Riforma codice antimafia. Il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali

15 Novembre 2017

Anche il procedimento applicativo è stato attinto dalla legge di riforma del codice antimafia (n. 161 del 17 ottobre 2017, pubblicata lo scorso 4 novembre 2017) con interventi direttamente riferibili all'iter procedurale o che, comunque, lo condizionano indirettamente. Presupposto imprescindibile per l'avvio di un procedimento di prevenzione è la proposta che deve essere presentata – da parte dei soggetti legittimati – al Presidente del tribunale del capoluogo di provincia in cui ...
Abstract

Anche il procedimento applicativo è stato attinto dalla legge di riforma del codice antimafia (n. 161 del 17 ottobre 2017, pubblicata lo scorso 4 novembre 2017) con interventi direttamente riferibili all'iter procedurale o che, comunque, lo condizionano indirettamente.

L'incipit dell'azione di prevenzione patrimoniale

Presupposto imprescindibile per l'avvio di un procedimento di prevenzione è la proposta che deve essere presentata – da parte dei soggetti legittimati – al Presidente del tribunale del capoluogo di provincia in cui il proposto dimora.

Mentre l'applicazione delle misure di prevenzione personali è subordinata alla formulazione di una proposta motivata, ai sensi dell'art. 20 d.lgs. 159/2011 le misure patrimoniali possono essere applicate dal tribunale anche d'ufficio con un provvedimento che prende la forma di decreto motivato con cui viene disposto il sequestro dei beni di cui la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulti sproporzionato rispetto al reddito dichiarato ovverosia rispetto all'attività economica svolta ovvero ancora quando sulla base di sufficienti indizi si abbia motivo di ritenere che si tratti di beni “frutto” di attività illecite o che costituiscano il reimpiego di dette attività.

Si ritiene applicabile al procedimento di prevenzione l'art. 666, comma 2, c.p.p. per via del richiamo contenuto nell'art. 7, comma 9, del codice antimafia.

Alla luce della compatibilità normativa il Presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, può con decreto motivato dichiarare l'inammissibilità della proposta quando la stessa risulti manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovverosia quando non è altro che la riproposizione di una richiesta già rigettata e basata sugli stessi elementi.

L'art. 17 del codice antimafia indica i soggetti titolari del potere di proposta di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale. Essi sono il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, il procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, il questore ed il direttore della direzione investigativa antimafia.

Le funzioni e le competenze spettanti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona, previo coordinamento con il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto se l'azione di prevenzione deve essere esercitata nei confronti dei soggetti di cui all'art. 4, comma 1, lett. c), i), i-bis) e i-ter). Si tratta di una previsione contemplata dall'art. 5, comma 2, e dall'art. 17, comma 2, codice antimafia che si estende anche a coloro per i quali si ritiene che, sulla base di elementi di fatto, siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica nonché nei confronti delle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'art. 6, l. 13 dicembre 1989, n. 401, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che siano dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l'ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l'incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive (lett. i)) nonché ancora ai soggetti indiziati del delitto di cui all'art. 640-bis o del delitto di cui all'art. 416 c.p., finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, comma 1, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p. (i-bis) ed infine ai soggetti indiziati del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. (i-ter)).

Nell'udienza di primo grado le funzioni della pubblica accusa possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente e, da tanto, può derivare che il pubblico ministero procedente possa non essere il medesimo che presenzia, poi, all'udienza del procedimento di prevenzione.

Alla luce della normativa, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ha una doppia titolarità esclusiva consistente sia nella competenza in materia di indagini per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. sia in materia di prevenzione, nel cui ambito rappresenta l'organo a favore del quale è stata assegnata la proposta di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.

Il potere di proposta consiste nella richiesta di disporre il sequestro dei beni prima della fissazione dell'udienza se v'è il concreto pericolo che dette res da confiscare possano essere disperse, sottratte ovverosia alienate; essa dovrà essere avanzata al Presidente del tribunale competente per l'applicazione di una misura di prevenzione.

Tra i poteri dei soggetti indicati dall'art. 17 v'è anche quello di svolgere le indagini patrimoniali volte all'applicazione delle misure di prevenzione ai sensi dell'art. 19 d.lgs. 159/11.

