Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 38 - Responsabilità del curatore.

Mauro Di Marzio

Responsabilità del curatore.

 

Il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Egli deve tenere un registro preventivamente vidimato da almeno un componente del comitato dei creditori, e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione 1.

Durante il fallimento l'azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, ovvero del comitato dei creditori 2.

Il curatore che cessa dal suo ufficio, anche durante il fallimento, deve rendere il conto della gestione a norma dell'art. 116 .

Inquadramento

Per opinione condivisa già prima della riforma della legge fallimentare risalente agli anni 2006-2007, la responsabilità risarcitoria del curatore fallimentare sussiste a condizione che: i) abbia posto in essere una condotta, tanto commissiva quanto omissiva, connotata sul piano soggettivo dal dolo o dalla colpa (per tutti Provinciali, 725) tale da dar luogo ad una violazione dei doveri connessi all'esercizio dell'incarico; ii) si sia verificato un danno al patrimonio fallimentare; iii) sussista il nesso di causalità (su cui v. da ult. Campione, 267) tra la stessa condotta ed il danno.

Gli aspetti menzionati, i quali riflettono la struttura della responsabilità civile, tanto contrattuale quanto aquiliana, articolata nei pilastri della condotta del responsabile, del danno e del nesso di causalità tra l'una e l'altro, si rinvengono parimenti nell'art. 38 l. fall., il quale stabilisce che il curatore deve adempiere con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico ai doveri imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, ipotizzando l'azione risarcitoria nei confronti del medesimo in caso di violazione di detti doveri. Disposizione, quella citata, la quale va letta in considerazione del ruolo attribuito dalla riforma al curatore, non più mero esecutore di indicazioni provenienti dal giudice delegato e dal comitato dei creditori, bensì dotato di ampia autonomia e discrezionalità nell'amministrazione del patrimonio fallimentare, pur nel quadro del controllo del giudice delegato nonché di permanenti poteri autorizzativi spettanti al comitato dei creditori (Guglielmucci, 79).

Ciò rende dunque manifesto che la responsabilità del curatore ai sensi dell'art. 38 l. fall. sorge esclusivamente per effetto della violazione dei poteri-doveri connessi all'ufficio, in particolare nei suoi aspetti di amministrazione del patrimonio fallimentare, ed in presenza di un pregiudizio per la massa (v. nella giurisprudenza di merito Trib. Roma 23 febbraio 1995, in Fall., 1995, 1158; Trib. Milano 13 giugno 2006, in Fall., 2006, 1455), mentre non può essere invocata al fine di ottenere il risarcimento di danni pur cagionati dal curatore, ma tali da pregiudicare interessi non della massa, bensì di terzi, ivi compresi i singoli creditori, trovando in tal caso applicazione la disciplina generale dettata dall'art. 2043 c.c. (Tedeschi, 178; D'Attorre, 528).

Sul che concorda la giurisprudenza (Cass. n. 16214/2007; Cass. n. 3706/2014), come si avrà occasione di ripetere più avanti.

Poteri-doveri di amministrazione del patrimonio fallimentare e latitudine della responsabilità del curatore

La dilatazione dei poteri-doveri del curatore nell'amministrazione del patrimonio fallimentare procede evidentemente di pari passo con la perimetrazione dell'ambito della sua responsabilità, potendo quest'ultima sorgere anzitutto dalla violazione di essi.

Non è superfluo rammentare, tuttavia, che una violazione di tali poteri-doveri non può di regola essere ascritta al curatore, così da determinare il sorgere di una sua responsabilità risarcitoria, per il fatto in sé considerato di essersi rivelata non «soddisfacente» (Abete, Art. 38, 2006, 642), ossia per non aver soddisfatto al più alto livello in astratto raggiungibile i crediti della massa dei creditori. È stato osservato, in proposito, che il mancato raggiungimento di un soddisfacente risultato, inteso in tal senso, può assumere rilievo in vista della revoca o della sostituzione del curatore ai sensi degli artt. 37 e 37-bis l.fall., ma non dal versante della responsabilità risarcitoria del curatore (Campione-De Pamphilis, 1168), non potendo farsi ricadere sul medesimo, in applicazione di una sorta di business judgement rule, se non nei casi di mala gestio, ossia di scelte operative palesemente irrazionali, il rischio connaturato alla gestione del patrimonio fallimentare. Si trova così affermato, con riguardo alla responsabilità del curatore, che «nell'esplicazione della sua potestas gerendi egli deve osservare gli elementari principi di regolare amministrazione, sicché è senz'altro tenuto al risarcimento dei danni scaturiti da scelte palesemente irrazionali» (Abete, 2012, 212).

In tal senso può leggersi la pronuncia, resa in tema di concordato fallimentare, secondo cui i criteri utilizzati dal curatore per stimare il quantum degli accantonamenti per i crediti fatti valere dopo il deposito della domanda di concordato possono essere oggetto di sindacato da parte del giudice, ma l'esame può riguardare la loro palese difformità rispetto ad una corretta amministrazione: in tal caso, infatti, si ha una violazione dell'obbligo di diligenza del curatore previsto ex art. 38 l.fall., ossia una violazione di legge ex art. 36 l.fall. Non possono invece essere oggetto di verifica le singole scelte gestorie e discrezionali in ordine alla concreta misura degli accantonamenti, fondate evidentemente su valutazioni di merito attinenti al rischio effettivo che la procedura ha inteso correre nel singolo caso (Trib. Milano 5 maggio 2016).

La violazione di specifici doveri e del piano di liquidazione

La responsabilità del curatore può inoltre derivare dalla violazione di specifici doveri posti dalla legge a suo carico. Nella consapevolezza che non è possibile svolgere una classificazione panoramica delle fonti normative alle quali il curatore deve adeguarsi, mentre è possibile fare una breve elencazione dei doveri per esso previsti dalla legge fallimentare, si è rammentato (De Crescienzo, 1285; analogamente Campione-De Pamphilis, 1168) che essi sono posti dalle norme che seguono:

a) norme attinenti all'ufficio del curatore (accettazione dell'incarico e incompatibilità artt. 27 e 29 l.fall.);

b) norme attinenti all'acquisizione, custodia e amministrazione del patrimonio fallimentare (inventario: artt. 31, 34, 42, 45, 86, 87, 87-bis, 88 l.fall.);

c) norme attinenti ai rapporti con i creditori (comunicazioni, verifica del passivo, distribuzione dell'attivo fallimentare: artt. 92, 95, 97, 110, 113, 115, 116, 117 l.fall.);

d) norme attinenti alla liquidazione del patrimonio (liquidazione e rendiconto dell'attivo: artt. 104, 104-bis, 104-ter, 105, 106, 107, 116 l.fall.).

L'art. 38 l.fall. riconnette inoltre la responsabilità del curatore alla violazione del dovere di agire nel rispetto del piano di liquidazione approvato ex art. 104-ter l. fall..

Tale documento rappresenta il momento di raccordo operativo tra il curatore del fallimento e il comitato per i creditori, ed è la fonte primaria dei poteri autorizzati per la realizzazione dell'attivo fallimentare: una volta fissati in tal modo gli ambiti e i modi dell'agire del curatore del fallimento, questi è indissolubilmente tenuto all'osservanza del piano di liquidazione, sicché qualsiasi atto che venga compiuto al di fuori della previsione del piano di liquidazione colloca l'azione del curatore al di fuori della legalità cui consegue, se vi è danno, una responsabilità (De Crescienzo, 1285; analogamente Campione-De Pamphilis, 1168).

Il parametro di diligenza

Ai sensi dell'art. 38 l.fall. il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Il dato normativo priva di sostegno l'affermazione talora compiuta dalla S.C., prima della riforma di cui si è detto, secondo cui la diligenza richiesta al curatore sarebbe stata quella di cui al comma 1 dell'art. 1176 c.c. (Cass. n. 277/1985).

Al contrario, il riferimento alla «diligenza richiesta dalla natura dell'incarico» testimonia della natura professionale dell'attività del curatore, con conseguente soggezione del medesimo al comma 2 della citata disposizione, la quale richiede, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale che la diligenza venga valutata con riguardo, per l'appunto, alla natura dell'attività esercitata (Tescaro e Zaccaria, 229; Abete, Art. 38, 2015, 433).

Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza (Trib. Roma 7 marzo 2012; Trib. Novara, 14 ottobre 2011).

Alcuni autori, inoltre, valorizzando il richiamo dell'art. 38 l. fall. alla «diligenza richiesta dalla natura dell'incarico», hanno ritenuto di attribuire alla norma una valenza analoga a quella dell'art. 2392 c.c., che, nel disciplinare la responsabilità degli amministratori verso la società, stabilisce che essi devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta non solo dalla natura dell'incarico, ma anche dalle loro specifiche competenze. Una simile lettura, tuttavia, condurrebbe ad attribuire al curatore un ventaglio di competenze eccessivamente ampio e tale da richiedere l'attitudine al governo dell'impresa, sebbene in crisi (Pajardi e Paluchowsky, 247), quantunque il curatore non abbia di regola specifiche conoscenze ed esperienze nel settore.

Raccogliendo le osservazioni della dottrina (Abete, 2015, 433; D'Attorre, 519) un giudice di merito ha dunque affermato che le competenze esigibili dal curatore sono soltanto quelle proprie della professione di appartenenza (Trib. Novara, 14 ottobre 2011).

Nel raffronto tra l'art. 38 l.fall. e l'art. 2392 c.c., è stato così affermato che, pur essendo l'accostamento tra le citate disposizioni plausibile, esso «non deve, però, spingersi ad una sovrapposizione... Ad un curatore fallimentare... è possibile richiedere quelle competenze che sono tipiche della professione di appartenenza e quindi competenze giuridiche o economico-giuridiche, non anche quelle che sono appannaggio di altre professioni o di altre branche della scienza» (Trib. Novara, 14 ottobre 2011).

Altra questione meritevole di segnalazione, in tema di obbligo di diligenza del curatore, è quella dell'applicabilità nei suoi confronti della limitazione di responsabilità prevista dall'art. 2236 c.c., in forza del quale, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave (v. per tutti Pajardi e Paluchowsky, 246).

L'applicabilità dell'articolo 2236 c.c. al curatore è stata riconosciuta, sia pure per accenno, anche dalla S.C. (Cass. n. 5882/1991).

Tradizionale questione, in tema di responsabilità del curatore, è quello del rilievo degli atti compiuti con autorizzazione del comitato dei creditori ovvero del giudice delegato. Nel passato si era osservato che «il giudice che è irresponsabile per legge e per definizione, giudica e manda; il curatore si limita ad eseguire, come è suo compito; eppure, se paga male, se ripartisce prematuramente, se transige in malo modo, se fa cause temerarie, pure in esecuzione di altrettanti decreti del giudice (o del Tribunale) è esso a rispondere. Tragico assurdo che giurisprudenza avvenire o savie riforme dovran pure eliminare» (Provinciali, 742). Nel quadro dell'aumentata autonomia che il curatore detiene nella gestione del patrimonio fallimentare, secondo alcuni la responsabilità del curatore non è esclusa né affievolita dalla «circostanza per cui l'organo esponenziale della platea dei creditori, presidio, per giunta, della mera convenienza, non abbia formulato, in esplicazione del suo potere di vigilanza ex art. 31, comma 1, l. fall., controindicazioni di sorta sul piano, appunto, dell'opportunità» (Abete, 2012, 214). Viene in altri termini giudicata irrilevante l'autorizzazione rilasciata, dal momento che al curatore spetta un potere di impugnativa oltre alla facoltà di sottrarsi, mediante rinuncia all'incarico, al compimento dell'atto pregiudizievole autorizzato (Cavalli, 284). Secondo altri «in presenza di un'autorizzazione da parte del giudice delegato o del comitato dei creditori, è difficile affermare che l'ordinaria diligenza avrebbe imposto di tenere una condotta diversa da quella che, all'epoca, fu ritenuta corretta anche da soggetti diversi» (D'Attorre, 2006, 523).

Secondo la S.C., l'azione di responsabilità contro il curatore revocato, prevista dall'art. 38 l. fall., comporta una valutazione della sua condotta secondo il paradigma della diligenza "qualificata" di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., avuto riguardo alla natura professionale dell'incarico svolto, sia pure con la facoltà di avvalersi, a fronte di problemi tecnici di particolare difficoltà, della limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c., palesandosi, di contro, irrilevante, a fini esimenti, l'eventuale autorizzazione resa al curatore dal giudice delegato (Cass. I, 2 luglio 2020, n. 13597, che ha cassato con rinvio la sentenza d'appello, che aveva escluso la responsabilità del curatore con riferimento ai danni cagionati alla procedura nella gestione di una pratica di rimborso IVA, sul presupposto che la stessa avesse ricevuto l'autorizzazione del giudice delegato).

Merita ancora osservare che la S.C. ha escluso l'applicabilità al curatore fallimentare della disciplina relativa alla responsabilità civile dei soggetti estranei chiamati a partecipare all'esercizio della funzione giudiziaria, prevista dall'art. 1, comma 1, l. n. 117/1988. È stato cioè affermato che i soggetti «estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria», ai quali l'art. 1, comma 1, l. n. 117/1988 estende le previsioni dettate in tema di responsabilità civile dei magistrati, sono unicamente coloro che, pur non appartenendo all'ordine giudiziario, svolgano nei casi previsti dalla legge funzioni proprie del magistrato giudicante o requirente. Ne consegue che tra tali soggetti non rientra il curatore fallimentare, al quale pertanto sono inapplicabili le disposizioni della suddetta legge n. 117 del 1988, poiché egli esercita solo una funzione pubblica nell'interesse della giustizia ma non anche una funzione propriamente giudiziaria nell'accezione individuata nella stessa legge speciale (Cass. n. 11229/2008).

È stato infine affermato che la valutazione del tribunale circa la diligenza e la sollecitudine con cui il curatore fallimentare abbia svolto la propria attività può incidere sulla misura del compenso da liquidarsi in suo favore dopo l'approvazione del conto della gestione, giustificandone la quantificazione tra l'importo minimo e massimo, ma non anche sulla spettanza stessa di qualsivoglia compenso per l'opera prestata, fermo restando che la sua effettiva erogazione può essere impedita dal definitivo accertamento di una responsabilità del curatore medesimo alla stregua dell'art. 38 l. fall. (Cass. n. 13805/2013).

La natura della responsabilità del curatore

La responsabilità del curatore disciplinata dall'art. 38 l. fall. ha secondo la prevalente opinione natura contrattuale, con conseguente applicazione della disciplina dettata dagli artt. 1218 ss., dal momento che detta responsabilità discende dall'inadempimento di specifici obblighi relativi al rapporto tra il curatore e la procedura (per tutti Tedeschi, 177). La tesi opposta, la quale attribuisce alla responsabilità del curatore natura aquiliana, pone l'accento sulla sull'avvicinamento di essa a quella prevista dall'art. 2394 c.c. in tema di responsabilità degli amministratori di società per azioni nei riguardi dei creditori sociali (Abete, 2006, 648).

Secondo la S.C. la natura contrattuale della responsabilità ex art. 38 l.fall. trova fondamento nell'assimilazione al mandato dell'incarico affidato al curatore (Cass. n. 5044/2001; Cass. n. 1507/2000). Anche di recente è stato ribadito che è configurabile una responsabilità contrattuale del curatore del fallimento, allorché quest'ultimo organo abbia compiuto irregolarità nella gestione del patrimonio del fallito quali i pagamenti in favore di persone non legittimate, prelievi di somme da parte di persone non qualificate, operazioni di giroconto su altri libretti non intestati alla procedura, pagamenti di assegni circolari non trasferibili in favore di soggetti diversi dall'ordinatario (Cass. n. 2955/2014). In controtendenza rispetto a tale indirizzo, sostenuto da un'espressa motivazione, si collocano tuttavia diverse decisioni rese in controversia involgenti il rapporto tra il curatore danneggiante ed il suo assicuratore per responsabilità civile, decisioni compendiata nella massima secondo cui, qualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 1, l. fall. ed art. 2043 c.c., del risarcimento di un danno ingiusto cagionato nell'espletamento della sua attività di ausiliare di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (Cass. n. 15030/2005; Cass. n. 12872/2015).

