Spese anticipate dal condomino

17 Novembre 2017

L'art. 1134 c.c. sotto la rubrica «gestione di iniziativa individuale» prevede che «il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea» non ha diritto al rimborso della somma spesa a meno che si tratti di «spesa urgente». La regola così enunciata presenta diversi punti di divergenza dalla analoga disposizione stabilita per la comunione dall'art. 1110 c.c., peraltro proprio dal raffronto tra le due norme possono ricavarsi elementi utili per la migliore comprensione della disposizione in esame.
Inquadramento

L'art. 1134 c.c. disciplina l'ipotesi della «gestione di iniziativa individuale» nell'ambito del condominio e dispone al riguardo che «il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea» non ha diritto al rimborso della somma spesa «salvo che si tratti di spesa urgente».

Il testo dell'articolo è stato parzialmente modificato in sede di riforma della disciplina del condominio (l. n. 220 del 2012): in precedenza l'articolo, sotto una rubrica diversa («Spese fatte dal condomino»), disponeva che «il condomino che ha fatto spese per le cose comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente».

Per meglio comprendere il significato della norma è utile considerare anche l'art. 1110 c.c. che - in tema di comunione in generale – prevede che «il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune ha diritto al rimborso». Appunto dal raffronto con questa norma possono ricavarsi – come vedremo - elementi utili per comprendere la disposizione in esame ed i requisiti per la sua applicabilità.

Urgenza della spesa

Il primo requisito perché il condomino che ha sostenuto la spesa possa pretenderne il rimborso è costituito dall'urgenza della spesa: ove la spesa non abbia il carattere dell'urgenza il condomino che la abbia sostenuta non può pretenderne il rimborso.

La regola vale solo per il condominio perché nel caso della comunione è sufficiente invece (art. 1110 c.c.) che perché il compartecipe che abbia sostenuto una spesa per la cosa comune possa pretenderne il rimborso essa sia «necessaria» (Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2016, n. 18759).

Dal raffronto tra le due norme citate emerge che – a differenza che per la comunione - nel caso del condominio è chiesta la presenza del requisito costituito dall'«urgenza» della spesa.

CASISTICA

Spese indifferibili

La nozione di spesa urgente richiamata dall'art. 1134 c.c. va intesa con una certa larghezza ed elasticità sì da comprendere tutte le spese che appaiano, secondo il criterio del bonus pater familias, indifferibili per evitare il possibile, anche se non certo, nocumento della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2014, n. 13418).

Spesa finalizzata ad evitare un danno

L'urgenza va commisurata alla necessità di evitare che la cosa comune arrechi a sé o a terzi o alla stabilità della costruzione un danno ragionevolmente imminente ovvero anche alla necessità di restituire alla cosa comune la sua piena funzionalità (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 2013, n. 20151; Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2046);

Spese urgenti

Sono «urgenti» le spese che devono affrontarsi in tempi così stretti da non consentire che l'amministratore o l'assemblea possano utilmente provvedere (Trib. Bologna, 21 aprile 2005). Per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, il condomino deve dimostrarne l'urgenza, ai sensi dell'art. 1134 c.c., ossia la necessità di eseguirla senza ritardo e quindi senza potere avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2010, n. 6546; Trib. Bologna 11 marzo 2010).

Come si vede, la definizione di urgenza presenta varietà di caratteri concreti: essa sembra presupporre sempre la nozione della necessità della spesa, nozione alla quale si aggiunge, perché si configuri l'«urgenza», l'elemento ulteriore rappresentato dall'esigenza – in relazione all'uno o all'altro degli elementi che si sono sopra elencati – che la spesa sia affrontata e sostenuta entro tempi brevi, senza ritardo.

Sulla base della considerazione che «urgenti» sono le spese «indifferibili» - tali da «non potere essere rinviate senza pregiudizio o pericolo per la cosa comune» – si è esclusa l'applicabilità della norma che stiamo esaminando nel caso di esecuzione individuale di «lavori di rifacimento, demolizione, impermeabilizzazione e pavimentazionedel terrazzo» costituente copertura del fabbricato negandosi che l'urgenza di tali interventi potesse desumersi dal fatto che fosse stata rinvenuta in precedenza una macchia nel soffitto sottostante il terrazzo o dal fatto che il condomino che aveva sostenuto la spesa avesse inviato più comunicazioni scritte in argomento (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2015, n. 7457).

