Stefano Santori
18 Dicembre 2017

Il collaudo rappresenta la fase conclusiva dell'esecuzione dell'appalto, volta a verificare e certi-ficare che l'opera o il lavoro siano stati realizzati correttamente.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Il collaudo rappresenta la fase conclusiva dell'esecuzione dell'appalto, volta a verificare e certificare che l'opera o il lavoro siano stati realizzati correttamente. Con il termine collaudo, generalmente, si intende il procedimento comprensivo sia della verifica, sia della successiva dichiarazione che l'opera è stata eseguita (o non eseguita) a regola d'arte secondo i patti convenuti, anche se, stando al significato etimologico (cum laude) il collaudo dovrebbe riferirsi esclusivamente all'ipotesi di comunicazione dell'esito favorevole della verifica (C. GIANNATTASIO, L'Appalto, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, Vol. XXIV, Tomo 2, Giuffrè Editore, Milano 1967, p. 250.).

Conferma di quanto detto si trova nell'art. 215, comma 1, d.P.R. n. 207 del 2010, il quale individua la finalità del collaudo, ovvero «verificare e certificare che l'opera o il lavoro siano stati eseguiti a regola d'arte, secondo il progetto approvato e le relative prescrizioni tecniche, nonché le eventuali perizie di variante, in conformità del contratto e degli eventuali atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati».

Tale previsione è stata oggi sostanzialmente recepita all'interno del nuovo Codice, affermando l'art. 102 – rubricato collaudo e verifica di conformità – al comma 2 che «i contratti pubblici sono soggetti a collaudo per i lavori e a verifica di conformità per i servizi e per le forniture, per certificare che l'oggetto del contratto in termini di prestazioni, obiettivi e caratteristiche tecniche, economiche e qualitative sia stato realizzato ed eseguito nel rispetto delle previsioni e delle pattuizioni contrattuali».

Dunque, diversamente da quanto previsto in precedenza dall'art. 141 d.lgs. n. 163 del 2006 ed ancor prima dall'art. 28, l. n. 109 del 1994, le finalità del collaudo vengono ora espresse all'interno del Codice, non rinviandosi per tale aspetto alla normativa regolamentare, oggi in via di sostituzione con la soft law di cui alle Linee Guida.

Agli accertamenti di conformità, si collega la liquidazione in favore dell'appaltatore del corrispettivo pattuito, prevedendo il primo comma dell'art. 215 d.P.R. n. 207 del 2010 che, ulteriore scopo del collaudo, è quello di «verificare che i dati risultanti dalla contabilità finale e dai documenti giustificativi corrispondano fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a carico dell'esecutore siano state espletate tempestivamente e diligentemente».

Giova precisare che secondo la dottrina prevalente (M. TUCCI, Il Collaudo, in La disciplina delle opere pubbliche, Santarcangelo di Romagna, 2007, 497), tra gli scopi del collaudo non rientra anche quello dell'accertamento dell'idoneità dell'opera al servizio o alla funzione pubblica cui è destinata.

La normativa di riferimento

Inquadrata la collocazione e la finalità dell'istituto, è necessario preliminarmente individuare la normativa di riferimento. L'art. 102 d.lgs. n. 50 del 2016, al comma 8 demanda al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti– su proposta del Consiglio di Stato e sentita l'ANAC – l'adozione di un decreto che disciplini le modalità tecniche di svolgimento del collaudo, nonché i casi in cui il certificato di collaudo dei lavori e quello di verifica di conformità dei servizi e delle forniture possano essere sostituiti dal certificato di regolare esecuzione, prevedendo che, siano alla data di entrata in vigore di detto decreto, dovrà continuare a farsi applicazione di quanto previsto dal d.P.R. n. 207 del 2010 (artt. 215 e ss.).

Allo stato, essendo ancora in fase di definizione lo schema di decreto attuativo, la disciplina del collaudo è il frutto della combinazione tra il “nuovo” art. 102 d.lgs. n. 50 del 2016 ed il “vecchio” Regolamento di esecuzione, le cui disposizioni trovano applicazione in quanto compatibili.

