I criteri della legge delega in tema di azioni di inefficacia e revocatoria

Edoardo Staunovo Polacco
15 Novembre 2017

La delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza contiene una sola previsione in tema di azioni di inefficacia e revocatoria, ossia l'art. 7, comma 4, lett. b), dedicato alla liquidazione giudiziale (che dovrebbe prendere il posto del fallimento), nel quale si stabilisce che la procedura è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a “far decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatoria, a ritroso, dal deposito della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, fermo restando il disposto dell'articolo 69-bis, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.
Premessa

La delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza contiene una sola previsione in tema di azioni di inefficacia e revocatoria, ossia l'art. 7, comma 4, lett. b), dedicato alla liquidazione giudiziale (che dovrebbe prendere il posto del fallimento), nel quale si stabilisce che la procedura è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a “far decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatoria, a ritroso, dal deposito della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, fermo restando il disposto dell'articolo 69-bis, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267” (nel disegno di legge originario era contenuta anche un'altra disposizione, dedicata alle revocatorie nell'amministrazione straordinaria. Ma con lo stralcio dell'intera riforma di tale procedura, essa è venuta meno; v. al riguardo TARZIA, Le indicazioni del disegno di legge delega in tema di azioni revocatorie, in Fall., 2016).

Questo essendo l'unico criterio espressamente dettato in argomento, la prima riflessione è che nell'attuazione della delega l'impianto delle azioni di inefficacia e revocatoria, come previsto dagli artt. 64 ss. l. fall., dovrebbe rimanere sostanzialmente invariato, salvo forse qualche aggiustamento giustificabile da altre disposizioni della legge delega, come si vedrà al termine di questo breve scritto.

La seconda riflessione è che l'attuazione della delega sul dies a quo del “periodo sospetto”, con la regola sopra evidenziata (decorrenza dall'istanza per l'apertura della liquidazione giudiziale, fermo restando l'art 69-bis, secondo comma, l. fall.), potrebbe apparire agevole, ma in realtà nasconde insidie che, se non adeguatamente prevenute, rischiano di dare luogo a significativi problemi ermeneutici.

Si cercherà, nei pensieri che seguono, di individuare gli ambiti problematici e di offrire qualche tentativo di soluzione.

La decorrenza "dal deposito della domanda" e la disciplina degli atti successivi fino alla liquidazione giudiziale

L'art. 7, comma 4, lett. b) sopra citato delega il governo ad introdurre una norma che faccia decorrere il periodo sospetto “dal deposito della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale”.

Nei principi generali dettati dall'art. 2 è previsto che l'iniziativa per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore debba prevedere “la legittimazione ad agire dei soggetti con funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa”, e debba essere ammessa altresì “l'iniziativa del pubblico ministero in ogni caso in cui egli abbia notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza”. Non è questa la sede per approfondire l'argomento, ma si può prevedere l'ampliamento dei poteri di iniziativa del pubblico ministero e l'introduzione della legittimazione attiva dei sindaci e forse anche dei revisori.

Il deposito della “domanda” di apertura della liquidazione giudiziale, da chiunque provenga, dovrebbe invece rimanere privo di pubblicità, come è attualmente privo di pubblicità il deposito dell'istanza di fallimento.

Si può osservare quindi che il “periodo sospetto”, nelle intenzioni del legislatore delegante, dovrebbe prendere a far data da un momento non conoscibile ai terzi, a differenza del regime vigente, nel quale sia la sentenza dichiarativa di fallimento, sia la domanda di concordato preventivo (anche “con riserva”), vengono pubblicate nel Registro delle Imprese a norma, rispettivamente, dell'art. 17, secondo comma, e 161, quinto comma, l. fall.; ed il periodo sospetto decorre, in caso di concordato preventivo seguito dal fallimento, dalla pubblicazione della domanda di accesso alla procedura minore (art. 69-bis, secondo comma, l. fall.), mentre in caso di fallimento senza previo concordato preventivo decorre dalla data della sentenza dichiarativa o dalla sua pubblicazione, a seconda del filone interpretativo che si scelga di seguire (ha fatto decorrere il periodo sospetto dalla data della pubblicazione nel Registro delle Imprese della sentenza dichiarativa di fallimento, in particolare, Trib. Milano 23 gennaio 2014, in questo portale con nota adesiva di AMATORE, Opposizione al passivo e revocatoria: dies a quo per la decorrenza del periodo sospetto).

L'innovazione della riforma, dunque, per certi versi si discosta dalla precorsa indicazione legislativa di ancorare gli effetti delle procedure concorsuali nei confronti dei terzi, anche ai fini della revocatoria, dal momento di attuazione delle formalità pubblicitarie previste dalla legge.

