Opposizione ad ordinanza-ingiunzione (semplificazione dei riti)

Rosaria Giordano
18 Dicembre 2017

Il decreto legislativo 1° settembre 2011 n. 150 ha ricondotto le controversie in tema di opposizione a sanzioni amministrative, in precedenza disciplinate dagli artt. 22, 22-bis e 23 l. 24 novembre 1981, n. 689, al modello generale del processo del lavoro, “corretto” secondo quanto previsto dall'art. 2 dello stesso decreto.
Inquadramento

Il d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 ha ricondotto le controversie in tema di opposizione a sanzioni amministrative, in precedenza disciplinate dagli artt. 22, 22-bis e 23 l. 24 novembre 1981, n. 689, al modello generale del processo del lavoro, “corretto” secondo quanto previsto dall'art. 2 dello stesso decreto.

L'art. 6 d.lgs. n. 150/2011 detta alcune specifiche previsioni che consentono di delineare, in concreto, il rito attualmente previsto per tali controversie, rito che riproduce, invero, alcune previsioni già proprie della disciplina tradizionale.

Competenza

Il comma 2 dell'art. 6 d.lgs. n. 150/2011 conferma la regola, in tema di competenza per territorio, secondo cui l'opposizione si propone dinanzi al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione.

In ordine, invece, al riparto “verticale” di competenza tra giudice di pace e tribunale, il terzo comma del predetto art. 6 sancisce la regola generale in virtù della quale, di norma, l'opposizione deve essere proposta dinanzi al giudice di pace, salve le eccezioni previste dai commi successivi con riguardo, rispettivamente, alla materia ed al valore.

In ogni caso tali disposizioni, in ottemperanza al limite espressamente previsto dall'art. 54 lett. b), l. 18 giugno 2009, n. 69, di delega legislativa, riproducono, almeno nella massima parte, quanto già stabilito dagli artt. 22 e 22-bis l. n. 689/1981 non potendo il decreto legislativo in tema di semplificazione incidere sui criteri di competenza.

In realtà, come evidenziato nella stessa Relazione illustrativa al decreto n. 150/2011 qui in commento, l'esclusione, rispetto all'art. 22-bis l. n. 689/1981, delle materie dell'urbanistica ed edilizia, delle società ed intermediari finanziari e di quella tributaria non si correlano ad un illegittimo riparto di competenza per valore quanto all'intervento di preesistenti modifiche normative che attribuiscono a giudici speciali, diversi dal giudice ordinario, la cognizione su tali controversie.

Introduzione del giudizio

L'operatività in generale degli artt. 409 e ss. c.p.c. sul processo del lavoro comporta che le controversie in tema di opposizione ad ordinanza-ingiunzione debbano essere introdotte mediante ricorso, corredato degli elementi di cui all'art. 414 c.p.c., con allegazione del provvedimento impugnato (Valerini, 80).

Rimane ferma la regola per la quale il ricorso deve essere depositato a pena di inammissibilità entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento.

La proponibilità del ricorso anche mediante il servizio postale deriva dal principio, già sancito dalla Corte costituzionale con la pronuncia additiva n. 98/2004, mediante la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 22 l. n. 689/1981 nella parte in cui non consente l'utilizzazione del servizio postale per la proposizione dell'opposizione all'ordinanza di ingiunzione.

Proposto il ricorso, il giudice, in omaggio alle previsioni proprie del rito del lavoro, fissa l'udienza ai sensi dell'art. 415, comma 2, c.p.c.: ne deriva che il termine a comparire in favore dell'Amministrazione resistente è quello di almeno trenta giorni prima dell'udienza di discussione, in conformità al quinto comma dello stesso art. 415 c.p.c., mentre nell'assetto precedente, con una disposizione mutuata dal processo ordinario di cognizione, doveva essere rispettato il più ampio termine a comparire ex art. 163-bis c.p.c. (v., tra gli altri, Scalese, 178).

Tuttavia, rispetto al processo del lavoro, vengono conservate dal comma 8 dell'art. 6 d.lgs. n. 150/2011 due significative peculiarità.

Si prevede, invero, come già nella disciplina tradizionale della l. n. 689/1981, che mediante il decreto di fissazione dell'udienza il giudice ordina all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato il deposito in cancelleria entro dieci giorni prima dall'udienza fissata di copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla contestazione e notificazione della violazione.