La portata di tale combinazione di testi normativi non è priva di conseguenze, considerando che il d.P.R. n. 207 del 2010 era il testo normativo in cui concretamente era inserita la disciplina del collaudo – ed analogamente avverrà con la emananda soft law – e, dunque, sino a che non entrerà in vigore il decreto del MIT di cui sopra, le regole applicabili al collaudo permarranno per lo più quelle di cui alla disciplina vigente sotto il vecchio Codice.

Infine, degna di nota la circostanza che il decreto correttivo d.lgs. n. 56 del 2017 abbia modificato la rubrica dell'art. 102, riportando oggi la dizione «collaudo e verifica di conformità», in coerenza con la differente terminologia utilizzata nel corpo dell'articolo, ovvero collaudo per i lavori e verifica di conformità per i servizi e le forniture.

La natura del collaudo

Uno degli aspetti maggiormente dibattuti in dottrina e giurisprudenza è quello relativo alla natura giuridica del collaudo. Come già visto, però il collaudo è un procedimento costituito da una serie di atti a carattere diverso tra loro, alcuni dei quali costituiti da semplici operazioni materiali o tecniche; pertanto, allorché si parli di natura giuridica, si deve far riferimento esclusivamente al certificato di collaudo favorevole.

Secondo alcuni, si tratterebbe di una dichiarazione di scienza (D. RUBINO, L'Appalto, in Trattato di Diritto Civile Italiano, Vol. VII, Tomo 3, IV Edizione, Torino, 770), una costatazione tecnica, compiuta a seguito di un apposito atto tecnico, quale è la verifica dell'opera. Anche le dichiarazioni di scienza sono atti giuridici, cioè atti giuridicamente rilevanti, ma non assumono la natura di negozi giuridici, con la conseguente inapplicabilità automatica delle cause di annullabilità ed insuscettibilità di revoca.

Altra parte della dottrina (C. GIANNATTASIO, op. cit., p. 256) qualifica il collaudo quale negozio unilaterale recettizio (art. 1334 c.c.), il quale, dunque, produce i propri effetti giunto a conoscenza dell'appaltatore.

Vi è infine chi ritiene di dover tenere distinto il certificato di collaudo dall'approvazione del collaudo, pur essendo entrambi volti ad accertare la rispondenza dell'opera al contratto ed alle regole dell'arte. Invero, il certificato di collaudo viene definito quale mero atto giuridico unilaterale, da inquadrare tra le dichiarazioni di scienza, in quanto rappresentante solamente il giudizio che il tecnico incaricato esprime in ordine all'esecuzione dell'opera. Diversa sarebbe, invece, la natura dell'approvazione del collaudo (A. CIANFLONE - G. GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, Tomo 2, XII Edizione, Giuffrè Editore, 1760 ss), da ricondurre alla le dichiarazioni di volontà negoziale con efficacia dispositiva, in quanto crea una situazione giuridica nuova, consistente nel vincolo che sorge a carico della Stazione Appaltante, come effetto da questa voluto, escludente la possibilità di un diverso apprezzamento dell'opera.

Collaudo e Certificato di regolare esecuzione

Il certificato di regolare esecuzione sostituisce ed equivale al certificato di collaudo e viene redatto per appalti di limitata entità dal Direttore dei Lavori, con successiva conferma da parte del Responsabile del Procedimento.

L'art. 141 d.lgs. 163 del 2006, al terzo comma, prevedeva che, nel caso di lavori di importo sino a € 500.000, il certificato di collaudo fosse sostituito da quello di regolare esecuzione, mentre per i lavori di importo superiore, ma non eccedente il milione, fosse rimessa alla Stazione Appaltante la scelta in ordine alla sostituzione.

