppio di un televisore, il produttore non è responsabile ove risulti che il televisore era stato mantenuto dall'utente in stato di preaccensione (Trib. Roma, 17 settembre 1987).

Accanto al criterio generale di responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c., la giurisprudenza, in presenza di attività ritenute pericolose, ha fatto uso del criterio della colpa presunta di cui all'art. 2050 c.c. per affermare la responsabilità del produttore. Ciò è avvenuto soprattutto in materia di produzione e commercializzazione di farmaci, con particolare riguardo agli emoderivati (Trib. Roma, 27 giugno 1987).

Secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, ai fini della responsabilità sancita dall'art. 2050 c.c., debbono esser ritenute pericolose, oltre alle attività prese in considerazione e per la prevenzione infortuni o la tutela dell'incolumità pubblica, anche tutte quelle altre che, pur non essendo specificate o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati (Cass. n. 8069/1993). Pertanto la produzione e l'immissione in commercio di farmaci, contenenti gammaglobuline umane e destinati all'inoculazione nell'organismo umano, costituisce attività dotata di potenziale nocività intrinseca, stante il rischio di contagio del virus della epatite di tipo B, non espressamente previsto dalla normativa riguardante gli emoderivati, ma tuttavia compreso nell'ampia prevenzione stabilita da dette disposizioni. Ne consegue che il produttore, come l'importatore, del farmaco, e prima ancora il produttore delle dette gammaglobuline, per liberarsi della presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. devono fornire la prova, particolarmente rigorosa, dell'adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno con la verifica dell'innocuità del prodotto mercé quei metodi, anche sperimentali, di analisi e controllo che la scienza medica fornisce, indipendentemente dal loro costo o perfezionabilità, non bastando la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorrendo quella positiva, di aver impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l'evento dannoso. Nello specifico la Corte ha escluso che il produttore di farmaci emoderivati difettosi potesse liberarsi della responsabilità con la prova di aver osservato le norme giuridiche e di aver utilizzato i ritrovati tecnici che, essendo entrati nell'uso comune, potevano considerarsi prescritti da una norma tecnica per prevenire il realizzarsi del danno (App. Roma, 17 ottobre 1990, ha invece ritenuto sussistente la prova liberatoria «di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno» da parte dei produttori di un medicinale e di materie prime impiegate nella sua preparazione, i quali abbiano dimostrato non solo di avere osservato le prescrizioni imposte dalla legislazione sanitaria, ma anche di aver eseguito le indagini suggerite dalle conoscenze tecniche e scientifiche all'epoca della lavorazione del prodotto)

Al di fuori dell'art. 2050 c.c., si è ha affermata la responsabilità aquilana dei soggetti coinvolti nell'attività di produzione, importazione e distribuzione di emoderivati (App. Trieste, 16 giugno 1987, ha ritenuto che il produttore venditore di un medicinale, che utilizzi, nella composizione di quest'ultimo, un componente acquistato da terzi e da altri prodotto, è tenuto a sottoporre ad un diligente controllo il componente per accertare che non sia difettoso e quindi inidoneo a provocare danno a colui al quale venga somministrato il medicinale stesso. Secondo la Corte tale obbligo deriva dal dovere di diligenza imposto dall'art. 2043 c.c. Il grado di diligenza richiesto al produttore di farmaci, in considerazione della natura dell'attività farmaceutica, di estrema delicatezza per il rischio che la somministrazione di farmaci comporta per la salute del paziente, è massimo, per cui il semplice dubbio o anche una non perfetta compiutezza degli studi scientifici, inidonea quindi a portare a risultati di assoluta certezza, deve indurre il produttore a non porre in commercio il farmaco. Nella fattispecie l'elemento di colpa dell'importatore è stato rinvenuto nella omissione del controllo della gammoglobuline, in violazione delle norme in materia di importazione e produzione di emoderivati, quello del fornitore americano nella insufficienza dei controlli effettuati e documentati o, quanto meno, nella non perfezione tecnica del metodo usato per la produzione dell'emoderivato).

In tal senso, si è precisato che non vale ad escludere la responsabilità dell'esercente una qualunque informativa circa i possibili effetti collaterali del farmaco, essendo viceversa necessario che l'impresa farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche allo stato di avanzamento della ricerca, allo scopo di eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti nella maniera più completa ed esaustiva possibile i potenziali consumatori (Cass. n. 6587/2019).