A riguardo, è opportuno ricordare che la giurisprudenza ha costantemente ribadito che il termine per il deposito degli atti da parte dell'Amministrazione non ha natura perentoria, mancando nella norma una simile comminatoria, sicché la sua inosservanza non implica alcuna decadenza, né fa venir meno la presunzione di veridicità dei fatti attestati dai verbalizzanti come avvenuti in loro presenza (v., tra le altre, Cass. civ., 5 luglio 2006, n. 15324; Cass. civ., 16 giugno 2006, n. 13975).

Tuttavia, per la restante parte l'art. 416 c.p.c. trova piena applicazione con riferimento alle preclusioni a carico del resistente che non si sia costituito in giudizio entro dieci giorni prima dall'udienza già fissata quanto alla proponibilità di domande riconvenzionali ed eccezioni in senso stretto nonché alla produzione di documenti ed articolazione di mezzi di prova (Bove, 1 ss.).

Inoltre, si prevede che il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza non siano notificati a cura del ricorrente all'altra parte bensì ad opera della cancelleria sia all'opponente che all'autorità che ha emesso l'ordinanza.

Inibitoria

Manca una specifica disciplina dell'inibitoria, in quanto il comma 7 dell'art. 6 d.lgs. n. 150/2011 prevede che l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto stabilito dall'art. 5.

Non appare superfluo tener presente, a riguardo, che l'art. 5 d.lgs. n. 150/2011 detta disposizioni comuni ai singoli riti ricondotti ai tre modelli semplificati in ordine alla sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.

Più in particolare, il comma 1 stabilisce che nelle ipotesi in cui sia prevista la possibilità di disporre la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato il giudice decide, se richiesto e sentite le parti, mediante ordinanza non impugnabile, nella quale devono essere indicate le gravi e circostanziate ragioni poste a fondamento della misura adottata, in tal guisa rendendo più rigorosi i presupposti in forza dei quali è consentita l'emanazione del provvedimento ed imponendone la motivazione (cfr. Montanari, 86).

Costituzione personale delle parti

Soltanto nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente e l'autorità che ha emesso l'ordinanza anche a mezzo di funzionari delegati.

In accordo con la giurisprudenza di legittimità, la partecipazione al procedimento a mezzo di funzionario delegato dell'autorità che ha emesso l'ordinanza integra costituzione personale dell'autorità stessa (Cass. civ., 7 aprile 2005, n.7319): ciò comporta che l'atto di investitura dei funzionari delegati dall'Amministrazione resistente, anche se avente forma scritta, non è equiparabile alla procura di cui all'art. 83 c.p.c., concretandosi in un atto amministrativo di investitura di funzioni, riferibile anche ad una generalità indistinta di controversie future, che, in quanto tale, non perde efficacia per il solo fatto che la persona fisica che ha rilasciato la delega sia cessata dalla carica prima dell'inizio del giudizio (Cass. civ., 5 luglio 2006, n.15324). Ne deriva che, non essendo applicabile in tal caso, la disciplina della procura al difensore ed i relativi principi, deve ritenersi sufficiente, ai fini della regolarità della costituzione in giudizio del delegato, la sottoscrizione della comparsa di risposta e la sua espressa dichiarazione di stare in giudizio in tale sua qualità (Cass. civ., 21 settembre 2006, n. 20441) e per la regolarità della delega che la stessa provenga dall'organo dotato della rappresentanza esterna dell'ente (Cass. civ., 21 novembre 2006, n. 24673). Sul punto, è stato altresì chiarito che l'investitura dei pubblici funzionari nei poteri che dichiarano di esercitare nel compimento degli atti inerenti il loro ufficio, si presume, costituendo un aspetto della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, che non può essere messa in discussione in giudizio ove, come nella fattispecie, non sia sorta alcuna contestazione al riguardo (Cass. civ., 12 ottobre 2011, n. 21017).

Pertanto, in appello troverà applicazione la regola generale stabilita dall'art. 82 c.p.c. in omaggio alla quale le parti devono stare in giudizio a mezzo di un difensore.

Definizione del procedimento in limine litis

Il procedimento può essere definito immediatamente alla prima udienza ove ricorrano due situazioni alternativamente disciplinate dal decimo comma dell'art. 6 d.lgs. n. 150/2011.

In primo luogo, il giudice adito, se il ricorso è stato proposto fuori termine, ne dichiara l'inammissibilità con sentenza. Per la massima parte, tale previsione normativa ricalca il comma 1 dell'art. 23 l. 24 novembre 1981 n. 689, norma secondo cui, tuttavia, l'inammissibilità doveva essere dichiarata con ordinanza, ricorribile per cassazione. Nel regime novellato, invece, in mancanza di specificazioni, decisa l'inammissibilità con sentenza, se in primo grado era stato adito il giudice di pace, il provvedimento sarà appellabile dinanzi al tribunale: è venuta meno, quindi, in parte qua, la difformità di regime rispetto all'ordinanza di convalida.