Il d.lgs. n. 50 del 2016 ha parzialmente modificato la disciplina, prevedendo l'art. 102, comma 2 che:

  • Pe ri contratti pubblici di lavori di importo superiore a 1 milione di euro e inferiore alla soglia di cui all'articolo 35 il certificato di collado, nei casi espressamente individuati dal decreto di cui al comma 8, può essere sostituito dal certificato di regolare esecuzione rilasciato per i lavori dal direttore dei lavori.
  • Per i lavori di importo pari o inferiore a 1 milione di euro e per forniture e servizi di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 35, è sempre facoltà della stazione appaltante sostituire il certificato di collaudo o il certificato di verifica di conformità con il certificato di regolare esecuzione rilasciato per i lavori dal direttore dei lavori e per forniture e servizi dal responsabile unico del procedimento

In ogni caso, la portata di tale previsione è tutt'ora limitata, posto che per i contratti di importo superiore a 1 mln di euro, dovrà in ogni caso essere il decreto del MIT – come detto non ancora emanato – ad individuare i casi in cui il certificato di collaudo possa essere sostituito da quello di regolare esecuzione. Conseguenza è che, sino a quando il citato decreto non verrà emanato, per i lavori di importo superiore al milione di euro dovrà necessariamente essere emesso il certificato di collaudo.

Nel caso in cui si possa procedere alla sostituzione, il certificato di regolare esecuzione deve essere emesso non oltre tre mesi dalla data di ultimazione delle prestazioni oggetto del contratto. Seppure sia prevista una procedura semplificata, tale certificato, a norma dell'art. 237 d.P.R. n. 207 del 2010, deve comunque contenere gli stessi elementi previsti dall'art. 229 per il collaudo, atteso che gli effetti dell'emissione sono i medesimi.

I tempi del collaudo

L'art. 102, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, replicando il contenuto dell'art. 141 d.lgs. n. 163 del 2006, prevede che il collaudo finale – o la verifica di conformità – debba aver luogo non oltre sei mesi dall'ultimazione dei lavori o delle prestazioni, salvi i casi di particolare complessità dell'oggetto del collaudo – individuati dal decreto del MIT di cui si è già cennato – in cui il termine può essere elevato sino ad un anno.

Il riconoscimento di un determinato periodo di tempo per procedere al collaudo dell'opera è funzionale ad una specifica ragione di garanzia, ovvero «esperimentare il comportamento dell'opera successivamente al suo compimento» (A. CIANFLONE - G. GIOVANNINI, op. cit., p. 1768).

Dunque, da una parte si vuole tutelare il Committente – consentendogli di verificare la bontà dell'opus – dall'altra il Legislatore intende proteggere gli interessi dell'appaltatore, evitando che il collaudo sia procrastinato sine die, e che dunque ne sia di fatto impedita la liberazione dalle obbligazioni contrattualmente assunte. Vedremo al paragrafo successivo, infatti, quali siano gli obblighi facenti capo all'appaltatore nel periodo che va dall'ultimazione dei lavori all'emissione del certificato di collaudo.

Proprio in considerazione dell'importanza dei tempi in cui deve essere emesso il certificato di collaudo, la giurisprudenza unanimemente afferma che «all'amministrazione è inibito di ritardare sine die le sue determinazioni sul collaudo, in quanto ciò paralizzerebbe per un tempo indeterminato, ed in modo contrario ai principi di buona fede, la realizzazione delle pretese della controparte» (Cass. civ., S.U.,28 ottobre 1995, n. 11312).

