Famiglie
ilFamiliarista
18 Giugno 2019

La Direttiva 2003/86/CE ha indicato agli Stati dell'Unione europea la necessità di adottare un apparato normativo per disciplinare il ricongiungimento familiare, inteso da un lato come misura di protezione e rispetto della famiglia già consacrati «in numerosi strumenti di diritto internazionale» e, dall'altro, quale strumento «necessario per permettere la vita familiare» che contribuisca a «…creare una stabilità socioculturale che faciliti l'integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri», permettendo così «…di promuovere la coesione economica e sociale obiettivo fondamentale della Comunità».
Inquadramento

La Direttiva 2003/86/CE ha indicato agli Stati della Comunità Europea (cfr. considerando n. 2 e n. 4, Direttiva 2003/86/CE) la necessità di adottare un apparato normativo per disciplinare il ricongiungimento familiare inteso, da un lato, come misura di protezione e rispetto della famiglia già consacrati «in numerosi strumenti di diritto internazionale» e, dall'altro, quale strumento «necessario per permettere la vita familiare» che contribuisca a «…creare una stabilità socioculturale che faciliti l'integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri», così permettendo «…di promuovere la coesione economica e sociale obiettivo fondamentale della Comunità» enunciato nei trattati della sua fondazione ed organizzazione.

Segnalata la necessità che il diritto al ricongiungimento debba riguardare «in ogni caso» e con evidente posizione privilegiata «i membri della famiglia nucleare, cioè il coniuge ed i figli minorenni», ed essendo riservato all'autonomia normativa degli Stati «decidere se autorizzare la riunificazione familiare» di altri parenti, la direttiva (cfr. considerando n. 11, Direttiva 2003/86/CE) precisa che «il diritto al ricongiungimento familiare dovrebbe essere esercitato nel necessario rispetto dei valori e dei principi riconosciuti dagli Stati membri, segnatamente qualora entrino in gioco diritti di donne e di minorenni. Tale rispetto giustifica che alle richieste di ricongiungimento familiare relative a famiglia poligama possono essere contrapposte misure restrittive».

In applicazione di tali principi, la Direttiva 2003/86/CE ha previsto che – ove siano riconosciute le «Condizioni richieste per l'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare» ( artt. 6, 7 e 8, Direttiva 2003/86/CE) – gli Stati membri autorizzino l'ingresso ed il soggiorno del coniuge del soggiornante e dei figli minorenni, in essi compresi i figli adottati, ovvero i figli minorenni quando il soggiornante sia titolare del loro affidamento e responsabile del loro mantenimento (e, nel caso siano affidati ad entrambi i genitori, quando vi sia il consenso dell'altro titolare), nonché i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge quando sia costui ad essere titolare del loro affidamento e responsabile del loro mantenimento (art. 4, Direttiva 2003/86/CE).

Agli Stati membri (art. 4, comma 2 e 3, Direttiva 2003/86/CE) viene invece lasciata una discrezionalità legislativa in punto di autorizzazione al ricongiungimento familiare degli ascendenti di primo grado del soggiornante o del coniuge quando siano a carico di costoro e non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese di origine; dei figli adulti che non possano far fronte alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute; del partner non coniugato che con il soggiornante abbia una «relazione stabile duratura debitamente comprovata» o che sia con il soggiornante «legato da una relazione formalmente registrata» e i figli minori – anche adottati – di tali persone, qualora non possano provvedere in via autonoma alle proprie necessità, con facoltà di riservare ai partner legati da una relazione formalmente registrata «lo stesso trattamento previsto per i coniugi» (art. 4, comma 3, Direttiva 2003/86/CE).

L'ordinamento italiano ha dato attuazione alla Direttiva tramite il d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 che ha riscritto in parte qua il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sulla immigrazione, anche T.U.I.).