La Suprema Corte ha tradizionalmente ritenuto non necessaria l'instaurazione del contraddittorio con l'Amministrazione ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso in opposizione proposto tardivamente ove tale dato emerga in modo inconfutabile (Cass. civ., 25 novembre 2008, n. 28147): tale soluzione appare percorribile, attesa la sovrapponibilità tra le previsioni normative, anche nel modello di rito cd. semplificato.

In secondo luogo, il procedimento di opposizione a sanzione amministrativa può essere definito alla prima udienza quando l'opponente o il suo difensore non si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, convalida con ordinanza appellabile il provvedimento opposto e provvede sulle spese, salvo che l'illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall'opponente, ovvero l'autorità che ha emesso l'ordinanza abbia omesso il deposito dei documenti di cui al comma ottavo.

La richiamata previsione normativa non è, invece, per la restante parte, che l'adeguamento formale a due risalenti pronunce additive della Corte costituzionale.

Infatti, in accordo con la disciplina originaria del quinto comma dell'art. 23 legge 24 novembre 1981 n. 689, la mancata presenza dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza, senza che venisse addotto alcun legittimo impedimento, comportava, verificata la regolarità della notifica del decreto di fissazione dell'udienza, la convalida dell'ordinanza opposta con provvedimento ricorribile per cassazione (Luiso, 276).

Peraltro, su tale assetto è intervenuta con due pronunce di carattere additivo la Corte costituzionale. In particolare, con una prima decisione, la Corte aveva ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 5, l. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui prevedeva che il giudice convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall'opponente (Corte cost. 5 dicembre 1990, n. 534, in Riv. dir. proc., 1991, p. 586, con nota critica di Garbagnati). In seguito, la stessa Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., l'art. 23, comma 5, l. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui, in tema di opposizione ad ordinanza - ingiunzione che irroga sanzioni amministrative prevede che il giudice dovesse convalidare il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei documenti di cui al comma secondo dello stesso art. 23, idonei a comprovare la legittimità della pretesa sanzionatoria (Corte cost. 18 dicembre 1995, n. 507).

L'ordinanza di convalida è impugnabile mediante appello.

Onere della prova

Oggetto del processo di opposizione alle sanzioni amministrative non è il provvedimento impugnato bensì il rapporto sostanziale tra le parti, sicché, in omaggio alla regola generale dell'art. 2697 c.c., la Pubblica Amministrazione avrà l'onere di dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa, mentre all'opponente spetterà quello di dedurre i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi della stessa (v., tra le altre, Cass. civ., 3 marzo 2011, n. 5122; Cass. civ., 7 marzo 2007, n. 5277; Cass. civ., 15 aprile 1999, n. 3741): a tal fine, ciascuna delle parti potrà avvalersi di tutti i mezzi di prova ordinari, di tipo costituendo e precostituito (Carrato, 220 ss.).

Prima della riforma realizzata dal d.lgs. n. 150/2011, il comma 6 dell'art. 23 l. 24 novembre 1981, n. 689 prevedeva che il giudice poteva disporre, anche d'ufficio, l'assunzione dei mezzi di prova ritenuti necessari, anche mediante la citazione di testimoni senza la formulazione di capitoli (Luiso, 276): sono quindi stati attribuiti al giudice poteri istruttori più ampi rispetto a quanto avviene nel processo ordinario di cognizione, costituiti, essenzialmente, dalla possibilità di disporre autonomamente l'assunzione di mezzi di prova quando la fonte di prova emerga dagli atti di causa (Vaccarella, 1158).

Abrogata tale previsione normativa, occorre fare riferimento, quanto ai poteri istruttori del giudice, all'art. 2, comma 4, d.lgs. n. 150/2011, per il quale i poteri istruttori di cui all'art. 421 c.p.c. non sono esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile.

Pertanto, resta fermo che nel procedimento di opposizione a sanzioni amministrative, a differenza di quanto avviene nei giudizi regolati in senso stretto dal rito del lavoro, il giudice non potrà derogare, soprattutto, ai limiti oggettivi alla prova testimoniale previsti dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. (cfr. Cass. civ., 25 agosto 2005, n. 17333, in Lavoro nella giur., 2006, n. 5, p. 472, con nota di Guarnieri).

Trova peraltro applicazione nel rito in esame l'assunto, tratto dall'interpretazione della latitudine dei poteri di cui all'art. 421 c.p.c., per il quale il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti (Cass. civ., Sez. Un., 17 giugno 2004, n. 11353).