In particolare la disposizione legittima, anche per il tramite della guardia di finanza o della polizia giudiziaria, l'espletamento di indagini inerenti il tenore di vita e le disponibilità finanziarie oltre ad una più generale verifica sui soggetti destinatari della disciplina nonché sull'attività economica facente capo agli stessi anche allo scopo di individuare le fonti di reddito.

Tra i poteri si rinviene certamente la richiesta agli istituti di credito, alle imprese nonché ad enti e società di informazioni e di copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini propedeutiche all'assunzione dei provvedimenti di prevenzione ovverosia ancora la possibilità di accedere - senza nuovi o maggiori oneri - al sistema per l'interscambio di flussi dati dell'agenzia delle entrate e richiedere quanto ritenuto utile ai fini delle indagini.

Non si rinviene, tuttavia, nell'ambito del codice antimafia, la previsione, in capo al procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, della funzione di coordinamento delle autorità titolari del potere di proposta.

Peculiarità del procedimento di prevenzione patrimoniale

Nel consentire l'applicazione, al procedimento di prevenzione, di disposizioni normative contenute nel codice di rito penale – in particolare l'art. 666 c.p.p. – il Legislatore ha realizzato uno strumento indubbiamente efficace ma per certi versi insidioso, caratterizzato da una poliedricità di elementi che procurano deficit di garanzie e pregnanti difficoltà difensive.

La dottrina si è interrogata sulla natura del procedimento di prevenzione, pervenendo alla negazione del carattere giurisdizionale dello stesso in ragione del fatto che in esso vengono esercitati poteri amministrativi a tutela degli interessati pur se in forma giurisdizionale.

Occorre, tuttavia, evidenziare che la sussistenza di moduli processuali ben definiti, la presenza del pubblico ministero in rappresentanza dell'accusa, la necessità della difesa tecnica, il rinvio al procedimento di cui all'art. 666 c.p.p. nonché il sistema delle impugnazioni fanno propendere per la natura giurisdizionale del procedimento stesso.

Se, difatti, venisse negata l'impronta giurisdizionale alla luce dell'analisi delle caratteristiche del procedimento di prevenzione si giungerebbe a considerare il procedimento stesso eccentrico rispetto alla disciplina del giusto processo.

Anche la Corte di cassazione ha ritenuto di condividere la tesi della natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione laddove ha ritenuto ammissibile la ricusazione del giudice; dello stesso avviso è stata la Corte di giustizia europea che ha sostenuto che il procedimento di prevenzione è del tutto assimilabile ad un procedimento penale con conseguente applicabilità dell'art. 6, paragrafo 1, della Cedu con riferimento alla garanzia per il giusto processo.

Affermare la natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione comporta, come corollario, la piena applicabilità delle regole del giusto processo di cui all'art. 111 Cost.

Dal punto di vista dei presupposti, il codice antimafia ha elaborato un doppio sistema distinguendo la prevenzione personale da quella patrimoniale e generando situazioni distinte e a loro volta ancorate a presupposti non sovrapponibili.

Si rinviene, pertanto, da un lato, la prevenzione personale legata strettamente al concetto di pericolosità sociale e, dall'altro, la prevenzione patrimoniale del tutto sganciata da detto presupposto e ancorata, invece, alla provenienza illecita o addirittura alla mera sproporzione rispetto ai redditi del soggetto ovverosia alla attività economica.

Udienza, attività istruttoria e decisione

Una novità introdotta dall'art. 12 della legge 161/2017 è stata l'inserimento del Capo V-bis nell'ambito del Titolo II del d.lgs. 159/2011, istitutivo di un espresso criterio di priorità, corredato da tutta una serie di obblighi informativi.

La disposizione novellistica prevede testualmente che è «assicurata la priorità assoluta nella trattazione dei procedimenti previsti dagli articoli 16 e seguenti»d el codice antimafia proseguendo, nel secondo comma, con la previsione in base alla quale «i dirigenti degli uffici giudicanti e requirenti debbano adottare i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la trattazione e la definizione prioritaria dei procedimenti e il rispetto dei termini previsti».

I provvedimenti, inoltre, devono essere tempestivamente comunicati al Consiglio giudiziario e al Consiglio superiore della magistratura ed il dirigente dell'ufficio deve informare, sulla base delle indicazioni del Consiglio superiore della magistratura, con cadenza annuale, sia al C.S.M. che al Ministero della giustizia i dati sulla durata dei relativi procedimenti.