Lievi modifiche alle questioni relative al ricongiungimento familiare sono state poi apportate dal d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 aprile 2017, n. 46, nonché dall'art. 1, comma 1, lett. n), n. 1), d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla l. 1 dicembre 2018, n. 132.

Il ricongiungimento familiare richiesto dal cittadino straniero

Il d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, riconosce il diritto a «mantenere o a riacquistare l'unità familiare» alle persone straniere «titolari di di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari» (secondo la definizione dell'art. 2, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 5/2007 che ha sostituito la vecchia dizione “stranieri titolari di carta di soggiorno”) (art. 28, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286).

Tenendo in disparte le varie condizioni ritenute legittimanti non previste dalla lettera dell'art. 28, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (possesso di permesso di soggiorno per motivi familiari, cfr. Cass. civ., n. 1714/2001; permesso di soggiorno per “attesa cittadinanza”,cfr. Cass. civ., n. 8582/2008 e Cass. civ., n. 12680/2009; permesso di soggiorno per residenza elettiva, cfr. Trib. Mantova, 19 giugno 2015, n. 1361 e Trib. Milano, 30 settembre 2016, n. 27159) la giurisprudenza ha segnalato come laddove le situazioni, giuridiche e di fatto, attribuiscano facoltà analoghe se non identiche, non sia possibile scriminare le domande di ricongiungimento familiare sulla base di un titolo legittimante ma non previsto dall'art. 28, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, allorquando quel titolo realizzi una situazione di fatto e di diritto del tutto analoga a quella realizzata dai titoli previsti dall'art. 28, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Cass. civ., n. 1714/2001).

In evidenza
La declinazione dei soggetti “titolati” a richiedere il ricongiungimento familiare fatta dall'art. 28, d.lgs. n. 286/1998 non è tassativa.

Di particolare pregio costituzionale e di diritto internazionale, è l'art. 28, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, laddove indica il «superiore interesse del fanciullo» (come riconosciuto dall'art. 3, comma 1, l. 23 marzo 1958, n. 338, che ha ratificato nel nostro ordinamento la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo) quale criterio ermeneutico guida «in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori».Proprio prendendo le mosse da quest'ultima indicazione, va rimarcato come costante sia, nella Corte di Cassazione, il richiamo ad una «lettura costituzionalmente orientata»del tessuto giuridico delle norme che presiedono e regolano il ricongiungimento familiare; interpretazione che ha portato ad autorizzare il ricongiungimento familiare al cittadino italiano del cittadino straniero minorenne affidato al primo per effetto di un provvedimento di c.d. kafalah, istituto sconosciuto al nostro ordinamento (Cass. civ., S.U., 16 settembre 2013, n. 21108; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2017, n. 28154).

Il ricongiungimento familiare richiesto dal cittadino italiano

Se i cittadini titolati a richiedere il ricongiungimento di un familiare ex art. 28, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, sono i cittadini stranieri, diversa è la disciplina per i cittadini italiani (o comunitari) che intendano chiedere il ricongiungimento di un familiare cittadino straniero; l'art. 28, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, dispone che «ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 Dicembre 1965, n. 1656 fatte salve quelle più favorevoli del presente T.U. o del regolamento di attuazione».

Ora, il d.P.R. n. 1656/1965 è stato abrogato dall'art. 15, d.P.R. n. 54/2002; il d.P.R. n. 54/2002 è stato a sua volta abrogato dall'art. 25, d.lgs. n. 30/2007; l'art. 23, d.lgs. n. 30/2007 prevede che «Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana».

Ne consegue che l'impalco normativo che regge il ricongiungimento al cittadino italiano di un familiare extracomunitario è quello disegnato dal d.lgs. n. 30/2007 e non quello previsto dall'articolato del titolo IV del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

Così, i “familiari” dei cittadini dell'Unione Europea sono definiti dall'art. 2, d.lgs. n. 30/2007 che li individua nel: i) coniuge; ii) nel partner che abbia contratto con il cittadino un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legge nazionale dello Stato membro ospitante; iii) nei discendenti di età inferiore ai 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner; iv) negli ascendenti diretti a carico del richiedente, del coniuge o del partner.

