L’impugnazione della risoluzione contrattuale vincola la SA ad ammettere il concorrente. Si va alla CGUE!

Guglielmo Aldo Giuffrè
18 Dicembre 2017

Il TAR Campania rimette alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione «se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di cui al Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), ed i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la effettività, di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, nonché la disposizione di cui all'art. 57, comma 4, lett. c) e g) Direttiva, ostino all'applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dall'art. 80 comma 5 lettera c) del d.lgs. n. 50 del 2016, secondo la quale la contestazione in giudizio di significative carenze evidenziate nell'esecuzione di un pregresso appalto, che hanno condotto alla risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto, preclude ogni valutazione alla stazione appaltante circa l'affidabilità del concorrente, sino alla definitiva statuizione del giudizio civile, e senza che la ditta abbia dimostrato la adozione delle misure di self cleaning volte a porre rimedio alle violazioni e ad evitare la loro reiterazione».

La questione oggetto del giudizio e la disciplina nazionale applicabile. Il quesito portato all'attenzione della Corte di Giustizia prende le mosse dall'impugnazione dell'ammissione alla procedura per l'affidamento di un servizio di una società che, dopo essere risultata aggiudicataria del medesimo servizio per il precedente periodo temporale, era stata destinataria di un provvedimento di risoluzione contrattuale, risultando così «colpevole di gravi illeciti professionali (tra i quali il periodo successivo annovera espressamente “le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata”), tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità» ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50 del 2016.

Alla risoluzione contrattuale era tuttavia seguita la sua contestazione in giudizio, che ai sensi del medesimo comma, esclude la rilevanza delle predette risoluzione, la quale, per poter causare l'esclusione del concorrente, deve infatti essere «non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio».

I dubbi sulla compatibilità della disciplina nazionale con quella euro-unitaria. Il Collegio ha ritenuto che l'applicazione letterale del diritto nazionale e quindi dell'art. 80, comma 5, lett. c) – che, differentemente dal previgente art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 non si è limitato a trasporre le indicazioni della direttiva 18 del 2004, ma, anzi, ha unificato impropriamente le ipotesi trattate nelle lettere c) e g) dell'art. 57, comma 4, dir. 24 del 2014 – avrebbe dovuto comportare il rigetto del ricorso, nonostante l'evidente pregressa violazione contrattuale, per la sola ragione che l'accertamento della stessa fosse ancora sub iudice, risultando preclusa alla stazione appaltante ogni valutazione autonoma sull'affidabilità del concorrente.

La Sezione, tuttavia, – dopo aver rigettato l'eccezione di improcedibilità del ricorso per non aver impugnato anche l'intervenuto provvedimento di aggiudicazione, in ragione degli effetti caducanti dell'eventuale annullamento del provvedimento di ammissione su quello di aggiudicazione – ha ritenuto dubbia la conformità al diritto dell'Unione europea (e in particolare ai principi di proporzionalità, effettività, certezza del diritto, legittimo affidamento) della preclusione imperativa di ogni possibilità di valutazione autonoma e proporzionale della stazione appaltante circa l'esclusione da una gara di un concorrente che sterilizzi le significative carenze evidenziate nell'esecuzione di precedenti contratti attraverso la mera proposizione di impugnativa della risoluzione contrattuale, e sino alla definizione di quel giudizio, con l'effetto di determinare, nell'ipotesi in cui il giudizio civile si concluda negativamente per l'operatore economico, ma la gara si sia svolta in senso a lui favorevole, la lesione del principio comunitario di affidabilità del concorrente, in quanto l'appalto sarebbe eseguito da un operatore economico indiscutibilmente non affidabile. In tal modo, infatti, la causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c), non sarebbe più conseguenza di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, intrapresa in conseguenza del “deficit di fiducia” nel concorrente in ragione della inaffidabilità dimostrata nello svolgimento delle attività del precedente contratto.

Il quesito. Il Collegio, in conseguenza dei propri dubbi circa la compatibilità della disciplina nazionale con quella euro-unitaria, ha formulato alla Corte di Giustizia il seguente quesito interpretativo: «se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di cui al Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), ed i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la effettività, di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, nonché la disposizione di cui all'art. 57 comma 4 lettere c) e g) di detta Direttiva, ostino all'applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dall'art. 80 comma 5 lettera c) del d.lgs. n. 50 del 2016, secondo la quale la contestazione in giudizio di significative carenze evidenziate nell'esecuzione di un pregresso appalto, che hanno condotto alla risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto, preclude ogni valutazione alla stazione appaltante circa l'affidabilità del concorrente, sino alla definitiva statuizione del giudizio civile, e senza che la ditta abbia dimostrato la adozione delle misure di self cleaning volte a porre rimedio alle violazioni e ad evitare la loro reiterazione».

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