Le coordinate del d.P.R. n. 224/1988

Il d.p.r. n. 224/1988, in materia di danno da prodotti difettosi prevede una forma di tutela del danneggiato residuale rispetto a quella apprestata dagli art. 2043-2049 c.c., configurando una responsabilità extracontrattuale del produttore fondata non sulla colpa, ma sulla riconducibilità causale del danno preso in considerazione alla presenza di un difetto del prodotto (Trib. Milano, 31 gennaio 2003).

È dunque possibile il concorso della responsabilità contrattuale ex art. 1494 c.c. ed extracontrattuale, sia ex art. 2043 c.c. che sulla base della disciplina speciale sul prodotto difettoso, già contenuta nel d.P.R. n. 224/1988 (Trib. Firenze, 5 aprile 2000, ha riconosciuto la responsabilità contrattuale del venditore del bene difettoso e a carico del produttore e dello stesso venditore sia la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e ex art. 9 d.P.R. n. 224/1988, per difetto di informazioni e di avvertenze al momento della vendita e per non aver adottato gli accorgimenti tecnici, pure esistenti e in loro possesso).

Come chiarito dalla Corte di Giustizia, il giudice nazionale in forza della Direttiva 85/374/Cee deve esaminare in quale categoria debbano essere ricompresi i fatti di causa, ossia se si tratti di un danno che rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 9, comma 1, lett. a) o dell'art. 9, comma 1, lett. b), di detta Direttiva, oppure di un danno morale eventualmente riconducibile all'ambito normativo nazionale, mentre non è possibile negare qualsiasi risarcimento ai sensi della detta Direttiva in base al fatto che, essendo soddisfatti gli altri presupposti per la responsabilità, il danno subito non sarebbe tale da rientrare in una delle categorie menzionate (CGCE, 10 maggio 2001, n. 203).

In altri termini, mentre il risarcimento del danno morale dipende esclusivamente dalle norme di diritto interno (e per le esclusioni risultanti dalle precisazioni apportate da tale disposizione con riferimento ai danni a cose), uno Stato membro della Comunità europea non può limitare i tipi di danno materiale (derivanti da morte o da lesioni personali, o di danno cagionato a una cosa o consistente nella distruzione di una cosa) conseguente all'utilizzo di un prodotto difettoso, così come previsto dall'art. 9 della direttiva 85/374/Cee.

Le disposizioni sulla responsabilità del produttore, per espressa scelta legislativa, non si applicano ai danni cagionati dagli incidenti nucleari previsti dalla l. 31 dicembre 1962, n. 1860, e successive modificazioni.

La disciplina speciale, infine, non si applica ai prodotti messi in circolazione prima del 30 luglio 1988, ovverosia ai fatti verificatisi prima della entrata in vigore del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 244. La normativa dettata dal d.P.R. 24 maggio 1988, n. 244, in materia di responsabilità del produttore per prodotti difettosi è pertanto priva di efficacia retroattiva (Cass. n. 13158/2002).

Legittimazione attiva

La Direttiva 85/374/Cee in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi non preclude la tutela del cd. consumatore esperto, con la conseguenza che la disciplina emanata con il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, ora confluita nel Codice del consumo, ha per oggetto, come emerge con evidenza già dall'intestazione della normativa, il «danno da prodotti difettosi», profilando una tipo di responsabilità, che prescinde dalla colpa del produttore e consegue all'«utilizzazione» del prodotto difettoso.

Legittimati ad agire sulla base delle specifiche disposizioni dettate dalla suddetta disciplina sono, dunque, tutti i soggetti che in qualche modo si sono trovati esposti, anche in maniera occasionale, al rischio derivante dal prodotto difettoso, riferendosi la tutela accordata all'utilizzatore in senso lato e, quindi, indubbiamente ad una persona fisica — come è reso evidente dall'identificazione del danno risarcibile in quello «cagionato dalla morte o da lesioni personali» e dalla limitazione dei danni materiali risarcibili — ma non esclusivamente al «consumatore» o utilizzatore non professionale (Cass. n. 13458/2013).

Né l'attuale collocazione della disciplina all'interno del Codice del consumo può indurre ad adottare una nozione di «danneggiato» in senso stretto, limitata alla persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta.

Pertanto, fra i soggetti che possono pretendere il risarcimento dal produttore del bene difettoso, c'è innanzitutto non solo l'utente danneggiato ma anche chi, pur non essendo l'utente, è stato danneggiato dal bene difettoso in conseguenza dell'uso da parte di altri, il cosiddetto bystander (Stella, 1596, che fa riferimento al caso dell'elettrodomestico che esplode e ferisce l'utente e chi si trovava vicino, oppure al caso della autovettura difettosa che provoca lesioni oltre che al guidatore a tutti i passeggeri o ad un passante).