I familiari dei cittadini dell'Unione Europea – qualunque sia la loro cittadinanza – hanno la stessa libertà di circolazione dei cittadini europei potendo «accompagnare o raggiungere» il cittadino europeo (artt. 3 e ss., d.lgs.n. 30/2007).

L'art. 7, d.lgs. n. 30/2007, poi, prevede che il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi nel territorio nazionale è esteso – ove ne ricorrano le condizioni – ai familiari «non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territori nazionale il cittadino dell'Unione».

La Corte di Cassazione ha richiamato proprio la portata dell'art. 7, d.lgs. n. 30/2007, osservando come «…Il ricongiungimento del cittadino extracomunitario con cittadino italiano resta quindi regolato, quanto a condizioni autorizzatorie, dalle specifiche previsioni sul soggiorno superiore a tre mesi dei familiari extracomunitari di cui all'art. 7, comma 2, d.lgs. n. 30/ 2007, (…) ; che siffatto "ricongiungimento" speciale, disciplinato dal d.lgs. n. 30/2007, riguardi anche i cittadini italiani nei loro rapporti con familiari extracomunitari è dato indiscutibile, alla luce delle osservazioni di cui alla recente pronunzia n. 17346 del 2010 di questa Corte, là dove ha affermato che la nuova normativa, dettata in attuazione della Direttiva 2004/38/CE regola l'ingresso, la circolazione ed il soggiorno nel territorio dell'Unione non solo dei cittadini (non italiani) della stessa ma anche dei cittadini italiani e dei loro familiari, questi ultimi quali definiti all'art. 2.» (Cass. civ., n. 25661/2010).

I beneficiari del ricongiungimento

Il ricongiungimento familiare ex art. 29, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, può essere chiesto dal cittadino non comunitario legittimamente presente sul territorio che dimostri il possesso dei requisiti oggettivi di cui all'art. 29, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (alloggio conforme ai requisiti igienico sanitari e munito di idoneità abitativa secondo attestazioni rilasciate dagli uffici competenti; reddito minimo annuo derivante da fonti lecite, assicurazione sanitaria ovvero la di lui iscrizione al SSN per i genitori ultrasessantacinquenni) e per i seguenti soggetti:

i) il coniuge non legalmente separato che non sia minore di 18 anni;

ii) i figli minori, anche del coniuge o nati fuori dal matrimonio, non coniugati e a condizione che l'altro genitore dia il consenso;

iii) i figli maggiorenni a carico qualora, per ragioni oggettive non possano provvedere alla proprie, indispensabili, esigenze di vita a causa di uno stato di salute che comporti invalidità; iv) i genitori a carico qualora non abbiano altri figli nei paesi di origine, ovvero abbiano superato l'età di 65 anni, quando gli altri figli siano, per documentati gravi motivi di salute, impossibilitati a provvedere al loro sostentamento.

In linea con le premesse della Direttiva 2003/86/CE sulla prevenzione della poligamia, l'art. 29, comma 1-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, stabilisce il divieto di ricongiungimento «quando il familiare di cui si chieda il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale».

E' previsto (ex art. 29, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) l'ingresso, per ricongiungimento al figlio minore già regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito (ma va a tal fine«tenuto conto del possesso di tali requisiti da parte dell'altro genitore»).

Il Tribunale per i Minorenni può autorizzare, ex art. 31, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio dello Stato, l'ingresso o la permanenza del familiare per un periodo di tempo determinato, senza che siano necessarie situazioni di emergenza (Cass. civ., S.U., 25 ottobre 2010, n. 21799).

