Forma (contratto di locazione)

04 Dicembre 2017

La locazione è un contratto non formale. Le eccezioni a detto principio sono previste dal codice civile (locazioni ultranovennali) e dalle legislazione speciali (locazioni abitative), cui si aggiungono le locazioni stipulate dalla pubblica amministrazione. Le parti possono pattuire forme convenzionali. La nullità (ad substantiam) conseguente alla violazione della prescrizione formale è rilevabile d'ufficio. Le conseguenze della stipula di un contratto invalido per difetto di forma scritta si riflettono sia sulle azioni esperibili sia sulle prestazioni delle parti.
Inquadramento

La locazione è, in generale, un contratto non formale nel quale la volontà dei contraenti può essere manifestata con qualunque mezzo espressivo e in qualunque forma idonea.

Il codice civile prevede la forma scritta ad substantiam per i soli contratti di locazione immobiliare ultranovennali. Ciò non esclude la possibilità che le parti possono preventivamente pattuire l'adozione di una determinata forma per la futura conclusione del contratto.

Solo con la legge n.431/1998 le locazioni abitative (l. loc. ab.) diventano un contratto formale a pena di nullità, rilevabile d'ufficio.

La forma scritta ad substantiam della locazione ultranovennale

Per i contratti di locazione immobiliare ultranovennali, l'art. 1350, n.8), c.c. prevede la forma scritta ad substantiam (non solo ad probationem), sicché essa configura un elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l'estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto. Tale forma viene imposta in ragione dell'importanza economica dell'atto che l'art.1572 c.c. qualifica come atto di amministrazione straordinaria collegata per questo alla formalità di trascrizione, ex art. 2643, n.8), c.c. Tutte le conseguenti modificazioni contrattuali sono soggette anch'esse all'impiego della forma scritta (così anche con riferimento al consenso del contraente ceduto richiesto dall'art. 1406 c.c. ai fini della cessione del contratto).

La mancanza del requisito della forma scritta importa la nullità del contratto ai sensi del combinato disposto degli artt.1418, 1325, n. 4), e 1350, n.8), c.c. la nullità, qualificabile come parziale, colpirà la durata eccedente il novennio, sicché il contratto sopravviverà nei limiti temporali di legge, salvo che il contraente interessato, dimostri che, ridotto nei limiti del novennio, egli non avrebbe concluso il negozio ai sensi dell'art.1419 c.c.

Con riferimento alle locazioni ad uso diverso che, nella disciplina di cui alla l.n. 392/1978 comportano, in sede di rinnovo, una durata complessiva di 12 o i 18 anni, la norma di cui all'art. 1350, n.8), c.c. è inapplicabile. Infatti il successivo rinnovo del contratto dagli originali sei ai dodici o diciotto anni è solo eventuale e legato alla circostanza che il locatore non disdetti il contratto alla prima scadenza; la forma scritta ad substantiam è applicabile solo ai contratti che sono ab origine previsti per più di nove anni e non per quelli originariamente stabiliti con durata infranovennale, tra i quali vanno ricompresi i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione che subiscono per effetto degli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978 l'obbligatoria rinnovazione del contratto alla prima scadenza, in mancanza dell'esercizio in concreto di tale facoltà, atteso che la limitazione di tali motivi non impedisce di considerare eventuale la rinnovazione ed esclude l'unicità della durata ultranovennale, che è il presupposto per la forma scritta a pena di nullità (Cass. civ., sez.III, 2 giugno 1993, n.6130; Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1998, n. 5342).

Pattuizione di forme convenzionali

Anche con riferimento alla locazione, come per ogni altro contratto, le parti possono preventivamente pattuire l'adozione di una determinata forma per la futura conclusione del negozio e in tal caso, ai sensi dell'art. 1352 c.c., si presume che la forma sia stata voluta per la validità dell'atto.

Il contratto da concludere deve essere un contratto a forma libera, altrimenti l'obbligo della forma vincolata discenderebbe comunque dalla legge e non dalla pattuizione, come accadrebbe nel caso del patto di usare per iscritto una futura locazione ultranovennale. Deve ammettersi, tuttavia, che le parti possono in tal caso pattuire l'adozione di una forma più rigorosa.

