Amministrazione di sostegno: reclamo in Corte di Appello avverso provvedimento decisorio del Giudice tutelare
23 Novembre 2017
Massima
Nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 720-bis, comma 2, c.p.c., avverso il provvedimento con cui il Giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione -proposta dall'amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo- ad esprimere, in nome e per conto dell'amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi. Il caso
Il Giudice tutelare di Savona, con decreto del 17 febbraio 2015, aprendo la designazione dell'amministrazione di sostegno di Tizio, che a causa di un grave infortunio sul lavoro era diventato totalmente incapace di provvedere a sé stesso vivendo in uno stato d'incoscienza, ha nominato la moglie quale amministratrice di sostegno -essendo stata indicata dal marito in un precedente documento- e ha rigettato l'istanza della stessa a essere autorizzata a esprimere il proprio dissenso alle cure che prevedessero la trasfusione di emoderivati, così come indicato dallo stesso designante nel citato documento. Tizio, testimone di Geova, in tale documento aveva dato istruzioni precise riguardo alle terapie alle quali, per motivi religiosi, non voleva essere sottoposto anche in caso di pericolo di vita. Tale decreto è stato impugnato dalla moglie di Tizio, in qualità di amministratrice di sostegno, con reclamo innanzi alla Corte di appello di Genova ai sensi dell'art. 720-bis, comma 2, c.p.c., chiedendone la modifica nella parte in cui non le era stata concessa l'autorizzazione a rifiutare le terapie trasfusionali per il coniuge. La Corte di appello ha dichiarato inammissibile il reclamo con decreto del 2 maggio 2015 in quanto formulato avverso un provvedimento del Giudice tutelare riguardante la fase gestionale dell'amministrazione di sostegno, quindi privo del carattere decisorio e come tale, ai sensi dell'art. 739, comma 1, c.p.c., reclamabile solo innanzi al Tribunale. La Corte territoriale, a sostegno della suddetta decisione, ha affermato: 1) che l'art. 720-bis c.p.c. (intitolato «norme applicabili ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno»), collocato nel capo II, titolo II del libro IV del codice di procedura civile, fa riferimento esclusivamente ai provvedimenti con cui viene disposta l'apertura a la chiusura dell'amministrazione di sostegno; 2) che la l. n. 6/2004, che ha introdotto l'istituto dell'amministrazione di sostegno, ha attribuito al Giudice tutelare la facoltà di provvedere sulla designazione dell'amministrazione di sostegno. Pertanto, disciplinare la reclamabilità di tutti i provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno innanzi alla Corte d'Appello, sarebbe in contrasto con la ratio della suddetta normativa visto che i provvedimenti in materia di interdizione e inabilitazione sono soggetti a reclamo innanzi al Tribunale ai sensi dell'art. 739 c.p.c.; 3) che l'art. 720-bis c.p.c. ha natura speciale e derogatoria rispetto alla disciplina contenuta nell'art. 739, comma 1 e 3, c.p.c., che è riconfermato dalla previsione di proporre ricorso per Cassazione, ammessa avverso i soli provvedimenti di carattere decisorio e non anche avverso quelli di natura gestoria che restano fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 720-bis, comma 1 e 3, c.p.c.. La soccombente ha proposto ricorso in Cassazione, in virtù dell'art. 720-bis, u. c., c.p.c., affidato a quattro motivi, e ha successivamente depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. La questione
La questione in esame è la seguente: il decreto con il quale il Giudice tutelare ha deciso sulla domanda di autorizzazione, proposta dall'amministratore di sostegno al momento dell'apertura della procedura di designazione, deve essere considerato di carattere decisorio? Le soluzioni giuridiche
La l. n. 6/2004 ha introdotto, al termine delle disposizioni che regolamentano l'interdizione e l'inabilitazione, l'art.720-bis c.p.c. che disciplina alcuni aspetti processuali dell'amministrazione di sostegno. L'art.720-bis c.p.c., quindi, nel regolare il procedimento per la nomina dell'amministratore di sostegno, ha stabilito al primo comma che «ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.». Al secondo comma statuisce che «contro il decreto del Giudice tutelare è ammesso reclamo alla Corte d'Appello a norma dell'art. 739 c.p.c.» e «contro il decreto della Corte d'appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per Cassazione» (terzo comma). Il rinvio all'art. 739 c.p.c., fa riferimento alle forme del procedimento in camera di consiglio e il termine perentorio di dieci giorni per la proposizione del gravame. Per il resto la disciplina dell'art. 739 c.p.c., che prevede la facoltà di proporre reclamo avverso i decreti del giudice tutelare davanti al Tribunale e non la reclamabilità in Cassazione del decreto emesso in sede di Corte di appello, è sostituita da quella speciale di cui all'art. 720-bis c.p.c.. Anche Cass. civ., n. 18634/2012 ha rafforzato la tesi secondo la quale lo strumento impugnatorio previsto dall'art. 720-bis, comma 2, c.p.c. avrebbe carattere speciale. Il termine per proporre l'impugnazione decorre, ai sensi dell'art. 719 c.p.c., dalla notificazione del decreto, nelle forme ordinarie, a tutti coloro che hanno partecipato al giudizio, anche all'amministratore provvisorio eventualmente nominato. Fa decorrere il suddetto termine solo la notifica effettuata ad istanza di una delle parti e non anche la notifica eseguita via PEC dalla cancelleria. Per quanto concerne la competenza a decidere il reclamo avverso i decreti del Giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, il legislatore avrebbe previsto la competenza speciale della Corte di Appello solo nel caso in cui il provvedimento, per la particolare rilevanza, è deputato ad incidere sulla capacità di agire e sui diritti fondamentali della persona. Per