Il Legislatore ha altresì previsto che, ottenuta la comunicazione, il Consiglio superiore della magistratura e il Ministero della giustizia debbano valutare gli effetti dei provvedimenti adottati dai dirigenti degli uffici sulla trattazione prioritaria, sulla durata e sul rispetto dei termini dei procedimenti indicati al primo comma.

La riforma operata dalla legge 161/2017 ha introdotto la previsione per la quale in sede di comunicazioni sull'amministrazione della giustizia, il Ministro debba riferire alle Camere in merito alla trattazione dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione.

Il procedimento è generalmente camerale a meno che i soggetti interessati non facciano richiesta di udienza pubblica ex art. 7, comma 1.

Pur se richiesta la forma pubblica, tuttavia, il procedimento resta fondamentalmente camerale anche dal punto di vista strutturale nonché delle garanzie applicabili.

Successivamente al deposito della richiesta di applicazione della misura il Presidente del collegio giudicante procede alla fissazione dell'udienza, provvedendo a dare gli avvisi di cui all'art. 7, comma 2, d.lgs. 159/2011 alle parti, agli interessati ed ai difensori almeno dieci giorni prima della trattazione del procedimento e, come previsto dalla nuova formulazione del secondo comma, deve contenere la concisa esposizione dei contenuti della proposta.

L'avviso deve essere comunicato al pubblico ministero e notificato al proposto, ai terzi, agli altri eventuali interessati ed ai relativi difensori (d'ufficio laddove non si sia provveduto alla nomina fiduciaria).

Il termine di dieci giorni, come previsto dalla suprema Corte, deve intendersi libero, in linea con quanto previsto dall'art. 666, comma 3, c.p.p.

I principi generali – in assenza di disposizione normativa – impongono che successivamente alla fissazione dell'udienza, vengano depositati presso la cancelleria tutti gli accertamenti compiuti, la mancata conoscenza dei quali pregiudicherebbe il diritto di difesa e svuoterebbe di contenuto la necessaria partecipazione dialettica.

Aver sdoganato la natura giurisdizionale del procedimento comporta a tutto tondo il diritto di prova con conseguente facoltà di depositare – entro sette giorni liberi prima dell'udienza – liste testimoniali senza alcuna immotivata limitazione al diritto alla prova contraria ed al contraddittorio – con conseguente riconoscimento dello stesso anche in capo ai terzi familiari proprietari dei beni confiscati.

Il tribunale competente deve acquisire gli elementi utili alla decisione e, pertanto, avrà certamente a disposizione quanto il richiedente ha allegato alla proposta di applicazione della misura. Al tempo stesso, tuttavia, nel corso dell'udienza potrà acquisire elementi ulteriori.

Il codice antimafia ha confermato, all'art. 7, comma 9, il richiamo alle disposizioni di cui all'art. 666 c.p.p. con l'aggiunta del richiamo all'art. 147-bis, comma 2, norme att. coord. c.p.p. sull'esame a distanza dei testimoni.

Il rinvio al procedimento di esecuzione comporta che la fase istruttoria abbia una impronta spiccatamente inquisitoria per cui da una parte il giudice ha ampi poteri istruttori e, dall'altro, i poteri del proposto appaiono molto limitati.

V'è certamente la possibilità di assumere prove dichiarative con le forme dell'art. 147-bis con la conseguenza che deve considerarsi ammesso qualsiasi mezzo su istanza delle parti nell'esercizio del diritto alla prova e alla controprova incluse quelle dichiarative e le perizie.

Si tratta di una impostazione rafforzata, altresì, sia dal secondo comma dell'art. 327-bis c.p.p. che riconosce il diritto del difensore di espletare attività investigativa difensiva anche in fase di esecuzione penale sia dall'art. 185 disp. att. in relazione al quale il giudice, nell'assumere le prove ai sensi dell'art. 666, comma 5, c.p.p. procede senza particolari formalità anche con riferimento alla citazione ed all'esame dei testimoni.

Se non sono poste questioni preliminari – alla stregua di quelle previste per il dibattimento di cui all'art. 491 c.p.p. – successivamente alla relazione orale, si procede con la formulazione delle richieste di prova.