Legittimati ad agire, quindi, sulla base delle specifiche disposizioni dettate in tema di prodotto difettoso non sono soltanto gli acquirenti del bene, avendo tale responsabilità natura extracontrattuale, ma tutti gli utilizzatori dello stesso e anche i soggetti che in qualche modo si sono trovati esposti, anche in occasionale, al rischio derivante dal prodotto.

In tal senso, una parte della giurisprudenza (Trib. Milano, 31 gennaio 2003) ha esteso la responsabilità anche al di là della categoria del consumatore, sul presupposto che la disciplina di cui al d.P.R. n. 224/1988, in materia di danno da prodotti difettosi, prevede una forma di tutela del danneggiato, inteso in senso ampio e, quindi, non limitato alla categoria dell'utilizzatore o consumatore «non professionale». La collocazione della disciplina all'interno del Codice del consumo potrebbe peraltro far propendere per una nozione di danneggiato ristretta alla persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta. Contro questa opzione, e a favore di un'interpretazione la più lata possibile, deve rilevarsi come la disciplina per danno da prodotti difettosi non fa specifico riferimento alla figura del consumatore, richiamando, più genericamente, la figura del danneggiato.

La giurisprudenza (Trib. Roma, 26 ottobre 2003) ha inoltre ritenuto ammissibile, ai sensi dell'art. 3 l. 30 luglio 1998 n. 281, (ora art. 140 d.lgs. n. 206/2005Codice del consumo) l'intervento delle associazioni di tutela dei consumatori nei processi relativi alla responsabilità per danni cagionati da un prodotto difettoso disciplinata dal d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224. Tali associazioni, inserite nell'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale istituito presso il Ministero delle attività produttive, sono infatti legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al Tribunale di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti, di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.

Così In tema di domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento di innesto di protesi, se la causa dell'insuccesso dell'operazione è circoscritta ad un difetto di fabbricazione dell'impianto artificiale, responsabili dell'accaduto sono la casa di produzione e il chirurgo che ha anche progettato e verificato la protesi prima della sua applicazione (Trib. Firenze, 18 novembre 2014, n. 3574).

Responsabilità da prodotto difettoso ed azioni edilizie

La responsabilità per danni da prodotti difettosi è cosa diversa dalle azioni di garanzia per i vizi nella compravendita e concerne esclusivamente i danni arrecati dal prodotto difettoso alla persona o ai beni del consumatore.

Ciò tuttavia non significa che la suddetta responsabilità sia ricollegabile esclusivamente agli illeciti di natura aquiliana. Essa ben può derivare anche da vicende qualificabili come inadempimento contrattuale, poiché anche nei casi di compravendita può accadere che il prodotto viziato arrechi danno alla persona od ai beni del compratore.

Ed invero, la peculiare disciplina introdotta dal d.P.R. di attuazione della direttiva Cee n. 85/374, oggi recepita nel codice del consumo, si è proposta di estendere la difesa contro i danni da prodotti difettosi a qualunque danneggiato, sia nelle fattispecie di responsabilità aquilana, sia anche in quelle di responsabilità contrattuale, poiché è ben possibile che il danno alla persona od ai beni del consumatore, rilevante ai sensi della citata normativa, si verifichi nell'ambito di un rapporto contrattuale, per esempio in conseguenza dei vizi della cosa compravenduta.

Ed anzi in quest'ambito la responsabilità contrattuale è stata estesa, agli effetti indicati, al soggetto danneggiato dal vizio del prodotto, anche quando non si tratti di colui che abbia stipulato il contratto direttamente con il produttore (o con il fabbricante o con l'esportatore o con altro dei soggetti che la legge chiama a rispondere), ma di altro soggetto a cui il prodotto difettoso sia comunque pervenuto lungo la catena distributiva.

Vi è quindi un'area di convergenza e di concorso fra le azioni derivanti dalla normativa generale in tema di compravendita e quelle derivanti dalla normativa in tema di responsabilità per danni da prodotti; tanto è vero che la legge speciale fa espressamente salvi i diritti e le azioni spettanti al danneggiato in forza di altre leggi (d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, art. 15, di attuazione della direttiva Cee n. 85/374; oggi art. 127, comma 1, d.lgs. n. 206/2005cod. consumo), quindi anche quelle in tema di garanzia per i vizi nella compravendita.