La pattuizione di una forma convenzionale può riguardare non soltanto la conclusione del contratto ma anche dichiarazioni unilaterali in corso di rapporto, come la disdetta o il consenso relativo a possibili vicende future di un rapporto negoziale già instaurato (come il consenso al mutamento di destinazione nel bene locato o alla esecuzione di opere sull'immobile da parte del conduttore).

Una volta pattuita la forma scritta per via convenzionale ex art. 1352 c.c. anche lo scioglimento per mutuo consenso del vincolo contrattuale deve avvenire nella medesima forma (Cass.civ., sez.II, 6 aprile 2009,n.8234; Cass. civ., sez.III, 27 novembre 2006,n.25126), sicché eventuali successive pattuizioni verbali o comportamenti concludenti non possono assumere il rilievo di revoca del precedente accordo sulla forma (Cass. civ., sez.III,14 aprile 2000,n.4861).

La previsione della necessità della forma scritta per la stipula di un valido contratto di locazione comporta come conseguenza che anche il contratto preliminare di locazione debba essere redatto in forma scritta, così come la procura a stipulare un contratto di locazione (art.1392 c.c.); la ratifica di un contratto di locazione stipulato da un procuratore privo di poteri di rappresentanza (art.1399 c.c.); il contratto di locazione per persona da nominare (art.1403 c.c.) e infine il mandato senza rappresentanza a concludere un contratto di locazione.

Forma scritta e locazioni abitative

La legge c.d. dell'equo canone (l. n. 392/1978) non ha introdotto alcuna novità in tema di forma del contratto di locazione.

Invece con la legge sulle locazioni abitative - l. 9 dicembre 1998, n.431 - la locazione, soltanto quella abitativa, in tutti i suoi possibili sottotipi, diviene contratto formale indipendentemente dalla durata e in ragione invece della destinazione d'uso dell'immobile.

Infatti, sebbene la legge si esprima in termini di stipulazione di validi «contratti di locazione» tale riferimento non deve ritenersi generale, ma riferito alle sole locazioni abitative in virtù della norma definitoria dell'art.1, comma 4, della l. n. 431/1998: ne deriva che per le locazioni ad uso non abitativo continua a valere il principio di libertà delle forme, salvo che siano di durata ultranovennale, in base all'art.1350,n.8) c.c. (ad ogni contratto di locazione si riferisce, invece, la legge finanziaria per il 2005, art.1, comma 346, l. 30 dicembre 2004, che dispone la nullità del contratto non registrato).

Tale irragionevole disparità di disciplina ha fatto sorgere dubbi di legittimità costituzionale della norma per violazione del principio di eguaglianza ex art.3 Cost.

Infatti il formalismo è normalmente imposto dal legislatore in considerazione dell'importanza socio-economica del contratto e, a tale, proposito generalmente proprio le locazioni non abitative presentano normalmente un valore economico maggiore anche perché destinate, tendenzialmente, a durare almeno due sessenni, impegnando maggiormente il patrimonio dei contraenti.

La ratio ispiratrice della previsione non può rinvenirsi, allora, nel rilievo dell'atto dal punto di vista economico e la ratio nella norma non è la medesima che fonda l'art.1350, n. 8), c.c.

La ratio del requisito formale è da correlare con l'interesse erariale dello Stato impegnato a disincentivare le locazioni in nero e pregiudicato dalla conclusione di contratti verbali non registrabili e svela inoltre un ulteriore forse prioritario intento del legislatore, la responsabilizzazione del consenso e la introduzione della forma come regola di trasparenza nei rapporti tra i contraenti, con finalità protettiva della «parte debole» e di protezione dell'interesse ad una determinazione informata e consapevole del regolamento contrattuale.

Non v'è dubbio che il requisito formale ad substantiam si estende, secondo i principi generali e in particolare quello della omogeneità della forma, a tutti i negozi collegati come ad esempio il contratto preliminare ex art.1351 c.c. o la procura ex art.1392 c.c. nonché ai negozi modificativi e risolutivi.

