Al SSN spetta il risarcimento per le prestazioni mediche conseguenti all’illecito, non la rivalsa né la surroga

Antonio Scalera
02 Novembre 2017

Un'Azienda Sanitaria ingiunge al responsabile di un illecito il pagamento delle spese per le prestazioni mediche a favore del danneggiato: per la Cassazione il costo delle cure sostenuto dal SSN è risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., come danno conseguenza.
Massima

In caso di cure mediche e prestazioni sanitarie rese dal SSN in favore del danneggiato da fatto illecito altrui (che non sia derivante dalla circolazione stradale o di natanti), all'Ente non compete né l'azione di rivalsa prevista dall'art. 1916 c.c., né l'azione surrogatoria di cui all'art. 1203, n. 3, c.c., difettando in entrambi i casi di presupposti di legge, ma soltanto l'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell'autore del fatto illecito.

Il caso

L'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento ha ingiunto, ai sensi del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, a G.C. il pagamento dell'importo di € 33.522,49 a titolo di rivalsa dei costi delle le cure mediche prestate a tale M.A., a seguito di un incidente sul lavoro imputabile all'ingiunto. Il Tribunale di Trento, accogliendo l'opposizione proposta dal C., ha annullato il decreto ingiuntivo. La Corte d'appello, adita dall'Ente, ha riformato la decisione di primo grado, rigettando l'opposizione del C.

La questione

La questione che la Suprema Corte si trova a dover risolvere concerne l'individuazione dei rimedi esperibili dagli enti del SSN per recuperare i costi delle prestazioni mediche rese in conseguenza di un illecito; se, cioè, in tali casi sia ammissibile l'esercizio dell'azione di rivalsa ex art. 1916 c.c. o di surroga ex art. 1203 c.c. ovvero l'azione ex art. 2043 c.c. nei confronti dell'autore dell'illecito.

Le soluzioni giuridiche

La risposta al quesito di cui sopra non è stata univoca nei primi due gradi di giudizio. Il Tribunale, accogliendo l'opposizione all'ingiunzione, ha negato qualsivoglia diritto dell'Azienda Sanitaria, ma di diverso avviso è stata la Corte di Appello, che ha ritenuto sussistente il diritto di rivalsa ex art. 63 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

La Suprema Corte ha, in primo luogo, escluso la sussistenza del diritto di rivalsa in capo all'Azienda Sanitaria, valutando il rapporto intercorrente tra Servizio Sanitario Nazionale ed i cittadini.

Secondo un orientamento, sviluppatosi nel vigore del sistema contributivo di finanziamento del SSN, il rapporto doveva essere qualificato come assicurazione sociale (Cass. civ., Sez. Un., 13 luglio 1990 n. 7267; Cass. civ., Sez. Un., 29 novembre 1988 n. 6480). Si è, infatti, affermato che agli enti gestori del servizio che avessero erogato prestazioni sanitarie in favore di vittime di lesioni derivanti da fatto illecito di terzi, spettava il diritto di surrogazione, ai sensi degli artt. 1916 e 1886 c.c., nei diritti delle vittime verso i terzi responsabili, attesa la natura assicurativa del rapporto tra detti enti e i cittadini utenti del servizio (Cass. civ., sez. l, 26 marzo 2003 n. 4460). In particolare, il diritto di rivalsa trovava fondamento nell'art. 1, commi 1 e 3, della l. 3 dicembre 1931, n. 1580 (Norme per la rivalsa delle spese di spedalità e manicomiali). Tuttavia, la riforma del '78, affermando il principio di gratuità delle prestazioni sanitarie rese dal SSN, aveva fortemente ridimensionato l'ambito operativo del diritto di rivalsa ex art. 1 l. n. 1580/1931, ristretto esclusivamente a quelle ipotesi, indubbiamente residuali, in cui la gratuità non sussistesse.

Il quadro è radicalmente mutato con l'art. 36 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che ha abrogato il sistema contributivo di finanziamento del SSN. Per effetto di tale riforma si è avuta la c.d. "fiscalizzazione" del finanziamento del Servizio Sanitario, attuata mediante la sostituzione dei menzionati contributi sociali di malattia con entrate di natura fiscale.

Tale mutato contesto normativo ha fatto venir meno in capo alle Aziende Sanitarie la qualifica – che, un tempo, era, invece, loro riconoscibile – di assicurazione sociale, con l'ulteriore conseguenza che non ricorrono più i presupposti per l'applicazione diretta dell'art. 1916 c.c. Nell'attuale regime non è possibile basare l'azione di rivalsa neppure sull'art. 1 l. 3 dicembre 1931, n. 1580, che è stato abrogato dal d.l. 25 giugno 2008, n. 122.

Va, parimenti, esclusa l'esperibilità dell'azione surrogatoria ai sensi dell'art. 1203, n. 3 c.c.

Infatti, il danneggiato che ha ricevuto cure gratuite non ha titolo per chiederne il rimborso al danneggiante. Di conseguenza, non esiste un diritto in cui il SSN si possa surrogare. A tacere del fatto che - nell'ipotesi di specie - vi è disomogeneità fra la prestazione resa e il contenuto della pretesa fatta valere in via di surroga, in guanto il SSN renderebbe all'assistito una prestazione di servizi (sanitari), rivalendosi nei confronti del danneggiante per un credito pecuniario (il costo dei servizi sanitari).

