Legge - 13/04/1988 - n. 117 art. 14 - Riparazione per errori giudiziari.

Paola D'Ovidio

Riparazione per errori giudiziari.

1. Le disposizioni della presente legge non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione.

Inquadramento

La speciale disciplina della responsabilità prevista dalla legge n. 117/1988, per espressa previsione dell'art. 14 della stessa legge, non pregiudica in alcun modo «il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione», in questo modo rendendo possibile al danneggiato la scelta, anche concorrente, ove ne ricorrano i presupposti di legge, tra diverse tutele apprestate dall'ordinamento in caso di danni connessi all'esercizio della giurisdizione.

Entrambe le ipotesi richiamate dalla norma trovano il loro fondamento nell'art. 24, comma 4, Cost. e sono disciplinate dal codice di procedura penale, rispettivamente agli artt. 314 e 315 c.p.p. (riparazione per ingiusta detenzione) e agli artt. 643-647 c.p.p. (riparazione dell'errore giudiziario).

Si tratta di due istituti che si fondano su presupposti tra loro diversi e per i quali sono previste differenti modalità di esercizio del diritto, ma che condividono lo scopo di mitigare le conseguenze degli errori verificatisi nel corso dello svolgimento dell'attività giudiziaria.

Essi si distinguono dalla responsabilità civile, dove il danno ingiusto deriva da una condotta posta in essere dal magistrato con dolo o colpa grave, come delineati dagli artt. 2 e 3 della l. n. 117/1988, in quanto si basano solo sui fatti obiettivi dell'ingiustizia della detenzione e sull'accertamento dell'errore, appurato dalle successive sentenze di assoluzione: il fatto, ove ricorrono tali presupposti, si configura come oggettivamente ingiusto, a prescindere, quindi, dall'imputazione soggettiva.

Tale differenza risulta oggi molto ridimensionata a seguito della novella del 2015 che, espungendo dall'art. 2 della l. n. 117/1988 ogni riferimento all'elemento soggettivo della negligenza inescusabile, ha configurato la responsabilità per colpa grave dello Stato, per i danni cagionati nell'esercizio di funzioni giudiziarie, in termini sostanzialmente oggettivi.

Nelle ipotesi di riparazione contemplate dalla norme del codice di procedura penale, inoltre, il danno non deve essere provato, come avviene nel caso della responsabilità civile, ma è considerato in re ipsa, restando però, quanto all'ingiusta detenzione, contenuto entro un tetto massimo, pari a 516.456,90 euro, mentre con riguardo all'errore giudiziario, l'entità della riparazione è commisurata ex lege a due precisi parametri, quali la durata dell'eventuale espiazione della pena (ai cui fini deve essere presa in considerazione non solo la durata dell'effettiva carcerazione, ma anche quella delle eventuali misure alternative o accessorie comminate) e le conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna.

Ferma tale diversità di presupposti, può verificarsi che uno stesso fatto possa presentare i requisiti per intraprendere sia un'iniziativa giudiziaria per la riparazione, sia un'azione per il risarcimento del danno ai sensi della l. n. 117/1988, e le due azioni, in ipotesi, potrebbero essere esperite contemporaneamente e il medesimo soggetto potrebbe chiedere in ciascuna sede il ristoro dei danni eventualmente negati nell'altra.

Tale situazione, in realtà, non risulta essersi mai verificata in passato, mentre oggi non sembra neppure sussistere più l'interesse ad agire separatamente per il ristoro dei danni non patrimoniali, essendo stata estesa la risarcibilità di tali danni a tutte le fattispecie di responsabilità civile ex lege n. 117/1988, laddove prima della riforma del 2015 era ammessa solo nelle ipotesi di danni derivanti dalla privazione della libertà personale.

La scelta del danneggiato, dunque, sarà verosimilmente orientata dalla ricorrenza, nella fattispecie concreta, dei requisiti fondanti l'una o l'altra fattispecie e, in ipotesi di configurabilità di entrambe, la scelta si orienterà verso quella che garantisce, in base ad una valutazione da condurre caso per caso, un accesso al ristoro più sicuro, completo e processualmente agile.

Rapporti tra azione risarcitoria ex l. n. 117/1988 e gli istituti della riparazione

La Suprema Corte ha avuto occasione di chiarire che l'art. 14 l. n. 117/1988, secondo il quale le disposizioni di quella legge non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione, integra una norma di coordinamento diretta a ribadire la non interferenza tra la normativa sulla responsabilità civile, che presuppone una responsabilità del magistrato a titolo di dolo o di colpa grave ovvero per diniego di giustizia, che pure deve essere colpevole, e le distinte regole sulla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione, riparazione che prescinde dall'accertamento di eventuali profili dolosi o colposi nella condotta del magistrato e si basa unicamente sui dati obiettivi contemplati dalle rispettive norme. Tale principio è stato nella specie affermato per escludere che il citato art. 14 consentisse di applicare le previsioni contenute nella medesima legge ai casi di ingiusta detenzione o di errori giudiziari accaduti in epoca anteriore all'entrata in vigore di essa (Cass. n. 11825/1995).

In altra occasione i giudici di legittimità hanno escluso che, ai fini del decorso del termine di decadenza biennale per la proposizione dell'azione risarcitoria di cui all'art. 5 della legge 117/1988, potesse assumere rilevanza la data in cui è divenuta irrevocabile la decisione che ha liquidato il danno da ingiusta detenzione, atteso che tra i due istituti non vi è alcuna connessione o pregiudizialità, trattandosi di azioni distinte, la prima basata su una responsabilità del magistrato, a titolo di dolo o colpa grave, ovvero per colpevole diniego di giustizia, l'altra fondata soltanto sui dati obbiettivi contemplati dalle relative norme, che prescindono dall'accertamento di eventuali profili colposi nella condotta del magistrato (Cass. n. 22006/2006).

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