quanto concerne, invece, i provvedimenti riguardanti la normale gestione dell'amministrazione di sostegno e le autorizzazioni ai sensi degli artt. 411, 374 e 375 c.c., in applicazione del criterio di competenza stabilito dall'art. 739 c.p.c., il Tribunale sarebbe l'organo competente a decidere sui reclami avverso i provvedimenti del Giudice tutelare. Infatti, secondo la giurisprudenza, la ratio della disciplina di cui all'art. 720-bis c.p.c., va ravvisata nella particolare natura del decreto in esame (Cass. civ., 28 ottobre 2003, n. 16223; Cass. civ., 22 giugno 2002, n. 9146; Cass. civ., 28 novembre 2001, n. 15071), che, in riferimento ad una controversia avente ad oggetto diritti soggettivi o status della persona, ha carattere decisorio e come tale è destinato ad acquistare efficacia di giudicato. Pertanto, la previsione di cui all'art. 720-bis c.c. non opera con riguardo ai provvedimenti a carattere gestorio, ma solo con riguardo a quelli aventi contenuto decisorio. La scelta dell'amministratore di sostegno, come precisa l'art. 408, comma 1, c.c., innanzitutto deve avvenire «con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario» e può aver luogo attraverso un atto di designazione realizzato dallo stesso beneficiario in previsione della propria futura ed eventuale incapacità. Tale designazione va effettuata nelle forme richieste a pena di nullità ovvero mediante atto pubblico o scrittura privata autenticatala ed è vincolante per il giudice tutelare che può non tenerne conto solo in presenza di gravi motivi (per approfondimento, vedi G. Bonilini, L'amministrazione di sostegno, Milano, 2007). L'interessato, nello stesso atto di designazione, può dettagliatamente indicare le linee guida cui dovrà attenersi l'amministratore e i trattamenti sanitari a cui vorrà sottoporsi oltre a quelli rispetto ai quali esprime il suo diniego. È il cosiddetto principio di autodeterminazione, sancito dall'art. 32 Cost., sul quale si basa il concetto del “consenso informato” che rappresenta il diritto del paziente di scegliere le cure ed i trattamenti che gli vengono proposti. Infatti, ogni cittadino è libero di decidere, nei limiti del possibile, se eseguire o meno le terapie indicate allorché, secondo la nostra Costituzione, nessuno può essere sottoposto forzatamente ad un determinato trattamento sanitario, fatta eccezione per i casi particolari disposti dalla legge (art. 32 Cost.). Riguardo a tale argomento è stata ratificata nel 1997, su input del Consiglio d'Europa, il primo trattato internazionale sulla bioetica, la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, recepita con l. 28 marzo 2001, n. 145. Tale Convenzione stabilisce che la volontà precedentemente espressa a proposito di un intervento medico da parte di un paziente, deve essere tenuta in considerazione se, al momento di tale intervento, lo stesso non è in grado di esprimersi (art. 9, l. n. 145/2001). L'Italia ha recepito tale trattato nel 2001, ma il Parlamento non ne ha mai votato la ratifica né ha adeguato il suo ordinamento ai principi del trattato. Ciò significa che in Italia non vi è ancora una legge adeguata sul testamento biologico. Nel nostro Paese, le prime sentenze sul “testamento biologico” che hanno apportato l'importante novità di nominare un amministratore di sostegno, da tempo suggerito anche dalla dottrina, sono state emesse nel 2008, a distanza di pochi mesi, dal Giudice Tutelare del Tribunale di Modena (Trib. Modena, 13 maggio 2008 e Trib. Modena, 5 novembre 2008). La novità del secondo provvedimento è data dalla previsione di un amministratore di sostegno nominato per vicende eventuali e future, così come era stato predisposto in una scrittura privata autenticata e depositata presso un notaio. Anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di prendere posizione sul tema delle dichiarazioni anticipate di trattamento: ricordiamo al riguardo la famosa sentenza (Cass. civ., 15 settembre 2008, n. 23676), con la quale i Giudici di legittimità, nell'esaminare una fattispecie che vedeva proprio coinvolto un testimone di Geova, hanno statuito che, in caso di rifiuto preventivo di un trattamento trasfusionale, «è innegabile, in tal caso, l'esigenza che, a manifestare il dissenso al trattamento trasfusionale, sia o lo stesso paziente che rechi con sé una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dalla quale inequivocabilmente emerga la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita, ovvero un diverso soggetto da lui stesso indicato quale rappresentante ad acta il quale, dimostrata l'esistenza del proprio potere rappresentativo in parte qua, confermi tale dissenso all'esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari». Osservazioni
Per una corretta applicazione della disciplina speciale delle impugnazioni di cui all'art. 720-bis c.p.c., occorre in primo luogo, già con la redazione del reclamo avverso il provvedimento del Giudice tutelare, specificare la natura decisoria del decreto che si vuole impugnare. A tal riguardo, è necessario operare un'opportuna distinzione tra i provvedimenti che vanno ad incidere sulla capacità di agire e sui diritti fondamentali della persona e quelli che si riferiscono alla normale gestione dell'amministrazione di sostegno e le autorizzazioni atteso che solo i primi provvedimenti possono essere impugnati innanzi alla Corte di Appello ai sensi dell'art. 720-bis c.p.c., mentre i secondi seguono la disciplina generale delle impugnazioni regolata dall'art. 739 c.p.c. (per approfondimento vedi App. Milano, 8 ottobre 2002). In tal modo, si evita che la Corte di Appello, tratta in errore dalla domanda, dichiari inammissibile il reclamo e non decida nel merito dell'istanza a tutela di diritti fondamentali della persona come il diritto alla salute ed il diritto autodeterminazione individuale, tutelati e garantiti anche dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. |