Gli accertamenti genetici in sede di indagini preliminari
30 Ottobre 2017
Abstract
Il contributo offerto delle scienze biologiche agli accertamenti penalistici è sicuramente notevole, in particolare per quel che riguarda le informazioni ricavabili dal patrimonio genetico. Le delicatissime implicazioni conseguenti alla possibile invasività di queste investigazioni impongono il rispetto scrupoloso delle norme previste per l'acquisizione, la conservazione e la valutazione dei reperti sia dal diritto processuale penale, sia dalla migliore scienza ed esperienza del momento storico. Non c'è quasi bisogno di evidenziare al lettore la sempre crescente complessità tecnologica della società contemporanea. Anche a prescindere dalla rivoluzione digitale, sono impressionanti il salto in avanti delle conoscenze teoriche e pratiche e, di conseguenza, le applicazioni oggi disponibili anche al di fuori della ristretta cerchia dei grandi laboratori a cui hanno dato luogo le interazioni tra i progressi della scienza nei campi delle neuroscienze, della biomedicina, della epidemiologia, della fisica delle particelle e, ciò che qui più interessa, della genetica. I nuovi orizzonti scientifici e le nuove metodiche permettono di arrivare a conclusioni ragionevolmente certe e talora apparentemente impensabili nell'ottica delle investigazioni classiche: a mero titolo di esempio, l'estrazione di un profilo genetico da un microscopico campione biologico di particolare pregnanza probatoria acquisito dagli inquirenti (ad esempio, frammenti epiteliali rinvenuti sotto le unghie della vittima, in uno scenario che tratteggia una lunga colluttazione poi sfociata in omicidio), all'esito della comparazione con quelli di soggetti sospettati ma non attinti da specifici indizi di colpevolezza, potrebbe essere di per sé stessa, in ipotesi, prova sufficiente della commissione del delitto. Proprio le potenzialità immense di questi apporti scientifici hanno creato però un terreno fertile per un equivoco increscioso ma diffuso, che demanda la soluzione di molte questioni processuali al puro e semplice intervento degli “specialisti con le tute bianche”. Come in una serie televisiva, in questo immaginario collettivo avulso dalla realtà procedimentale, gli accertamenti scientifici dovrebbero essere da soli sufficienti “a chiudere il caso”. Evidentemente, non è così semplice. Le indagini scientifiche
Le indagini scientifiche portate avanti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, rappresentano, accanto alle investigazioni difensive di analoga natura, uno strumento imprescindibile e spesso risolutivo ma connotato da un'estrema delicatezza, anche per la facilità di dispersione di fondamentali elementi di prova in caso di scelte errate da un punto di vista tecnico-scientifico o schiettamente processuale. Tramontato, di fronte alla sottilissima necessità di specializzazione delle materie che si affacciano con prepotenza alla ribalta penale, l'antico principio del giudice peritus peritorum, il magistrato giudicante e, prima di lui, le parti processuali, privi di un solido bagaglio professionale extragiuridico, devono prendere atto della propria incapacità di governare “autonomamente” la prova scientifica. Questo doveroso atteggiamento non può però risolversi nell'acritico affidamento nel contributo offerto dai consulenti e dai periti. La giurisprudenza di legittimità rifugge dall'astratta rivendicazione di un primato della scienza sul diritto (o viceversa), per il fatto stesso che il processo penale ripudia ogni idea di prova legale, predicando invece una soluzione che rinvii alle regole generali che informano il nostro sistema processuale in tema di acquisizione e formazione della prova e ai criteri che ne presiedono poi alla valutazione. Le attività investigative poste in essere dalle parti durante la fase pre-processuale dovranno dunque essere declinate, anche per quel che attiene allo statuto delle garanzie per le parti e gli interessati, secondo gli specifici strumenti investigativi in tema di ricerca della prova (ispezione, perquisizione, sequestro, prelievi coattivi di campioni biologici, rilievi ed accertamenti urgenti della polizia giudiziaria, altre indagini atipiche, accesso ai luoghi e conseguenti accertamenti in sede di investigazioni difensive), di momenti valutativi (accertamenti tecnici, mediante consulenti tecnici o meno) e di eventuale anticipazione istruttoria (incidente probatorio). L'obiettivo di questi accertamenti sarà quindi quello di veicolare nel futuro (ed eventuale) giudizio gli elementi fattuali tramite i quali formare, nel contraddittorio e sotto il controllo del giudice, una prova scientifica attendibile, con riferimento