La norma non trova applicazione per i contratti stipulati prima del 30 dicembre 1998 e, precisamente, rispetto alle locazioni verbali anteriori alla l. n.431/1998 e successivamente rinnovate: l'imposizione della forma scritta prevista dall'art. 1, comma 4, è espressamente richiesta solo per la validità dei contratti stipulati successivamente all'entrata in vigore della l. loc. ab. e non di quelli esistenti a tali data.

Infatti mentre l'art.1 estende «la portata della legge a tutti i contratti stipulati o rinnovati dopo l'entrata in vigore della stessa», il comma 4 limita la necessità della forma scritta solo alla stipula di contratti, non facendo alcun riferimento alla risoluzione di quelli già esistenti. Un differente trattamento che per la giurisprudenza trova una sua ragione d'essere nel fatto che «con la rinnovazione, restano ferme le vecchie pattuizioni contrattuali già approvate e praticate dalle parti, e che, quindi, per tali contratti non appare necessaria la forma scritta» (Trib. Palermo 20 febbraio 2001 e, in senso sostanzialmente conforme, App. Genova 6 marzo 2002).

La forma scritta sarà necessaria qualora con il rinnovo si introducessero nuove condizioni contrattuali vertendosi non in ipotesi di semplice rinnovazione di quanto già pattuito ma di una nuova regolamentazione del rapporto.

Né la norma trova applicazione per i vecchi contratti conclusi verbalmente che si siano rinnovati tacitamente, ai sensi dell'art.2, comma 6, della l. n. 431/1998.

Per soddisfare il requisito formale in esame non è necessario che l'incontro delle volontà avvenga nel contesto della medesima scrittura, potendo lo stesso ricavarsi da documenti distinti anche sul piano cronologico, purché inscindibilmente collegati; inoltre la produzione in giudizio di un documento da parte del contraente che non ha sottoscritto è sufficiente ad assolvere il requisito in parola.

Sono sorti dubbi sulla applicabilità della prescrizione di forma agli immobili di prestigio. Il dubbio sorge dalla formulazione di cui all'art. 1, comma 2, l. loc. ab., lett. a), secondo la quale detti immobili sono sottoposti esclusivamente alla disciplina di cui agli artt. 1571 ss.c.c. sempre che non siano stipulati quali contratti a canone «concertato».

Stando alla lettera, infatti, la norma potrebbe essere interpretata, e lo è stata, nel senso che le locazioni di immobili di prestigio non richiedano la forma scritta.

In realtà, le conclusioni non possono che essere diverse giacché l'art. 1, comma 2., l. loc. ab., esordisce con l'individuare negli artt. 2, 3, 4, 7, 8 e 13 le proprie disposizioni non applicabili - tra l'altro - alle locazioni di immobili di prestigio, dal che si deduce l'applicabilità ad essi delle rimanenti norme della legge. Sul piano della ratio, militano nel senso dell'applicabilità del requisito formale alle locazioni di immobili di prestigio sia la finalità di «trasparenza» perseguita dalla norma sia allo scopo di promuovere l'osservanza degli adempimenti tributari derivanti dalla stipulazione dei contratti di locazione. Sicché sarebbe paradossale che, a quest'ultimo scopo, fossero posti in condizione di facilmente sfuggire al fisco proprio quei locatori titolari di immobili di particolare pregio e maggiormente liberi di lucrare da essi in assoluta libertà.

Ribadito che la disposizione in parola, non è applicabile alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo e stante la perdurante vigenza dell'art. 80, comma 2, della l. n.392/1978, che la Suprema Corte ha costantemente ritenuto applicabile in via analogica nel caso di uso promiscuo voluto dai contraenti, in dottrina si è affermato, che in tale ultima ipotesi il requisito di forma introdotto dalla novella debba essere soddisfatto ai fini della validità del contratto solo laddove l'uso abitativo sia prevalente.

VALORE DELLA DENUNCIA DI CONTRATTO VERBALE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Inefficacia

Alcuna efficacia può riconoscersi alla denuncia operata - unilateralmente - all'Agenzia delle entrate effettuata dapprima dal locatore in data e successivamente dal conduttore, trattandosi di atti idonei a produrre i loro effetti unicamente sul piano fiscale e non su quello civilistico (Trib. Bari 20 marzo 2016).