La disciplina del procedimento di prevenzione non contempla un richiamo alle regole generali sulla prova, con particolare riferimento ai divieti probatori di talché si potrebbe sostenere che gli atti del pubblico ministero siano destinati ad essere sempre ammissibili e quindi valutabili dal giudice come prova al fine di applicare la misura di prevenzione.

Si tratta, tuttavia, di disposizioni generali derivanti da precise prescrizioni costituzionali che impongono una estensione analogica anche nel giudizio di prevenzione.

Troveranno, conseguentemente, applicazione nel procedimento di prevenzione tutte le disposizioni in materia di prove del processo penale di cognizione.

Si applicheranno l'art. 187 c.p.p. sull'oggetto della prova e l'art. 188 c.p.p. in relazione alla libertà morale della persona nella assunzione della prova, l'art. 189 c.p.p. sulle prove atipiche nonché l'art. 190 c.p.p. sul diritto alla prova e l'art. 191 c.p.p. sulla inutilizzabilità della prova nonché, nonostante la posizione contrastante della giurisprudenza, l'art. 192 c.p.p. sulla valutazione della prova.

Non sembrano essere, invece, compatibili con il procedimento di prevenzione i limiti sulle prove imposti dalle disposizioni di stampo civilistico ad eccezione di quelli, in linea con l'art. 193 c.p.p., sullo stato di famiglia e di cittadinanza.

Si ritengono altresì compatibili le regole sui singoli mezzi di prova e le disposizioni in materia di esclusione probatoria nonché l'art. 103 c.p.p. sulle garanzie di libertà del difensore nonché ancora i limiti alla testimonianza previsti dall'art. 194 c.p.p. e le disposizioni sulla testimonianza indiretta di cui all'art. 195 c.p.p.

C'è sicura armonia applicativa rispetto all'art. 197 c.p.p. che tratta delle compatibilità con l'ufficio di testimone nonché con l'art. 199 c.p.p. sulla facoltà di astensione del testimone mentre, a causa del carattere eccezionale, non può essere applicata la disposizione di cui all'art. 197-bis c.p.p.

Possono essere certamente applicate le disposizioni sui divieti inerenti il segreto professionale, il segreto d'ufficio e il segreto di stato di cui rispettivamente agli artt. 200, 201, 202 c.p.p. nonché la disposizione di cui all'art. 203 c.p.p. sugli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. Trova applicazione analogica il divieto di perizia volta a stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità del proposto e, in genere, le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche di cui all'art. 220, comma 2, c.p.p. così come trova applicazione la disposizione sulla consulenza dei tecnici del trattamento di cui all'art. 678, comma 2, c.p.p. espressamente prevista per il procedimento di sorveglianza.

Dalla violazione delle disposizioni che impongono divieti probatori deriva ex art. 191 c.p.p. l'inutilizzabilità del dato acquisito.

In relazione ai mezzi di prova, il giudice della prevenzione può procedere a tutte le acquisizioni consentite nel processo di cognizione. L'art. 666, comma 5, c.p.p. – richiamato dal codice antimafia – non pone limiti, statuendo solo che le prove debbano essere assunte nel rispetto del contraddittorio, mentre l'art. 185 disp. att. c.p.p. opera, esclusivamente a titolo esemplificativo, un riferimento alla testimonianza e alla perizia e, da tanto, deriva che tutte le prove acquisibili nel processo di cognizione possono essere assunte anche nel procedimento di prevenzione.

Generalmente le fonti probatorie sono cartolari e sono costituite da dati provenienti da altri procedimenti penali già chiusi o ancora in corso, dai precedenti penali o giudiziari degli interessati e dalle informazioni degli organi di polizia.

La dottrina si è interrogata sulla questione relativa alle informazioni provenienti dall'autorità amministrativa e ha osservato che, se non vi fossero limiti alla confluenza di dati di tipo amministrativo, si arriverebbe a motivare i provvedimenti con una istruzione promanante esclusivamente da un ente pubblico fuori dalla possibilità di intervento delle parti.

È, questa, una osservazione certamente condivisibile in seguito alla introduzione, in seno all'art. 111 Cost., del principio del contraddittorio tra le parti e nella formazione della prova.

