Genitore alienante: danno risarcito al figlio e alla madre

Margherita Corriere
21 Novembre 2017

Il genitore che pone in essere una condotta manipolativa e alienante dell'altra figura genitoriale ai danni del figlio minorenne può essere condannato al risarcimento del danno in favore del figlio e del genitore alienato.
Massima

In un procedimento per cessazione degli effetti civili del matrimonio, il padre collocatario, che ostacola i rapporti del figlio minore con l'altra figura genitoriale, mettendo in atto una grave forma di alienazione parentale che impedisce al minore la continuità delle relazioni con la madre, rivela una grave carenza di idoneità genitoriale che legittima l'affidamento del ragazzo ai servizi sociali e il risarcimento dei danni a favore del minore e della madre alienata.

Il caso

In un procedimento di divorzio si dibatteva sull'affidamento ed il collocamento del figlio ed, in particolare, sulla questione spinosa che il minore, ormai un adolescente di 13 anni, rifiutava in maniera categorica qualsivoglia relazione con la madre, per la quale aveva sempre in serbo solo valutazioni molto negative, critiche e severe. Ed infatti il Tribunale aveva rilevato che il ragazzino da oltre tre anni si era estraniato dalla madre e dal ramo parentale materno, accusando atteggiamenti ostili , irriverenti e di rabbia sempre più intensi nei loro confronti.

Veniva espletata una CTU e il Tribunale delegava il Giudice relatore all'ascolto del minore. All'esito si accertava che si era in presenza di una grave forma di alienazione parentale attivata dalla figura paterna e che l'ostilità ed il rifiuto manifestati dal minore nei confronti della madre erano condizionati dall'agito manipolativo paterno, che, con le sue interferenze alienanti, aveva condizionato il figlio sino ad indurlo alla netta negazione della madre.

Era quello del figlio un rifiuto ingiustificato, atteso che le motivazioni dal minore prospettate erano futili, banali e incongrue. Il Tribunale, pertanto, avendo accertato un grave pregiudizio arrecato dal padre al diritto alla bigenitorialità del minore, non poteva disporre l'affidamento condiviso, ma nemmeno l'affidamento esclusivo alla madre, poiché per la situazione critica esistente tale regime di affidamento avrebbe marginalizzato maggiormente il ruolo della madre agli occhi del figlio , che l'avrebbe vista ancora di più come una nemica. Pertanto il Tribunale disponeva l'affidamento del minore ai servizi sociali territorialmente competenti, facendolo rimanere collocato presso il padre e incrementando il calendario delle frequentazioni con la madre, sotto il controllo vigile dei servizi sociali.

Il Tribunale condannava altresì il padre al risarcimento dei danni a favore del figlio e della madre alienata, avendo gravemente pregiudicato il loro rapporto affettivo–relazionale, violando il diritto del minore alla bigenitorialità e il diritto della madre di svolgere il proprio ruolo genitoriale; il danno veniva quantificato, in via equitativa, in euro 5.000,00 per ciascuno.

La questione

In una causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio, accertato che il padre aveva posto in essere da anni una condotta manipolativa e alienante della figura genitoriale materna, con la quale ormai il figlio adolescente rifiutava totalmente di relazionarsi, quale era il regime di affidamento da adottare onde tutelare la crescita affettivo-relazionale del minore? Era giusto riconoscere un risarcimento danni a favore del minore e della madre alienata?

Le soluzioni giuridiche

Il diritto alla bigenitorialità pone al centro dell' attenzione l'interesse del minore a mantenere una pari frequentazione di entrambi i genitori allo scopo di garantire la sua sana crescita psico-fisica; pertanto l'individuazione delle concrete modalità di esercizio di tale diritto deve avvenire avendo sempre come fondamentale punto di riferimento l'interesse del minore e non deve prescindere dai suoi specifici peculiari bisogni (cfr. art. 337-ter c.c. e art. 24 Carta di Nizza).