L'indirizzo tradizionale è stato di recente riassunto nei termini che seguono (Cass. I, n. 13597/2020). Occorre innanzitutto richiamare il consolidato orientamento di questa Corte per cui l'azione di responsabilità contro il curatore revocato, prevista dalla l. fall., art. 38, ha natura contrattuale, in considerazione della natura del rapporto (equiparabile lato sensu al mandato) e del suo ricollegarsi alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico dell'organo concorsuale (Cass. I, n. 16589/2019; Cass. I, n. 25687/2018; Cass. I, n. 16214/2007; Cass. I, n. 5044/2001; Cass. I, n. 1507/2000; Cass. I, n. 8716/1996). Esso trova conferma dall'insegnamento delle Sezioni Unite per cui la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte, potendo discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. In altri termini, la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti).  Anche la categoria delle obbligazioni ex lege (da taluno ricondotta agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, cui allude lo stesso art. 1173 c.c.) è soggetta a un regime che non si discosta da quello delle obbligazioni contrattuali in senso stretto, laddove le obbligazioni integranti la cd. responsabilità da fatto lecito (come la gestione di affari altrui e l'arricchimento senza causa) non presuppongono l'inesatto adempimento di un obbligo precedente (di fonte legale o contrattuale che sia) nè dipendono da comportamenti illeciti dannosi (Cass. SU, n. 14712/2007; Cass. SU, n. 12477/2018; Cass. I, n. 25644/2017, in termini di contatto qualificato e Cass. I, n. 4153/2019, sulle prestazioni accessorie a obblighi legali). Il tal senso depone anche la riformulazione della l. fall., art. 38 - nel senso che il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico (laddove il precedente testo prevedeva solo che egli dovesse adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio) - poiché il passaggio dal paradigma dell'art. 1176 c.c., comma 1 (per cui "nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia") a quello del comma 2 (per cui "nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata") costituisce una conferma della natura contrattuale della responsabilità, cui è infatti connaturata la diligenza professionale. Ciò significa che dal curatore si pretende non già un livello medio di attenzione e prudenza, ma la diligenza correlata (anche) alla perizia richiesta dall'incarico professionale, secondo specifici parametri tecnici, sia pure con la conseguente facoltà di avvalersi - a fronte di problemi tecnici di particolare difficoltà - della limitazione di responsabilità contemplata dall'art. 2236 c.c. (che esonera da responsabilità in caso di colpa lieve).

Dall'adesione all'indirizzo prevalente deriva che al curatore si applica la presunzione di colpa di cui all'art. 1218 c.c. (Trib. Milano 13 giugno 2006, in Fall., 2006, 1455). La natura contrattuale della responsabilità incide altresì sul termine di prescrizione applicabile, che è quello ordinario decennale. In tal senso è stato detto che l'azione risarcitoria in discorso è sottoposta «all'ordinario termine decennale, in considerazione della natura del rapporto, del tutto equiparabile al mandato, e decorre a far data dal giorno della sostituzione del curatore infedele, a nulla rilevando che l'illecito a lui addebitato risalga ad epoca notevolmente anteriore, potendo la prescrizione legittimamente decorrere soltanto dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, giusta disposto dell'art. 2935 c.c. (Cass. n. 5044/2001).

Opposte sarebbero ovviamente le conclusioni ove sia cedesse alla tesi della natura extracontrattuale della responsabilità del curatore (Abete, 2012, 217).

Vi è concordia, invece, sulla natura extracontrattuale della responsabilità del curatore verso il fallito o singoli creditori o terzi (Abete, 2012, 219). Ed invero «diversa rispetto all'azione di responsabilità... per i danni provocati al patrimonio fallimentare è l'azione spettante ai terzi (fallito, creditori o chiunque altro soggetto) che abbiano subito un danno che non sia il semplice riflesso del pregiudizio subito dal patrimonio fallimentare» (D'Attorre, 2006, 528).

Si trova parimenti affermato in giurisprudenza che l'azione di risarcimento dei danni nei confronti del curatore del fallimento, derivante da fatti illeciti che non incidano sul patrimonio fallimentare, ma danneggino direttamente beni del fallito rimasti estranei alla procedura concorsuale, in quanto fondata sull'art. 2043 c.c. ed esercitabile anche dal fallito, si distingue dall'azione di responsabilità prevista dall'art. 38 l.fall., ricollegabile invece alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico del curatore e spettante esclusivamente alla massa dei creditori; essa non è subordinata alla revoca dell'incarico ed alla presentazione del rendiconto, ma soggiace alla disciplina generale dell'azione aquiliana, anche in ordine al termine di prescrizione, il quale decorre dalla produzione del danno e non è soggetto a sospensione ai sensi dell'art. 2941, n. 6, c.c.: tale disposizione, infatti, riferendosi alle fattispecie di responsabilità nascente dall'amministrazione di patrimoni altrui, non è applicabile al rapporto in questione, non compreso nell'attivo fallimentare (Cass. n. 16214/2007). Ed ancora, il curatore amministra il patrimonio del fallito e ne cura la liquidazione; tali compiti sono esercitati, in prima istanza, nell'interesse dei creditori, ma non può negarsi che un interesse diretto vada ravvisato anche in capo al debitore fallito, in quanto una migliore amministrazione e liquidazione del patrimonio comporta una diminuzione dei debiti residui, con conseguenti maggiori possibilità di potere godere del patrimonio residuo; proprio la tutela di siffatto interesse è alla base dell'azione proposta, che si distingue dall'azione di responsabilità prevista dall'art. 38 l. fall., ricollegabile invece alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico del curatore (quindi di natura contrattuale) e spettante esclusivamente alla massa dei creditori; l'azione di risarcimento dei danni nei confronti del curatore del fallimento, derivante da fatti illeciti che non incidano sul patrimonio fallimentare ma danneggino direttamente beni del fallito rimasti estranei alla procedura concorsuale, e perciò indipendente dalle obbligazioni poste dalla legge a carico del curatore, è fondata invece sull'art. 2043 c.c. e soggiace alla disciplina generale dell'azione aquiliana (Cass. III, n. 16589/2019).

Fattispecie

In generale, come si è avuto modo di osservare in apertura, per la configurazione della responsabilità del curatore, deve esser fornita la prova dell'«inadempimento, da parte del curatore revocato, di un obbligo di legge, del pregiudizio del patrimonio fallimentare e del nesso causale fra la condotta e il danno, presumendosi, invece, la colpa iuris tantum ai sensi dell'art. 1218 c.c.» (Trib. Milano 13 giugno 2006, in Fall., 2006, 1455). Nello stesso senso è stato ribadito anche di recente che l'incarico conferito dal tribunale al curatore del fallimento va equiparato, per sua natura, al rapporto contrattuale di mandato sicché questi è tenuto ad osservare la diligenza propria del mandatario consistente in una adeguata perizia ed insieme prudenza e avvedutezza delle attività poste in essere. Conseguentemente in sede di azione di responsabilità ex art. 38 l.fall. esercitata dal nuovo curatore — trattandosi di responsabilità di natura contrattuale — incombe all'attore la sola allegazione dell'inadempimento da parte dell'ex curatore degli obblighi impostigli dalla legge, la prova del nesso causale tra tale condotta e le conseguenze pregiudizievoli derivatene, nonché la prova del danno subito, mentre, ai sensi dell'art. 1218 c.c., spetta al convenuto dimostrare che tale inadempimento non è a lui imputabile (Trib. Bari 8 giugno 2015).

La responsabilità del curatore è stata riconosciuta in presenza di irregolarità nella gestione del patrimonio fallimentare, manifestatesi in atti distrattivi, quali pagamenti e prelievi in favore di persone non legittimate, operazioni di giroconto su libretti non intestati alla procedura, pagamenti di assegni circolari non trasferibili in favore di soggetti diversi dall'ordinatario (Cass. n. 2955/2014). Con riguardo alla gestione di somme acquisite dal fallimento, tale da cagionare pregiudizio alla procedura, la S.C. ha affermato la responsabilità del curatore fallimentare per essersi avvalso dell'opera di terzi in mancanza di autorizzazione del giudice delegato, rilevando come, nel caso considerato, sussistesse sia la violazione del dovere di svolgere personalmente l'incarico, ai sensi degli artt. 32 e 34 l.fall., sia l'inosservanza del dovere di diligenza posto dall'art. 38 l.fall. (Cass. n. 3791/2008). In un caso in cui, pur in mancanza di autorizzazione, aveva affidato a collaboratori la custodia di un libretto di deposito intestato alla procedura, omettendo poi ogni controllo al riguardo, la S.C. ha ritenuto la responsabilità del curatore, escludendo che il nesso di causalità innescato dalla sua condotta commissiva (per non aver svolto personalmente l'incarico) ed omissiva (per non aver esercitato il necessario controllo sui collaboratori) fosse interrotto dalle operazioni distrattive poste in essere dai medesimi in uno con i dipendenti della banca presso cui il libretto era stato depositato (Cass. n. 15668/2007, la quale ha ritenuto la responsabilità solidale del curatore con la banca, cui erano imputabili le operazioni di sottrazione della provvista destinata al fallimento, non ricorrendo in tale circostanza un avvenimento estraneo alla sfera di prevedibilità e prevenibilità del soggetto su cui gravava l'obbligo di custodi).

