Litispendenza internazionale tra giudizi di separazione e divorzioFonte: Trib. Como , 24 gennaio 2017
06 Dicembre 2017
Massima
Ai sensi dell'art. 3, lett. b, Regolamento UE n. 2201/2003, sussiste la giurisdizione del Giudice italiano relativamente ai giudizi di separazione e di divorzio tra coniugi che siano entrambi cittadini italiani, non aventi (nessuno dei due) residenza abituale in Italia. Tra due giudizi di separazione e di divorzio rispettivamente pendenti davanti a giudici di due diversi ordinamenti, uno dei quali non comunitario (Emirati Arabi), sussiste litispendenza, stante l'equivalenza sostanziale delle situazioni soggettive fatte valere, essendo irrilevante in senso contrario la diversa qualificazione giuridica di dette situazioni e degli strumenti di tutela nell'ambito dei diversi ordinamenti. Conseguentemente, il giudizio di separazione introdotto in Italia in pendenza del giudizio di divorzio in corso davanti al Giudice straniero deve essere sospeso, dovendo ritenersi, ai sensi dell'art. 7, comma 3, l. n. 218/1995, che la decisione del Giudice straniero è suscettibile di produrre effetti nell'ordinamento italiano. Il caso
La fattispecie alla base della decisione riguarda due coniugi, cittadini italiani, entrambi residenti a Dubai. Il marito, per primo, promuove giudizio di divorzio davanti al Giudice emiratino. Mentre il giudizio di divorzio è pendente in grado di appello, la moglie si rivolge al Giudice italiano domandando la separazione personale. Si determina, così, una litispendenza sui generis, tra il procedimento di separazione e quello di divorzio, sui generis in quanto si tratta di giudizi diversi per petitum e causa petendi. Il Giudice della separazione, in quanto Giudice successivamente adito, si trova pertanto a dover affrontare la suddetta questione di litispendenza e a decidere se sospendere il procedimento avanti a lui pendente, in attesa della definizione del procedimento divorzile avanti al giudice straniero, oppure se statuire sul merito. La questione viene decisa già nella fase presidenziale del giudizio di separazione, come mostra il fatto che il provvedimento qui in esame è costituito dall'ordinanza ex art. 708 c.p.c.. Il Presidente afferma, in primo luogo, la giurisdizione del Giudice italiano sulla base dell'art. 3, Regolamento UE n. 2201/2003, trattandosi di coniugi entrambi cittadini italiani; quindi, ritenendo che la statuizione del giudice emiratino sia destinata a produrre effetti nell'ordinamento interno, autorizza i coniugi a vivere separati e dispone la sospensione del giudizio «sino al definitivo esito di quello introdotto innanzi all'autorità giudiziaria di Dubai dal coniuge». La questione
La fattispecie decisa dal Tribunale di Como riguarda il tema della litispendenza internazionale e delle connesse questioni processuali. Tra queste, viene in considerazione in primo luogo la giurisdizione, e dunque l'individuazione del Giudice competente allorquando le rispettive domande, di separazione e di divorzio, siano state presentate in due diversi ordinamenti (italiano e straniero non comunitario). La questione relativa alla giurisdizione qui in esame riguarda una fattispecie che presenta le seguenti peculiarità: - i coniugi sono entrambi cittadini italiani; - entrambi non risiedono in Italia, ma nel medesimo Stato estero non comunitario; - il marito ha domandato il divorzio nello Stato estero, mentre la moglie ha domandato la separazione personale in Italia; - il giudizio di separazione è stato introdotto in pendenza di quello divorzile. Si tratta di vedere, pertanto, come il Giudice italiano che venga adito da uno dei coniugi per la separazione personale o per il divorzio, allorché i coniugi siano entrambi cittadini italiani, ma risiedano entrambi all'estero, e precisamente in uno Stato non comunitario, debba decidere se ritenersi o meno competente.