Invero, in tema di vizi della cosa venduta, ai sensi dell'art. 1494 c.c., il rivenditore è responsabile nei confronti del compratore del danno a lui cagionato dal prodotto difettoso se non fornisce la prova di aver attuato un idoneo comportamento positivo tendente a verificare lo stato e qualità della merce e l'assenza di vizi, anche alla stregua della destinazione della stessa, giacché i doveri professionali del rivenditore impongono, secondo l'uso della normale diligenza, controlli periodici o su campione, al fine di evitare che notevoli quantitativi di merce presentino gravi vizi di composizione (Cass. n. 15824/2014).

Tale principio è stato ribadito anche dalla giurisprudenza di merito, dal momento che la disposizione dell'art. 1494 c.c. trova applicazione anche nel campo della grande distribuzione ovvero della rivendita di prodotti industriali di massa, sicché il rivenditore è responsabile nei confronti del compratore del danno a lui cagionato dal prodotto difettoso se non fornisce la prova di aver attuato un idoneo comportamento positivo tendente a verificare lo stato e qualità della merce ed a controllare in modo adeguato l'assenza di vizi, anche alla stregua della destinazione della merce stessa, tenendo conto in tale ipotesi che i doveri professionali del rivenditore, se non possono includere l'effettuazione di indagini e riscontri assidui su ogni singolo prodotto, impongono, secondo l'uso della normale diligenza, controlli periodici o su campione, al fine di evitare che notevoli quantitativi di merce presentino gravi vizi di composizione o conservazione (Trib. Modena 10 ottobre 2012, n. 1891; Trib. Milano 6 settembre 2014, n. 10814).

Il confine e il criterio discretivo fra le fattispecie soggette alla normativa speciale e quelle soggette esclusivamente alla disciplina della compravendita passano per altra via e vanno individuati nel tipo di danno di cui si chieda il risarcimento e nella qualità fatta valere dal soggetto che quel danno rivendichi.

La tutela assicurata dalla normativa speciale non è predisposta per i casi in cui il rapporto dedotto in giudizio ed il danno che ne è derivato abbiano natura esclusivamente «commerciale»: cioè consistano nel pregiudizio arrecato all'operatore economico dal fatto che gli sia stata fornita della merce difettosa, in termini di maggiori difficoltà di rivendita dei beni; reclami della clientela, eventuali azioni di restituzione e di danni.

In questi casi, pur se il difetto della fornitura abbia comportato il danneggiamento di altri beni dell'acquirente, si è al di fuori delle fattispecie di danno da prodotti difettosi, poiché l'acquirente è stato colpito non nella sua qualità di utente o consumatore, ma nell'esercizio della sua attività economica o commerciale, e sugli utili di tale attività si è ripercosso il danno (Cass. 9254/2015; Cass. n. 19414/2013).

Pertanto, posto che la disciplina della responsabilità da prodotti difettosi di cui al d.P.R. n. 224/1988 viene ad affiancarsi e non a sostituirsi, ai rimedi previsti dall'ordinamento in favore di colui che patisca in danno ingiusto (Cass. n. 8981/2005) — la relativa azione nei confronti del fornitore risulta assoggettata ai limiti temporali di cui agli artt. 13 e 14 dello stesso d.P.R. e non è condizionata dai limiti di azionabilità dei diritti di garanzia scaturenti dalla vendita, che sono riferiti alla pretesa contrattuale, risultando ben distinto l'inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto dal generale divieto del neminem laedere, al quale anche il fornitore è tenuto secondo un generale principio di solidarietà sociale, e che implica, tra l'altro, la responsabilità dello stesso per i danni da prodotti difettosi ex art. 4 «quando il produttore non sia individuato» (Cass. n. 13432/2010).

In termini puntuali, la giurisprudenza di merito ha evidenziato che nel caso di compravendita a consumatore (nel caso di specie di un veicolo), l'art. 129 cod. consumo prevede che il venditore abbia l'obbligo di consegnare all'acquirente beni conformi al contratto di vendita. In caso contrario l'acquirente può esercitare un'azione contrattuale, con la quale fa valere la responsabilità del venditore per il difetto di conformità del bene venduto e chiede provvedimenti 'latu sensu' sanzionatori, quali la sostituzione del bene o la risoluzione del contratto. L'azione, in ogni caso, va esercitata contro il venditore, per cui del difetto non può essere chiamato a rispondere il produttore del mezzo. Ciò del resto trova conferma nel disposto di cui all'art. 131 cod. consumo, in materia di regresso del venditore finale nei confronti del produttore; ne discende che il compratore può far valere la responsabilità da prodotto difettoso nei confronti del venditore, il quale è tenuto a risponderne, salvo possibilità di agire in regresso per il recupero di quanto condannato a pagare (Trib. Potenza, 9 maggio 2023, n. 552).