D'altronde, tra i doveri che competono al curatore in relazione al piano di liquidazione, si annovera la vigilanza sui professionisti cui egli abbia inteso affidare alcune incombenze legate alla liquidazione dell'attivo (art. 104-ter, comma 4, l. fall.), i quali sono qualificabili, ad ogni conseguente effetto, alla stregua dei soggetti delegati di cui all'art. 32, comma 1, l. fall. In relazione a prelievi non dovuti effettuati su un libretto di deposito nominativo aperto dalla procedura è stata parimenti ritenuta la responsabilità non solo del curatore, ma anche della banca, la quale, nell'adempimento dell'obbligo di diligenza a suo carico, aveva avuto modo di avvedersi dell'anomalia dei prelievi (App. Napoli 10 giugno 1999, in Dir. fall., 2000, II, 600). Anche in seguito è stato ribadito che l'intervenuta delega a terzi di custodia del libretto bancario intestato alla curatela e l'omissione di ogni controllo sulle relative operazioni bancarie costituiscono violazione del principio di intrasmissibilità delle funzioni di curatore e dell'obbligo di custodia del libretto; in tal caso, pertanto, eventuali indebiti prelievi da parte di terzi o di dipendenti della banca non costituiscono evento interruttivo del nesso di causalità tra la condotta negligente del curatore e l'evento dannoso (Cass. n. 710/2011). Episodi distrattivi consistenti in pagamenti in favore di persone non legittimate, prelievi eseguiti da persone non legittimate, operazioni di giroconto su libretti non intestati alla procedura fallimentare, pagamenti di assegni circolari non trasferibili intestati a persone diverse dall'ordinatario sono stati scrutinati anche da Cass. n. 2955/2014, in relazione però, ad un caso in cui la domanda risarcitoria era stata proposta dopo la chiusura del fallimento dal fallito tornato in bonis, il quale reclamava la restituzione di un cospicuo residuo attivo, trovando perciò applicazione, secondo quanto si è già avuto modo di osservare, non l'art. 38 l. fall., ma l'art. 2043 c.c.

È stato peraltro precisato che nel caso di corresponsabilità del curatore e di suoi collaboratori, il curatore può rivalersi nei confronti dei collaboratori autori delle distrazioni (Trib. Napoli 9 maggio 1997, in Fall., 1998, 205). Per converso, il terzo corresponsabile dei danni arrecati alla massa fallimentare, che abbia provveduto al risarcimento surrogandosi nei diritti vantati dal fallimento verso il curatore revocato, ai sensi dell'art. 1203, n. 3, c.c., ovvero agisca in regresso, ai sensi dell'art. 1299 c.c., è titolare di una legittimazione autonoma ad agire, senza che sia a tal fine necessaria l'autorizzazione del giudice delegato richiesta dall'art. 38 l. fall. per l'azione di responsabilità proposta dal nuovo curatore quale organo della procedura (Cass. n. 3706/2014). In tale prospettiva, l'azione di risarcimento del danno per indebiti prelievi effettuati dal libretto di deposito bancario fallimentare, esercitata dalla curatela unicamente nei confronti della banca e non anche di tutti i soggetti solidalmente responsabili dell'ammanco, non preclude all'ente creditizio di agire, in via di regresso, nei confronti del curatore surrogato, al fine di far constare la sua condotta illecita, che ha contribuito alla produzione del danno; in tal modo, la banca fa valere, sia pure al limitato fine dell'accoglimento dell'azione di regresso, non già una propria pretesa verso il curatore nascente dalla scorretta gestione del rapporto di deposito, ma una pretesa di credito della stessa procedura, derivante dal mancato rispetto delle regole cui il curatore medesimo si sarebbe dovuto attenere nell'esercizio delle proprie funzioni (Cass. n. 8233/2013).

È stata viceversa esclusa, ed ovviamente, la responsabilità del curatore che non aveva incassato assegni ricevuti da un terzo a cauzione di una operazione di compravendita immobiliare, non portata a compimento per un provvedimento del giudice (Trib. Napoli 15 gennaio 2011, in Corr. merito, 2011, 242). La pronuncia, che prende posizione sia sulla natura della responsabilità del curatore, sia sulla soggezione del medesimo al comma 2 dell'art. 1176 c.c., osserva, in buona sostanza, che gli assegni costituivano cauzione corrisposta a garanzia di un'operazione di vendita, poi non effettuata, con la conseguenza che era insorto l'obbligo del curatore di restituire i titoli all'avente diritto.

È stata allo stesso modo esclusa la responsabilità del curatore, pur tenuto in linea generale ad attivarsi per i fini del soddisfacimento dei creditori, con conseguente sua responsabilità in ipotesi di inerzia, in un caso in cui il curatore, in pendenza di una dichiarazione tardiva di credito, aveva dato corso alla liquidazione dell'attivo ed effettuato la chiusura del fallimento senza attendere la decisione sul credito tardivamente insinuato né operare accantonamenti a favore del creditore (Cass. n. 8575/1998). È stato difatti chiarito che la domanda d'insinuazione tardiva di un credito non comporta una preclusione per gli organi della procedura al compimento di ulteriori attività processuali, ivi compresa la chiusura del fallimento per l'integrale soddisfacimento dei creditori ammessi o per l'esaurimento dell'attivo, né un obbligo di accantonamento di una parte dell'attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi, atteso che tale evenienza non è considerata tra le ipotesi di accantonamento previste dall'art. 113 l. fall., la cui previsione è da ritenersi tassativa (Cass. n. 5304/2009): in buona sostanza le ragioni di speditezza della procedura, ed i relativi interessi dei creditori tempestivi, non possono essere paralizzate dall'insinuazione tardiva. Si rinviene tuttavia nella giurisprudenza di merito l'affermazione, non condivisibile alla luce delle pronunce di legittimità appena richiamate, secondo cui, ricevuta la notifica dei ruoli di imposte dovute dal fallito e, successivamente, del ricorso per insinuazione tardiva di credito di tali tributi, incorre responsabilità il curatore che abbia dato corso al progetto di ripartizione finale dell'attivo, impedendo così al concessionario del servizio la sua partecipazione al concorso (App. Torino 17 settembre 1994, in Fall., 1995, 420).

Quanto alla gestione del patrimonio fallimentare, è stato giudicato foriero di responsabilità il comportamento del curatore che, nell'imminenza della ripartizione finale dell'attivo, richieda al giudice delegato l'autorizzazione a costituirsi in giudizi passivi per la procedura, inducendo il legale a svolgere attività difensiva che determina l'insorgenza di crediti per compensi professionali in prededuzione (App. Roma 30 ottobre 2012, in Dir. fall., 2013, II, 280). È stato più in generale affermato che «integrano violazione dei doveri connessi all'ufficio di curatore – come tali legittimanti la revoca dell'incarico – sia il ritardo nelle operazioni di stima degli immobili appresi al fallimento (nel caso di specie, operazioni non ancora ultimate a distanza di due anni dall'apertura della procedura), sia il mancato riparto ai creditori, da effettuarsi ogni quattro mesi ai sensi dell'art. 110 l. fall., delle somme già facenti parte dell'attivo, risultando in tal modo compromesso l'interesse dei medesimi a conseguire quanto prima la liquidazione dell'attivo» (Trib. Forlì 29 gennaio 2015). Ha ancora stabilito la S.C. che «l'obbligo del curatore di depositare presso un ufficio postale o un istituto di credito le somme riscosse nel corso della procedura (art. 34 l.fall.), con conseguente riconoscimento, riguardo alle stesse, di un tasso di interesse superiore a quello legale, giustifica il riconoscimento, in via presuntiva, del maggior danno, derivante da ritardo nell'adempimento di una obbligazione pecuniaria nei confronti del fallimento, in misura equivalente alla differenza tra l'interesse praticato sui depositi ed il minor interesse legale» (Cass. n. 7125/1998).