Certamente è gravemente lesiva di tale diritto la condotta di quel genitore che intralcia il fondamentale e imprescindibile principio della bigenitorialità, impedendo al figlio di poter crescere serenamente avendo accanto costantemente ed in maniera significativa entrambe le figure genitoriali.

Secondo il recente orientamento della Cassazione (v. Cass. civ., 8 aprile 2016, n. 6919) in tema di affidamento di figli minori il giudizio prognostico deve essere effettuato nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, valutando la capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione creatasi a seguito della disgregazione dell'unione, tenendo nel dovuto conto, in base ad elementi oggettivi, il modo in cui i genitori in precedenza hanno svolto i propri compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, la loro personalità e l'ambiente sociale e familiare che ciascuno di loro può offrire alla prole. Deve essere tenuto fermo, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi come presenza affettivo–relazionale di tutti e due i genitori nella vita dei figli, in modo da garantire loro una stabile e salda relazione emotivo-affettiva con entrambi i genitori, che hanno il dovere di collaborare per la loro cura, assistenza, educazione e istruzione. Pertanto, tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai fini dell'affidamento o collocamento della prole, è rilevante accertare la capacità dei genitori di individuare i bisogni dei figli, tra i quali, in primis, si evidenzia la capacità di riconoscere le loro esigenze affettive, che si identificano anche nella capacità di «preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull'altro genitore».

Ma nel caso in esame il Tribunale aveva accertato che il padre, con una condotta gravemente manipolativa, nell'ambito di un rapporto disfunzionale con il figlio, lo aveva indotto ad un netto rifiuto della figura materna, guardata come soggetto nemico ed ostile: il tutto era indicativo di una grave carenza di idoneità genitoriale della figura paterna che non aveva garantito al ragazzo un adeguato e ottimale rapporto con la propria madre, causandogli serie problematiche emotivo-relazionali.

Da qui la decisione del Tribunale di Cosenza di affidare il minore ai servizi sociali, atteso che, da una parte, non sussistevano le condizioni per un affidamento condiviso a causa dell'agito paterno, gravemente lesivo di diritti fondamentali del minore e, dall'altra, non poteva essere disposto l'affidamento esclusivo alla madre per il gravissimo rifiuto della figura materna da parte del ragazzo ormai adolescente, atteso che una simile decisione lo avrebbe ancora di più allontanato dalla stessa, che, altresì, si era rivelata passiva e non reattiva in maniera positiva al ristabilire un equilibrato rapporto con il figlio. Per lo stesso motivo il collocamento rimaneva presso il padre, ma il Tribunale disponeva un congruo calendario di visite madre-figlio, sotto la vigilanza dei servizi affidatari.

Il diritto alla bigenitorialità è un diritto imprescindibile e fondamentale per una serena ed equilibrata crescita psicosomatica della prole e la sua violazione provoca ingenti danni alla personalità del minore deprivato da significativi e costanti rapporti con entrambe le figure genitoriali.

L'art. 709-ter c.p.c., per la risoluzione di conflitti tra i genitori circa le modalità di affidamento, dà al Giudice la facoltà, in presenza di gravi inadempienze, o comunque di atti che arrechino danno al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, non solo di modificare i provvedimenti in vigore e/o di ammonire il genitore inottemperante, ma anche di adottare congiuntamente provvedimenti sanzionatori a carico del genitore inadempiente, tra i quali appunto il risarcimento dei danni nei confronti del minore e nei confronti dell'altro genitore.

Il Tribunale pertanto, ex art. 709-ter c.p.c., condannava il padre al risarcimento dei danni a favore del figlio tenendo conto del disagio psichico in cui versava il ragazzo a causa della «emarginazione della figura materna».

D'altra parte la madre, ai sensi dell'art. 30 Cost., non era stata posta nelle condizioni di poter esercitare i suoi doveri di genitore nei confronti della prole e di poter usufruire del suo diritto a svolgere i suoi compiti genitoriali, a crescere, educare il figlio e a vivergli accanto; anche alla madre pertanto il Tribunale riconosceva il risarcimento dei danni, valutato equitativamente per entrambi in euro 5.000,00 ciascuno.

