Decreto legislativo - 6/09/2005 - n. 206 art. 117 - Prodotto difettoso

Francesco Agnino

Prodotto difettoso

 

1. Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui:

a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite;

b) l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;

c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

2. Un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio.

3. Un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.

Inquadramento

L'art. 117 d.lgs. n. 205/2006 definisce «difettoso» non ogni prodotto insicuro ma quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Il concetto di difetto così assunto è sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi (qui, peraltro, non allegate) dell'assenza o carenza di istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza; non corrisponde, quindi, alla nozione di «vizio» conosciuta dal codice civile (art. 1490 c.c.), la quale si identifica in una imperfezione del bene e può anche non comportare un'insicurezza del prodotto; neppure coincide con il difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo, postulando un pericolo per il soggetto che fa un uso del prodotto o per coloro che, comunque, si trovano in contatto con esso (Cass. n. 13458/2013).

Il legislatore ha, inoltre, precisato che il prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio e che il prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.

Il difetto, dunque, è strettamente connesso al concetto di sicurezza. Così come concepito dalla normativa, il difetto implica un'insidia, un pericolo per il soggetto che ne fa un uso e per i terzi che si trovano in contatto con esso. In tale prospettiva il difetto non coincide con la nozione di vizio conosciuta dal nostro ordinamento, poiché il vizio, che si identifica in un'imperfezione del bene, può anche non comportare un'insicurezza del prodotto. Può pertanto ritenersi che il vizio comprende al suo interno la nozione di difetto ma presenta un rilievo più ampio.

Sul piano interpretativo può costituire un parametro integrativo di riferimento, al fine di valutare la sussistenza del difetto, la nozione di prodotto sicuro contenuta nella disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti, già contenuta nel d.lgs. n. 172/2004 e ora riprodotta nell'art. 103 d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo). In base a tale disposizione è sicuro il prodotto che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l'installazione e la manutenzione, non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l'impiego del prodotto e considerati accettabili nell'osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone in funzione. in particolare, dei seguenti elementi: 1) delle caratteristiche del prodotto, in particolare la sua composizione, il suo imballaggio, le modalità del suo assemblaggio e, se del caso, della sua installazione e manutenzione; 2) dell'effetto del prodotto su altri prodotti, qualora sia ragionevolmente prevedibile l'utilizzazione del primo con i secondi; 3) della presentazione del prodotto, della sua etichettatura, delle eventuali avvertenze e istruzioni per il suo uso e la sua eliminazione, nonché di qualsiasi altra indicazione o informazione relativa al prodotto; 4) delle categorie di consumatori che si trovano in condizione di rischio nell'utilizzazione del prodotto, in particolare dei minori e degli anziani.

La sicurezza, dunque, va apprezzata in relazione agli elementi che concorrono a far ritenere sicuro il prodotto. La nozione di difetto, dunque, si basa sul concetto di sicurezza, che è elemento diverso dal vizio contenuto della disciplina della vendita (art. 1490 c.c.) e non coincide con il difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo.

Analogamente, l'assenza o carenza di istruzioni relative all'utilizzo di un prodotto costituisce un'ipotesi di mancato rispetto delle condizioni di sicurezza, come richiesto dall'art. 5 d.P.R. n. 224/1988, ora art. 117 d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo). In questi casi ne consegue la responsabilità del produttore per difetto di informazione (Trib. Vercelli, 7 aprile 2003, ove il produttore di una caffettiera è stato condannato al risarcimento dei danni, derivati dall'esplosione di quest'ultima, per aver allegato informazioni insufficienti proprio sotto i profili che ne hanno causato lo scoppio).

La giurisprudenza di merito ha ritenuto che – seppure la disciplina consumieristica trovi applicazione solo a tutela della persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale, per cui il contratto posto in essere nell'esercizio dell'attività d'impresa o professionale e per uno scopo connesso all'attività stessa non soggiace alla predetta normativa - tuttavia è in ogni caso applicabile la disciplina di cui agli artt. 117 e ss. del cod. consumatore, in particolare l'art. 117, che prevede la tutela per i prodotti difettosi - per tali intendendosi quei prodotti che non offrono la sicurezza che ci si può legittimamente aspettare tenuto conto di tutte le circostanze. Allo stesso modo si applica anche al professionista non consumatore l'art. 123, che stabilisce le ipotesi di risarcibilità del danno da prodotto difettoso (Trib. Latina, 5 dicembre 2022, n. 2290).