Come detto, dunque, il termine generale per l'emissione del certificato di collaudo è di sei mesi, tuttavia nei casi di particolare complessità dell'opera o delle prestazioni da collaudare, questo può essere esteso ad un anno. L'individuazione delle ipotesi in cui è possibile protrarre i tempi di esecuzione del collaudo è rimessa al Decreto del MIT di cui si è già parlato al primo paragrafo e dunque, in attesa della sua emanazione, deve farsi riferimento a quanto previsto dal d.P.R. n. 207 del 2010 (art. 3, comma 1, lett. l) in base al quale «la particolare complessità dell'opera» ai sensi dell'art. 141, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 si ha per le opere e gli impianti caratterizzati dalla presenza in modo rilevante di almeno due dei seguenti elementi:

  1. utilizzo di materiali e componenti innovativi;
  2. processi produttivi innovativi o di alta precisione dimensionale e qualitativa;
  3. esecuzione in luoghi che presentano difficoltà logistica o particolari problematiche geotecniche, idrauliche, geologiche e ambientali;
  4. complessità di funzionamento d'uso o necessità di elevate prestazioni per quanto riguarda la loro funzionalità;
  5. esecuzione in ambienti aggressivi;
  6. necessità di prevedere dotazioni impiantistiche non usuali;
  7. complessità in relazione a particolari esigenze connesse a vincoli architettonici, storico-artistici o conservativi;

Diversamente, nei casi in cui il certificato di collaudo può essere sostituito da quello di regolare esecuzione, il secondo comma dell'art. 102 ne impone l'emissione non oltre tre mesi dall'ultimazione delle prestazioni oggetto del contratto.

Sia il certificato di collaudo, che la verifica di conformità, hanno carattere provvisorio, divenendo definitivi solamente con la decorrenza del termine di due anni dall'emissione. Dopo tale periodo di tempo – posto a garanzia dell'Amministrazione – trascorsi ulteriori due mesi, anche senza un atto formale della Stazione Appaltante, il collaudo si intende tacitamente approvato.

La scansione temporale descritta, in base alla quale il collaudo assume carattere definitivo solamente con il trascorrere di due anni dall'emissione del relativo certificato, riverbera i sui effetti quanto alla responsabilità dell'appaltatore per i vizi dell'opera o delle prestazioni. Di tali aspetti ci si occuperà nei paragrafi 7 e 8.

Il collaudo in corso d'opera

Il collaudo in corso d'opera ha l'obiettivo principale di verificare e certificare i lavori nel corso della loro esecuzione, al fine di consentire alla Stazione appaltante il dovuto controllo sull'andamento e, soprattutto, di verificare quelle lavorazioni che non risulterebbero più ispezionabili a lavori ultimati.

Il d.lgs. n. 50 del 2016 tratta del collaudo in corso d'opera prevedendolo solamente per i lavori di cui al Capo III, ossia per gli «Appalti nel settore dei beni culturali», sempre che non sussistano le condizioni per il rilascio del certificato di regolare esecuzione. Nessuna indicazione viene, invece, fornita con riguardo ai cd. settori ordinari e ciò differentemente da quanto previsto dall'art. 141 del vecchio Codice. Riteniamo, tuttavia che, essendo rimasto in vigore il d.P.R. n. 207 del 2010 – in attesa dell'emanazione del decreto del MIT – sia tutt'ora configurabile il collaudo in corso d'opera nelle ipotesi previste dall'art. 215, comma 4 del Regolamento di esecuzione, ovvero:

a) quando la direzione dei lavori sia stata affidata ai sensi dell'art. 130, comma 2, lettere b), c) del d.lgs. n. 163 del 2006, ossia qualora le Amministrazioni aggiudicatrici non possano espletare l'attività di direzione dei lavori e venga affidata ad altre Amministrazioni pubbliche (lett. b), ovvero al progettista esterno incaricato (lett. c);

b) in caso di lavoro di particolare complessità di cui all'art. 236 d.P.R. n. 207 del 2010, ovvero allorché le componenti architettonica e/o strutturale e/o impiantistica siano non usuale e di particolare rilevanza;

c) nel caso di intervento affidato in concessione, nonché con dialogo competitivo o mediante locazione finanziaria;

d) nel caso di intervento affidato ai sensi dell'art. 53, comma 2, lett. b), c) d.lgs. n. 163 del 2006, ovvero nelle ipotesi in cui oggetto del contratto fosse la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo dell'amministrazione aggiudicatrice (lett. b), oppure nel caso in cui la gara avesse ad oggetto la presentazione di un progetto definitivo, predisposto sulla base di un progetto preliminare, e poi costituisse oggetto del contratto il progetto esecutivo e l'esecuzione dei lavori (lett. c).

