Consiglio di Stato: ricognizione delle nuove coordinate per l’affidamento in house a seguito della riforma

Guglielmo Aldo Giuffrè
30 Ottobre 2017

Il Consiglio di Stato effettua un utile ricognizione sull'istituto dell'affidamento in house per come inciso dal nuovo Codice e dal decreto correttivo, soffermandosi sull'oramai conclamato carattere ordinario e non eccezione di tale strumento, sui presupposti del “controllo analogo congiunto”, sulla nozione di “prevalenza dell'attività in favore degli enti partecipanti” e sul criterio di verifica, sintetico e non atomistico, del requisito del controllo analogo.

Affidamento in house. La pronuncia dà innanzitutto conto della ordinarietà e non eccezionalità del ricorso all'affidamento in house, a condizione che ne ricorrano i presupposti, anche alla luce dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis d.l. n. 112 del 2008 e della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 4 d.l. n. 238 del 2011, oltre che del chiaro tenore del considerando 5 della direttiva 24 del 2014.

Controllo analogo “congiunto”. La sentenza conferma la non necessità della possibilità, per ciascuno degli enti pubblici partecipanti, di esercitare un potere individuale sulla società “in house”, confermando che è sufficiente, affinché possa parlarsi di “controllo analogo congiunto”, che ciascuna delle autorità partecipi sia al capitale, sia agli organi direttivi della società, precisando che:

  • per quanto concerne la partecipazione al capitale sociale, non è nemmeno richiesta una quota minima, essendo a tal fine idonea anche la quota ultra minoritaria dello 0,1% del capitale della società interamente pubblica
  • quanto all'ulteriore presupposto della effettiva partecipazione dell'ente socio agli organi direttivi, esso può ritenersi soddisfatto se, o direttamente o tramite la partecipazione a “cordate” di soci, tale partecipazione viene garantita a tutti i sottoscrittori (esclusivamente pubblici) del capitale; né questa seconda ipotesi può ritenersi irragionevole e/o elusiva dei principi fondanti l'istituto, posto che, a fronte della possibilità di adesione di un numero elevato di amministrazioni locali, il numero degli amministratori da nominare ben potrebbe risultare inferiore a quello degli enti partecipanti.

Per quanto concerne la nozione di attività prevalente. La sentenza rileva che sin dal 1999 la CGUE aveva affermato, con la sentenza Teckal (CGUE, 18 novembre 1999, C-107/98) il principio per cui l'affidamento diretto in house è legittimo se l'affidatario realizza «la parte più importante» (o preponderante o prevalente) della propria attività con l'ente o con gli enti che lo controllano, eliminando ogni dubbio circa la non richiesta esclusività dell'attività in favore degli enti controllanti.

Criterio sintetico. Infine, richiamando giurisprudenza ampiamente consolidata, la sentenza afferma che nel caso di affidamento in house, conseguente all'istituzione da parte di più enti locali di una società di capitali da essi interamente partecipata, il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente.

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