La nozione di difetto

L'accezione di «difetto» di cui all'art. 117 d.lgs. n. 205/2006 è differente da quella tradizionale di «vizio» (del bene venduto) di cui al codice civile: non già il difetto di fabbricazione in senso stretto che rende il bene inidoneo all'uso o incide in modo apprezzabile sul suo valore (Cass. n. 13925/2002) ma l'insicurezza del prodotto che può prescindere da un difetto di fabbricazione.

Ciò premesso, si intende che nell'accezione di «difetto» di cui all'art. 117 d.lgs. n. 205/2006 può rientrare, innanzitutto, proprio il vizio materiale di fabbricazione o costruzione in senso stretto, il quale rendendo insicuro il prodotto, sotto il profilo di un'anomalia nel funzionamento, è suscettibile di provocare un danno. Tali vizi di costruzione possono colpire uno o più esemplari isolati di prodotti di serie, a causa della disfunzione occasionale di una macchina o della negligenza di un addetto alla fabbricazione o al controllo; oppure a monte del vizio di fabbricazione possono esserci vizi di progettazione che necessariamente colpiscono l'intera serie prodotta.

Per il giudice comunitario, l'art. 6, par. 1, della direttiva 85/374/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, deve essere interpretato nel senso che l'accertamento di un potenziale difetto dei prodotti appartenenti al medesimo gruppo o alla medesima serie di produzione, quali i pacemakers e i defibrillatori automatici impiantabili, consente di qualificare come difettoso un siffatto prodotto senza che occorra riscontrare il suddetto difetto in tale prodotto (CGUE, 5 marzo 2015, n. 503).

Volendo fare riferimento alla più recente casistica, rientrano in questo ordine di ipotesi (danno da difetto di fabbricazione in senso stretto), ad esempio, le seguenti fattispecie: scoppio a terra (anziché in aria) di un fuoco d'artificio difettoso con conseguenti lesioni per l'utente (Cass. n. 12750/2005); rottura-cedimento, in un motociclo, del sistema sterzante per erroneo fissaggio del manubrio (Trib. Roma, 14 novembre 2003); anomalie dell'impianto frenante dell'autovettura (Trib. Roma, 4 dicembre 2003); cedimento di due pioli della scala usata da un giardiniere (Trib. Milano, 31 gennaio 2003); rottura del tacco di uno stivaletto non correttamente collegato al fondo della scarpa (Trib. La Spezia, 27 ottobre 2005).

Analogamente, costituisce difetto di progettazione di un motoveicolo il fatto che il serbatoio del carburante sia alloggiato nella culla centrale del telaio e sia ancorato ai tubolari di esso, in modo da non potersi staccare dal veicolo in caso di collisione con un ostacolo per impedire che la combustione del carburante si propaghi al veicolo stesso (Trib. Pisa, 16 marzo 2011).

In ogni caso, la valutazione di insicurezza di un prodotto non presuppone necessariamente l'individuazione della causa tecnica del malfunzionamento di esso, ma tale valutazione può, secondo le circostanze, fondarsi sullo stesso malfunzionamento e sulle conseguenze che ne sono derivate; il nesso causale tra uso del prodotto e danno può essere accertato mediante presunzioni; è risarcibile il danno a cose, ma non sono risarcibili i danni non patrimoniali e le pure perdite patrimoniali (Trib. Monza, 10 febbraio 2015).

Di recente, il giudice comunitario ha evidenziato che qualora un dispositivo medico presenti un potenziale difetto, tutti i prodotti dello stesso modello possono essere qualificati come difettosi ed i costi per la loro sostituzione sono a carico delle aziende produttrici (CGUE, 5 marzo 2015, n. 503).

La Corte di Giustizia europea ha chiarito che le apparecchiature medicali come pacemakers e defibrillatori cardiaci impiantabili sono da considerare difettosi, senza che il ricorrente debba dimostrarlo, a condizione che altri prodotti dello stesso tipo o facenti parte della stessa serie abbiano rivelato un potenziale difetto. I costi per l'intervento di sostituzione di tali impianti, inoltre, devono essere rimborsati dal produttore.

La decisione ha preso spunto dal fatto che il fabbricante aveva specificamente avvertito medici ed acquirenti che il tipo di dispositivo oggetto della disputa aveva problemi di batteria e che tali problemi erano impossibili da determinare su ogni paziente, perché la rimozione dell'apparecchiatura, per effettuarne il controllo, avrebbe potuto causare la morte del paziente stesso.

Nelle sue motivazioni la Corte di giustizia ha ricordato che un prodotto è difettoso quando non garantisce il livello di sicurezza che una persona ha il diritto di aspettarsi, sottolineando che le legittime aspettative di sicurezza dipendono anche dalla destinazione del prodotto e dalle sue oggettive caratteristiche e proprietà, nonché dalle specifiche esigenze del gruppo di utenti ai quali esso è destinato.