Ad avviso di chi scrive ciò non assume particolare rilievo, perché nell'ambito in esame non si tratta di stabilire gli effetti degli atti compiuti successivamente all'apertura della procedura, ma di stabilire fino a quando, in un calcolo a ritroso, possa estendersi il periodo rilevante per la declaratoria di inefficacia o la revocatoria di atti avvenuti anteriormente, e sotto tale profilo la pubblicità che si voglia attribuire alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale non pare assumere particolare rilievo.

Problematico è invece un altro profilo, ossia la sorte degli atti compiuti successivamente al deposito della domanda e fino alla data di apertura della liquidazione giudiziale; rectius, dell'iscrizione del relativo provvedimento nel Registro delle Imprese.

Difatti dovrebbe rimanere ferma la regola secondo la quale gli “effetti per il debitore”, nei confronti dei terzi, si producono proprio dalla data dell'iscrizione. E se quindi, da una parte, gli atti compiuti nel periodo sospetto anteriore al deposito della domanda di liquidazione giudiziale saranno soggetti alle disposizioni degli attuali art. 64 ss. l. fall., mentre, dall'altra, gli atti compiuti successivamente all'iscrizione della liquidazione giudiziale saranno inefficaci ai sensi dell'attuale art. 44 l. fall., rimane “scoperto” tutto il periodo intermedio.

Non essendo concepibile che il legislatore non introduca, per gli atti posti in essere in quel periodo, un regime che eviti di farli salvi, le possibilità sono due, ossia: (i) anticipare il regime di inefficacia ex art. 44 l. fall. alla data del deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale, oppure (ii) disporre che gli atti compiuti nelle more dell'apertura della procedura siano anch'essi sottoposti alle disposizioni di cui agli attuali artt. 64 ss. l. fall.

Delle due opzioni, sembra da preferirsi la seconda. La prima, infatti, da un lato urterebbe con la appena evidenziata assenza di un regime di pubblicità per l'atto di impulso del procedimento prodromico alla liquidazione giudiziale; dall'altro, ed in modo ancora più radicale, confliggerebbe con la bipartizione della disciplina degli atti anteriori e di quelli successivi all'apertura della procedura concorsuale. Per cui la coerenza del sistema dovrebbe essere assicurata da una disposizione che specifichi che sono soggetti alle attuali azioni di cui agli artt. 64 ss. l. fall. anche tutti gli atti compiuti tra il deposito della domanda per l'apertura della liquidazione giudiziale e l'iscrizione nel Registro delle Imprese del provvedimento di accoglimento della stessa.

Ciò inevitabilmente comporterebbe la ri-espansione dell'ambito oggettivo delle azioni in esame, nel senso che, dopo il dimezzamento del periodo sospetto ex art. 67 l. fall. da parte del legislatore del 2005, con una scelta del genere il periodo verrebbe ampliato in misura corrispondente, di volta in volta, alla durata del procedimento prodromico all'accertamento dell'insolvenza.

Ma anche questa è una innovazione che non dovrebbe scontare critiche, trattandosi unicamente della neutralizzazione dei tempi del procedimento pre-liquidatorio (da molte parti auspicata), onde evitare detrimento delle azioni previste dalla legge per rimediare agli atti pregiudizievoli ai creditori compiuti anteriormente all'apertura della procedura.

Si badi peraltro che, lasciando immutata - quanto al periodo sospetto - l'attuale disciplina degli artt. 64 e 65 l. fall., con la regola di cui si tratta essi andrebbero a colpire anche atti compiuti oltre i due anni anteriori all'apertura della procedura. Ciò potrebbe apparire eccessivo, andando oltre, addirittura, alle intenzioni del legislatore del 1942.

La "domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale"

Il legislatore delegato dovrebbe fare decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatoria dalla domanda “cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale”.

La precisazione potrebbe apparire ovvia, perché se le azioni di cui si discute saranno esperibili solo se ed in quanto la liquidazione giudiziale sia aperta (così come quelle stesse azioni sono attualmente subordinate alla dichiarazione di fallimento), è inevitabile che in mancanza non abbia senso nemmeno discutere di “periodo sospetto”.

Ma anche a questo riguardo si rende opportuna una precisazione.

Può accadere che una prima domanda sia dichiarata inammissibile o respinta, o che venga desistita, e che la procedura si apra a seguito di una seconda istanza, dello stesso o di altro soggetto, o ancora che le “domande” dichiarate inammissibili, respinte o desistite siano plurime, sinché una viene infine accolta.

