L'assegnazione consensuale della casa in sede di separazione non vincola nel divorzio
30 Novembre 2017
Massima
Nel giudizio di divorzio, in mancanza di figli della coppia, il giudice non può assegnare la casa familiare ad uno dei due coniugi, nemmeno se gli stessi avessero disposto in tal senso in sede di separazione personale, senza che detta comune volontà sia stata confermata da entrambi. Il caso
Due coniugi senza figli prevedono, in sede di separazione personale su conclusioni congiunte, che la casa familiare in comproprietà sia assegnata al marito. Costui successivamente propone domanda di divorzio, chiedendo la conferma della predetta assegnazione; la moglie rimane contumace in giudizio. Il Tribunale pronuncia il divorzio, ma respinge la domanda accessoria del marito, in difetto dei presupposti per far luogo all'assegnazione della casa e della mancata rinnovazione del precedente accordo. La questione
Gli accordi intercorsi fra i coniugi al momento della separazione personale, in ordine all'assegnazione della casa familiare, sono vincolanti in un successivo procedimento divorzile? Le soluzioni giuridiche
È ormai principio acquisito che gli accordi di separazione personale (definita in forma consensuale, ovvero giudiziale su conclusioni congiunte) presentino sempre un contenuto essenziale, cui può aggiungersene un altro di carattere eventuale. Rientrano nel primo gruppo le pattuizioni aventi ad oggetto il consenso reciproco a vivere separati (sempre necessario), l'affidamento di figli minori, gli assegni di mantenimento e l'assegnazione della casa. Fanno, invece, parte del contenuto eventuale gli accordi patrimoniali che i coniugi raggiungono in funzione dell'instaurazione di un regime di vita separata (transazioni, rinunce, riconoscimenti di debiti, impegni ad eseguire determinate prestazioni, ecc.). Tali ultimi accordi sono efficaci e vincolanti fra le parti, a prescindere dalle successive vicende della separazione personale o dell'eventuale divorzio, in base alla regola generale di cui all'art. 1372 c.c., che attribuisce al contratto forza di legge fra le parti stesse (cfr. Cass. civ., 19 agosto 2015, n. 16909; Cass. civ., 22 novembre 2007, n. 24321). L'assegnazione della casa familiare rientra nell'ambito degli accordi di carattere necessario. Ciò deve affermarsi pure quando, come nella fattispecie di cui alla sentenza annotata, la coppia non abbia figli, sicché, in un procedimento contenzioso il Giudice non potrebbe, di regola, disporre alcuna assegnazione; essa infatti, per costante giurisprudenza, rappresenta uno strumento finalizzato a garantire ai figli minori o maggiorenni il mantenimento dell'habitat domestico, senza che possa configurarsi quale beneficio per il coniuge più debole (per tutte, cfr.: Cass., 28 settembre 2015, n. 19193). Da tanto consegue che gli accordi sull'assegnazione della casa, trovando causa nel più ampio contesto della separazione personale, sono suscettibili di revisione in presenza di fatti sopravvenuti ex art. 710 c.p.c. e comunque non vincolano il Giudice in un futuro procedimento di divorzio. La giurisprudenza, in fattispecie analoghe, ha avuto ad affermare la nullità dei patti con cui i coniugi, al momento della separazione, avevano a predeterminare, anche in parte, l'assetto del futuro ed eventuale divorzio (cfr., da ultimo, Cass. civ., 30 gennaio 2017, n. 2224). Sulla scorta di tali presupposti, il Tribunale di Milano esclude potersi fare luogo alla richiesta assegnazione della casa familiare al marito, il quale, come comproprietario, aveva continuato ad abitarvi in forza degli accordi di separazione; ciò per due specifiche ragioni: a) la coppia non ha figli; b) l'accordo fra i coniugi sull'assegnazione della casa al marito, raggiunto in sede di separazione, doveva ritenersi caducato, per non essere stato rinnovato nel procedimento divorzile, stante la contumacia della moglie (cfr., per ulteriori riferimenti, Cass. civ., 9 luglio 2004, n. 12666). Osservazioni
La decisione in esame, pur nella sua sinteticità, offre interessanti spunti di riflessione sui profili di negozialità al momento della crisi coniugale. Gli accordi (di carattere ovviamente patrimoniale) che i coniugi raggiungono in sede di separazione hanno natura contrattuale e, quindi, forza di legge, là dove trovino semplicemente “occasione” e non “causa” nella separazione stessa. Quei patti sono, allora, assoggettati alle regole generali che presiedono la valida stipulazione del contratto (capacità delle parti ed assenza di vizi del consenso) e la sua risoluzione (per inadempimento, impossibilità o eccessiva onerosità sopravvenuta) (cfr. al riguardo, Cass. civ., 21 dicembre 2012, n. 23713). Il contenuto necessario dell'accordo di separazione è, invece, sottoposto ai principi della disciplina specifica di settore; in particolare gli accordi di separazione che stabiliscono in ordine all'assegnazione della casa familiare non potranno ritenersi vincolanti anche in sede di divorzio, stante l'autonomia di un regime rispetto all'altro. Una pattuizione di tal genere non sarebbe certamente valida se vi fossero figli minori o maggiorenni non autosufficienti, dovendosi valutare al momento del divorzio la sussistenza dei presupposti per l'assegnazione. A maggior ragione ciò dovrebbe valere in mancanza di figli, come nella specie, non potendo il Giudice disporre sull'assegnazione stessa, ed essendo rimesso alla disciplina ordinaria il godimento della casa (in ragione del titolo di proprietà, della titolarità del contratto di locazione, ovvero di un accordo tra le parti). Una valorizzazione della volontà dei coniugi, anche in relazione alle conseguenze del futuro scioglimento del vincolo matrimoniale, potrebbe essere realizzata tramite patti prematrimoniali, la cui introduzione nell'ordinamento italiano è attualmente oggetto di esame in Parlamento. Ciò permetterebbe l'esplicazione della autonomia negoziale tra i coniugi (salvo i limiti di indisponibilità dei diritti dedotti), con una conseguente riduzione del contezioso proprio nel momento più difficile e coinvolgente per le parti. |