e) nel caso di opera o lavoro comprendenti significative e non abituali lavorazioni non più ispezionabili in sede di collaudo finale. A tale previsione si collega quanto dettato dal capitolo 9 del D.M. 14 gennaio 2008 secondo cui il cd. collaudo statico «tranne casi particolari, va eseguito in corso d'opera quando vengono posti in opera elementi strutturali non più ispezionabili, controllabili e collaudabili a seguito del proseguire della costruzione».

f) nei casi di aggiudicazione con ribasso d'asta superiore alla soglia di anomalia determinata ai sensi delle vigenti disposizioni.

È evidente che la questione sarà meglio chiarita solo con l'emanazione del decreto del MIT di cui al comma 8 dell'art. 102.

Il ritardo nel collaudo

Dalla stipula del contratto d'appalto, a carico dell'appaltatore sorge, non solo l'obbligazione relativa alla realizzazione dell'opera secondo le prescrizioni contrattuali e le regole dell'arte, ma anche quella di manutenzione e custodia di quanto eseguito, la quale, ovviamente, deve trovare adeguata remunerazione nel corrispettivo d'appalto.

A tal proposito, infatti, l'art. 32, comma 4, lett. n) d.P.R. n. 207 del 2010 affermava che tra le spese generali comprese del prezzo dei lavori dovessero essere previste quelle per la custodia e la buona conservazione delle opere fino all'emissione del certificato di collaudo provvisorio o all'emissione del certificato di regolare esecuzione. Anche in questo caso, in assenza di previsioni in tal senso nel d.lgs. n. 50 del 2016 – sempre in attesa del decreto del MIT – deve continuare a farsi applicazione della norma citata di cui al Regolamento di Esecuzione.

Detto che il prezzo dell'appalto comprende i costi di custodia e manutenzione delle opere sino all'emissione del certificato di collaudo provvisorio, nel caso in cui questo non intervenga nel termine di legge di sei mesi dall'ultimazione dell'opera, l'appaltatore si troverà esposto a maggiori oneri non compensati dal corrispettivo contrattuale. Da qui il diritto dell'appaltatore a vedersi riconosciuto un compenso extra, ulteriore a quello contrattuale, volto proprio a compensare gli oneri illegittimamente sostenuti, dei quali non fanno parte esclusivamente quelli connessi alla custodia ed alla manutenzione del bene (Al riguardo, la Cass. civ., sent., 28 maggio 2015, n. 11889, ha affermato che «in tema di appalti di opere pubbliche, l'appaltatore ha diritto di essere compensato per l'attività di vigilanza e custodia dell'opera solo nel caso in cui si provi un ritardo imputabile alla P.A. nel dare inizio al collaudo nel termine fissato dal capitolato speciale d'appalto, mentre, per tutta la durata dei lavori e fino alla scadenza del termine per lo svolgimento del collaudo, tale attività resta a carico dell'impresa, formando oggetto di un obbligo generale, la cui remunerazione è compresa nel corrispettivo dell'appalto»).

Sempre in tema di custodia, importante sottolineare che la responsabilità dell'appaltatore, a prescindere dal collaudo, viene meno allorché si proceda alla consegna anticipata dell'opera, mediante la quale si trasferiscono al Committente, sia il possesso, sia il conseguente onere di custodia (In applicazione di detto principio, la Cass. civ., sent., 16 aprile 2014, n. 8874 ha ritenuto esente da responsabilità l'appaltatore con riferimento agli atti vandalici subiti dall'opera pubblica in epoca successiva alla redazione del verbale di ultimazione dei lavori, con liquidazione del saldo e consegna delle chiavi, nonché all'esecuzione del collaudo, ma prima che fosse emesso il certificato).