Alcune pronunce concernono la responsabilità del curatore in relazione alla posizione tributaria del fallimento. È stata ravvisata la responsabilità del curatore per avere omesso di riscuotere i crediti dovuti per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto (Trib. Milano 15 marzo 2001, in Giur. merito, 2002, 408). Al fine dell'accoglimento della domanda risarcitoria «è necessario che la parte attrice dimostri la concreta possibilità di recuperare parte del credito, e quindi che con opportune iniziative l'attivo del fallimento avrebbe potuto essere incrementato». In presenza di beni immobili o di altri beni soggetti a pubblica registrazione si è altresì detto che l'art. 88, comma 2, l.fall. impone al curatore, l'onere di notifica di un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici per l'annotazione nei pubblici registri. Pertanto, l'inosservanza di tale onere — rientrante nella gestione fallimentare — trasferisce al curatore l'obbligo di provvedere al pagamento della tassa di possesso relativa a veicoli di proprietà della società fallita (ma dei quali la curatela ha la disponibilità) finché la predetta annotazione non venga eseguita, atteso che, ai sensi dell'art. 5, commi 31 e segg., del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953 (convertito nella l. 28 febbraio 1983, n. 53), il tributo in esame è dovuto per il solo fatto e finché il veicolo risulti iscritto presso il Pra, e che, in base all'art. 19 del d.l. medesimo, la perdita di possesso del veicolo per fatto del terzo, o la sua indisponibilità in conseguenza di provvedimento dell'autorità giudiziaria o della P.A., fanno venir meno l'obbligo di pagamento per i periodi d'imposta successivi alla data di annotazione di tale evento (Cass. n. 18194/2004). È utile rammentare che, in analoga situazione, indipendentemente dal verificarsi di un danno, la condotta del curatore giustifica la sua revoca. È stato difatti ribadito che, nell'ipotesi di fallimento di soggetto titolare di beni immobili o di beni mobili registrati, la sentenza dichiarativa di fallimento deve essere trascritta nei pubblici registri e non annotata: sul curatore grava l'obbligo di notificare ai competenti uffici un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento. È stato così ritenuto che la reiterata mancata o ritardata notificazione o trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento costituisce un inadempimento grave dei doveri d'ufficio del curatore, tale da giustificarne la revoca (Trib. Castrovillari 4 marzo 2003, in Guida al dir., 2003, 38, 67).

Un cenno merita infine la questione, sia pur non strettamente collegata alla previsione dell'art. 38 l. fall., della responsabilità del curatore fallimentare per l'inosservanza di norme di rango pubblicistico, per lo più concernenti la tutela dell'ambiente.

In generale, escluso il caso di autonoma responsabilità del curatore fallimentare in materia di abbandono e smaltimento dei rifiuti, la curatela non può essere destinataria di ordinanze dirette alla salvaguardia ambientale emesse per effetto della precedente condotta dell'impresa fallita, non subentrando negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tale via, alcun dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (Cons. St. n. 3274/2014; T.A.R. Campania 11 settembre 2015, in Foro amm., 2015, 2388; T.A.R. Lombardia 5 gennaio 2016; T.A.R. Lombardia 3 novembre 2014; T.A.R. Abruzzo 17 giugno 2014). Neppure il curatore, pur dotato di poteri corrispondenti a quelli degli amministratori di società, può ritenersi soggetto agli obblighi dichiarativi di cui all'art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici, poiché i suoi requisiti di onorabilità sono verificati dal giudice delegato il quale ne ha disposto la nomina (T.A.R. Liguria 16 giugno 2014, in Foro amm., 2014, 1803).

Aspetti processuali

Il comma 2 dell'art. 38 l.fall., nel disporre che l'azione di responsabilità contro il curatore revocato può essere proposta durante il fallimento dal nuovo curatore previa autorizzazione del giudice delegato ovvero del comitato dei creditori, è posto allo scopo di evitare la proposizione strumentale di pretese risarcitorie volte ad intralciare lo svolgimento della procedura (De Crescienzo, 1283).

La norma prevede dunque una duplice condizione di ammissibilità dell'azione risarcitoria: i) la revoca del curatore destinatario della domanda; ii) l'autorizzazione del giudice delegato ovvero del comitato dei creditori.

La prima delle due condizioni ha da essere rettamente intesa. Essa si risolve in ciò, che l'azione di responsabilità nei confronti del curatore non può essere promossa fintanto che egli rimanga in carica, non presupponendo necessariamente, nonostante il dato letterale, che sia intervenuto un provvedimento di revoca (per tutti Ragusa Maggiore, 137).

In tal senso, in giurisprudenza, è stato affermato che è ammissibile l'azione di responsabilità nei confronti del cessato curatore fallimentare, pur in assenza della previa revoca dell'incarico e nonostante l'avvenuta approvazione del rendiconto, in quanto, da un lato, quantunque l'art. 38 l. fall. preveda l'ipotesi della revoca del curatore prima dell'esercizio dell'azione di responsabilità, tale indicazione non deve considerarsi tassativa, bensì solo normale secondo l'id quod plerumque accidit, con esclusione, quindi, di ogni effetto preclusivo in dipendenza di dimissioni volontarie e preventive, accettate dall'ufficio e seguite da sostituzione, e dall'altro lato, perché l'approvazione del rendiconto non ha effetto preclusivo di detta azione, che ha la sua sede naturale, ma non esclusiva, nel giudizio di rendiconto, attesa l'ammissibilità della scissione del controllo gestionale da quello contabile (Cass. n. 18438/2011). Nello stesso senso può ricordarsi la massima secondo cui la proponibilità dell'azione di responsabilità nei confronti del commissario liquidatore per l'inadempimento degli obblighi inerenti alle funzioni svolte, per legge subordinata alla chiusura della procedura concorsuale o alla revoca del commissario, non è esclusa se quest'ultimo non possa più continuare a svolgere le proprie funzioni a causa dell'improseguibilità della procedura di liquidazione coatta amministrativa, come accade nel caso in cui sia stata definitivamente dichiarata l'illegittimità del decreto di apertura (Cass. n. 1280/2014).

D'altro canto la responsabilità del curatore «può essere fatta valere indipendentemente dalla pendenza della procedura fallimentare, involgendo responsabilità individuali di persone fisiche che permangono anche dopo la chiusura del fallimento» (App. Salerno 22 maggio 2009, in Fall., 2010, 120).

Ulteriore conseguenza di tale impostazione va ravvisata in ciò, che, impugnato con successo dal curatore il provvedimento di revoca, ciò non si ripercuote automaticamente sulla domanda risarcitoria intentata nei suoi confronti. Ed allo stesso modo, qualora la curatela contesti il conto della gestione presentato dal curatore cessato per negligenza nella conduzione della procedura, senza, tuttavia, chiedere la sua condanna al risarcimento dello specifico danno così cagionato alla massa, il relativo giudizio, riguardando la sola domanda di non approvazione del rendiconto, non si pone in rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, ex art. 295 c.p.c., rispetto all'azione di responsabilità autonomamente proposta nei confronti del medesimo curatore, atteso che il giudice del rendiconto valuta la sussistenza della contestata negligenza in via meramente incidentale e senza efficacia di giudicato, ai fini di quanto richiestogli, sicché l'eventuale sentenza di approvazione del rendiconto non preclude uno specifico autonomo accertamento da parte del giudice investito dell'azione di responsabilità (Cass. n. 529/2016).

Stando alla lettera della disposizione, l'autorizzazione alla proposizione dell'azione risarcitoria nei confronti del curatore può essere alternativamente rilasciata sia dal giudice delegato che dal comitato dei creditori, il che suscita l'interrogativo, che non risulta peraltro essersi mai presentato nella pratica, sulla soluzione da adottare per l'ipotesi che i due organi si pronuncino diversamente. Secondo alcuni occorrerebbe privilegiare una lettura volta a richiedere la simultanea autorizzazione dell'uno e dell'altro, spettando a ciascuno compiti diversi (Abete, 2006, 653). Altri ritengono preferibile l'interpretazione letterale (Guglielmucci, 80).