Per meglio comprendere il significato dell'«urgenza» va ricordato che il medesimo concetto è richiamato dall'art. 1135 c.c. a proposito delle opere straordinarie che l'amministratore può eseguire in assenza di autorizzazione da parte dell'assemblea: l'art. 1135 - dopo avere previsto che «l'assemblea dei condomini provvede: (…) alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni» - dispone appunto che «l'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne alla prima assemblea». Ciò che si prevede dunque è che solo nel caso in cui non sia possibile seguire la via “normale” dell'interpello dell'assemblea perché questa assuma le decisioni in argomento (solo se vi sia, cioè, una condizione che giustifichi o addirittura imponga l'attivazione immediata da parte dell'amministratore) quest'ultimo possa operare in assenza di autorizzazione (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2016, n. 10685).

Tra la previsione ora ricordata dell'art. 1135 e la disposizione dell'art. 1134 vi è un evidente collegamento logico: alla base delle due norme vi è la medesima ratio poiché in entrambi i casi solo una situazione particolare e tale da comportare il pericolo di danno consente di discostarsi dalla “normale” conduzione delle cose.

È in ciò che deve vedersi il senso della disposizione che stiamo esaminando.

Natura della spesa

Anche con riguardo alla natura della spesa sostenuta dal partecipante la previsione dell'art. 1134 si differenzia da quella dell'art. 1110.

Nel caso della comunione, condizione perché sia riconosciuto il diritto del compartecipe al rimborso è che la spesa sia finalizzata alla conservazione del bene comune (deve trattarsi di spesa diretta a fare in modo che la cosa «duri a lungo senza deteriorarsi»: Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2013, n. 253), mentre nel caso del condominio non è prescritto un analogo requisito legato alla natura della spesa non autorizzata.

Il profilo di divergenza ha grande rilievo poiché tra le spese relative ai beni comuni quelle dirette al mantenimento si distinguono nettamente dalle spese dirette al godimento dei beni, come si ricava anche dagli artt. 1104 e 1123 c.c. che – rispettivamente per la comunione e per il condominio – regolano in modo differente le due categorie di spesa stabilendo che le prime si ripartiscano secondo le quote di proprietà e le seconde in proporzione alla concreta misura dell'uso (Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2000, n. 8292).

In evidenza

Mentre nella comunione il diritto al rimborso è limitato alle sole spese volte alla conservazione del bene, nel caso del condominio il diritto del compartecipe può riguardare tutte le spese sostenute: sia quelle relative alla manutenzione del bene comune sia quelle relative al godimento del bene.

La questione del rimborso delle spese è considerata appunto in chiave differente nelle due ipotesi: nel caso della comunione rileva solo l'aspetto di utilità per la conservazione della cosa comune mentre nel caso del condominio viene in considerazione – fermo restando comunque il requisito dell'«urgenza» della spesa nel senso che si è sopra indicato (requisito che peraltro non è frequente possa presentarsi nel caso delle spese dirette al godimento del bene comune) – anche il vantaggio che gli altri partecipi possano ottenere sul piano del godimento del bene comune, condizione che si traduce peraltro – in virtù del rapporto di «accessorietà» che nel condominio lega le parti comuni alle parti di proprietà esclusiva – in vantaggio per gli stessi beni di proprietà individuale.

Assenza di autorizzazione da parte dell'amministratore o dell'assemblea

La norma concerne – come si è visto – l'ipotesi che la spesa sia sostenuta dal singolo condomino in assenza di autorizzazione dell'amministratore e dell'assemblea.

Anche a questo riguardo la previsione in tema di condominio è diversa da quella che interessa la comunione: l'art. 1110 richiede, perché si riconosca il diritto del condomino al rimborso della spesa, che l'iniziativa intervenga in un contesto caratterizzato da una condizione di «trascuranza» dell'amministratore e degli altri partecipanti. La differenza tra le due previsioni è chiara: nel caso della comunione si chiede una condizione di inerzia degli altri partecipanti e dell'amministratore rispetto ad un'attività imposta o suggerita dall'interesse alla conservazione del bene comune mentre nel caso del condominio basta che manchi – anche solo perché non richiesta – la autorizzazione di coloro cui spettano l'amministrazione e la conduzione dei beni comuni.