Nella fattispecie dei pacemakers e defibrillatori impiantabili bisogna quindi tener conto della particolare funzione svolta da questi dispositivi e della situazione di estrema vulnerabilità dei pazienti che li utilizzano.

Alla luce di questi fattori, i requisiti di sicurezza che tali pazienti hanno il diritto di aspettarsi devono essere particolarmente elevati e la responsabilità del fabbricante per eventuale vizio del prodotto viene quindi mutuata dall'enorme potenziale di danno che questi impianti potrebbero causare alle persone interessate.

D'altra parte, già nella motivazione del rinvio, la Corte Suprema Tedesca aveva suggerito che, data la particolare criticità della funzione svolta da questi impianti per la salute del paziente, le legittime aspettative di sicurezza per i pacemakers si attestavano intorno a 17-20 volte sopra lo standard, mentre il vizio riscontrato su 4 dei 46.000 defibrillatori cardiaci impiantati sarebbe stato sufficiente a determinare che il prodotto era difettoso, pur trattandosi di un tasso di errore inferiore all'1%.

Inoltre, dato l'obbiettivo di proteggere la salute e la sicurezza dei consumatori perseguito dalla Direttiva, il risarcimento del danno non può non implicare ed includere tutto ciò che è necessario per eliminarne le conseguenze e ripristinare un livello di sicurezza adeguato. Ciò comprende il risarcimento dei costi relativi alla sostituzione del prodotto difettoso, nel caso in cui tale operazione si renda necessaria per risolvere la difettosità del prodotto in questione.

Assai significativa è una pronuncia di merito: in tema di prodotti difettosi e tutela del consumatore, ai sensi dell'art. 117 del Codice del Consumo, un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; b) l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione. Inoltre, un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio (comma 2 dell'art. 117 citato), mentre un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie, comma 3 dell'art. 117 citato (Trib. Prato, 16 giugno 2020, n. 244).

Il codice del consumo definisce 'difettoso' il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può aspettare in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche, alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso al quale il prodotto può essere destinato, ai comportamenti che in relazione ad esso si possono prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione. Dunque il concetto di 'difettosità' non coincide né con il "vizio" di cui parla l'art. 1490 c.c., né con il difetto di conformità previsto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo. Per quanto concerne l'onere probatorio, l'art. 120 del codice del consumo prevede che incombe sul danneggiato l'onere di provare il danno, il difetto e la connessione tra difetto e danno, laddove il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità ex art. 118 c.d.c. (App. Catanzaro, 14 luglio 2022, n. 842).

Quanto la individuazione del soggetto danneggiato, si è osservato che è noto che la disciplina consumieristica trova applicazione solo a tutela della persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale, per cui il contratto posto in essere nell'esercizio dell'attività d'impresa o professionale e per uno scopo connesso all'attività stessa non soggiace alla predetta normativa. Tuttavia va precisato che è in ogni caso applicabile la disciplina di cui agli artt. 117 e ss. del cod. consumatore, in particolare l'art. 117, che prevede la tutela per i prodotti difettosi - per tali intendendosi quei prodotti che non offrono la sicurezza che ci si può legittimamente aspettare tenuto conto di tutte le circostanze -. Allo stesso modo si applica anche al professionista non consumatore l'art. 123, che stabilisce le ipotesi di risarcibilità del danno da prodotto difettoso (Trib. Latina, 5 dicembre 2022, n. 2290).

Il concetto di sicurezza

Il difetto che rileva non è l'inidoneità del prodotto a raggiungere il risultato cui doveva servire, ma la mancanza di sicurezza del prodotto, «che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze».

La norma poi esemplifica le circostanze di cui tener conto al fine di valutare la sicurezza del prodotto: a) il modo in cui il prodotto è stato presentato, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni, le avvertenze; (Trib. Vercelli, 7 aprile 2003 che affronta il caso dello scoppio di una caffettiera, per mancanza di avvertenze sul rapporto tra efficienza della valvola di sicurezza, usura della stessa e acque dure; b) l'uso cui è destinato il bene e i comportamenti che si possono ragionevolmente prevedere; uno dei primi casi esaminati postd.P.R. n. 224/1988, è stato quello della «mountain bike» con cedimento della forcella della ruota anteriore per difetto di progettazione, perché il materiale era di una lega troppo leggera (Trib. Monza, 20 luglio 1993); nel caso del bimbo salito sul bracciolo dell'altalena, e aggrappatosi allo snodo dell'altalena per non cadere, procurandosi lesioni, l'uso è stato invece considerato irragionevole e imprevedibile (Cass. n. 10274/1995); c) il tempo della messa in circolazione.