Nel processo di opposizione ad ordinanza ingiunzione estremamente rilevante è la questione concernente l'efficacia probatoria degli atti di accertamento della violazione. A riguardo, le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto di giurisprudenza che si era formato sulla stessa, hanno chiarito che nel giudizio di opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione che irroga la sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti nonché in relazione alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e delle dichiarazioni delle parti, mentre non è necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., l'esperimento del detto rimedio della querela qualora la parte intenda limitarsi a contestare la verità sostanziale di tali dichiarazioni ovvero la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante, cui non si estende la fede privilegiata del documento (Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 1992, n. 12545).

L'undicesimo comma dell'art. 6 d.lgs. n. 150/2011 stabilisce espressamente che il giudice accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente. Tale disposizione appare superflua in quanto strettamente conseguente all'applicazione della regola aurea in tema di riparto dell'onere probatorio tra le parti, i.e. l'art. 2697 c.c., in forza della quale spetta alla P.A. opposta dimostrare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio del proprio potere sanzionatorio, con conseguente rischio della cd. mancata prova a carico dell'Amministrazione stessa.

Decisione

L'art. 6, comma 12, d.lgs. n. 150/2011 si limita a stabilire che mediante la sentenza che accoglie l'opposizione il giudice può annullare in tutto o in parte l'ordinanza o modificarla anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta, che è determinata in una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale e che anche nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l'articolo 113, comma 2, c.p.c., con conseguente potere-dovere del giudice di decidere secondo diritto e non in base all'equità a prescindere dal valore.

Se non per la precisazione per la quale mediante la decisione la sanzione rideterminata dall'autorità giudiziaria non potrà in ogni caso essere inferiore al minimo edittale, la previsione ricalca anch'essa quanto già previsto dal penultimo comma dell'art. 23, l. 24 novembre 1981, n. 689, trattandosi di disposizione peculiare del rito la cui conservazione era necessaria per l'erogazione di specifiche tutele sostanziali e comunque per garantire l'effettività della tutela giurisdizionale (Montanari, 85).

Il potere del giudice ordinario di modificare l'importo della sanzione amministrativa già introdotto dalla l. n. 689/1981, costituisce una significativa deroga rispetto a quanto previsto in via generale dall'art. 4 l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, abolitiva del contenzioso amministrativo (cfr. Scalese, 202 ss.). Sotto tale profilo, quindi, l'art. 6 del decreto sulla semplificazione dei riti costituisce quindi un'importante novità, anche a livello sistematico, rispetto all'assetto precedente, nel quale una costante giurisprudenza aveva sottolineato l'impossibilità per il giudice ordinario adito con l'opposizione a sanzione amministrativa di annullare il provvedimento opposto, potendo soltanto disapplicare lo stesso e, quindi, negato la possibilità di ogni valutazione del giudice ordinario circa la congruità della sanzione irrogata dall'autorità amministrativa (Cass. civ., 16 febbraio 1978, n. 731).

Poiché il procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative è stato ricondotto al generale modello del processo del lavoro trova applicazione, quanto alla fase decisoria, l'art. 429 c.p.c., come peraltro modificato dall'art. 53 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, secondo cui all'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, potendo, almeno in astratto, soltanto in caso di particolare complessità della controversia, fissare nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza.

Impugnazioni

A seguito dell'emanazione del decreto legislativo in commento sulla cd. semplificazione dei riti, particolarmente delicato, specie sotto il profilo della disciplina intertemporale, è il regime delle impugnazioni esperibili avverso la decisione di primo grado emanata nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, tenuto conto, invero, delle rilevanti novità già apportate dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.

Più in particolare, infatti, l'ultimo comma dell'art. 23, l. 24 novembre 1981, n. 689 disponeva, nell'originaria formulazione, che la sentenza che decide sull'opposizione all'ordinanza di ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa è inappellabile ma ricorribile per cassazione. Peraltro, una consolidata giurisprudenza, in applicazione del principio cd. di apparenza, aveva chiarito che, poiché l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere effettuata in base alla qualificazione giuridica del rapporto controverso adottata dal giudice del provvedimento stesso, a prescindere dalla sua esattezza, sulla base del principio dell'apparenza, in materia di mezzi di impugnazione delle sentenze all'esito del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, qualora dinanzi al giudice di merito una controversia che avrebbe dovuto essere trattata con le forme di cui alla l. n. 689/1981 venga invece introdotta, come nella specie, con il rito ordinario, la norma derogatoria di cui all'art. 23, ultimo comma, l, 24 novembre 1981, n. 689, secondo la quale le predette sentenze sono impugnabili solo a mezzo del ricorso per cassazione, non trova applicazione ed in questo caso avverso la sentenza che decide su una questione riconducibile all'ambito di applicabilità della l. n. 689/1981 definendo un giudizio introdotto e trattato secondo le regole ordinarie, è esperibile l'appello e non anche il ricorso per cassazione (Cass. civ., 5 aprile 2007, n. 8606; Cass. civ., 16 giugno 2006, n. 13977).