Ricongiungimento familiare e unione civile

Prima della legge n. 76/2016 sulle Unioni Civili mancava, nella elencazione dei familiari di cui potesse chiedersi il ricongiungimento, la previsione, pur contenuta nella Direttiva 2003/86/CE, del partner non coniugato che con il soggiornante avesse avuto una relazione stabile duratura debitamente comprovata o che sia con il soggiornante legato da una relazione ‘formalmente registrata' nonché dei figli minori di tali persone (cfr. art. 4, comma 3, Dir. 2003/86/CE già ricordato).

Ora l'art. 1, comma 20, l. n. 76/2016, prevede che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”.

La circolare n. 3511/2016 del Ministero dell'Interno - Direzione Centrale per le Politiche dell'Immigrazione e dell'Asilo, dopo aver richiamato il portato dell'art. 20, l. n. 76/2016 sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e sulle convivenze di fatto segnala (tra gli altri enti) alle Prefetture come «In virtù delle nuove disposizioni normative, il diritto al ricongiungimento familiare di cui all'art. 29 e ss., d.lgs. n. 286/1998, si estende ai cittadini stranieri dello stesso sesso uniti civilmente. per tanto sarà possibili richiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare a favore del partner unito civilmente purché maggiorenne e non legalmente separato».

Va da ultimo segnalato che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha statuito che il divieto di discriminazione per orientamento sessuale tutelato dalla CEDU si applichi anche alla concessione del ricongiungimento familiare a favore di stranieri che desiderino convivere con un partner dello stesso sesso nel territorio dello Stato (Corte EDU, 26 febbraio 2016, n. 68453).

I familiari dei rifugiati

Una disciplina particolare è prevista per il ricongiungimento di familiari di stranieri che abbiano ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale sussidiaria. In questo caso, il richiedente non ha bisogno di dimostrare i presupposti di cui all'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 (disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienicosanitari, reddito minimo, assicurazione sanitaria). Dovrà, tuttavia, indicare i parenti o il coniuge con il quale intende ricongiungersi e mostrare la documentazione attestante i legami di parentela al momento della richiesta del visto al consolato italiano competente per il rilascio.

Se lo straniero che ha ottenuto lo status di rifugiato ovvero la protezione internazionale sussidiaria (ma non la protezione umanitaria) non può fornire documenti ufficiali che provino i vincoli familiari, in virtù del suo status o della mancanza di un'autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti, le rappresentanza diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni sulla base di verifiche ritenute necessarie. I rifugiati possono altresì far ricorso ad altri mezzi atti a provare il vincolo familiare, eventualmente ricorrendo ad elementi tratti da documenti rilasciati da organismi internazionali. Il rigetto della domanda non può comunque essere determinato solo dalla mancanza di tali documenti. Il familiare entrato a seguito di ricongiungimento avrà un permesso di soggiorno per motivi familiari della stessa durata di quella del familiare con il quale si è ricongiunto (cfr. art. 29-bis, comma 2, d.lgs. n. 286/1998).

La procedura per il rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare

Il procedimento per il ricongiungimento familiare, da parte di cittadino straniero con altro cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia, è un procedimento, per così dire, “bifasico”.

Lo straniero soggiornante in Italia chiede – indicando il familiare con il quale intende ricongiungersi nonché le condizioni di cui all'art. 29, d.lgs. n. 286/1998 che legittimano la richiesta – il nulla osta al ricongiungimento familiare che viene rilasciato (ex art. 29, comma 7, d.lgs. n. 286/1998 e ex art. 6, d.P.R. n. 394/1999) dallo Sportello Unico per l'Immigrazione della Prefettura territorialmente competente, che valuta, in prima analisi, l'insussistenza di motivi ostativi all'ingresso nel territorio nazionale previsti dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998.

Al rilascio del nulla osta segue il visto, rilasciato al familiare di cui si chiede l'ingresso nel territorio, da parte dell'autorità consolare italiana, previa verifica della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età e stato di salute.

