I poteri del terzo estraneo al giudizio avverso la sentenza che dispone la confisca su un bene di loro proprietà
07 Novembre 2017
Chiamate a stabilire «se il terzo, rimasto estraneo al giudizio di cognizione, proprietario del bene del quale sia stata disposta, con sentenza, la confisca, sia legittimato a promuovere incidente di esecuzione prima della irrevocabilità della sussistenza stessa», le Sezioni unite della Cassazione penale hanno affermato il seguente principio di diritto: «il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame. Qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame» (Sez. unite n. 48126, dep. 19 ottobre 2017).
Un primo orientamento giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. II, 14146/2001; Cass. pen., Sez. I, 2684/1991), partendo dal presupposto che la tutela “sostanziale” del terzo estraneo deve trovare spazio nell'ordinamento, e prendendo atto dell'assenza di un mezzo di impugnazione del rigetto dell'istanza di restituzione del bene avanzata dal predetto soggetto, riteneva doversi estendere in suo favore e per via analogica la possibilità di proporre opposizione, così come accade per gli incidenti di esecuzione, a mente dell'art. 667, comma 4, secondo periodo, c.p.p. In questo modo, da un lato, si garantirebbe il contraddittorio nel rispetto della procedura di cui all'art. 666 c.p.p. e, dall'altro, non costituirebbe ostacolo all'adozione di tale procedura il fatto che un provvedimento esecutivo, ancora, non sia venuto ad esistenza. Pertanto, «il terzo, titolare del bene oggetto del sequestro preventivo e, quindi, di confisca, in quanto estraneo al procedimento penale, può esperire, nel corso delle fasi del giudizio di cognizione, solo il rimedio previsto dall'art. 263 c.p.p. Egli può presentare richiesta di restituzione al giudice procedente, che deciderà con ordinanza de plano, avverso la quale l'interessato può proporre opposizione. La procedura da applicare viene individuata, per via analogica, in quella di cui all'art. 676 c.p.p., comma 1 e art. 667 c.p.p., comma 4. Il giudice che ha la disponibilità del procedimento, quindi, decide ‘senza formalità, con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato'. Avverso la predetta ordinanza, non essendo esperibile l'appello ex art. 322-bis c.p.p., si può solo proporre opposizione innanzi al medesimo giudice».
Altro orientamento invece negava al terzo la possibilità di esperire incidente di esecuzione nel corso dello svolgimento della fase di cognizione (Cass. pen., Sez. II, 5380/2015; Cass. pen., Sez. VI, 40388/2009; Cass. pen., Sez. I, 8533/2013; Cass. pen., Sez. I, 47312/2011). Secondo tale filone sarebbe infatti irrazionale ritenere possibile, in presenza di una procedura che ha disposto la confisca sulla base della evidenza delle prove raccolte, ammettere che un terzo possa determinare la contestuale instaurazione di un separato iter procedimentale, che ben potrebbe dare luogo ad un paralizzante contrasto di decisioni. «Se è concesso al terzo, nel corso delle indagini preliminari e durante il giudizio di primo grado, far valere davanti alla autorità giudiziaria che procede i propri diritti sui beni sequestrati, ciò deve ritenersi non possibile quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile (e dunque sino al suo passaggio in giudicato), in quanto non si può chiedere al giudice della cognizione, durante la pendenza del processo e al di fuori dello stesso, di porre in discussione la statuizione di confisca; ciò, per altro, nell'interesse di un soggetto terzo, vale a dire un soggetto ‘che non è parte del rapporto processuale instaurato dinanzi al giudice della cognizione'».
Le Sezioni unite, accogliendo tale ultimo orientamento, hanno ritenuto non consentito, in pendenza del processo di cognizione, instaurare la procedura dell'incidente di esecuzione, chiedendone la soluzione allo stesso giudice, e ciò per due ordini di ragioni: a) dare la possibilità al terzo di promuovere incidente di esecuzione per far valere il suo diritto di proprietà nell'ambito di un procedimento pendente che non lo vede tra le parti significherebbe dare vita ad un procedimento parallelo con la possibilità di avere – oltretutto da parte di uno stesso giudice – decisioni contrastanti; b) sarebbe privo di senso voler affidare al giudice della cognizione la procedura che il Legislatore prevede per l'incidente di esecuzione e pretendere altresì che chi deve ancora emettere una sentenza, ovvero ha già emesso una sentenza la quale manca però di definitività, si comporti come se tale sentenza sia venuta a esistenza e sia irrevocabile. Sulla base di tali argomentazioni, il Supremo Consesso ha quindi concluso che «il terzo, rimasto estraneo al giudizio di cognizione ben può far valere il proprio diritto alla restituzione dei beni che gli sono stati (cautelativamente) sottratti. Ma ciò non potrà fare avvalendosi del dettato di cui all'art. 579 c.p.p., comma 3, sia perché non è parte, sia perché ciò che egli può impugnare non è la confisca (eventuale) del bene, ma il diniego alla restituzione dello stesso che, allo stato, è vincolato in base al provvedimento di sequestro. Per il terzo insomma l'appello cautelare costituisce l'unico rimedio attivabile per contestare il vincolo gravante sui beni fino al passaggio in giudicato della confisca, posto che solo in quel momento egli sarebbe legittimato a contestare il merito del provvedimento ablativo mediante la proposizione di apposito incidente di esecuzione nelle forme dell'art. 676 del codice di rito». |