In ogni caso, la mancanza dell'autorizzazione determina l'inammissibilità della domanda

Qualora si richieda il risarcimento del danno causato dal curatore e subito in qualità di appartenente alla massa dei creditori, la legittimazione ad esercitare la relativa azione spetta al solo curatore subentrante; ove, invece, il creditore si dolga di un pregiudizio sofferto individualmente, la legittimazione ad agire non potrà che spettare al creditore medesimo (Trib. Roma 18 giugno 2013). Va in proposito rammentato che la perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto — e per essa al curatore — è concesso eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte ed il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l'eccezione, né il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di capacità. Tale principio, peraltro, non trova applicazione nel caso in cui il fallito intenda tutelare, personalmente e direttamente, beni o rapporti già acquisiti al fallimento, di cui nel processo in corso gli organi fallimentari abbiano già dimostrato concretamente di volersi interessare, dovendosi in questa ipotesi, rilevare, anche d'ufficio, il difetto di legittimazione processuale del fallito (Cass. n. 11191/1993).

Nondimeno è necessario che l'inerzia degli organi fallimentari «sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia» (Cass. n. 15369/2006; Cass. n. 8860/1994; Cass. n. 11728/1990).

Alla chiusura della procedura, legittimati a far valere l'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. saranno tanto il fallito quanto ogni singolo creditore, nei limiti in cui l'insufficienza patrimoniale colpevolmente cagionata dal curatore si sia tradotta nella lesione aquiliana del proprio diritto di credito. La S.C. ha inoltre chiarito che «la prescrizione non rimane sospesa nei confronti del fallito durante la procedura fallimentare, in mancanza di una tassativa previsione legislativa, per la inapplicabilità al caso di specie della disposizione contenuta nell'art. 2941, n. 6, c.c. nonché per la natura relativa dell'incapacità processuale del fallito, a lui opponibile solo nell'interesse dalla massa dei creditori, con la conseguenza che in assenza di qualsiasi iniziativa degli organi fallimentari egli può agire per responsabilità contro il curatore revocato anche durante il fallimento, a tutela di diritti patrimoniali dei quali quegli organi si siano disinteressati» (Cass. n. 8716/1996).

La legittimazione all'azione di responsabilità contro il liquidatore giudiziale revocato di un concordato preventivo con cessione dei beni ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 182 e 38 l.fall. appartiene, nella previgente come nell'attuale disciplina concordataria, al nuovo liquidatore giudiziale nominato, e non anche al commissario giudiziale, atteso che a quest'ultimo sono attribuite funzioni di vigilanza, di informazione, consulenza ed impulso, complessivamente tese al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell'effettiva informazione dei creditori, ma non anche di amministrazione o gestione, né di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio, laddove al primo spettano, per effetto dell'omologazione del concordato, i poteri di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni ed alla ripartizione del ricavato tra gli aventi diritto, con conseguente sua legittimazione a stare in giudizio per tutte le controversie derivanti dalla liquidazione (Cass. n. 14052/2015).

Quanto alla competenza territoriale, bisogna ricordare che l'azione di responsabilità del curatore ricade nell'numero delle azioni che derivano dal fallimento ex art. 24 l. fall., essendo dirette a far valere una pretesa che si origina dalla dichiarazione di fallimento (Guglielmucci, 79).

Spettano inoltre alla competenza del tribunale fallimentare le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento, al fine dell'insinuazione nel passivo, dell'obbligazione risarcitoria vantata nei confronti del fallimento per fatto colposo del curatore, poiché anche i crediti correlativi a debiti della massa, ove contestati, vanno verificati ed ammessi al passivo esclusivamente davanti al detto tribunale (Cass. n. 3505/1991; Cass. n. 9659/1992; Cass. n. 11379/1998).

In ordine all'interferenza tra il giudizio di approvazione del conto e quello volto al risarcimento del danno nei confronti del curatore, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'azione di responsabilità nei confronti del cessato curatore fallimentare, nonostante l'avvenuta approvazione del rendiconto, ponendo in luce come quest'ultima non abbia effetto preclusivo dell'azione di cui all'art. 38 l. fall., la quale ha sede naturale, ma non già esclusiva, nel giudizio di rendiconto, attesa l'ammissibilità della scissione del controllo gestionale da quello contabile (Cass. n. 18438/2011). È stato in proposito affermato che «il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l'effettivo controllo di gestione e può estendersi all'accertamento della personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest'ultimo caso il diniego di approvazione deve essere preceduto dal concreto riscontro di tutti i requisiti di riconoscimento della responsabilità, incluso il pregiudizio eventualmente cagionato alla massa o ad uno dei creditori» (Cass. n. 18940/2007). In seguito è stato precisato che «il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto, oltre alla verifica contabile (per assicurare la necessaria continuità, nei casi in cui la gestione è destinata a proseguire, come nella specie, essendo stato il curatore revocato dalla carica), anche l'effettivo controllo di gestione, cioè la valutazione della correttezza dell'operato del curatore, della sua corrispondenza a precetti legali e ai canoni di diligenza professionale richiesta per l'esercizio della carica e degli esiti che ne sono conseguiti, la cui contestazione esige la deduzione e la dimostrazione dell'esistenza di pregiudizio almeno potenziale recato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori, difettando altrimenti un interesse idoneo a giustificare l'impugnazione del conto stesso») ha affermato che «non occorre che già in tale giudizio sia fornita la prova del danno effettivamente concretizzatosi a seguito della mala gestio del curatore» (Cass. n. 16019/2008).

Fattispecie

In generale, l'incarico conferito dal Tribunale al curatore del fallimento va equiparato, per sua natura, al rapporto contrattuale di mandato sicché questi è tenuto ad osservare la diligenza propria del mandatario consistente in una adeguata perizia ed insieme prudenza e avvedutezza delle attività poste in essere. Conseguentemente in sede di azione di responsabilità ex art. 38 l.fall. esercitata dal nuovo curatore — trattandosi di responsabilità di natura contrattuale — incombe all'attore la sola prova dell'inadempimento da parte dell'ex curatore degli obblighi impostigli dalla legge, del nesso causale tra tale condotta e le conseguenze pregiudizievoli derivatene, nonché del danno subito, mentre, ai sensi dell'art. 1218 c.c., spetta al convenuto dimostrare che tale inadempimento non è a lui imputabile. La diligenza richiesta non è semplicemente quella ordinaria né quella media bensì è quella ‘professionale', propria dell'operatore (per l'appunto) professionale nel campo della intermediazione del denaro, cosicché, nella identificazione della correttezza formale e sostanziale di ogni mandato di pagamento, non devono essere consentite alla banca disattenzioni che, se invece rapportate all'uomo comune, potrebbero anche non integrare gli estremi del comportamento negligente. A integrazione, concorre anche l'art. 1856 c.c. in ragione del quale la banca risponde, per l'esecuzione degli incarichi ricevuti dal cliente, secondo le regole del mandato, ma avuto riguardo alla graduazione ulteriore della diligenza del mandatario e consistente nella diligenza ‘qualificata' (capoverso dell'art. 1176 c.c.) derivante dalla natura professionale dell'attività svolta e dalle doverose regole di comportamento valevoli nel settore di riferimento. Pertanto, la banca risponde in via solidale per la riscossione dei mandati, atteso che, pur essendo evidente la autonomia della sua condotta e la mancanza di collusione, essa ha concorso a provocare l'evento dannoso (Trib. Bari 8 giugno 2015).

Qualora si richieda il risarcimento del danno causato dal curatore e subito in qualità di appartenente alla massa dei creditori, la legittimazione ad esercitare la relativa azione spetta al solo curatore subentrante; ove, invece, il creditore si dolga di un pregiudizio sofferto individualmente, la legittimazione ad agire non potrà che spettare al creditore medesimo (Trib. Roma 18 giugno 2013).