Prescrizione del diritto

Con il d.P.R. n. 224/88 è stata data attuazione in Italia alla direttiva Cee 1985/374 relativa al ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità da prodotto difettoso; l'introduzione della nuova normativa non ha però comportato il venir meno delle opportunità di tutela già previste dai singoli ordinamenti nazionali, lasciando impregiudicata la facoltà di scegliere tra la nuova disciplina e le forme di responsabilità già previste dal diritto comune, ciascuna azionabile secondo i rispettivi presupposti.

Viene dunque in rilievo anche la responsabilità civile da reato di cui all'art. 185 c.p., e trova applicazione, l'art. 2947, comma 3, c.c., che stabilisce termini più lunghi di prescrizione per il risarcimento del danno derivante da reato (Cass. pen. n. 30818/2008, nella specie, la Corte ha confermato la condanna del produttore di un ponteggio a due mesi di reclusione oltre che al risarcimento dei danni e al pagamento della provvisionale: due operai erano caduti da un macchinario costruito dalla sua azienda, che era stato poi montato in una configurazione rivelatasi pericolosa; respinta l'eccezione di decadenza formulata rispetto al risarcimento delle vittime sul rilievo che il corrispondente diritto, in base al d.P.R. n. 224/1988, si sarebbe estinto essendo trascorsi dieci anni dal giorno in cui il produttore aveva messo in circolazione il macchinario che aveva causato il danno

In tema di responsabilità da prodotto difettoso, il diritto al risarcimento del danno da reato si prescrive nel termine indicato dall'art. 2947, comma 3, c.c., a nulla rilevando il termine previsto a pena di decadenza per l'azione risarcitoria nei confronti del produttore (Cass. pen. n. 30818/2008).

L'art. 11 della direttiva 85/374/CE fissa un termine di prescrizione decennale dei diritti conferiti al danneggiato da un prodotto (anche medicinale) difettoso, che decorre dalla data in cui il prodotto è stato messo in circolazione: il che si verifica allorché è uscito dal processo di fabbricazione messo in atto dal produttore ed è entrato nel processo di commercializzazione per essere utilizzato o consumato, ma poco importa che il prodotto sia venduto direttamente dal produttore all'utilizzatore o al consumatore finale oppure che tale vendita sia effettuata attraverso una o più maglie di una catena di distribuzione, così che, quando una delle maglie della catena di distribuzione è strettamente legata al produttore, tale legame fa sì che questa entità possa essere considerata implicata nel processo di fabbricazione del prodotto interessato; ma quando viene intentata un'azione in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi contro una società erroneamente considerata il produttore di un prodotto, mentre, in realtà, quest'ultimo era fabbricato da un'altra società, in linea di principio spetta al diritto nazionale stabilire le condizioni in base alle quali la sostituzione di una parte ad un'altra può intervenire nell'ambito di una siffatta azione (CGUE, 9 febbraio 2006, n. 127).

Analogamente, l'art. 11 direttiva del Consiglio 25 luglio 1985 n. 85/374/Cee, in tema di riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotto difettoso, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che una normativa nazionale la quale autorizzi la sostituzione di una parte convenuta ad un'altra nel corso di un procedimento giudiziario sia applicata in modo tale da consentire che, dopo la scadenza del termine ivi fissato, un «produttore» ai sensi dell'art. 3 della direttiva sia citato come parte convenuta nel procedimento giudiziario promosso entro detto termine contro un'altra persona. In effetti, fatta salva l'eventuale applicazione del diritto della responsabilità contrattuale od extracontrattuale ovvero un regime speciale di responsabilità esistente al momento della notifica della direttiva 85/374, applicazione che la direttiva non pregiudica come risulta dal suo art. 13 e dal tredicesimo «considerando», il produttore è esonerato da responsabilità, a norma dell'art. 11, alla scadenza del termine di dieci anni decorrente dalla data di immissione in circolazione del prodotto di cui trattasi, a meno che nel corso di tale periodo non sia stato avviato nei suoi confronti un procedimento giudiziario (CGUE, 2 dicembre 2009, n. 358).

Bibliografia

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