L'ultimo comma dell'art. 23 l. 24 novembre 1981, n. 689, tuttavia, è stato abrogato dall'art. 26 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40: di conseguenza, in armonia con l'obiettivo posto dal legislatore delegante con la l. 14 maggio 2005, n. 80, di recuperare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, le sentenze rese all'esito del procedimento di opposizione alle sanzioni amministrative sono divenute, stante la regola generale posta dall'art. 339, comma 1, c.p.c., appellabili, sebbene per i limitati motivi previsti dal comma 3 della stessa disposizione.

Nel silenzio normativo su tale profilo, la questione di maggiore portata era quella del rito applicabile al giudizio di appello avverso le sentenze rese in tema di opposizione alle sanzioni amministrative: in particolare, il problema era se trovasse applicazione il rito ordinario disciplinato dagli artt. 339 ss. c.p.c. ovvero se operassero ancora le regole speciali già dettate per il giudizio di primo grado dagli artt. 22 e 23 l. 24 novembre 1981, n. 689.

Sulla questione è infine intervenuta la Corte di cassazione affermando che nel giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado che decide sull'opposizione ad ordinanza di ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa trova applicazione il rito ordinario, con conseguente necessità, in omaggio alla regola generale sancita dall'art. 82 c.p.c., della difesa tecnica nel procedimento in sede di gravame (Cass. civ., 19 giugno 2009, n. 14520). A riguardo era stato altresì precisato che il procedimento di secondo grado relativo all'impugnazione di una pronuncia del tribunale riguardante un'opposizione ad ordinanza ingiunzione si deve svolgere, dopo l'entrata in vigore dell'art. 26 d.lgs. n. 40/2006, secondo le regole generali del processo ordinario, sicché il procedimento stesso doveva essere introdotto mediante atto di citazione tempestivamente notificato alla parte appellata e non con ricorso: tuttavia, qualora la parte avesse proposto l'impugnazione nella forma irrituale del ricorso, la stessa per ottenere l'effetto dell'utile radicamento del contraddittorio, era tenuta a notificare alla controparte l'improprio atto introduttivo ed il decreto di fissazione d'udienza, del quale ultimo provvedimento era suo esclusivo onere acquisire conoscenza, informandosi presso la cancelleria, la quale non era tenuta ad alcuna comunicazione relativa, alla stregua di quanto invece è previsto dalla disciplina di altri riti (Cass. civ., 10 marzo 2011, n. 5826).

Per i procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa disciplinati dal d.lgs.n. 150/2011 (ossia quelli introdotti in primo grado dopo la data del 15 settembre 2011), invece, la riconduzione al generale modello del rito del lavoro comporta che il giudizio di appello debba seguire la disciplina posta dagli artt. 433 e ss. c.p.c. e che, pertanto, il gravame debba essere introdotto nella forma del ricorso (Valerini, 88).

Riferimenti
  • Bove, Applicazione del rito del lavoro nel d.lgs. n. 150 del 2011, in www.judicium.it;
  • Carrato, L'opposizione alle sanzioni amministrative, 3 ed., Ipsoa, Milano, 2010;
  • Giordano, Commento all'art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011, in Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, Torino 2013;
  • Giordano, Il processo di opposizione alle sanzioni amministrative, in La giurisprudenza del giudice di pace a cura di Riviezzo, 2a ed., Milano, 2008, p. 381;
  • Luiso, Commento agli artt. 22 e 23 l. 24 novembre 1981 n. 689, L PEN, 1982, p. 270;
  • Montanari, Commento all'art. 6, in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e le altre riforme processuali 2010 – 2011, Milano 2012;
  • Scalese, Le opposizioni alle sanzioni amministrative, 3a ed., Milano 2006;
  • Vaccarella, Il procedimento di opposizione al provvedimento di applicazione di sanzioni amministrative, in Nuove leggi civ. commentate, 1982, 1151;
  • Valerini, Dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione, in La semplificazione dei riti civili a cura di Sassani e Tiscini, Roma 2011, 77.