Il visto di ingresso – definito quale “atto conclusivo di un procedimento a formazione complessa”–è chiesto dal cittadino extracomunitario che sia al seguito di un familiare munito di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato con contratto non inferiore ad un anno o per lavoro autonomo o per ragioni di studio o per motivi religiosi ovveroda un cittadino extracomunitario che sia al seguito di un cittadino italiano. In entrambi i casi i familiari ammessi sono quelli per i quali può essere chiesto il ricongiungimento familiare.

Entro otto giorni dall'ingresso nel territorio dello Stato dopo l'ottenimento del visto di ingresso, il familiare del cittadino extracomunitario dovrà chiedere il permesso di soggiorno per motivi familiari, mentre il familiare di cittadino italiano dovrà chiedere, nello stesso termine, la carta di soggiorno.

Nel caso di straniero familiare di cittadino italiano, non è previsto il nulla osta della Prefettura: allo straniero verrà rilasciato – dalla rappresentanza consolare italiana nel paese di origine dello straniero – un visto per ricongiungimento familiare previa verifica delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 2, 5 e 7 del d.lgs. n. 30/2007.

Il permesso di soggiorno per motivi familiari (o per “coesione familiare”) viene rilasciato, ex art. 30, d.lgs. n. 286/1998, allo straniero presente sul territorio dello Stato che abbia fatto ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto al seguito di proprio familiare, o per ricongiungimento di minore ovvero che, dopo essere entrato regolarmente in Italia abbia contratto matrimonio, dopo un anno dal suo ingresso, con un cittadino Italiano o con un cittadino di un paese membro dell'Unione Europea; al familiare straniero regolarmente soggiornante in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con un cittadino italiano o di uno Stato membro ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia, nonché al genitore straniero, anche se naturale, del minore italiano residente in Italia.

Dopo essere entrato sul territorio con un visto per ricongiungimento, lo straniero dovrà recarsi, entro otto giorni dall'ingresso nello Stato, allo Sportello Unico Immigrazione per il rilascio del permesso di soggiorno; lo Sportello Unico provvederà a compilare l'istanza di permesso di soggiorno consegnandone una copia all'interessato, che provvederà a spedirla attraverso un ufficio postale abilitato, che rilascerà ricevuta postale attestante l'avvenuta presentazione dell'istanza.

Il permesso di soggiorno per lo straniero che abbia avuto un visto di ingresso per ricongiungimento familiare avrà una durata non superiore a quello rilasciato al familiare che ha chiesto il ricongiungimento.

Potrà essere rinnovato, come per gli altri permessi di soggiorno, presentando una domanda almeno 60 giorni prima della sua scadenza (art. 5, comma 4, d.lgs. n. 286/1998).

Gli effetti del permesso di soggiorno per motivi familiari a seguito di ricongiungimento

Lo straniero che, a seguito di ricongiungimento familiare, abbia ottenuto un permesso di soggiorno per motivi familiari, ha diritto ad accedere all'assistenza sanitaria, all'istruzione, all'iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale, all'iscrizione alle liste di collocamento, ad una attività lavorativa sia dipendente che autonoma nonché all' accesso ai programmi di orientamento, formazione, e aggiornamento professionale (art. 30, comma 2, d.lgs. n. 286/1998; art. 14 d.P.R. n. 394/1999).

Ricongiungimento familiare e condanne penali

Le norme che regolano il ricongiungimento familiare concorrono a presidiare il principio superiore della “inviolabilità del diritto all'unità familiare (così Corte Cost., n. 232/2001) che può cedere terreno solo in presenza di condotte che siano sintomo di una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza.