Puntando l'attenzione sul momento acquisitivo della prova, si rinviene solo l'art. 7 d.lgs. 159/2011 che rinvia alle disposizioni di cui all'art. 666 che rimanda, a sua volta, all'art. 185 disp. att. c.p.p.

È, senza dubbio alcuno, una disciplina singolare perché rinvia al giudice anziché alle parti il momento centrale dell'acquisizione probatoria in piena deroga al principio ex art. 190 c.p.p. che reggerebbe il processo penale nel quale sono le parti ad essere protagoniste nel campo probatorio.

L'art. 666, comma 5, c.p.p. consente al giudice di chiedere alle autorità competenti tutti i dati e i documenti di cui ha bisogno facendo così riferimento alle prove precostituite in relazione alle quali, anche se non è prevista l'assunzione nel contraddittorio, esso deve essere garantito.

Laddove la disposizione fa riferimento ai documenti, contempla tutte le prove precostituite fuori dal processo da soggetti diversi da quelli del processo e per fini diversi da quelli processuali, che sono eccezioni alla regola del contraddittorio nella formazione della prova.

Anche se il secondo comma dell'art. 111 Cost. impone il contraddittorio sulla prova, di fatto non si esige che la persona che fornisce le informazioni richieste sia esaminata in udienza e, al fine di colmare il vuoto, la Corte nomofilattica (Cass. pen., Sez. V, 10 aprile 2002, Cattafi, in Guida dir., 2002, n. 24, pag. 78) ha previsto che se è consentito al tribunale chiedere all'amministrazione tutte le informazioni di cui abbia bisogno, allo stesso modo le informazioni possono essere poste alla base della decisione solo se il proposto è messo nelle condizioni di difendersi e da tanto deriverebbe il diritto dello stesso ad esaminare la persona che ha fornito al tribunale le informazioni stesse.

I dati sono sovente richiesti agli organi di polizia e, trattandosi di prove precostituite, si sostanziano in accertamenti già compiuti per ragioni di vario tipo. Il relativo verbale può essere acquisito fermo restando che l'autore dello stesso dovrà poi rispondere oralmente, ove richiesto, alle domande formulate dalle parti.

È prevista anche per il pubblico ministero l'acquisizione di informazioni mentre il difensore può solo esercitare i poteri riconosciuti dall'art. 391-ter c.p.p. mediante richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione o ricezione di dichiarazioni scritte ovverosia ancora assunzione di informazioni da persone in grado di riferire circostanze utili ai sensi degli artt. 391-bis e -ter c.p.p.

L'acquisizione deve avvenire in pubblica udienza attraverso la lettura integrale o parziale ai sensi dell'art. 511 c.p.p. ovverosia con semplice indicazione degli atti utilizzabili, fatta salva la possibilità di assumere la testimonianza dell'autore dell'atto.

Sono inammissibili le intercettazioni finalizzate alla applicazione di una misura di prevenzione ma, al contrario, è stata ritenuta ammissibile l'attività captativa volta a verificare se i soggetti sottoposti a misura di prevenzione continuino a porre in essere le attività che hanno condotto alla applicazione della misura ai sensi dell'art. 78 codice antimafia.

La disposizione di cui all'art. 185 disp. att. c.p.p. consente al giudice di procedere alla assunzione delle prove senza particolari formalità e, pertanto, si è ritenuto che, laddove si tratti di prove testimoniali, la procedura più corretta da seguire sia quella di cui all'art. 506, comma 2, c.p.p.

L'art. 7, comma 1, del codice antimafia dispone che il tribunale che deve decidere in relazione ad una misura di prevenzione ha l'obbligo di pronunciarsi entro trenta giorni dalla proposta ma si tratta di un termine ordinatorio; a tale considerazione si affianca quella per la quale la prassi dimostra come i tempi medi di durata per i tre gradi di giudizio non siano inferiori ai cinque anni.

Per contenere i tempi, tuttavia, il Legislatore ha introdotto un deterrente all'art. 27, comma 6, del codice antimafia prevedendo che in caso di appello avverso il decreto di confisca, se la Corte non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso, il provvedimento perde efficacia.