Deve puntualizzarsi — anche assumendo come parametro integrativo di riferimento la nozione di prodotto «sicuro» contenuta nella disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti (peraltro successiva ai fatti di cui si controverte) di cui al d.lgs. n. 172/2004, ora riprodotta nell'art. 103 d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo) — che il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve, perciò, considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo, piuttosto, farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze specificamente indicate dall'art. 5 d.p.r. n. 224/1988 o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali, ovviamente, possono e debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia. Al riguardo è stato precisato da questa Corte che il danno non prova indirettamente, di per sé, la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore, se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia (Cass. n. 25116/2010).

Pertanto, la difettosità del prodotto si correla al concetto di «sicurezza», nel senso che è difettoso — ai sensi del d.P.R. n. 224/1988, art. 5 (oggi trasfuso nell'art. 117 codice del consumo) — quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

È stato, quindi, precisato che il concetto di difetto cosi assunto è «sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi dell'assenza o carenza di istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza (Cass. n. 13458/2013).

L'insicurezza del prodotto può poi dipendere da un difetto di informazione, ossia di adeguate istruzioni sul suo impiego. Il produttore deve infatti informare gli utenti sulle modalità d'uso del prodotto e ciò attiene ai mezzi per rendere sicuro il prodotto (si pensi all'importanza delle informazioni per le medicine, le quali devono segnalare eventuali controindicazioni; alla rilevanza delle informazioni redatte nelle varie lingue dei paesi in cui il prodotto viene esportato.

Ad ogni modo, il danno non prova indirettamente, di per sé, la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore, se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia (Cass. n. 13458/2013).

Invero, in tema di responsabilità del produttore, la "difettosità" del prodotto, di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), non coincide con la sua pericolosità (in quanto i prodotti pericolosi non sono, per ciò solo, "difettosi"), né l'accertamento consente al giudice di stabilire come quel prodotto debba essere progettato o costruito, dovendosi piuttosto stabilire se il prodotto che si assume difettoso sia stato progettato e costruito rispettando gli standard minimi richiesti dalle leges artis e dalla normativa di settore o dalle regole di comune prudenza (Cass. n. 29386/2023).

Di talché, sebbene la prova della difettosità di un prodotto possa basarsi su presunzioni semplici, non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall'utilizzatore di un prodotto sia l'inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest'ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un'attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell'esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all'utilizzazione del prodotto stesso (Cass. n. 3258/2016).

L'art. nell'art. 117 Codice del Consumo (e già art. 5 d.P.R. n. 224 del 1988) definisce "difettoso" non ogni prodotto insicuro ma quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, ai comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Si è al riguardo precisato che il concetto di difetto è sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione, ovvero alle ipotesi dell'assenza o carenza di istruzioni, ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza.

Non corrisponde pertanto né alla nozione di "vizio" di cui all'art. 1490 c.c., in base al quale può trattarsi di un'imperfezione del bene che può anche non comportare un'insicurezza del prodotto, né a quella di difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo, postulando invero un pericolo per il soggetto che fa un uso del prodotto o per coloro che, comunque, si trovano in contatto con esso (Cass. n. 13458/2013).

Il legislatore ha, inoltre, precisato che il prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio; e che il prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.

Si è ulteriormente sottolineato che, anche assumendo come parametro integrativo di riferimento la nozione di prodotto "sicuro" contenuta nella disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti (peraltro successiva ai fatti di cui si controverte) di cui all'art. 103 Codice del consumo (e già al d.lgs. n. 172/2004), il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo farsi riferimento ai requisiti di sicurezza dall'utenza generalmente richiesti in relazione alle circostanze piuttosto specificamente indicate all'art. 117 Codice del consumo (e già al art. 5 d.P.R. n. 224/1988), o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia (Cass. n. 13458/2013).

Si è osservato come la verificazione del danno di per sé non deponga per la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo per una sua più indefinita pericolosità, invero insufficiente a fondare la responsabilità del produttore laddove non venga in concreto accertato che la stessa pone il prodotto al di sotto del livello di garanzia e di affidabilità richiesto dalle leggi in materia o dall'utenza (Cass. n. 13458/2013; Cass. n. 25116/2010).