La registrazione non vale a supplire la carenza di forma scritta

Le disposizioni dell'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, anche nel periodo di loro precaria vigenza, non avrebbero potuto supplire al vizio di forma di cui affetto il contratto di locazione abitativa, che fosse concluso verbalmente;infatti, l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 3 cit. presupponeva, in ogni caso, necessariamente, l'esistenza di un contratto di locazione valido ed immune da vizi sotto ogni altro profilo diverso dalla mancata registrazione nel termine di legge (Trib. Roma 29 aprile 2016).

Neanche se sottoscritta da entrambe le parti

La denuncia di un contratto verbale di locazione all'ufficio del registro ha finalità di solo ordine fiscale, sicché la stessa, quand'anche sottoscritta da entrambe le parti contraenti e quand'anche annualmente ripresentata al fisco, una volta prodotta in giudizio e contestata dalla controparte, non è idonea, in sé, a provare che una pregressa convenzione scritta di locazione pluriennale sia stata novata con accordi di diverso contenuto (Cass. civ., sez.III, 13 gennaio 2000, n.329).

Non vale come confessione stragiudiziale

La denuncia di un contratto verbale di locazione di locazione avendo finalità meramente fiscali, deve, in una controversia fra privati, essere liberamente valutata come dichiarazione di parte in un raffronto critico con gli altri elementi probatori acquisiti alla causa, e ciò anche nell'ipotesi in cui chi l'ha sottoscritta e redatta abbia dichiarato fatti a se sfavorevoli e favorevoli alla controparte, dovendo escludersi che in tale atto, attesa la specificità dello scopo che lo caratterizza, sia configurabile una confessione stragiudiziale, mancando, nel dichiarante la consapevolezza e la volontà di porre in essere una attestazione della verità dei fatti utilizzabile tra le parti nei rapporti contrattuali (Cass. civ., sez.III, 5 febbraio 1997, n.1100).

Il vizio di forma

La giurisprudenza unanimamente ritiene il requisito di forma previsto ad substantiam (Cass. civ., sez. un., 3 aprile 2009, n.8148; Cass. civ., sez. un., 17 settembre 2015, n.18214) richiamando:

a) l'art.1418 c.c. che sanziona con la nullità la mancanza di uno dei requisiti di cui all'art.1325 c.c. compresa la forma se prevista a pena di nullità;

b) l'art.1350, n.13), c.c. che contempla tra gli atti che devono farsi per iscritto a pena di nullità anche quelli «specificamente indicati dalla legge».

Circa le conseguenze del mancato rispetto del requisito formale (atto pubblico e scrittura privata) prevale la qualifica di vizio in termini di nullità del contratto sia perché ritenuta normale conseguenza del mancato rispetto di una modalità imperativamente prefissata di esercizio dell'autonomia privata sia argomentando dalla considerazione generale in base alla quale, ex art.1350, n.13), c.c., quando per un atto la legge stabilisce la forma scritta deve presumersi che la stessa sia richiesta a pena di nullità qualora da altre disposizioni non risulti il contrario.

Per effetto della norma citata il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza adottare la prescrizione formale è nullo. Si tratta di una nullità assoluta, eccepibile, dunque, da entrambe le parti e rilevabile ex officio dal giudice (Cass. civ., sez. un., 17 settembre 2015, n.18214; Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2006,n.11356).

La tesi di chi qualificava detto vizio come una nullità di protezione, in analogia con quanto previsto anche dalla recente legislazione a tutela del consumatore, tale da poter essere fatta valere soltanto dal contraente protetto, nel caso di specie rappresentato dal conduttore, può ritenersi ormai superata dai recentissimi interventi legislativi e dai pronunciati della Suprema Corte.