Il padre, inoltre, sempre ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. veniva ammonito onde astenersi per il futuro da condotte ostacolanti la frequentazione madre-figlio.

Osservazioni

L'idoneità genitoriale si rileva dal modo in cui viene garantita una sana e armoniosa crescita della prole anche successivamente alla separazione o al divorzio. Spesso accade che la conflittualità che si scatena in quelli che possono essere definiti momenti patologici della vita di coppia, conduce non solo marito e moglie, ma anche padre e madre a farsi la guerra, offuscati dalle battaglie legali, senza saper distinguere la differenza sostanziale tra le due diverse figure di coniugi e di genitori.

Ed infatti “coppia genitoriale” si dovrà rimanere per sempre a tutela dei propri figli e nel loro preminente interesse di continuare ad essere amati, educati, curati, assistiti, istruiti e mantenuti da entrambi i genitori.

Infatti, per la loro serenità psicofisica dovrà essere garantito il concreto diritto ad avere rapporti autentici e significativi sia con il padre che con la madre: questo è evidenziato in maniera ottimale dall'art. 337-ter c.c. dopo il d.lgs. n. 154/2013.

Ma nel caso in esame il padre, con un comportamento manipolativo e gravemente alienante, aveva eliminato la figura materna dalla vita del figlio, che ormai rifiutava qualsivoglia contatto con la madre che vedeva come una “nemica”, accollandole, insieme a tutto il suo ramo parentale, solo giudizi negativi.

Nelle separazioni conflittuali i genitori belligeranti dimenticano la fondamentale rilevanza della funzione triadica che consiste in quella capacità dei genitori di avere tra loro un'alleanza collaborativa, fondata sul sostegno o almeno sul vicendevole rispetto.

Per lo svolgimento di tale funzione occorre lasciare spazio all'altro genitore nel rapporto con il bambino, entrando anche in relazione con la diade “altro genitore-figlio” e attuando la possibilità di fare un gioco di squadra. Questa attitudine presume che un genitore elabori il proprio figlio come parte di una relazione in cui esiste naturalmente un terzo (l'altro genitore), in modo da consentire al bambino di procurarsi non solo un senso di compiutezza e di appartenenza, ma anche un ampio campo relazionale e delle capacità di adeguamento e di interazione più vaste.

Il Giudice deve allora stabilire se e quanto ciascun coniuge sia capace di essere un buon genitore, oppure, se sussiste incapacità in uno dei genitori (o in entrambi), disporre l'affidamento dei figli in modo diverso da quello condiviso stabilito dalla legge.

Pertanto, nel caso di specie, il Tribunale disponeva l'affidamento del figlio ai servizi sociali in sostituzione del pregresso affidamento condiviso, avendo accertato, con il supporto di una CTU e dell'ascolto del minore, la grave compromissione del rapporto del ragazzo con la figura materna, conseguenza di una grave forma di alienazione parentale messa in atto dal padre che, ostacolando l'accesso madre-figlio, aveva rivelato di non possedere quella idoneità genitoriale che necessita per garantire alla prole un sano e costruttivo rapporto con entrambi i genitori.

E tale provvedimento si conforma a Cass. civ., 8 aprile 2016, n. 6919, secondo la quale tra i requisiti di idoneità genitoriale ricopre una grande importanza la capacità di garantire la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, onde tutelare in maniera effettiva e concreta il diritto del minore alla bigenitorialità e ad una sana crescita equilibrata; infatti, è fondamentale per la prole poter intrattenere rapporti costanti e significativi con entrambe le figure genitoriali che sono importanti per un sereno e idoneo sviluppo della giovane personalità in itinere. Il Tribunale, altresì, ex art. 709-ter c.p.c., condannava il padre al risarcimento dei danni da alienazione a favore del figlio e della madre alienata, adeguandosi a Cass. civ., 14 maggio 2012, n. 7452, che riconosceva il risarcimento danni da alienazione parentale a carico della madre che aveva indotto il rifiuto totale della figlia ad incontrare l'altro genitore, ostacolandone gravemente il rapporto.