La Corte di Cassazione ha chiarito il significato della «trascuranza» di cui all'art. 1110 c.c. precisando che nel caso di comunione il compartecipe ha diritto al rimborso delle spese sostenute «a condizione di avere precedentemente interpellato, o quantomeno preventivamente avvertito gli altri partecipanti o l'amministratore» (Cass. civ., cez. II, 9 settembre 2013, n. 20652): la «trascuranza» dunque consiste nell'inattività a fronte di una segnalazione o di un'espressa richiesta di iniziativa.

In evidenza

Nel caso del condominio l'ipotesi prevista è semplicemente quella di assenza (quale che ne sia la causa) dell'autorizzazione dell'assemblea o dell'amministratore.

Da notare che nel caso del condominio il requisito dell'assenza dell'autorizzazione si lega al requisito dell'urgenza che derivi dalla condizione di impossibilità di intervento dell'amministratore o dell'assemblea. In questo senso l'assenza di autorizzazione si collega alla mancanza delle condizioni perché i soggetti anzidetti (cui è attribuito – secondo le norme - il compito di intervenire) possano intervenire. È in questo senso che si è affermato che gli artt. 1110 e 1134 c.c. «recano una diversa disciplina in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente nella comunione e nel condominio di edifici, disciplinache condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti, e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza» (Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2017, n. 199).

I rapporti con l'art. 1105 c.c.

Con riferimento al contenuto dell'art. 1134 viene spesso richiamata la previsione del 4 comma dell'art. 1105 c.c. che – nel disciplinare la comunione - dispone che «se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore».

In giurisprudenza si afferma che quello indicato è uno «strumento processuale alternativo» cui può farsi ricorso per «ovviare all'inerzia nell'adozione o nella esecuzione di provvedimenti non urgenti, ma tuttavia necessari per la conservazione ed il godimento dell'edificio» (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 2016, n. 19022).

Ricordato che il ricorso all'art. 1105 c.c. in sede di condominio è consentito perché l'art. 1139 c.c. dispone che al condominio si applichino «per quanto non è espressamente previsto da questo capo» le disposizioni sulla comunione in generale, si nota che anche in sede di disciplina del condominio lo strumento previsto dalla norma ricordata deve mantenere il contenuto ed i caratteri che gli sono propri: da un lato esso potrà essere utilizzato – come nel caso della comunione - solo nei rapporti interni tra i condomini e non potrà regolare i rapporti con i terzi (Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1994, n. 10575) e d'altro lato esso concernerà sempre e solo la gestione delle cose comuni (Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1998, n. 8876).

IL RICORSO ALL'ART. 1105 C.C.:ORIENTAMENTI A CONFRONTO


L'assemblea non provvede o non si forma una maggioranza

Sussistendo la necessità di assumere provvedimenti per la conservazione di beni comuni, in caso di omessa iniziativa da parte dell'assemblea o di mancata formazione di una volontà di maggioranza, il comproprietario può rivolgersi al giudice in sede di volontaria giurisdizione, come previsto dall'art. 1105 c.c. (Trib. Catania, 18 giugno 2004).

L'impossibilità di decidere nel «condominio minimo»

Nel condominio c.d. minimo (formato, cioè, da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni), le regole codicistiche sul funzionamento dell'assemblea si applicano allorché quest'ultima si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, tale dovendosi intendere quella che sia frutto della partecipazione di ambedue i comproprietari; ove, invece, non si raggiunga l'unanimità, o perché l'assemblea, in presenza di entrambi i condomini, decida in modo contrastante, oppure perché, come nella specie, alla riunione - benché regolarmente convocata - si presenti uno solo dei partecipanti e l'altro resti assente, è necessario adire l'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c., non potendosi ricorrere al criterio maggioritario. (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2017, n. 5329).

