Inammissibile il deposito dell'opposizione a decreto penale di condanna via PEC: la Cassazione non convince

28 Novembre 2017

È ammissibile il deposito da parte del difensore di un imputato dell'opposizione a decreto penale di condanna a mezzo di posta elettronica certificata? Risponde alla questione la Cassazione penale con una controversa sentenza.
Massima

In assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale alle parti il deposito di atti in via telematica, deve ritenersi inammissibile la presentazione dell'opposizione al decreto penale di condanna a mezzo di posta elettronica certificata.

Il caso

In data 4 gennaio 2014 il Tribunale di Macerata dichiarava inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna tempestivamente inviata a mezzo PEC dal difensore di un'imputata alla cancelleria del giudice competente.

Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per Cassazione lo stesso difensore sostenendo che, avendo l'opposizione al decreto penale di condanna natura di impugnazione, si debba ad essa applicare il disposto di cui all'art. 583 c.p.p. secondo il quale l'atto di impugnazione può essere trasmesso alla cancelleria del giudice a quo anche a mezzo di raccomandata, servizio di spedizione a cui la PEC è parificata ex lege.

L'avvocato solleva, inoltre, una questione di legittimità costituzionale dell'art. 461 c.p.p. con riferimento all'art. 3 Cost. per violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di discriminazione ivi protetti in relazione alla diversa interpretazione della norma in esame da parte di giudici dello stesso ufficio, atteso che lo stesso Tribunale di Macerata, in caso analogo, aveva ritenuto ammissibile un'opposizione a decreto penale presentata a mezzo PEC.

La questione

È ammissibile il deposito da parte del difensore di un imputato dell'opposizione a decreto penale di condanna a mezzo di posta elettronica certificata?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento affronta l'ormai annosa questione relativa alla possibilità in capo alle parti private, nel processo penale, di depositare in cancelleria atti a mezzo di posta elettronica certificata, dandone risposta negativa.

Il ragionamento seguito dalla Cassazione ricalca quello già sviluppato in precedenti arresti e si fonda principalmente sul dato normativo in materia di processo telematico.

In particolare, la Corte osserva come il d.l. n. 179/2012, convertito nella l. n. 221/2012, abbia introdotto nel nostro ordinamento l'obbligo per l'Autorità giudiziaria di effettuare le comunicazioni e le notificazioni a mezzo PEC: nel processo civile con riferimento a tutti i soggetti destinatari tenuti per legge ad avere una casella di posta certificata, mentre nel processo penale solo nei confronti delle persone diverse dall'imputato.

Quanto, invece, al deposito di atti in cancelleria per mano delle parti private, l'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 stabilisce, per il processo civile, che gli atti debbano essere obbligatoriamente trasmessi per via telematica, mentre analoga disposizione non è prevista per il penale, ove non c'è ancora il fascicolo telematico, che costituisce «l'approdo dell'architettura digitale degli atti giudiziari».

In mancanza del fascicolo informatico penale, a parere dei Giudici di legittimità, un atto depositato a mezzo PEC deve essere considerato inesistente.

A suffragio della tesi prospettata, la Cassazione adduce due ordini di argomentazioni dedotte, da un lato da una serie di precedenti penali conformi e dall'altro, a contrario, da un arresto civile.

Sotto il primo profilo, la Corte richiama recenti pronunce di legittimità che hanno dichiarato l'inammissibilità del deposito a mezzo PEC con riferimento ad una serie di atti che vanno dalla lista testimoniale (cfr. Cass. pen., sez. III, 26 ottobre 2016, n. 6883), all'istanza di rimessione in termini (cfr. Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2015, n. 18235), alle memorie difensive ex art. 611 c.p.p. (cfr. Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2016, n. 48584), al ricorso avverso un provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. pen., sez. IV, 30 marzo 2016, n. 18823).

In merito al secondo argomento, i Giudici supremi precisano di non ritenere conferente al caso di specie la sentenza della seconda sezione civile (cfr. Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2016, n. 9772) che ha ritenuto legittimo il deposito per via telematica dell'atto introduttivo di un giudizio civile prima della riforma dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 in quanto il deposito de quo si inseriva in un sistema già improntato al digitale, caratterizzato da un fascicolo telematico già operante e da una previsione di obbligatorietà del deposito telematico già in uso per gli atti endoprocessuali.