In una situazione del genere, si potrebbe opinare che il periodo sospetto vada fatto decorrere dal deposito della prima domanda in ordine di tempo, anche se respinta, dichiarata inammissibile o desistita, alla sola condizione che successivamente una liquidazione giudiziale sia “seguita”, anche in accoglimento di una diversa istanza.

Questa opzione non dovrebbe essere percorribile, perché l'art. 7, comma 4, lett. b) della delega si riferisce al deposito “della domanda” cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, ed in tal modo mostra di voler collegare inequivocabilmente la decorrenza del periodo sospetto al deposito della domanda accolta.

Il disposto dell'art. 69-bis l.fall. da tenere fermo ed il coordinamento, ai fini del periodo sospetto, tra la domanda di concordato preventivo e la domanda di liquidazione giudiziale

Viene da sé, a tal punto, l'osservazione che se, nella liquidazione giudiziale, il periodo sospetto viene ancorato al deposito della domanda accolta, il legislatore lo subordina all'apertura della procedura di riferimento.

Ciò sembra confermare l'opinione di chi, come lo scrivente, ritiene che anche il periodo sospetto collegato alla domanda di concordato preventivo, ai sensi dell'art. 69-bis, secondo comma, l. fall., possa decorrere dalla pubblicazione nel Registro delle Imprese della domanda di concordato preventivo (anche “con riserva”), solo a condizione che la richiesta sia accolta ed il concordato ammesso ai sensi dell'art. 163 l. fall., dovendo altrimenti decorrere, allo stato, dalla sentenza dichiarativa di fallimento (ovvero dalla data dell'iscrizione nel Registro delle Imprese, se si condivide l'orientamento richiamato nella nota n. 2).

Le ragioni a sostegno di tale soluzione sono più d'una e chi scrive le ha sviluppate in altra sede, evidenziando come la giurisprudenza della Suprema Corte abbia sempre richiesto, ai fini della retrodatazione del periodo sospetto rispetto alla dichiarazione di fallimento, l'ammissione della procedura concorsuale minore (v. Cass. 13 aprile 2016, n. 7624, Cass. 28 maggio 2012, n. 8439; Cass. 14 marzo 2006, n. 5527, e si veda altresì Cass. 14 dicembre 2016, n. 25728, , che rafforza la persuasione dello scrivente quando afferma che l'art. 69-bis l. fall. “ha recepito, peraltro, proprio il principio di consecuzione tra le procedure che il ricorrente contesta. Il quale principio, nell'interpretazione giurisprudenziale, assegnava rilevanza alla data di presentazione della domanda di concordato (ove la procedura fosse stata ammessa) per essere la sentenza di fallimento l'atto terminale di un procedimento comunque sorretto dalla successivamente accertata insolvenza dell'imprenditore (v. ex aliis Sez. 1^ 18437-10; n. 8439-12; n. 7624-16)”.), e che solo aderendo a tale principio si potrebbe dare significato all'esenzione da revocatoria per gli atti legalmente compiuti dopo il deposito del ricorso di cui all'art. 161 l. fall., ai sensi dell'art. 67, terzo comma, lett. e) l. fall. (STAUNOVO-POLACCO, Il concordato con riserva, 2016, 170 ss).

Nella presente sede va invece rilevato che la volontà del legislatore delegante di tenere fermo “il disposto dell'articolo 69-bis, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”, può, in determinate ipotesi, creare problemi di coordinamento con la decorrenza del periodo sospetto dalla domanda di apertura della liquidazione giudiziale.

È utile svolgere, anche in proposito, alcune riflessioni.

Una prima situazione che non dovrebbe creare difficoltà è quella in cui la domanda di concordato preventivo (anche “con riserva”), sia seguita dal decreto di ammissione ex art. 163 l. fall. e, successivamente, il concordato venga dichiarato inammissibile, ovvero revocato, o non omologato, oppure venga omologato ma successivamente annullato o risolto, e su domanda di chi di dovere segua l'apertura della liquidazione giudiziale.

In questo caso sembra pacifico che il termine a ritroso del periodo sospetto vada fatto decorrere dalla iscrizione nel Registro delle Imprese della domanda di concordato preventivo, assumendo rilievo a tal fine il mero dato formale dell'ammissione (Cass. 28 maggio 2012, n. 8439, cit.), indipendentemente dal buon fine della soluzione concordataria.