L'altra questione - che riveste nella specie rilevanza centrale - riguarda la litispendenza tra un giudizio di separazione ed un giudizio divorzile, pendenti rispettivamente avanti al Giudice italiano e ad un Giudice extra comunitario. In altri termini, viene in considerazione la litispendenza internazionale tra giudizio di separazione introdotto in Italia da uno dei coniugi quando sia già pendente all'estero (avanti all'autorità giurisdizionale di uno Stato non comunitario) un giudizio di divorzio. La questione è resa complessa dal fatto che siffatta litispendenza è atipica, non rientrando propriamente nella previsione dell'art. 39 c.p.c., il quale identifica la litispendenza tra due giudizi nel caso vi sia identità del petitum e della causa petendi. E, infatti, nel nostro ordinamento, i procedimenti di separazione personale e di divorzio presentano presupposti diversi, diversa struttura e diversa funzione. La giurisdizione, nel caso sopra enunciato, è stata decisa dal Giudice lombardo facendo riferimento alla regola enunciata dall'art. 3, Regolamento UE n. 2201/2003. Tale disposizione regolamentare stabilisce, alla lett. b del primo comma, che è competente a decidere sulle questioni relative al divorzio, alla separazione personale e all'annullamento del matrimonio, l'autorità giurisdizionale dello Stato membro di cui i due coniugi sono cittadini. Quello enunciato dall'art. 3, comma 1, lett. b, Regolamento UE n. 2201/2003, costituisce il criterio di collegamento residuale, così come ricorda lo stesso Giudice comasco; residuale in quanto nel caso deciso non sussisteva un collegamento allo Stato membro sulla base del criterio della residenza abituale, di cui all'art. 3, comma 1, lett. a, Regolamento UE n. 2201/2003. In pratica, l'art. 3, comma 1, lett. b, Regolamento UE n. 2201/2003, stabilisce, quale criterio di collegamento, la nazionalità comune dei coniugi. È stato opportunamente chiarito, in merito, che detto criterio è alternativo a quello dei criteri legati alla residenza, e che nel caso di coniugi con doppia cittadinanza comune, sussiste la giurisdizione “paritetica” di entrambi gli Stati interessati, senza che una nazionalità possa prevalere sull'altra (Corte di giustizia UE, 16 luglio 2009, C-168/08). Così, per meglio comprendere e per fare un esempio, se uno dei coniugi avesse la residenza abituale in Italia, e l'altro risiedesse all'estero, pur avendo avuto la propria ultima residenza in Italia, la giurisdizione spetterebbe al Giudice italiano sulla base del criterio di collegamento di cui all'art. 3, comma 1, lett. a, Regolamento UE n. 2201/2003. Sul profilo qui considerato, in una fattispecie simile a quella oggetto di esame, merita di essere ricordato Trib. Bologna, 17 gennaio 2012, pronuncia che stabilì che relativamente alla domanda di separazione personale dei coniugi, la competenza del Giudice italiano trova fondamento nell'art. 3, comma 1, lett. b, Regolamento UE n. 2201/2003. Come ha evidenziato illustre dottrina (M.A. Lupoi, Il regolamento UE n. 2201 del 2003 in materia matrimoniale, in academia.edu) «nelle controversie matrimoniali, l'art. 3 propone un'articolata serie di criteri di collegamento tra loro alternativi, senza alcuna gerarchia reciproca» non intendendo «escludere competenze giurisdizionali multiple ma, anzi, prevedendo espressamente la coesistenza di più Giudici competenti di pari rango». La ragione dell'impostazione adottata dal Regolamento UE n. 2201/2003 va ravvisata, sempre secondo quanto evidenzia la citata dottrina, nella «necessità di bilanciare gli interessi contrapposti delle parti e le considerazioni di ordine pubblico degli Stati membri, dunque, lasciano un certo margine al forum shopping, tollerato nella misura in cui, alla base di ogni criterio utilizzato, vi è uno stretto collegamento tra parti, Giudice e controversia».
A sua volta, la questione della litispendenza internazionale chiama in causa la normativa nazionale di diritto internazionale privato, precisamente l'art. 7, l. n. 218/1995, in materia di litispendenza internazionale. Detta disposizione stabilisce, al primo comma, che «quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un Giudice straniero, il Giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l'ordinamento italiano, sospende il giudizio». In base alla previsione suddetta, pertanto, il Giudice italiano è chiamato a sospendere il giudizio in presenza di un duplice presupposto: a) l'identità dell'oggetto e del titolo; b) la possibilità che l'emanando provvedimento straniero produca effetto per l'ordinamento italiano. La fattispecie in esame presenta, peraltro, una peculiarità che rende problematico il giudizio circa la sussistenza del presupposto sub a). I due procedimenti sono, infatti, diversi nell'ordinamento italiano, nel quale appunto il giudizio di separazione è prodromico rispetto a quello divorzile. I due giudizi, dunque, poggiano su presupposti diversi e differiscono, pertanto, nel petitum e nella causa petendi. Le questioni