È risarcibile il danno a favore del coniuge costretto a separarsi dal marito facoltoso?
08 Novembre 2017
Massima
In materia di separazione personale, la perdita di un marito facoltoso a causa della sua violazione dei doveri coniugali, non può costituire motivo di risarcimento del danno. Il caso
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 16 giugno 2015, confermava la decisione assunta dal giudice di primo grado che aveva pronunciato la separazione tra due coniugi con addebito al marito, confermando al contempo anche le statuizioni impartite dal Tribunale napoletano sia in ordine al risarcimento, sia in ordine alla quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore della moglie. Quest'ultima impugnava, tuttavia, la suddetta sentenza avanti la Suprema Corte di Cassazione eccependo che, nella determinazione dell'entità del risarcimento, la Corte d'Appello avrebbe dovuto tenere conto delle capacità patrimoniali e reddituali del marito e dei vantaggi che la moglie stessa avrebbe avuto se il vincolo coniugale non fosse cessato a causa degli illegittimi comportamenti del marito stesso. La ricorrente si dogliava, inoltre, che la quantificazione dell'assegno di mantenimento posto a carico del coniuge non fosse stata effettuata in modo congruo e giusto, in quanto la Corte di Appello aveva omesso di procedere alle richieste indagini tributarie che avrebbero fatto emergere ulteriori introiti in capo al coniuge. La questione
Le questioni sottese alla decisione in esame riguardano il tema del risarcimento del danno derivante dalla violazione dei doveri coniugali, nell'ambito di un procedimento di separazione e quello della prova sufficiente e necessaria al Giudice per procedere alla determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente più debole. Le soluzioni giuridiche
Il tema affrontato dalla Corte è quello, alquanto attuale e dibattuto, che concerne la risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione dei doveri coniugali. Come noto, nel corso degli anni si è sempre più consolidato in giurisprudenza il principio giuridico che riconosce la astratta possibilità di autonoma risarcibilità del danno che un coniuge ritiene di avere subito a causa del comportamento contrario ai normati doveri derivanti dal matrimonio effettuati dall'altro coniuge. La questione, infatti, è strettamente connessa alla interpretazione dell'art. 151 c.c. che prevede la “sanzione” dell'addebito a carico di chi è ritenuto responsabile della intervenuta intollerabilità della convivenza. Se è vero, tuttavia, che le conseguenze giuridiche di una pronuncia di addebito sono peculiari e limitate (perdita del diritto alla percezione dell'assegno di mantenimento in capo a chi subisce la condanna e perdita dei diritti ereditari da parte dell'altro coniuge), è anche vero che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno anche natura giuridica, come si desume dal riferimento contenuto nell'art. 143 c.c. , dalle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e dall'espresso riconoscimento, nell'art. 160 c.c., della loro inderogabilità, nonché dalle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa derivare dalla loro violazione, cosicché deve ritenersi che l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo. Da ciò consegue che la violazione dei suddetti doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile. Questo principio è connesso alla considerazione ed alla valutazione della gravità e della modalità dei comportamenti con il quale un coniuge ha causato la rottura del coniugio. In questo senso, si è assistito ad un progressivo riconoscimento del carattere non patrimoniale e prettamente risarcitorio della pronuncia di addebito ex art. 151 c.c.. Con la sentenza in esame, i giudici della Corte sono intervenuti a chiarire l'ambito della qualificazione del danno risarcitorio e della sua quantificazione, distinguendo il processo di separazione, e quindi le conseguenze dell'addebito, dalla possibilità dell'instaurazione di un autonomo e separato giudizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 2043 c.c.. Infatti, nel respingere il ricorso della moglie, la Corte chiarisce che la lesione subita dalla moglie, per quanto grave e importante, deve essere inquadrata e qualificata come fatto illecito e non può essere fatta rientrare nelle conseguenze dell'addebito sotto il profilo della quantificazione. In altre parole, la determinazione dell'entità risarcitoria da parte del giudice della separazione non può essere parametrata alla capacità reddituale e patrimoniale del coniuge al quale la separazione è stata addebitata. Nel caso di specie, dunque, nulla da eccepire in ordine alla quantificazione “riparatrice” effettuata dal Tribunale di primo grado e dalla Corte di Appello di Napoli che hanno correttamente applicato tali parametri normativi. Pertanto, è stato chiarito dalla Cassazione che il danno subito dalla moglie non è costituito dalla perdita di un marito facoltoso, ma dalla lesione della dignità e della salute conseguenti alle modalità con le quali il marito aveva causato la fine del matrimonio, consistenti, in questa