Sui concetti di prossimità e vicinanza. Un caso di spaccio vicino l'Università
05 Dicembre 2017
Abstract
Secondo la Suprema Corte – cfr. Cass. pen., Sez. VI, 14 febbraio 2017-1 giugno 2017, n. 27458 – l'aggravante specifica prevista dall'art. 80, comma 1, lett. g) d.P.R. 309/1990 per lo spaccio di sostanze stupefacenti effettuato «all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti» non trova applicazione nel caso in cui il fatto sia commesso, genericamente, nei pressi delle Università. Nel frattempo, il d.l. 20 febbraio 2017 n. 14, recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, convertito con modifiche nella l. 18 aprile 2017 n. 48, all'art. 13 ha previsto ulteriori misure di contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti all'interno o in prossimità di locali pubblici o aperti al pubblico e di pubblici esercizi, tra i quali sono ricomprese anche le «sedi universitarie». La sentenza della Suprema Corte n. 27458/2017
La Suprema Corte è chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal P.M. avverso l'ordinanza con cui il Gip aveva escluso la sussistenza della circostanza aggravante contestata all'indagato, per aver effettuato la cessione di cocaina (del peso lordo di 1,73 grammi) in prossimità dell'area universitaria.
Il Gip sostiene che la zona universitaria non può qualificarsi come luogo in prossimità di scuole ovvero di comunità giovanili. Sulla base dei principi di tassatività e di legalità in materia penale, non è consentito ritenere sussistente una circostanza aggravante attraverso un'interpretazione analogica in malam partem. Conseguentemente, i luoghi de quibus devono essere interpretati strictu sensu, evitando applicazioni estensive. Infatti, la ratio dell'aggravante di cui alla lett. g) del comma 1 dell'art. 80 d.P.R. 309/1990, consiste nel rafforzare la tutela penale per quelle condotte illecite poste in essere «in presenza di collettività ritenute particolarmente vulnerabili», perché maggiormente esposte alle insidie dello spaccio a causa della giovane età ovvero dei luoghi frequentati, in cui più facile è la diffusione degli stupefacenti: in tal senso, la disposizione individua le scuole e le comunità giovanili (oltre che le caserme, le carceri, gli ospedali e le strutture per la cura dei tossicodipendenti). Orbene, l'ordinamento delle scuole e quello delle università «costituiscono sistemi del tutto distinti e ispirati a principi in parte antitetici», come dimostra anche l'art. 33 della Carta costituzionale, che si riferisce sempre separatamente alla scuola e all'istituzione universitaria, escludendo così che l'università possa rientrare nella categoria normativa delle scuole di ogni ordine e grado. Allo stesso modo – sempre secondo il Gip – l'università non può essere ricompresa nella categoria delle comunità giovanili, stante il fatto che con tale termine il Legislatore ha voluto indicare «contesti collettivi omogenei i cui componenti siano presenti in forma non occasionale in determinati luoghi».
La Suprema Corte, invece, osserva che l'estrema genericità della locuzione comunità giovanili potrebbe giustificare il riferimento anche all'università, senza necessità di ricorrere al ragionamento analogico. Tuttavia, nella specie è il riferimento alla nozione di "prossimità" contenuta nell'art. 80, comma 1, lett. g), d.P.R. 309/1990 che impedisce di ritenere applicabile l'aggravante. Con tale lemma il Legislatore ha inteso individuare quelle aree esterne rispetto ai luoghi tipizzati (scuole, comunità giovanili, ecc.), che devono essere ubicate nelle immediate vicinanze e, in quanto tali, abitualmente frequentate dagli utenti istituzionali: in altri termini, tra le strutture indicate e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di relazione immediata. In conclusione, il concetto di prossimità non può essere inteso in senso ampio, facendo riferimento, in maniera generale e aspecifica, alla zona universitaria, bensì va interpretato rigorosamente, come contiguità fisica e posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio in un luogo che consente l'immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano (cfr., in tal senso, anche Cass. pen., Sez. IV, 24 novembre 2016, n. 51957). L'art. 13 del citato d.l. 14/2017 persegue l'altisonante obiettivo di recare (ulteriori) misure tese a rafforzare il contrasto al dilagare del reato – di particolare allarme sociale – di spaccio di sostanze stupefacenti in particolari luoghi. Viene, infatti, introdotta la possibilità per il questore di disporre, per ragioni di sicurezza, il divieto temporaneo, per un periodo compreso tra 1 e 5 anni, di accesso o di stazionamento nelle immediate vicinanze di specifici locali pubblici, aperti al pubblico o pubblici esercizi, o presso istituti scolastici e sedi universitarie nei confronti di coloro che, nel corso degli ultimi 3 anni, risultino essere stati condannati con sentenza definitiva o confermata in appello (sic!), per lo spaccio commesso presso quegli stessi luoghi. Si tratta di una misura inibitoria, ricalcata sulla falsariga del Daspo (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive”,previsto dall'art. 6 l. 13 dicembre 1989, n. 401, recante Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive) – che potremmo definire Dalpu, Divieto di accesso a determinati locali pubblici – onde prevenire il ripetersi di analoghi fenomeni di spaccio. Il divieto è disposto individuando modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario dell'atto. Ai sensi del comma 5, il divieto di accesso può essere disposto anche nei confronti dei minori ultra 14enni, previa notifica del provvedimento a chi ne eserciti la responsabilità genitoriale. Il comma 3, inoltre, prevede la possibilità da parte del questore di disporre, solo nei confronti di coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva, per la durata massima di 2 anni, una o più (singolarmente o cumulativamente) misure aggiuntive a tutela della sicurezza pubblica – già previste, sia pure con modalità e presupposti diversi, dall'art. 75-bis, comma 1 lett. a), b), d) ed e) d.P.R. 309/1990 – che integrano atti idonei a incidere sulla libertà personale (cfr. in tal senso Corte cost. n. 193/1996) oltre che del diritto di circolazione dell'interessato. Si tratta de:
Orbene, premesso che:
restano da chiarire, anche in questo caso, i confini della vicinitas.
Vicino, infatti, deriva da vicīnus, derivato di vicus: rione, borgo, villaggio. In altre parole, il (vago) concetto di immediate vicinanze risulta integrato solo in caso di prossimità e adiacenza ai locali e istituti de quibus, o anche in caso di percorrenza della stessa strada, delle vie d'accesso, dei paraggi e dei dintorni, fino al circondario? In conclusione
La novella del 2017, così come formulata, avrebbe richiesto la massima attenzione quantomeno in sede di conversione, per (tentare di) fugare i numerosi dubbi che ne derivano. Invece, nonostante gli oltre 400 emendamenti presentati alla Camera, l'interprete resta, ancora una volta, abbandonato a se stesso. |