È, invece, astrattamente fondata la domanda risarcitoria formulata ai sensi dell'art. 2043 c.c. Invero, l'autore di un fatto illecito da cui sia derivato a terzi un danno alla salute, ha l'obbligo di risarcire tutte le conseguenze dirette del fatto, compresa la refusione del costo delle eventuali cure mediche e dell'assistenza sanitaria (ex plurimis: Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012 n. 10616; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2010 n. 712; Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2003 n. 5504).

Consegue che nel perimetro delle conseguenze dirette e, quindi, risarcibili del fatto illecito rientrano anche le prestazioni sanitarie eventualmente erogate dal SSN al danneggiato ed il loro relativo costo. Si tratta, infatti, di un danno prevedibile (art. 1225 c.c.), giacchè il danneggiante non può non sapere che il danneggiato sarà curato dal SSN, essendo quest'ultimo un sistema generalizzato di tutela della salute di qualsiasi infortunato.

Nel quadro così delineato non assume alcun rilievo la circostanza che il SSN eroghi al bisognevole le cure in regime di gratuità. Sebbene l'infortunato non debba sostenere alcun esborso, ciò non toglie né che le prestazioni medico-sanitarie rese abbiano un costo oggettivo, né che di tale costo possa essere chiamato a rispondere, secondo la clausola generale della responsabilità aquiliana, il danneggiante.

Consegue che i costi dell'assistenza medica e delle prestazioni sanitarie eventualmente erogate dal SSN al danneggiato devono essere risarcite dall'autore del fatto illecito, quali conseguenze dirette e prevedibili, al pari di come lo sarebbero le spese sostenute dal danneggiato per ricevere le cure necessarie in regime privatistico.

Ciò, chiaramente, non vale per le ipotesi in cui le prestazioni erogate dal SSN siano già altrimenti finanziate. Così avviene, in particolare, nel caso dei danneggiati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, per il cui finanziamento è previsto un contributo sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile, a norma dell'art. 334 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209. Tale contributo espressamente dichiarato dalla legge come «sostitutivo delle azioni spettanti alle Regioni e agli altri enti che erogano prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale».

Osservazioni

La sentenza in commento si segnala perché, nell'esaminare una fattispecie assai particolare nella quale una Azienda Sanitaria aveva ingiunto al responsabile di un illecito il pagamento delle spese per le prestazioni mediche a favore del danneggiato, ritiene risarcibili ai sensi dell'art. 2043 c.c., come danno conseguenza, il costo delle cure sostenuto dal SSN.

È certamente condivisibile la conclusione che, nel caso in esame, non vi è un diritto di “rivalsa” ex art. 1916 c.c., perché il SSN non è un assicuratore asociale; né è configurabile una surroga, perché – trattandosi di spese gratuite – non vi un diritto del danneggiato nel quale surrogarsi.

Desta, invece, qualche perplessità la soluzione adottata dalla Suprema Corte circa la risarcibilità dei costi per le spese mediche sostenuti dal SSN.

In linea di principio, si può convenire sul fatto che anche questi costi sono inquadrabili nella categoria dei danni-conseguenza, sebbene appaia improprio il richiamo all'art. 1225 c.c. in materia extra-contrattuale (VISINTINI, Risarcimento del danno, in Tratt. Rescigno, 9, I, Torino, 1984, 209; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2005, n. 6725, secondo cui il requisito della prevedibilità del danno, correlato all'elemento psicologico di esso (art. 1225 c.c.), è inapplicabile alla responsabilità extracontrattuale, in quanto non richiamato dall'art. 2056 c.c., avendo scelto il legislatore di non commisurare il risarcimento al grado della colpa; Cass. civ., sez. II, 3 settembre 2010, n. 19045).

In concreto, riesce difficile immaginare come l'Ente appartenente al SSN possa riuscire ad assolvere all'onere della prova.

Infatti, le prestazioni mediche di cui si discute sono state effettuate a costo zero per il danneggiato. Quali sarebbero, dunque, i costi relativi a tali prestazioni che il SSN ha sostenuto ed in relazione ai quali può accampare il diritto al risarcimento? Forse, i costi di assistenza in senso stretto (ad es., vitto e alloggio). Ma, in relazione alle prestazioni di cura, si può affermare che l'Ente abbia sostenuto dei costi? Non pare che rappresenti un costo l'utilizzo di macchinari, strumentazioni, medicinali, che sono in dotazione al SSN. Come pure non possono considerarsi un costo gli emolumenti corrisposti – evidentemente a prescindere dal sinistro in oggetto – al personale medico ed infermieristico.

Guida all'approfondimento

BIANCA, Diritto civile, V, Milano, 1994, 15;

ROSADA, Surrogazione, in Ridare.it;

SICCHIERO, voce «Regresso», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., agg. VII, Torino, 2012;

TRIMARCHI, Causalità giuridica e danno, in VISINTINI (a cura di), Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984, 5.

Sommario