La previsione dei c.d. rapporti contrattuali di fatto, che conseguivano alla stipulazione in forma verbale e che il legislatore si era preoccupato di disciplinare almeno in presenza di determinati presupposti (locazione stipulata oralmente per imposizione di parte attrice) all'art.13, comma 5, della l. n.431/1998, già rivelatasi poco praticabile in quanto subordinata al raggiungimento della prova “diabolica” della imposizione del rapporto non scritto ad opera del locatore, è stata definitivamente eliminata dall'art.1, comma 59, della l. n.208/2015 - «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (c.d. Legge di Stabilità per il 2016) - in vigore dal 1 gennaio 2016, che ha riscritto l'art. 13 della l. 9 dicembre 1998, n. 431, in materia di locazioni abitative.

Inoltre, come ribadito dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. un.,17 settembre 2015, n.18214; Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2006,n.11356) la nullità per difetto di forma è rilevabile d'ufficio. La Cassazione ha ribadito che, alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto negoziale e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti ex actis, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso, purché non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte protetta).

In via generale, peraltro, si ammette pacificamente il rilievo officioso della nullità quale presidio a tutela dell'interesse generale si rinviene (v. Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, in cui si afferma il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità o la inesistenza di un contratto ex art.1421 c.c. indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, quindi anche per una ragione diversa da quella espressamente dedotta, nel caso in cui sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione del negozio, la cui validità rappresenta quindi un elemento costitutivo della domanda).

In evidenza

La nullità per difetto di forma per i contratti di locazione ad uso abitativo, stipulati dopo il 30 dicembre 1998, è rilevabile d'ufficio.

Le conseguenze del difetto di forma

L'art.13 della l.n.431/1998, nella formulazione antecedente alla l. n.208/2015, prevedeva al comma 5 la c.d. «azione di riconduzione» a condizioni conformi del contratto privo del requisito di forma.

L'azione, identificabile come di recupero del contratto, costituiva una declinazione del principio generale di conservazione del negozio giuridico ma aveva un'applicazione limitata, in quanto, consentita al conduttore nei casi in cui il locatore avesse preteso l' instaurazione di un rapporto di locazione di fatto in violazione di quanto previsto dall'art.1, comma 4, della l.n. 431/1998.

Nel giudizio di accertamento dell'esistenza del contratto di locazione il giudice determinava il canone dovuto, che non poteva eccedere quello definito ai sensi dell'art. 2 ovvero quello definito ai sensi dell'art. 5, commi 2 e 3.

L'azione di recupero della locazione di fatto dava vita ad un contratto il cui contenuto era diverso dall'originario programma quanto meno sotto il profilo economico.

La conclusione del contratto di locazione in forma verbale esponeva quindi il locatore al rischio di vedersi riconoscere un canone diverso da quello pattuito e presumibilmente inferiore ad esso, dovendo essere fissato in riferimento agli accordi locali relativi ai contratti a canone concertato. Il presupposto di operatività dell'azione di «recupero» della locazione di fatto era, tuttavia, costituito dall'essere stata «pretesa» la stipulazione in forma verbale del contratto da parte del locatore. Nel giudizio introdotto ai sensi del previgente comma 5 dell'art. 13 l loc. ab., terzo periodo, al tribunale spettava accertare l'esistenza del contratto di locazione, emergente tanto dall'accordo verbale sul punto, quanto dalla concreta esecuzione che le parti gli avevano dato, determinando la formazione di un contratto nel quale l'osservanza della forma scritta restava affidata ad una pronuncia giudiziale. L'onere della prova della pattuizione dei suoi termini, ovviamente incombevano sul conduttore.

Al di là della specifica ipotesi del contratto di fatto imposto al conduttore, la mancanza del requisito di forma rende il contratto, mancante del supporto formale, invalido con applicazione dei principi generali in materia di contratto nullo, non essendo ipotizzabile alcuna forma di convalida, ratifica o conferma.

Sul piano strettamente processuale la mancata adozione della forma scritta impedirà di raccogliere prove testimoniali in ordine alla esistenza e al contenuto del contratto, salva l'applicabilità dell'art. 2724 c.c., comma 3, l'interrogatorio formale, la confessione stragiudiziale, il giuramento decisorio; nonché di utilizzare presunzioni semplici.

Parimenti sarà inammissibile la prova testimoniale se diretta a comprovare fatti successivi aggiunti o contrari al contenuto dell'atto scritto.