La legge 161 del 17 ottobre 2017 ha introdotto il comma 6-bis in base al quale nel caso di annullamento del provvedimento di confisca con rinvio al tribunale, anche ove disposto ai sensi dei commi 2-bis e 3-bis dell'art. 10, il termine previsto dall'art. 24, comma secondo, decorre nuovamente dalla ricezione degli atti presso la cancelleria del tribunale.

Il provvedimento che definisce il procedimento deve avere la forma di un decreto motivato e si sostanzia nell'accoglimento o nel rigetto della proposta sulla base degli elementi acquisiti e contenuti nel fascicolo.

È un principio di derivazione dibattimentale sancito dall'art. 526, comma 1, c.p.p. di talché il giudice non può utilizzare per la deliberazione conoscenze non derivanti dal procedimento o prove non acquisite secondo la normativa.

La giurisprudenza non ritiene applicabile al procedimento di prevenzione il principio della immediatezza della deliberazione di cui all'art. 525 c.p.p., cosicché il collegio giudicante può riservare la decisione fino a dopo la fase di acquisizione della prova acquisendo anche elementi sopravvenuti rispetto a tale momento con l'indispensabile rispetto del contraddittorio.

Anche se il provvedimento ha la forma di decreto motivato nella sostanza è del tutto analogo ad una sentenza per cui, perché sia valido, occorre effettuare un rinvio alla disposizione di cui all'art. 546 c.p.p. che stabilisce i requisiti di validità della sentenza.

Esso, del resto, conclude, proprio come una sentenza, il giudizio di cognizione volto alla applicazione di una misura di prevenzione e, pertanto, chiude una fase processuale ed è suscettibile di impugnazione di merito e di legittimità.

Quanto ai requisiti sono certamente imprescindibili l'indicazione del giudice che ha emesso il provvedimento, la sottoscrizione del Presidente del collegio, del giudice estensore nonché del cancelliere, l'indicazione delle generalità del proposto oltre a tutto ciò che consenta di individuarlo ed ancora la motivazione ed il dispositivo.

Il provvedimento contiene sia il dispositivo che la statuizione finale e deve essere comunicato al Procuratore della Repubblica, al Procuratore generale nonché al soggetto interessato.

Con la riforma operata dalla legge Orlando del 2017 si è definitivamente chiarito che tra i soggetti destinatari della notifica debba anche esserci il difensore.

Nella previgente normativa, nonostante l'art. 8, comma 8, non indicasse il difensore tra i soggetti destinatari della notifica si riteneva comunque che la stessa andasse effettuata anche nei suoi confronti e la novella legislativa ha, di fatto, positivizzato una prassi cui si era giunti per via interpretativa.

Se il tribunale adito ritiene di poter accogliere la richiesta, con il provvedimento si dispone la confisca dei beni sequestrati ai sensi dell'art. 24 d.lgs. 159/2011. Il decreto di confisca deve essere emesso entro un anno e sei mesi dalla immissione nel possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario, in linea di compatibilità rispetto all'art. 111, comma 2, Cost.

È, tuttavia, un termine suscettibile di proroga per un periodo di sei mesi (nella formulazione precedente si indicava un massimo di due proroghe di sei mesi) laddove si tratti di complessi patrimoniali notevoli ovverosia di indagini particolarmente complesse.

La legge 161/2017 ha specificato, modificando il secondo comma dell'art. 24 che, ai fini del computo temporale, si deve tener conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare previste dal codice di rito penale laddove compatibili. La norma prevede, comunque, espresse cause di sospensione dei termini. E infatti, il termine resta sospeso per un tempo non superiore a 90 giorni laddove sia necessario procedere all'espletamento di accertamenti peritali sui beni e resta, altresì, sospeso per il tempo necessario alla decisione definitiva sull'istanza di ricusazione presentata dal difensore e per il tempo decorrente dalla morte del proposto, intervenuta durante il procedimento, fino alla identificazione e alla citazione dei soggetti di cui all'art. 18, comma 2, nonché durante la pendenza dei termini previsti dai commi 10-sexies, 10-septies e 10-opties dell'art. 7.

Il Legislatore della riforma del 2017 ha, altresì, introdotto il comma 2-bis prevedendo che con il provvedimento di revoca o di annullamento definitivo del decreto di confisca deve essere ordinata la cancellazione di tutte le trascrizioni ed annotazioni.

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