Concludendo, a parere della Corte di Cassazione, l'assenza di una norma di legge che autorizzi espressamente il deposito degli atti penali per via telematica nel processo penale comporta necessariamente l'inammissibilità della presentazione di un'opposizione a decreto penale di condanna a mezzo PEC.

Osservazioni

La sentenza in commento non convince appieno.

Gli argomenti addotti, sebbene astrattamente condividibili, non tengono debitamente in conto la peculiarità del caso in esame relativo al deposito di un'opposizione a decreto penale di condanna, atto che, per pacifica giurisprudenza, viene qualificato come impugnazione ed al quale, pertanto, si applica la disciplina del combinato deposito di cui agli artt. 582 e 583 c.p.p. in tema di presentazione e spedizione dell'atto di impugnazione.

Nello specifico, l'art. 582 c.p.p. prescrive che l'atto di impugnazione debba essere presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, laddove l'art. 583 c.p.p. prevede che l'impugnazione possa essere proposta anche con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo raccomandata alla stessa cancelleria.

I vari precedenti citati dalla Cassazione non sono, dunque, in termini, atteso che riguardano un ventaglio di atti per cui il codice di rito non prevede la possibilità di deposito a mezzo di posta raccomandata.

L'unica sentenza che esprime un principio analogo è Cass. pen., sez. V, 5 marzo 2015, n. 24332, che ha dichiarato inammissibile l'impugnazione cautelare proposta a mezzo PEC dal Pubblico Ministero sulla scorta del fatto che le modalità di deposito dell'atto di impugnazione disciplinate dall'art. 583 c.p.p. debbono ritenersi tassative e senza equipollenti.

A tal proposito pare però doveroso osservare, conformemente a quanto sostenuto dal ricorrente nel caso in esame, che la posta elettronica certificata ha lo stesso valore legale della raccomandata con ricevuta di ritorno: rispetto ad una normale casella di posta elettronica, infatti, la PEC presenta delle caratteristiche aggiuntive di sicurezza e di certificazione della trasmissione che, se rispettate, ai sensi del d.P.R. n. 68/2005, determinano l'equivalenza formale tra PEC e raccomandata.

Se dunque la PEC è parificata alla raccomandata ed esiste una norma processual-penalistica che autorizza la presentazione dell'atto a mezzo raccomandata, l'assenza di una disposizione nell'ambito dalla disciplina sul processo telematico che consenta espressamente nel processo penale (come nel civile) l'inoltro per via telematica degli atti di parte, pare un motivo di rigetto del tutto pretestuoso.

Del resto, se il principio fosse così saldo, non si comprende perché la Cassazione (cfr. Cass. pen., sez. II, 11 gennaio 2017, n. 6320) ritenga invece valida la notifica di un atto effettuata, ai sensi dell'art. 152 c.p.p., tramite poste elettronica certificata dal difensore dell'imputato a quello della persona offesa, considerato che l'art. 152 c.p.p., esattamente come l'art. 583 c.p.p., non menziona esplicitamente la PEC, ma solo la lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Al netto di una verosimile oggettiva difficoltà nella gestione delle PEC in arrivo da parte delle cancellerie penali dovuta a limiti tecnici del sistema SNT (Sistema Notifiche Penali), che dovrebbero però essere a breve superati con l'integrale implementazione del

TIAP

, ciò che desta perplessità è il candore con cui, nell'anno di grazia 2017, la Cassazione scriva che l'atto depositato a mezzo PEC deve considerarsi inesistente «necessitando per essere visibile in concreto dell'attività di stampa da parte della cancelleria che dovrebbe comunque inserire il documento nel fascicolo d'ufficio, di formazione e composizione esclusivamente cartacea».

Guida all'approfondimento

- P. Grillo, Processo penale telematico: al difensore non è consentito depositare atti a mezzo PEC, in www.dirittoegiustizia.it.

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