Solo la lacuna costituita dalla sottoscrizione mancante può essere colmata a mezzo della produzione in giudizio del contratto ad opera della parte che intende avvalersene, sebbene non lo abbia sottoscritto.

L'art.1, comma59, della l.n.208/2015, riscrive, nell'art. 13, l'azione di riconduzione, limitandola al caso del conduttore che ha subito la scelta del locatore di non registrare il contratto con la facoltà per il predetto di far convertire giudizialmente la locazione non registrata e con l'attribuzione al tribunale del potere di sostituire il contratto e determinare l'entità del canone riconducendo la locazione a condizioni conformi al comma 1 (contratti liberi) ovvero al comma 3 (contratti convenzionati) dell'art.2 della l. n.431/1998.

Alla luce, pertanto, della attuale normativa il conduttore, che di fatto si trova nell'immobile in mancanza di un contratto scritto, non ha alcun valido titolo, per cui non è detentore qualificato ma un semplice occupante che può essere definito abusivo.

In questo caso è da escludersi che le vicende del rapporto di fatto possano trovare tutela negli strumenti tipici della locazione quali la finita locazione o la morosità.

La mancanza di un contratto valido impedirà ad entrambe le parti di azionare la ordinaria tutela contrattuale ex art. 447-bis c.p.c (risoluzione, canoni, vizi, pagamento canoni). I titolare dell'immobile potrà agire per far sancire la illegittimità dell'occupazione nelle forme del giudizio ordinario agendo per il rilascio dell'immobile occupato senza titolo; il conduttore potrà ottenere la parziale restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone «concordato», giacché la restituzione dell'intero canone costituirebbe un ingiustificato arricchimento. Infatti, in presenza di un contratto affetto da vizio formale il conduttore, in quanto occupante è obbligato a indennizzare il proprietario per il fatto che ha goduto dell'immobile, indipendentemente dalla circostanza che il suo ingresso nell'immobile non sia avvenuto in modo clandestino ma con il consenso e la consapevolezza del proprietario.

Né le somme versate in corrispettivo di un contratto verbale di locazione, nullo, potranno essere ripetute ai sensi dell'art.2033 c.c. assumendo il ruolo di controprestazione del godimento del bene.

Anche la giurisprudenza ha ribadito detto concetto precisando che «qualora un contratto di locazione sia dichiarato nullo, pur conseguendo in linea di principio a detta dichiarazione il diritto per ciascuna parte di ripetere la prestazione effettuata, tuttavia la parte che abbia usufruito del godimento dell'immobile non può pretendere la restituzione di quanto versato a titolo di corrispettivo di tale godimento, in quanto ciò comporterebbe un inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore» (così Cass.civ., sez.III, 15 aprile 2010,n.9052).

Recentemente la Suprema Corte (Cass.civ., sez.III, 11 ottobre 2016, n. 20383) ha precisato i termini della questione rilevando che in tema di contratto di locazione, il fatto che una delle prestazioni, posta in essere in base a un negozio risultato nullo, sia non ripetibile (nella specie il godimento dell'immobile ormai consumato) non consente perciò di ritenere lecito che si trattenga l'equivalente monetario stabilito dalle parti, posto che, se il negozio è nullo, «il pagamento» non è dovuto, non essendo né valide né efficaci le determinazioni delle parti circa il valore economico della (contro) prestazione. Conclude la Corte nel senso della applicazione dell'art.2041 c.c. in funzione dell'eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di un'utilità economica da parte del soggetto con correlativa diminuzione di altro soggetto, nei limiti dell'arricchimento e dell'impoverimento, della parte che, rispettivamente, abbia ricevuto o effettuato la prestazione di un contratto nullo. Precisa la Corte che ciò può avvenire, non già sulla base della determinazione fattane dalle parti con il contratto nullo (ovvero riconoscendo il canone pattuito), bensì in esito ad una valutazione oggettiva dell'utilità conseguita, entro i limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, sicché l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. andrà liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell'erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall'instaurazione di una valida relazione contrattuale (in termini conformi, v. Cass.civ., sez.III,7 novembre 2014,n. 23780).