La valutazione del Tribunale circa la diligenza e la sollecitudine con cui il curatore fallimentare abbia svolto la propria attività può incidere sulla misura del compenso da liquidarsi in suo favore dopo l'approvazione del conto della gestione, giustificandone la quantificazione tra l'importo minimo e massimo, ma non anche sulla spettanza stessa di qualsivoglia compenso per l'opera prestata, fermo restando che la sua effettiva erogazione può essere impedita dal definitivo accertamento di una responsabilità del curatore medesimo alla stregua dell'art. 38 legge fall. (Cass. n. 13805/2014).

Qualora il curatore fallimentare, che abbia qualifica di dottore commercialista, sia dichiarato responsabile, ai sensi del combinato disposto degli art. 38, comma 1, l.fall. ed art. 2043 c.c., del danno ingiustamente cagionato alla procedura concorsuale nell'espletamento della sua attività di ausiliario di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salvo che il rischio sia espressamente escluso dal contratto), atteso che quella di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, in quanto il professionista intellettuale non esaurisce necessariamente la propria attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (art. 2227 — 2230 c.c.) relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando, nell'ambito di tale attività, espleta un incarico giudiziario (curatore fallimentare, notaio delegato allo scioglimento delle divisioni, consulente tecnico d'ufficio), in relazione al quale svolge pubblici poteri (Cass. n. 2460/2009).

Qualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma primo, legge fallimentare, ed art. 2043 c.c., del risarcimento di un danno ingiusto cagionato nell'espletamento della sua attività di ausiliare di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salvo che il rischio sia espressamente escluso dal contratto), atteso che l'attività di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, in quanto il professionista intellettuale non esaurisce la sua attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (art. 2227 — 2230 c.c.) relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando nell'ambito di tale attività espleta un incarico giudiziario in relazione al quale svolge pubblici poteri (Cass. n. 12872/2015).

Qualora la curatela contesti il conto della gestione presentato dal curatore cessato per negligenza nella conduzione della procedura, senza, tuttavia, chiedere la sua condanna al risarcimento dello specifico danno così cagionato alla massa, il relativo giudizio, riguardando la sola domanda di non approvazione del rendiconto, non si pone in rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, ex art. 295 c.p.c., rispetto all'azione di responsabilità autonomamente proposta nei confronti del medesimo curatore, atteso che il giudice del rendiconto valuta la sussistenza della contestata negligenza in via meramente incidentale e senza efficacia di giudicato, ai fini di quanto richiestogli, sicché l'eventuale sentenza di approvazione del rendiconto non preclude uno specifico autonomo accertamento da parte del giudice investito dell'azione di responsabilità (Cass. n. 529/2016).

L'azione di responsabilità nei confronti del precedente liquidatore nell'ambito di una procedura di concordato preventivo non è esperibile dal commissario giudiziale, organo cui sono attribuite (nella previgente disciplina così come nell'attuale disciplina) funzioni composite — di vigilanza, informazione, consulenza ed impulso, complessivamente finalizzate al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell'effettiva informazione dei creditori — ma non anche di amministrazione o gestione, né di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio (Cass. n. 14052/2015).

La l. 13 aprile 1988, n. 117, recante norme in materia di responsabilità per i danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, si applica, ai sensi del suo art. 1, esclusivamente agli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciale e agli altri soggetti che, pur non appartenendo alle dette magistrature, esercitano una funzione giudiziaria propria del magistrato; non è, pertanto, applicabile in materia di responsabilità per i danni cagionati dal curatore fallimentare, la cui funzione nella procedura concorsuale non è riconducibile a quella tipica del magistrato giudicante o requirente (Cass. n. 11229/2008).

Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l'effettivo controllo di gestione e può estendersi all'accertamento della personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest'ultimo caso il diniego di approvazione deve essere preceduto dal concreto riscontro di tutti i requisiti di riconoscimento della responsabilità, incluso il pregiudizio eventualmente cagionato alla massa o ad uno dei creditori (Cass. n. 18940/2007).

L'azione di risarcimento dei danni nei confronti del curatore del fallimento, derivante da fatti illeciti che non incidano sul patrimonio fallimentare, ma danneggino direttamente beni del fallito rimasti estranei alla procedura concorsuale, in quanto fondata sull'art. 2043 c.c. ed esercitabile anche dal fallito, si distingue dall'azione di responsabilità prevista dall'art. 38 l. fall., ricollegabile invece alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico del curatore e spettante esclusivamente alla massa dei creditori; essa non è subordinata alla revoca dell'incarico ed alla presentazione del rendiconto, ma soggiace alla disciplina generale dell'azione aquiliana, anche in ordine al termine di prescrizione, il quale decorre dalla produzione del danno e non è soggetto a sospensione ai sensi dell'art. 2941, n. 6, c.c.: tale disposizione, infatti, riferendosi alle fattispecie di responsabilità nascente dall'amministrazione di patrimoni altrui, non è applicabile al rapporto in questione, non compreso nell'attivo fallimentare (Cass. n. 16214/2007).

L'azione di responsabilità nei confronti di una banca per sottrazione di fondi fallimentari da un libretto, che il curatore del fallimento aveva lasciato in custodia ad un funzionario della stessa, riveste natura contrattuale e differisce da quella concernente la responsabilità di tale organo per violazione dei suoi doveri di ufficio. Pertanto, la banca depositaria, tenuta per responsabilità contrattuale a rifondere al fallimento le somme prelevate in difformità alle prescrizioni di legge, non può agire in rivalsa verso il curatore invocando il rispetto delle norme fallimentari, ma solo in base alla violazione dei comuni criteri di diligenza media (Cass. n. 9026/2005).

In caso di sostituzione del curatore nel corso della procedura fallimentare, il curatore subentrato è legittimato a contestare, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 116 l. fall., il conto presentato dal curatore cessato, giacché egli agisce — così come nel correlato giudizio di responsabilità, che può introdurre ai sensi dell'art. 38 legge cit. — nell'interesse dell'intera massa concorsuale, comprensiva non solo dei creditori concorrenti, ma anche di quelli non ancora insinuati al passivo e che pertanto non hanno acquisito il titolo a contestare il conto (Cass. n. 22472/2004).

La mancata consultazione del fascicolo prefallimentare da parte del curatore può costituire fonte di responsabilità di tale organo per i danni causati alla massa dei creditori (Trib. Palermo 18 luglio 2002, in un caso in cui il curatore è stato ritenuto responsabile dei danni derivanti dal mancato esperimento dell'azione revocatoria fallimentare di un pagamento che non risultava dalla contabilità sociale, ma solo dall'istanza di fallimento).

Sussiste la responsabilità del curatore che ha omesso di attivarsi per riscuotere i crediti dovuti per il rimborso dell'i.v.a.. Peraltro affinché possa invocarsi la responsabilità del curatore fallimentare ex art. 38 l. fall. per mancata riscossione di crediti della procedura è necessario che la parte attrice dimostri la concreta possibilità di recuperare parte del credito, e quindi che con opportune iniziative l'attivo del fallimento avrebbe potuto essere incrementato (Trib. Milano 15 marzo 2000 in 2001).

Il giudizio che si instaura, ai sensi dell'art. 116 l. fall., in caso di mancata approvazione del rendiconto di gestione del curatore può avere legittimamente ad oggetto non soltanto gli errori materiali, le omissioni ed i criteri di conteggio adottati, ma anche l'accertamento delle responsabilità del curatore medesimo, ai sensi dell'art. 38, comma 2, stessa legge, ma l'esercizio di tale azione non costituisce un effetto normale ed automatico della mancata approvazione del conto, nè implica deroghe alle regole sul procedimento stabilite per il giudizio di cognizione ordinario. Ne consegue che, all'esito della revoca del precedente curatore, e per effetto della mancata approvazione del conto da questi presentato al giudice delegato, ben può il nuovo curatore instare, in seno al procedimento ex art. 116 legge citata, per l'azione di responsabilità ex art. 38, ma ha l'onere di notificare tale domanda al precedente curatore ove questi non abbia provveduto a costituirsi ritualmente, una volta apertasi la fase contenziosa (Cass. n. 13274/2000).

La nomina a curatore del fallimento e la permanenza nell'incarico rispondono a un interesse pubblicistico correlato allo svolgimento della procedura, non essendo quindi configurabile al riguardo alcuna posizione soggettiva giuridicamente rilevante, bensì solo un interesse di mero fatto non suscettibile di ricevere tutela giurisdizionale contro il provvedimento di revoca dell'incarico, avente carattere discrezionale, finalità non sanzionatoria e rilevanza circoscritta all'ambito interno alla procedura (Cass. n. 13271/2000).