Il d.lgs. n. 5/2007, a completamento della già citata Direttiva 2003/86/CE, dopo aver ampliato, con l'articolato sopra ricordato, le ipotesi in cui il ricongiungimento familiare deve essere riconosciuto, ha soppresso l'automatismo del rifiuto del rilascio, o del rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, nel caso di stranieri ricongiunti ai familiari regolarmente soggiornanti che abbiano riportato condanne. Così l'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 stabilisce che, nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo di permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, ovvero anche del familiare ricongiunto, ai sensi dell'art. 29, d.lgs. n. 286/1998, deve tenersi conto della natura e della effettività dei vincoli familiari nonché dell'esistenza di legami familiari e sociali nel paese d'origine, e anche (per l'ipotesi di straniero già presente sul territorio dello Stato che – in possesso dei requisiti per i ricongiungimento – abbia chiesto il permesso di soggiorno per coesione familiare) della durata del soggiorno nel territorio dello Stato.

L'art. 13, comma 2-bis, d.lgs. n. 286/1998, con dettato pressoché identico, dispone che nell'adottare il provvedimento di espulsione per gli stranieri che abbiano esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, ovvero al familiare ricongiunto, si tiene conto anche della natura e della effettività dei vincoli familiari nonché della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale. A tale proposito, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che non violano l'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata) il rifiuto delle autorità italiane di rinnovare il permesso di soggiorno ad un cittadino marocchino che ha vissuto per molti anni in Italia, nonché la sua espulsione nel paese d'origine. In particolare, la tendenza a delinquere, l'uso di stupefacenti e l'incapacità di integrarsi nel mondo del lavoro, rappresentano dubbi legittimi circa la solidità dei legami sociali e culturali del soggetto con il paese ospitante (Corte EDU 14 febbraio 2019 n. 57433).

La Corte di Cassazione, richiamando i portati normativi sopra citati, ha avuto modo di osservare come «…per effetto delle modifiche introdotte, con il d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, agli artt. 4, comma 3 e 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5-bis) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, in caso di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare non è più prevista l'applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente per i reati identificati dalla norma (nella specie, in materia di stupefacenti), sulla base di una valutazione di pericolosità sociale effettuata ex ante in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi di valutazione contenuti nel novellato art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 (la natura e la durata dei vincoli familiari, l'esistenza di legami familiari e sociali con il paese d'origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso). Ne consegue che è onere dell'autorità amministrativa e, successivamente, dell'autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, di esplicitare le ragioni della pericolosità sociale, alla luce dei parametri normativi sopra evidenziati»(cfr. Cass. civ., n. 8795/2011; conforme Cass. civ., n. 19957/2011).

Se lo straniero convive con un parente entro il secondo grado ovvero con il coniuge italiano vige un divieto di espulsione se non nei casi previsti dall'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 286/1998 cioè a dire solo quando – con provvedimento del Ministro dell'Interno – sussistano motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.

Ricongiungimento familiare e separazione

In caso di morte del familiare ovvero di separazione legale, oppure di scioglimento del matrimonio il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso per lavoro subordinato. La conversione del permesso di soggiorno da motivi familiari a motivi di lavoro può avvenire, quindi, per una soluzione solo ‘fisiologica' del rapporto di coniugio.

Ove il matrimonio sia – se pur solo formalmente – esistente, la separazione di fatto (con protratta cessazione della convivenza o della coabitazione) non può esser equiparata alla separazione legale ovvero allo scioglimento del vincolo matrimoniale (Trib. Milano, 12 maggio 2015, n. 74607) e può portare alla revoca del permesso di soggiorno (Cass. civ., 27 luglio 2010, n. 17571).

L'art. 30, comma 1-bis, d.lgs. n. 286/1998, impone, altresì, la revoca del permesso di soggiorno agli stranieri che abbiano contatto matrimonio con un cittadino italiano o dell'Unione Europea ovvero con altro straniero regolarmente soggiornante, quando si accerti che il matrimonio abbia avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere al richiedente di soggiornare nello Stato.

Nel caso di matrimonio tra un straniero ed un cittadino italiano il permesso di soggiorno per motivi familiari non può essere revocato quando cessi la convivenza o la coabitazione. Nel caso di ricongiungimento dello straniero con cittadino italiano o comunitario, la convivenza effettiva non costituisce requisito per il riconoscimento e la conservazione dei titoli di soggiorno (Cass. sez. VI-1, 23 maggio 2013, n. 12745).