Da notare che lo strumento fornito dall'art. 1105 è utilizzabile non solo se si tratti di affrontare iniziative e spese relativamente alla manutenzione ed alla conservazione del bene comune ma anche se debbano sostenersi spese dirette al godimento del bene comune ed anche – come si è detto - nel caso in cui si tratti di intraprendere iniziative che non siano connotate dall'urgenza. In relazione a questi profili lo strumento in esame deve vedersi più che quale mezzo alternativo alla «gestione individuale» prevista dall'art. 1134 c.c. quale strumento aggiunto a questa, idoneo a soddisfare sia le esigenze cui è preordinata la disposizione qui in esame sia esigenze ulteriori e diverse.

La finalità della norma

Ma quale è il senso e quale è la finalità della regola fissata dall'art. 1134 c.c.?

In argomento si afferma che i limiti posti dall'art. 1134 c.c. alla facoltà del condomino di affrontare spese per le cose comuni (ovvero di assumerne la gestione, come dice l'articolo dopo la riforma del 2012) senza alcuna autorizzazione dell'assemblea odell'amministratore trovano la loro ragione proprio nell'esigenza di evitare dannose interferenze del singolo condomino in forma di amministrazione parcellizzata delle cose comuni, dovendosi esprimere il concorso dei distinti proprietari alla gestione delle cose comuni essenzialmente in forma assembleare (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2016, n. 10865).

Va però notato che la regola enunciata, così come è costruita, dispone solo che l'attività considerata non dia luogo al diritto al rimborso della spesa sostenuta: la regola enunciata non appare volta – quanto meno in modo esplicito - a vietare la «gestione» delle parti comuni da parte del singolo condomino se non autorizzata dall'amministratore o dall'assemblea ma piuttosto sembra limitarsi a prevedere che nel caso di «gestione» individuale non possa pretendersi il rimborso della spesa sostenuta a meno che questa non sia urgente.

Il che potrebbe lasciare spazio all'idea che la regola enunciata dall'art. 1134 non escluda la possibilità della gestione individuale delle parti comuni ma stabilisca solo che gli oneri che ne derivino restino a carico esclusivo del condomino che l'abbia intrapresa di sua iniziativa (a meno che si tratti di spese urgenti): la «gestione di iniziativa individuale» potrebbe vedersi, in questa prospettiva, quale ipotesi di rara ricorrenza ma non quale ipotesi in sé assolutamente vietata. Ipotesi verso la quale comunque la norma in esame eserciterebbe una spinta fortemente dissuasiva e disincentivante attraverso la previsione della non rimborsabilità delle spese sostenute dal singolo condomino.

L'ipotesi del condominio minimo

Da notare poi che nemmeno nel caso del «condominio minimo» (id est il condominio formato da due soli condomini: Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2046) si applica in argomento la disciplina della comunione (nella specie dettata dall'art. 1110 c.c.) in luogo di quella del condominio (dettata dall'art. 1134 c.c.).

Al proposito si è notato che «instauratosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art. 1134 c.c.» (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2015, n. 4372; Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2011, n. 21015).

Applicabilità dell'art. 1134 c.c. solo nel caso di spese inerenti parti comuni

Da notare infine che la regola enunciata dall'art. 1134 c.c. concerne solo le spese che attengano alle parti comuni.

Essa – e come essa anche la previsione dell'art. 1110 in tema di comunione - non si riferisce al caso di spese che non siano inerenti la cosa comune: ne deriva che essa non può trovare applicazione – tra l'altro - con riferimento alle spese relative ad un lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, spese per le quali «il dovere di contribuire ai costi di manutenzione rinviene la sua ragione, ex art. 1126 c.c., nell'utilità che i condomini sottostanti traggono dal bene» e non invece nella condizione di comunione del bene interessato dalle opere (Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2017, n. 199).

Guida all'approfondimento

Costabile, Il diritto del partecipante al rimborso delle spese necessarie alla conservazione della cosa comune, in Immobili & proprietà, 2016, pag. 485 e ss.

Scalettaris, Il rimborso delle spese sostenute dal condomino per la cosa comune, in Rivista Giur. dell'Edilizia, 2015, I, pag. 688 e ss.

Scalettaris, Il rimborso delle spese per la cosa comune sostenute dal comproprietario, in Archivio loc. cond., 2015, pag. 110 e ss.

Magini-Zerauschek, Il condominio minimo e il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni, in Immobili & proprietà pag. 2007, 627.

Pellegrino, Poca brigata, ma la vita è beata? Il condominio con due soli condomini, in Giur. It., 2006, I, pag. 2056.

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