La forma scritta nelle locazioni stipulate dalla pubblica amministrazione

Il principio della libertà della forma in materia locatizia subisce una deroga con particolare riferimento ai contratti di locazione stipulati dalla pubblica amministrazione tanto in veste di locatore quanto il conduttore, per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam anche quando la P.A. agisce iure privatorum.

La disciplina generale della forma dei contratti pubblici è contenuta nel decreto sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (r.d. n.2440/1923), agli art. 16 (I contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l'amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento), art.17 (I contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente art. 16, possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall'offerente e dal funzionario rappresentante l'amministrazione; per mezzo di obbligazione stessa appiedi del capitolato; con atto separato di obbligazione sottoscritto da chi presenta l'offerta; per mezzo di corrispondenza, secondo l'uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali) e art. 18 (I contratti stipulati con ditte o società commerciali devono contenere l'indicazione delle persone legalmente autorizzate a riscuotere e quietanzare). È principio consolidato, infatti, che la volontà di obbligarsi della pubblica amministrazione non può desumersi per implicito da atti o fatti, dovendo essere manifestata nelle forme prescritte dalla legge, tra cui l'atto scritto, rispondendo al requisito all'esigenza di identificare con precisione il contenuto negoziale e consentire i controlli previsti dalla legge. Detta finalità resterebbe frustrata ove si ammettessero la validità di vincoli contrattuali implicitamente derivanti da atti non diretti a costituirli e non preceduti o seguiti, pertanto, dall'iter procedimentale previsto normativamente.

Né la forma è ritenuta surrogabile sulla base di comportamenti concludenti (Cass. civ., sez. un., 28 novembre 1991,n.12769; Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 1994, n.7977; Cass. civ., sez.I, 12 luglio 2000,n.9246; Cass. civ., sez.III, 24 giugno 2002, n.9165, che escludono tutte un rinnovo tacito del contratto).

Tuttavia non si richiede che la stipulazione si perfezioni uno actu e il requisito di forma si ritiene osservato in caso di c.d. elaborazione comune del testo contrattuale, e ciò mediante la sottoscrizione di un unico documento contrattuale il cui contributo sia stato concordato dalle parti, anche laddove la sottoscrizione di tale unico documento non sia contemporanea ma avvenga in tempi e luoghi diversi.

Sulla base di tali principi la Suprema Corte, anche di recente - Cass.civ., sez.VI,14 giugno 2016,n.12253ha ribadito la nullità del contratto di locazione stipulato da una P.A. in forma verbale, in violazione - a prescindere dalla natura della locazione - degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923 e la rilevabilità d'ufficio ove sia stata proposta domanda di risoluzione dello stesso.

Dalla necessità della forma scritta ad substantiam per i contratti stipulati dalla P.A. si desume che non è configurabile l'istituto della rinnovazione tacita cui all'articolo 1597 c.c.

Il principio sopra espresso è stato di recente ribadito dalla Suprema Corte - Cass.civ., sez.III, 9 maggio 2017, n.11231 - che ha escluso per i contratti di locazione stipulati dalla P.A. la possibilità di un comportamento concludente volto a «superare la disdetta», tanto nel caso in cui si intenda prospettare un rinnovo tacito del contratto di locazione, quanto nel caso in cui si ipotizzi una rinuncia ad avvalersi degli effetti prodotti dalla disdetta.

Tale principio non trova, tuttavia, applicazione nel diverso caso di continuazione dell'originario rapporto in forza di clausola apposta nel contratto a suo tempo concluso che preveda la prosecuzione anche se impropriamente definita rinnovazione dello stesso in caso di mancata disdetta entro un certo termine (Cass. civ., sez.III, 30 settembre 2016,n.19410).

Guida all'approfondimento

Lazzaro - Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, Milano, 2007;

Benincasa, Sulla forma della locazione urbana ad uso abitativo, in Vettori (a cura di), Le locazioni abitative, Padova, 2002;

Gabrielli, in Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005;

Di Marzio, Occupazione di immobile senza titolo e rimedi esperibili dal proprietario, in Immob. & proprietà, 2011, fasc. 11, 382.

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