Il curatore del fallimento che, senza autorizzazione del giudice delegato, si sia avvalso dell'opera di altri soggetti, ne risponde come se si trattasse di opera propria, secondo il canone normativo dettato dall'art. 38 l.fall., salva la possibilità di rivalersi nei confronti del delegato o coadiutore (Trib. Napoli 9 maggio 1997, che ha ritenuto la sussistenza della responsabilità del curatore, che, nel corso dell'adempimento del suo mandato, si era servito, senza autorizzazione del giudice delegato, dell'opera di altro soggetto al quale aveva affidato il libretto di deposito dei fondi fallimentari che, poi, erano stati sottratti).

Il curatore del fallimento che consegni volontariamente ad un terzo il libretto di deposito delle somme riscosse pone in essere un comportamento contrario ai doveri di diligenza propri dell'ufficio che ricopre ed è pertanto responsabile di ogni pregiudizio che tale comportamento abbia arrecato alla massa dei creditori (Trib. Napoli 14 marzo 1997).

È ammissibile l'azione di responsabilità per fatto illecito proposta da un creditore nei confronti del curatore in carica per atti compiuti da questi nell'esercizio del mandato e direttamente incidenti sulla posizione del creditore stesso (App. Roma 6 febbraio 1995).

Sussiste la responsabilità del curatore del fallimento per inadempimento ai doveri inerenti al suo ufficio, allorché, ricevuta la notifica dei ruoli di imposte dovute dal fallito e successivamente del ricorso per insinuazione tardiva di credito di tali tributi, abbia dato corso al progetto di ripartizione finale dell'attivo, impedendo così al concessionario del servizio la sua partecipazione al concorso (App. Torino 17 settembre 1994).

L'obbligo del datore di lavoro (tenuto alla denuncia ed al versamento dei contributi secondo le modalità del d.m. 5 febbraio 1969) di presentare all'INPS, entro il trenta giugno, la denuncia nominativa dei lavoratori occupati nell'anno precedente e delle retribuzioni loro corrisposte, nonché di consegnarne copia ai lavoratori stessi — ai sensi dell'art. 4, comma 5, del d.l. 6 luglio 1978 n. 352 (conv. nella l. 4 agosto 1978 n. 467, come modificato dall'art. 2, comma 17, del d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, nella l. 11 novembre 1983 n. 638 — non fa carico al curatore del fallimento che sia stato dichiarato nel periodo di scadenza del detto termine, nemmeno in caso di esercizio provvisorio dell'impresa del fallito, atteso che il curatore, nell'espletamento della sua pubblica funzione, non si pone come successore o come sostituto necessario del datore di lavoro fallito. Ai suddetti adempimenti, è invece, tenuto lo stesso fallito, avendo essi causa in epoca anteriore all'inizio della procedura concorsuale (Cass. n. 9605/1991).

A norma dell'art. 7 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 639 soggetto passivo della imposta sulla pubblicità è colui che effettua la pubblicità, ovvero si giova del relativo messaggio: deve escludersi, pertanto, che il curatore fallimentare possa ritenersi responsabile in proprio di tale tributo per non avere rimosso l'insegna esistente nei locali ove l'imprenditore fallito esercitava la propria attività o disdettato la pubblicità. Ove la permanenza dell'insegna generasse, pur dopo il fallimento, l'obbligo tributario questo graverebbe sulla amministrazione fallimentare e la persona del curatore potrebbe eventualmente essere responsabile, per la omessa rimozione verso la amministrazione stessa, ai sensi dell'art. 38, l. fall., ma giammai in proprio verso l'ente creditore del tributo (Cass. n. 1611/1996).

L'azione di responsabilità ex art. 38 l. fall. nei confronti del curatore fallimentare si prescrive nel termine ordinario decennale (Trib. Milano 15 marzo 2001). Ed invero, in tema di fallimenti, l'azione di responsabilità contro il curatore revocato (azione che, a mente dell'art. 38 cpv. l. fall., «è proposta dal nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato») è soggetta all'ordinario termine di prescrizione decennale, in considerazione della natura del rapporto, del tutto equiparabile al mandato, e decorre a far data dal giorno della sostituzione del curatore infedele, a nulla rilevando che l'illecito a lui addebitato risalga ad epoca notevolmente anteriore, potendo la prescrizione legittimamente decorrere soltanto «dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere», giusta disposto dell'art. 2935 c.c. (Cass. n. 5044/2001). L'azione di responsabilità contro il curatore revocato, che ai sensi dell'art. 38 l. fall. durante il fallimento è proponibile dal nuovo curatore autorizzato dal giudice delegato, è soggetta a prescrizione decennale con decorrenza dalla data della revoca e il termine prescrizionale decorre anche nei confronti del fallito (legittimato in ogni caso a proporla dopo la chiusura del fallimento, purché l'azione non sia prescritta), giacché la prescrizione non rimane sospesa nei suoi confronti durante la procedura fallimentare, in mancanza di una tassativa previsione legislativa, per la inapplicabilità al caso di specie della disposizione contenuta nell'art. 2941 n. 6 c.c. (cominciando a decorrere la prescrizione solo dopo la sostituzione del curatore revocato e il rendimento del conto), nonché per la natura relativa della incapacità processuale del fallito, a lui opponibile solo nell'interesse dalla massa dei creditori, con la conseguenza che in assenza di qualsiasi iniziativa degli organi fallimentari egli può agire per responsabilità contro il curatore revocato anche durante il fallimento, a tutela di diritti patrimoniali dei quali quegli organi si siano disinteressati (Cass. n. 8716/1996).

In tema di concordato fallimentare, i criteri utilizzati dal curatore per stimare il quantum degli accantonamenti per i crediti fatti valere dopo il deposito della domanda di concordato possono essere oggetto di sindacato da parte del Giudice del reclamo. L'esame del giudice può riguardare la loro palese difformità rispetto ad una corretta amministrazione: in tal caso, infatti, si ha una violazione dell'obbligo di diligenza del curatore previsto ex art. 38 l. fall, ossia una violazione di legge ex art. 36 l. fall. Non possono invece essere oggetto di verifica le singole scelte gestorie e discrezionali in ordine alla concreta misura degli accantonamenti, fondate evidentemente su valutazioni di merito attinenti al rischio effettivo che la Procedura ha inteso correre nel singolo caso (Trib. Milano 5 maggio 2016).

L'imprenditore ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria non è legittimato ad agire nei confronti del commissario straordinario per violazione di doveri su di lui gravanti, finché il commissario stesso non sia stato revocato. Quanto precede, peraltro, non esclude la possibilità, per lo stesso imprenditore, di una diversa azione a propria tutela, indipendentemente dalle obbligazioni poste dalla legge a carico del curatore e quindi dal rendimento del conto, avente il proprio fondamento nell'art. 2043 c.c. Tale ultima azione soggiace alla disciplina generale dell'azione di risarcimento del danno extracontrattuale in ordine non solo alla durata del termine di prescrizione, ma anche al termine di decorrenza della prescrizione stessa, che è quello della produzione del danno e non della cessazione dell'incarico (Cass. n. 16214/2007).

La proponibilità dell'azione di responsabilità nei confronti del commissario liquidatore per l'inadempimento degli obblighi inerenti alle funzioni svolte, per legge subordinata alla chiusura della procedura concorsuale o alla revoca del commissario, non è esclusa se quest'ultimo non possa più continuare a svolgere le proprie funzioni a causa dell'improseguibilità della procedura di liquidazione coatta amministrativa, come accade nel caso in cui sia stata definitivamente dichiarata l'illegittimità del decreto di apertura (Cass. n. 1280/2014).

Il terzo corresponsabile dei danni arrecati alla massa fallimentare, che abbia provveduto al risarcimento surrogandosi nei diritti vantati dal fallimento verso il curatore revocato, ai sensi dell'art. 1203, n. 3, c.c., ovvero agisca in regresso, ai sensi dell'art. 1299 c.c., è titolare di una legittimazione autonoma ad agire, senza che sia a tal fine necessaria l'autorizzazione del giudice delegato richiesta dall'art. 38 l.fall. per l'azione di responsabilità proposta dal nuovo curatore quale organo della procedura (Cass. n. 3706/2014).

Bibliografia

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