fattispecie, nell'avere appreso dell'esistenza di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione. Quanto, poi, alla doglianza avanzata dalla moglie circa l'insufficienza della somma a lei attribuita a titolo di assegno di mantenimento in quanto i Giudici avrebbero dovuto procedere alle richieste indagini tributarie, la Suprema Corte ribadisce quanto già sostenuto da precedente pronuncia (Cass. civ., ord.,15 novembre 2016, n. 23263), cioè che se è vero che il Giudice ha il potere di disporre indagini patrimoniali a mezzo della polizia tributaria per effettuare la propria determinazione del'assegno di mantenimento, è anche vero che tale strumento costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova. Ne consegue che l'esercizio di questo potere non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata perché finirebbe per assumere un indebito carattere esplorativo. Osservazioni
Ciò che si evince da questa interessante sentenza è la consolidazione della netta distinzione tra le conseguenze dell'addebito della separazione, così come previsto e disciplinato dall'art. 151 c.c., e il profilo risarcitorio dei danni subiti da un coniuge a causa delle violazioni ai doveri coniugali, di cui all'art. 143 c.c. Considerato, infatti, che il comportamento tenuto da un coniuge, oltre ad essere la causa della intollerabilità della convivenza, può, per la sua gravità e riprovevolezza, comportare la lesione di diritti costituzionali e della personalità al danneggiato, la giurisprudenza nel corso degli anni è giunta a riconoscere a quest'ultimo il diritto a richiedere il risarcimento del danno cd. “da tradimento” in quanto integrante un vero e proprio illecito civile. Ciò in quanto la natura dei doveri derivanti dal matrimonio, non ha natura solo morale ma anche giuridica. Chiarificatrice, sotto questo profili, è stata la sentenza Cass. civ., 15 settembre 2011, n. 18853 con la quale è stato precisato che, data la natura giuridica dei doveri derivanti dal matrimonio e la valenza di diritto soggettivo dell'interesse di un coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza, il comportamento del coniuge che violi i predetti doveri è configurabile come illecito civile e dà luogo al risarcimento del danno non patrimoniale. Presupposto di tale risultato, è l'accertamento della lesione di un diritto costituzionalmente protetto e del nesso di causalità fra la violazione del dovere coniugale ed il danno subito. A supporto di quanto affermato, ovvero che la violazione dei diritti inviolabili della persona può costituire presupposto di responsabilità civile anche nell'ambito familiare, e che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non può, di per sé ed automaticamente, integrare una responsabilità risarcitoria, va richiamata la sentenza Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, che ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico-patrimoniale. Conseguentemente, risulta definitivamente chiarito che l'azione di risarcimento del danno da violazione degli obblighi matrimoniali è autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed è esperibile a prescindere da dette domande. La citata sentenza del 2011 è stata anche l'occasione per chiarire che, in applicazione del suesposto principio, la possibilità di un coniuge di agire in sede civile ex art. 2043 c.c. per il riconoscimento di un danno patito a causa delle sofferenze subite in virtù della gravità del contegno dell'altro coniuge nel corso del matrimonio, va riconosciuta anche a prescindere dalla implicita rinuncia della richiesta di addebito intervenuta nel corso della procedura di separazione consensuale. Quindi, in ordine alla quantificazione del danno da violazione dei doveri coniugali, emerge che, se da una parte la stessa è regolata dalle regole di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c. laddove sia promossa autonoma azione di risarcimento del danno, nell'ambito del procedimento di separazione ci si deve attenere alle conseguenze normative della pronuncia di addebito che non possono essere interpretate nel senso di costituire un ristoro patrimoniale per un danno morale subito a causa della violazione dei doveri coniugali, parametrato alle condizioni economiche e reddituali del danneggiante . Se dunque, nonostante l'apertura della Suprema Corte, le misure tipiche previste dal diritto di famiglia non possono essere utilizzate in modo ultroneo alla loro tassatività, è altrettanto vero che è possibile l'esperimento di autonoma azione finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri coniugali in quanto riguardanti diritti costituzionalmente protetti, indipendentemente dalla pronuncia dell'addebito. In altre parole, si può affermare l'autonomia della componente risarcitoria da quella relativa alla “sanzione” dell'addebito, nonostante, nel caso di specie, i Giudici di legittimità abbiano riconosciuto rilevanza alla lesione alla dignità ed alla salute subite dalla moglie per effetto delle modalità e delle circostanze con le quali il marito ha causato la fine del matrimonio, includendole ed annoverandole tra le violazioni dei doveri derivanti dal matrimonio. |