Casistica

Ricongiungimento familiare e Kafalah

È condivisibile «…l'affermazione secondo la quale la definizione normativa dei familiari stranieri per i quali il cittadino italiano residente in Italia può chiedere il ricongiungimento contenuta nel d.lgs. n. 30 del 2007, artt. 2 e 3, non consente l'applicazione analogica a casi non previsti (Cass. n. 25661/2010), ma nessuna regola di ermeneutica legale ne vieta l'interpretazione estensiva, specialmente quando sia l'unica costituzionalmente orientata e conforme ai principi affermati nelle norme sovranazionali, pattizie o provenienti da fonti dell'Unione Europea.»

Ai sensi dell'art. 363 c.p.c. «non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito» (Cass. civ., S.U., 16 settembre 2013, n. 21108).

«Un'interpretazione costituzionalmente orientata e rispettosa dei principi affermati dalle norme sovranazionali impone, invero, di considerare quale criterio-guida il preminente interesse del minore, come sancito dall'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 24 novembre 1989 e dall'art. 24 della Carta dei diritti dell'UE, che al secondo comma stabilisce che “in tutti i procedimenti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”.

Non può, dunque, negarsi che anche una minore straniera affidata a un cittadino italiano in virtù di un provvedimento di kafalah di origine negoziale, omologato da un'autorità pubblica, possa rientrare - come accertato dal giudice del merito - nella nozione di "altri familiari" di cui all'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. 30/2007» (Cass., sez. I, 24 novembre 2017, n. 28154).

Il permesso temporaneo a favore del familiare non richiede necessariamente situazioni di emergenza

«La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.» (Cass. civ., S.U., 25 ottobre 2010, n. 21799).

Ricongiungimento con il cittadino straniero e successiva separazione di fatto

«…la sopravvenuta cessazione della convivenza coniugale, non determinata da separazione legale e di contro accompagnata da elementi sintomatici della inesistenza iniziale della affectio propria della coniugio, integra ragione di revoca del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 30, comma 1-bis, d.lgs. n. 286/1998» (Cass. civ., 27 luglio 2010, n. 17571).

Nel ricongiungimento con cittadino italiano o UE non è richiesta la convivenza effettiva, fermo il divieto di matrimoni fittizi

«Deve escludersi che tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno previsti da tale normativa (d.lgs. n. 30/2007, n.d.r.) , possa farsi rientrare, nell'ipotesi del coniuge del cittadino italiano o UE, la convivenza effettiva.(…) Il requisito dell'effettiva convivenza, come sottolineato peraltro anche nella motivazione della pronuncia n. 17346 del 2010, è del tutto estranea alla disciplina normativa del d.lgs. n. 30/2007, mentre permane vigente, anche perché espressamente previsto dal citato art. 35, Direttiva 2004/38/CE il divieto di abuso del diritto e di frode, realizzabile mediante matrimoni fittizi contratti all'esclusivo fine di aggirare la normativa». (Cass., sez. VI-1,23 maggio 2013, n. 12745).

Ricongiungimento familiare al cittadino italiano e matrimoni fittizi

Il Tribunale di Milano respingeva il ricorso presentato da una cittadina extracomunitaria coniugata con un cittadino italiano avendo accertato che la stessa avesse «… contratto un fittizio matrimonio che non sottendeva alcuno dei requisiti fondanti una unità familiare immediatamente sciolta non appena ottenuto il permesso di soggiorno, unico scopo di un formale matrimonio che fin dall'origine sembra non contempla(sse) alcun progetto di coppia, alcuna idea di vita in comune» (Trib. Milano, 12 maggio 2015, n. 7460).

(Scheda aggiornata da Giuseppina Pizzolante, Docente presso l'Università degli Studi di Bari)

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