Questo metodo di approccio critico in realtà non è dissimile concettualmente da quello richiesto per l'apprezzamento delle prove ordinarie, esaltando quanto più possibile il grado di affidabilità della ”verità processuale” e riducendo a margini ragionevoli l'ineludibile scarto con la “verità sostanziale” (Cass. pen., Sez. V, 27 marzo 2015, n. 36080, Knox e altri). Le scienze forensi, in altre parole, rappresentano un irrinunciabile supporto agli accertamenti di tipo tradizionale, che non può però mai essere slegato dal contesto procedimentale in cui si colloca e dai verosimili sviluppi processuali. Sarò quindi onere della parte procedente curare che ogni necessaria attività tecnico-scientifica sia comunque condotta nel rispetto delle più adeguate forme procedimentali e delle garanzie nei confronti dell'indagato (e delle controparti) e in conformità alle regole procedurali prescritte da protocolli, linee guida e regole dell'arte generalmente riconosciute, anche esercitando un opportuno controllo su quanto espletato dai propri ausiliari, delegati, collaboratori. La genetica forense
Ciò premesso in termini generali, volgiamo il discorso alle indagini di natura biologica, dirette a trarre ogni utile informazione dal corredo cromosomico e mitocondriale. Tenuto conto dell'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, gli esiti dell'indagine genetica condotta sul Dna presentano natura di prova e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192, comma 2, c.p.p. Peraltro, nei casi in cui l'indagine genetica non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti può essere attribuita almeno una valenza indiziaria (Cass. pen., Sez. II, 5 febbraio 2013, n. 8434, Mariller). Con l'ausilio dei migliori specialisti di genetica forense, d'altronde, è ormai possibile acquisire una “impronta biologica” lasciata semplicemente toccando oggetti o persone (cosiddetto touch Dna). Le peculiarità di questi accertamenti, in particolare quando le attività tecniche presuppongono un prelievo, volontario o coattivo, sull'indagato o su un terzo soggetto per acquisire materiale di comparazione con altri reperti biologici già acquisiti sulla scena del crimine, hanno indotto il legislatore a regolare nel dettaglio l'intera materia, in considerazione della natura invasiva di queste indagini e dei diritti inviolabili alla salute e alla riservatezza ex artt. 2, 13 e 32 Cost., che potrebbero essere lesi in occasione della transitoria restrizione della libertà durante l'accertamento coattivo che coinvolge direttamente la persona fisica dell'interessato. È utile sottolineare sin d'ora come, accanto al rigoroso rispetto delle norme procedurali, l'analisi comparativa del Dna svolta in violazione delle regole operative prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante e costituiscano un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori (Cass. pen., Sez. V, 27 marzo 2015, n. 36080, Knox e altri). Gli accertamenti biologici su persone viventi
Ai sensi dell'art. 359-bis c.p.p., il pubblico ministero, quando deve eseguire accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del Dna (come il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale) ovvero comunque accertamenti medici e non vi sia il consenso della persona interessata, non può agire in via autonoma. Egli deve richiedere una specifica autorizzazione al giudice per le indagini preliminari, che provvede con ordinanza. La stessa lettera della norma distingue questi specifici atti di indagine, diretti alla ricerca di elementi potenzialmente probatori, dagli accertamenti biologici diretti alla sola identificazione dell'indagato ai sensi dell'art. 349, comma 2-bis,c.p.p. L'ordinanza deve contenere la nomina del perito, nonché, a pena di nullità:
Nei casi di urgenza, quando dal ritardo possa verosimilmente derivare un grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero procede alle necessarie operazioni con un proprio decreto motivato dall'analogo contenuto, disponendo l'accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, ovvero l'esecuzione coattiva del prelievo o degli accertamenti, se la persona comparsa rifiuta di sottoporvisi. Entro le quarantotto ore successive deve essere richiesta al giudice la convalida del decreto e dell'eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive (art. 359-bis, comma 2, c.p.p.). La violazione delle procedure sopra descritte comporta l'inutilizzabilità delle informazioni illegittimamente acquisite. Le operazioni peritali sono comunque eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto. In ogni caso, a parità di risultato, sono prescelte le tecniche meno invasive. L'art. 1, comma 4, lett. b), l. 23 marzo 2016, n. 41 ha inserito in coda all'art. 359-bis c.p.p. un ulteriore comma 3-bis, a mente del quale, nei procedimenti per i reati di omicidio stradale e lesioni stradali, quando il conducente rifiuti di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica ovvero di alterazione correlata all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, in presenza di un fondato motivo per ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini (cioè sempre, tenuto conto della natura transitoria delle alterazioni psicofisiche), il decreto di urgenza del pubblico ministero e gli ulteriori provvedimenti possono essere adottati anche oralmente, con successiva conferma per iscritto. Gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono all'accompagnamento dell'interessato presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e si procede all'esecuzione coattiva delle operazioni se la persona oppone un rifiuto. Il difensore dell'indagato deve essere tempestivamente avvisato del decreto e delle operazioni da compiersi, nonché della sua facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio per gli accertamenti. Alla persona priva di difensore di fiducia ne è nominato uno di ufficio. Entro le quarantotto ore successive, il pubblico ministero richiede la convalida del decreto e degli eventuali ulteriori provvedimenti al giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive. Questa minuziosa disciplina (unitamente a quella, quasi sovrapponibile dettata dall'art. 224-bis c.p.p. per le perizie di analogo contenuto) lascerebbe intendere che siano escluse dal sistema quelle indagini dirette ad acquisire in altro modo dati utili alla determinazione del profilo genetico. La prassi investigativa precedente conosceva infatti strumenti assai più discreti per raggiungere un simile obiettivo, senza necessità di porre l'indagato a conoscenza delle mosse degli inquirenti (ad esempio, estrazione del Dna dalla saliva depositata su un mozzicone di sigaretta e su una tazzina, sequestrati all'insaputa del titolare del materiale biologico). La giurisprudenza di legittimità continua nondimeno ad ammettere la perdurante validità di simili tecniche operative: durante le indagini preliminari, il prelievo del Dna di una persona, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici, è lecito e qualificabile come rilievo tecnico (in quanto tale, delegabile ai sensi dell'art. 370 c.p.p., senza la necessità per il suo espletamento dell'osservanza delle garanzie difensive). Si esclude quindi la natura di atto invasivo o costrittivo, che richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono essere invece assicurate nella distinta e successiva operazione di identificazione biologica della persona, attraverso l'analisi del materiale genetico repertato (che costituisce accertamento tecnico in senso stretto), quando l'operazione debba qualificarsi irripetibile in base a una valutazione tecnico-fattuale, in ragione sia della scarsa quantità della traccia genetica sia della scadente qualità del Dna disponibile. La successiva attività di comparazione tra il profilo genetico così tipizzato ed altro materiale di raffronto non presenta con ogni evidenza carattere di irripetibilità (Cass. pen., Sez. I, 25 febbraio 2015, n. 18246, B., e Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2012, n. 2087, Bardhaj e altri). Quando l'indagato abbia prestato il proprio consenso, il prelievo può avvenire anche in assenza del difensore, in ragione della specifica e limitata finalità dell'atto investigativo, che non implica speciali competenze tecniche comportanti l'esigenza di osservare precise garanzie difensive, necessarie invece per la successiva attività di valutazione dei risultati (Cass. pen., Sez. III, 1° luglio 2015, n. 25426, D'A.). A fronte delle articolate garanzie previste per il prelievo forzoso, l'art. 72-quater disp. att. c.p.p. prevede