Sicché, ai sensi dell'art. 117 del d.lgs. n. 206/2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall'art. 5 d.P.R. n. 224/1988, il livello di sicurezza al di sotto del quale il prodotto deve ritenersi difettoso non corrisponde a quello della sua innocuità, dovendo piuttosto farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze tipizzate dalla suddetta norma, o ad altri elementi valutabili ed in concreto valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali rientrano anche gli standard di sicurezza eventualmente imposti da normative di settore (Cass. n. 29898/2018).

Prodotti cosmetici

In tema di prodotti cosmetici seppure l'art. 7 l. n. 713/1986 impone che i prodotti siano fabbricati, manipolati, confezionati e venduti in modo tale da non causare danni per la salute nelle normali condizioni di impiego, tuttavia, questa norma, sia essa letta con riferimento al contesto normativo della legge di cui fa parte, sia essa letta in coordinamento con quelle del d.P.R. n. 224/1988 non conduce alla conclusione che, per i prodotti cosmetici, il livello di sicurezza prescritto, ed al di sotto del quale il prodotto deve, perciò, considerarsi difettoso, sia quello della sua più rigorosa innocuità e che per i predetti prodotti, la responsabilità del produttore assuma, quindi, i caratteri propri di una responsabilità oggettiva assoluta in quanto esclusivamente legata alla prova del nesso di causalità tra l'utilizzazione del prodotto ed il danno alla salute che ne è seguito (Cass. n. 25116/2010; Cass. n. 6007/2007).

La rigidità della enunciazione iniziale — contenuta nella predetta disposizione — è, infatti, espressamente attenuata dal riferimento alle normali condizioni di impiego che delimita l'ambito del dovere di cautela del produttore, escludendo la garanzia di sicurezza in presenza di anormali condizioni di impiego, le quali possono logicamente dipendere non solo dall'abuso o dall'uso non consentito (come forse potrebbe ritenersi ad una più sommaria lettura) ma anche da circostanze del tutto anomale che, ancorché non imputabili al consumatore, rendano il prodotto, altrimenti innocuo, veicolo di danno alla salute (Cass. n. 20985/2007).

Infatti, la responsabilità del produttore (di cosmetici) non assume i caratteri propri di una responsabilità oggettiva assoluta, non essendo esclusivamente legata alla prova del nesso di causalità tra l'utilizzazione del prodotto ed il danno alla salute che ne sia seguito; in ogni caso, accertato il predetto nesso, non ricade sul produttore che pretenda di sottrarsi alla predetta responsabilità l'onere di dedurre o provare che il prodotto non era difettoso, ricadendo sul danneggiato l'onere di dimostrare la difettosità dello stesso (Cass. n. 6007/2007).

Si è così affermato che il danneggiato, che avendo riportato lesioni a seguito di reazione allergica alla tintura per capelli applicatagli, invochi il regime di responsabilità per danni da prodotto difettoso, è tenuto a provare il difetto del cosmetico, la cui sussistenza, per un verso, non può desumersi dalla semplice attitudine del medesimo a provocare il danno, in quanto postula l'accertamento di condizioni di insicurezza al di sotto degli standard esigibili, e, per altro verso, va comunque esclusa al cospetto di condizioni anormali di impiego, le quali possono dipendere anche da circostanze anomale che, pur non imputabili al consumatore, rendano lesivo il prodotto, altrimenti innocuo (Cass. n. 6007/2007, nella specie, si sono annoverate tra le circostanze anomale le proibitive condizioni di salute in cui versi, anche solo temporaneamente, il consumatore).

Tra queste circostanze possono ricomprendersi (ad esempio) le particolari condizioni di salute in cui versi il consumatore, anche solo temporaneamente, nel momento in cui utilizza il prodotto ed, in particolare, una anomala reattività immunitaria del suo organismo verso sostanze estranee normalmente innocue, tale da rendere il prodotto stesso, o alcuno dei suoi componenti, un imprevisto allergene per il consumatore.

Da ciò consegue che il requisito di sicurezza che, per i cosmetici, il produttore è tenuto a garantire, ed in mancanza del quale il prodotto deve ritenersi difettoso, si pone solo in relazione alle «normali condizioni di impiego» del prodotto medesimo.

Pertanto, per i prodotti cosmetici il livello di sicurezza prescritto, ed al di sotto del quale il prodotto deve considerarsi difettoso, non coincide con quello della rigorosa ed oggettiva innocuità, dovendosi escludere la garanzia di sicurezza in presenza di anormali condizioni di impiego, le quali possono logicamente dipendere non solo dall'abuso o dall'uso non consentito, ma anche da circostanze anomale che, ancorché non imputabili al consumatore, rendano il prodotto, altrimenti innocuo, veicolo di danno (Cass. n. 6007/2007).

Bibliografia

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