Una seconda situazione nella quale non si dovrebbero creare problemi è quella del concordato preventivo (anche “con riserva”) non seguito dal decreto ai sensi dell'art. 163 l. fall., ma dall'apertura della liquidazione giudiziale. In questo caso, se si concorda con chi (come il sottoscritto), ritiene che l'art. 69-bis l. fall. non possa operare, il termine andrebbe fatto decorrere dalla domanda di liquidazione giudiziale, mentre se si opina diversamente va comunque ricollegato alla pubblicazione nel Registro delle Imprese della domanda di concordato.

I problemi possono sorgere, invece, qualora la domanda di concordato preventivo sia presentata successivamente al deposito della domanda di liquidazione giudiziale.

La legge delega conferma, all'art. 2, lett. g), il favor per le soluzioni concordatarie, lasciando fermo ed anzi rafforzando il principio della prevalenza del concordato preventivo, per cui, salvi i casi di abuso del diritto, anche a fronte di una domanda di apertura della liquidazione giudiziale, in presenza della domanda di concordato dovrebbe essere dato corso al relativo iter, il quale tuttavia potrebbe ad un certo punto arrestarsi, per le ragioni viste poc'anzi, e cedere il passo, senza soluzione di continuità, alla procedura liquidatoria.

In una situazione del genere la decorrenza del periodo sospetto sarebbe difficilmente collocabile nella data di iscrizione nel Registro delle Imprese della domanda di concordato, essendo essa preceduta dal deposito della domanda di liquidazione giudiziale. Ma la decorrenza da quest'ultimo evento sarebbe predicabile solo a condizione che la liquidazione giudiziale sia stata aperta provvedendo proprio sulla domanda de qua, il che presupporrebbe la sua perduranza, nelle more dell'iter concordatario.

Questa riflessione introduce il complesso tema del rapporto tra procedimento pre-fallimentare e procedimento concordatario (v. Cass. SS.UU. 15 maggio 2015, n. 9936), che non può essere trattato in queste brevi note, ma in relazione al quale si evidenzia la necessità di un intervento chiarificatore del legislatore, anche a disciplinare la sorte dell'iniziativa per la liquidazione giudiziale cui segua quella per il concordato preventivo, e con l'avvertenza che solo garantendo la salvezza degli effetti della prima (ad esempio disponendone la sospensione e non l'improcedibilità), si potrebbe garantire il decorso del periodo sospetto dalla data dell'originario deposito della domanda di liquidazione giudiziale, anziché dal successivo momento conseguente all'applicazione dell'art. 69-bis l. fall. o, in caso di inammissibilità della domanda di concordato, forse anche dalla presentazione di una successiva domanda di liquidazione giudiziale (l'ottica di quest'ultimo rilievo è sempre quella dell'operatività dell'art. 69-bis l. fall. solo in caso di ammissione del concordato preventivo).

Altre possibili attuazioni della delega in materia di azioni di inefficacia o revocatoria

Si è anticipato che la legge delega non demanda al governo interventi specifici su altri aspetti delle azioni di inefficacia e revocatoria, tuttavia all'art. 2, lett. m), lo autorizza a “riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge”.

Dunque il legislatore delegato potrebbe cogliere l'occasione per risolvere questioni che formano oggetto di ampi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali: ad esempio la portata spesso controversa delle esenzioni previste nei commi 3 e 4 dell'art. 67 l. fall., ma soprattutto la disciplina delle azioni di inefficacia o revocatoria dei pagamenti di debiti assistiti da garanzia reale consolidata o comunque da privilegio generale o speciale, anche nel più generale ambito della revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie richiesta dall'art. 1, comma 1, della legge delega, al fine di assicurare alla parte che subisce la declaratoria di inefficacia o la revoca lo stesso trattamento, in sede concorsuale, che avrebbe ottenuto se il pagamento non fosse avvenuto, in sintonia con la funzione redistributiva delle azioni de quibus riconosciuta dalla giurisprudenza consolidata, e che potrebbe declinarsi (sia consentita la semplificazione, ma si tratta di spunti di carattere generale), nel diniego della revocatoria quando risulti che quel trattamento sarebbe stato esattamente lo stesso (come ritenuto da Trib. Milano 30 maggio 2017, in questo portale), e negli altri casi nell'espressa previsione del diritto alla re-insinuazione al passivo, ai sensi dell'art. 70, secondo comma, l. fall., con il preesistente grado di prelazione, da far valere, a seconda dei casi, sul bene o sui beni oggetto del privilegio, ovvero in loro mancanza (perché non più presenti nel patrimonio del debitore), sulla somma restituita, in linea capitale, in quanto equivalente al realizzo dei beni stessi.

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