accessorie dei due tipi di procedimento possono coincidere (per es. il mantenimento dei figli, la regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli) ma la domanda relativa allo status personale differisce sostanzialmente e altresì formalmente, e così pure talune domande accessorie (così la domanda di addebito è possibile soltanto nella separazione; il mantenimento per il coniuge separato differisce, poi, quanto a funzione e a presupposti, dall'assegno divorzile). La considerazione di quanto sopra condurrebbe ad escludere, dunque, nella fattispecie in esame, la litispendenza nei termini di cui all'art. 7, l. n. 218/1995 (e altresì nei termini di cui all'art. 39 c.p.c.). Va tuttavia considerato l'orientamento affermato da Cass. civ., S.U., 28 novembre 2012, n. 21108,in base al quale la verifica della litispendenza internazionale va compiuta tenendo conto dei risultati pratici perseguiti, con conseguente perdita di rilevanza dell'identità del petitum immediato. Più esattamente, le Sezioni Unite del 2012 hanno affermato che la litispendenza internazionale, ai sensi dell'art. 7, l. n. 218/1995, sussiste quando, oltre all'identità delle parti, sussiste altresì l'identità dei risultati pratici perseguiti e ciò indipendentemente dal petitum immediato delle singole domande e dal titolo specificamente fatto valere. La Cassazione ha ritenuto, evidentemente, di offrire un'interpretazione più elastica e non rigidamente formale della disposizione, al fine di «evitare inutili duplicazioni di attività giudiziaria e di eliminare il rischio di conflitti tra giudicati» (M. Rovacchi, La crisi fra coniugi appartenenti a Stati diversi, in Officina del diritto, 2014). Osservazioni
Come si è visto, la decisione in esame si compone di due statuizioni: la prima riguarda la giurisdizione; la seconda concerne la litispendenza. Il profilo della giurisdizione viene deciso, da parte del Tribunale di Como, con corretto riferimento all'art. 3, comma 1, lett. b, Regolamento UE n. 2201/2003, stante l'impossibilità nella specie di decidere sulla base dei criteri di cui all'art. 3, comma 1, lett. a, Regolamento UE n. 2201/2003. Viene così applicato il criterio della nazionalità comune dei coniugi con conseguente corretta affermazione della giurisdizione italiana. Come già anticipato, il Giudice italiano ha risolto la questione della litispendenza, facendo riferimento alla regola di cui all'art. 7, l. n. 218/1995, correttamente osservando che l'ordinamento straniero ove i coniugi risiedono non è comunitario (Emirati Arabi), con conseguente necessità di fare riferimento non al Regolamento Bruxelles II-bis, bensì alla normativa interna di diritto internazionale privato. La correttezza del riferimento alla legge nazionale di diritto internazionale privato (l. n. 218/1995) trova conferma nell'orientamento di legittimità, quale si trova espresso recentemente in Cass. civ., S.U., 18 marzo 2016, n. 5420: «Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 si applica solo alle diverse giurisdizioni degli Stati dell'Unione Europea, non anche alla giurisdizione degli Stati esterni all'Unione, per la quale, anche se la causa verte tra cittadini dell'Unione, si applica l'art. 7 della l. n. 218 del 1995, con eventuale sospensione del giudizio interno sino alla definizione del previo giudizio estero».
Altrettanto condivisibile, poiché rispettoso del criterio valutativo dettato Cass. civ., S.U., n. 21108/2012, è il ragionamento logico-giuridico che conduce a ravvisare la litispendenza ex art. 7, l. n. 218/1995. A parere del Giudice lombardo, infatti, deve prescindersi dal considerare l'inevitabile diversità della qualificazione giuridica delle situazioni soggettive fatte valere e degli strumenti di tutela nei due diversi ordinamenti, mentre deve essere considerata l'equivalenza sostanziale di esse (intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale) e dei rimedi perseguiti. Correttamente, dunque, il Giudice italiano conclude per la sussistenza della litispendenza, aggiungendo che sussiste, altresì, l'altro presupposto indicato dall'art. 7, comma 1, l. n. 218/1995, dato che la decisione che verrà assunta dal Giudice emiratino sarà suscettibile di produrre effetti nell'ordinamento italiano. È infatti di tutta evidenza che la pronuncia straniera di divorzio supererebbe, vanificandola, la sentenza di separazione italiana. Tale considerazione, infine, conduce il giudicante a puntualizzare che alla medesima soluzione (cioè la sospensione) si sarebbe pervenuto anche a voler negare la litispendenza, e ciò sulla scorta dell'art. 7, comma 3, l. n. 218/1995. Detta disposizione stabilisce, infatti, che nel caso di pregiudizialità di una causa straniera, il Giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l'ordinamento italiano. Guida all'approfondimento
- M.A. Lupoi, Il regolamento UE n. 2201 del 2003 in materia matrimoniale, in academia.edu; - M. Rovacchi, La crisi fra coniugi appartenenti a Stati diversi, in Officina del diritto, 2014. |