esplicitamente l'obbligo di distruzione dei campioni biologici, all'esito della perizia ai sensi dell'art. 224-bisc.p.p. e a cura del medesimo perito, salvo che il giudice non ritenga assolutamente indispensabile la loro ulteriore conservazione. Dopo la definizione del procedimento con decreto di archiviazione o dopo il passaggio in giudicato della sentenza, procede in tal senso la cancelleria, in ogni caso e senza ritardo, anche per i campioni prelevati ai sensi dell'art. 359-bis c.p.p. Si tratta evidentemente di una forma minimale di tutela rispetto a dati personali e identificativi (e in parte qualificabili altresì come dati sensibili) ex art. 4, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (cosiddetto codice della privacy). D'altra parte, l'obbligo di distruzione ha per oggetto il solo materiale biologico, mentre i dati relativi resteranno negli atti del procedimento e saranno altresì trasmessi alla Banca nazionale del Dna. La banca dati nazionale del Dna
Problemi ulteriori, ancora più complessi, pone il successivo utilizzo dei dati estrapolati dal materiale biologico acquisito, coattivamente o consensualmente, anche in occasione di altre, distinte indagini. Si è parlato, in proposito, di “schedatura genetica” dell'indagato. I nostri giudici costituzionali diedero a suo tempo prova di grande lungimiranza, ipotizzando la astratta possibilità, in un futuro prossimo (che è il nostro presente), di vulnerare i diritti all'integrità fisica, alla libertà personale e alla salute: «i rilievi descrittivi, fotografici e antropometrici possono richiedere talvolta complesse indagini che potrebbero incidere sulla libertà fisica o morale della persona: si pensi ai casi, non cervellotici di fronte allo sviluppo della scienza e della tecnica, di rilievi che richiedessero prelievi di sangue» (Corte cost., 22 marzo 1962, n. 30). Nei decenni successivi si è invece registrato un prolungato disinteresse per il tema da parte del Legislatore ma anche della dottrina e degli operatori pratici, per lungo tempo fermatisi sulla questione della valutazione della ritualità dell'acquisizione del reperto. Le molteplici possibilità di tensione tra l'analisi del patrimonio genetico a fini investigativi e i diritti fondamentali della persona sono infine salite al centro della riflessione giuridica sovranazionale. La giurisprudenza di Strasburgo ha recisamente affermato che la conservazione di profili genetici per finalità di indagine penale costituisce un'ingerenza nella vita privata delle persone, restando così necessariamente soggetta ai limiti e alle garanzie prescritte dall'art. 8 Cedu (Corte Edu, 4 dicembre 2008, Marper c. Regno Unito). L'istituzione di banche dati del Dna rappresenta dunque un formidabile strumento investigativo (difficilmente rinunciabile, in particolare nell'odierno contesto socio-culturale) e una altrettanto vigorosa modalità di invasione della sfera di riservatezza di un numero indeterminato di persone, anche estranee alla commissione di fatti di reato, in considerazione della mole di informazioni ottenibili dai dati biologici, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche. La questione ha trovato una soluzione normativa, pur non immune da perplessità, con l'adesione dell'Italia al cosiddetto Trattato di Prüm sulla cooperazione transfrontaliera per il contrasto al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e alla migrazione illegale, sottoscritto il 27 maggio 2005 e ratificato con l. 30 giugno 2009, n. 85 (formalmente incorporato nel quadro giuridico dell'Unione europea dalla decisione del Consiglio 2008/615/Gai). Per facilitare l'identificazione degli autori dei delitti, è stata così istituita presso il dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell'interno, la banca dati nazionale del Dna, concretamente entrata in funzione nel febbraio 2017. Questo importantissimo database genetico provvede alle seguenti attività:
Secondo il Trattato, gli schedari devono contenere solo informazioni provenienti dalla parte non codificante del Dna (così da non fornire informazioni sulle “proprietà funzionali dell'organismo”) e non possono consentire l'identificazione immediata dell'interessato. Le operazioni di prelievo sono eseguite nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto, a cura di personale specificamente addestrato delle forze di polizia o di personale sanitario ausiliario della polizia giudiziaria. Il d.lgs. 9 settembre 2010, n. 162 ha istituito a tale scopo i ruoli tecnici del corpo della polizia penitenziaria. I campioni prelevati sono immediatamente inviati al laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna istituito presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. Il laboratorio centrale provvede alla tipizzazione dei suddetti profili genetici (cioè della “sequenza alfanumerica ricavata dal Dna e caratterizzante ogni singolo individuo”) e alla conservazione dei campioni biologici tipizzati, fungendo di fatto da “magazzino centrale” (soluzione non obbligata in base alla normativa pattizia). Il contenuto della banca dati si presenta, come facilmente intuibile, di enorme delicatezza. Particolare attenzione è dunque riservata al trattamento delle informazioni, all'accesso al database e alla tracciabilità dei campioni. I profili del Dna non contengono le informazioni che consentono l'identificazione diretta del soggetto cui sono riferiti (possibile solo, mediante una cosiddetta doppia chiave, tramite il sistema Afis) e l'accesso ai dati è consentito alla polizia giudiziaria e all'autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale, nonché per le finalità di collaborazione internazionale di polizia. Il trattamento e l'accesso ai dati devono essere effettuati esclusivamente da parte del personale espressamente autorizzato (tenuto a un rigido segreto di ufficio: ai sensi dell'art. 14, l. 85/2009, il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni di legge, o al di fuori dei fini ivi previsti, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a sei mesi). In altri termini, gli operatori delle varie forze di polizia europee possono avere direttamente ogni utile informazione in merito alla positività o meno della comparazione, ma non possono accedere ai dati identificativi, che devono essere richiesti secondo gli ordinari strumenti di cooperazione e assistenza internazionale. A seguito dell'identificazione del cadavere o del ritrovamento della persona scomparsa ovvero di assoluzione con sentenza definitiva (ad eccezione di quelle pronunciate perché il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra causa), è disposta d'ufficio la cancellazione dei profili e la distruzione dei campioni biologici. Analogamente si procede quando le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione della normativa di settore. In ogni altro caso, le informazioni restano inserite nella banca dati non oltre quaranta anni dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento (i campioni biologici sono conservati non oltre venti anni). Il controllo sulla banca dati nazionale spetta al garante per la protezione dei dati personali, mentre il comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita garantisce l'osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del laboratorio centrale, eseguendo verifiche e formulando suggerimenti. La disciplina transitoria prevede che i profili del Dna ricavati da reperti precedentemente acquisiti siano trasferiti dalle varie forze di polizia alla banca dati nazionale. La polizia penitenziaria provvederà d'ora in avanti al prelievo di campioni biologici nei confronti dei soggetti sopra specificati, già detenuti o internati. La legge tace, suscitando severe critiche da parte della dottrina, in merito al diritto di accesso dei privati al database (anche a fini difensivi). C. CONTI – P. TONINI, Il diritto delle prove penali, Giuffrè, Milano, 2014; L. DE CATALDO NEUBURGER, La prova scientifica nel processo penale, Padova, 2007; G.L. GIOVANNINI, La conservazione dei reperti alla luce della normativa sulla privacy e degli orientamenti della Corte Edu; C. INTRIERI, Tra scienza e diritto: il metodo scientifico nel processo penale; P. LINARELLO, Il DNA low copy number e il trasferimento secondario di DNA; P. LINARELLO, Il test del DNA: prova regina o semplicemente comune elemento di prova?; L. MARAFIOTI - L. LUPARIA, Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, Milano, 2010; P. RIVELLO, La prova scientifica, Giuffré, Milano, 2014; P. TONINI - D. SIGNORI, Il caso Meredith Kercher: la novità dei principi giuridici affermati dalla Cassazione; R.V.O. VALLI, Indagini scientifiche e ambito applicativo delle garanzie partecipative, L'esclusione dei rilievi e delle altre operazioni materiali; R.V.O. VALLI, Nuove metodologie scientifiche e giudizio di revisione. Il caso Stasi. |