Prevede poi l'art. 103 d.lgs. n. 50 del 2016 che per la sottoscrizione del contratto, l'appaltatore deve costituire una garanzia, denominata «garanzia definitiva», sotto forma di cauzione o di fideiussione, pari al 10% dell'importo contrattuale. Il comma 5 dell'articolo prevede che detta garanzia sia progressivamente svincolata con l'avanzare delle lavorazioni, sino al limite massimo dell'80% dell'importo iniziale garantito e che il residuo 20% debba permanere «fino alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione, o comunque fino a dodici mesi dalla data di ultimazione dei lavori risultante dal relativo certificato».

Ovviamente, la stipula di tali garanzie rappresenta un costo per l'appaltatore, il quale, superato il termine di legge di sei mesi per il collaudo delle opere, si troverà esposto alla sopportazione di maggiori e non dovuti oneri; ne consegue che qualora il ritardo nel collaudo sia imputabile alla responsabilità della Stazione Appaltante, questa dovrà essere chiamata a corrispondere all'appaltatore i costi illegittimamente sopportati.

La procedura di collaudo

Come più volte rappresentato, il termine collaudo indica l'insieme di una serie di operazioni, alcune delle quali vengono qualificate in termini di atti giuridici, mentre altre quali mere operazioni materiali, propedeutiche all'emissione del certificato di collaudo. Necessario, dunque, analizzare partitamente i singoli atti di cui il procedimento di compone.

(Segue). 1) La nomina dei collaudatori

Atto iniziale della procedura di collaudo è ontologicamente la nomina dei collaudatori. A tal proposito il comma 6 dell'art. 102 d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che per effettuare le attività di collaudo sull'esecuzione dei contratti pubblici, le Stazioni Appaltanti debbano nominare «da uno a tre componenti con qualificazione rapportata alla tipologia e caratteristica del contratto, in possesso dei requisiti di moralità, competenza e professionalità, iscritti all'albo dei collaudatori nazionale o regionale di pertinenza».

La disciplina è completata dall'individuazione da parte del successivo comma 8 dei soggetti cui non possono essere affidati incarichi di collaudo o di verifica di conformità, ovvero:

a)magistrati ordinari, amministrativi e contabili; avvocati e procuratori dello Stato, in attività di servizio e, per appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria di cui all'articolo 35, anche quelli in quiescenza nella regione/regioni ove è stata svolta l'attività di servizio;

b) dipendenti appartenenti ai ruoli della pubblica amministrazione in servizio, ovvero in trattamento di quiescenza per appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria di cui all'articolo 35, ubicati nella regione/regioni ove è svolta per i dipendenti in servizio, ovvero è stata svolta per quelli in quiescenza, l'attività di servizio;

c) coloro che nel triennio antecedente hanno avuto rapporti di lavoro autonomo o subordinato con gli operatori economici a qualsiasi titolo coinvolti nell'esecuzione del contratto;

d) coloro che hanno, comunque, svolto o svolgono attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione sul contratto da collaudare;

d-bis) coloro che hanno partecipato alla procedura di gara.

Nel caso in cui oggetto d'appalto sia la realizzazione di una “struttura”, deve essere svolto anche il cd. collaudo statico – avente ad oggetto «il giudizio sul comportamento e le prestazioni delle parti dell'opera che svolgono funzione portante» (capitolo 9, D.M. 18 gennaio 2008) – il cui collaudatore, a norma del comma 6 dell'art. 102, deve essere individuato tra i dipendenti della Stazione Appaltante, ovvero tra i dipendenti di altre amministrazione, potendosi l'Amministrazione rivolgersi a soggetti esterni solamente in caso di accertata carenza di organico. In tali casi, il collaudatore è selezionato con le procedure di gara previste dal Codice, come previsto dall'art. 31, comma 8.

(Segue). 2) L'avviso ai creditori e la trasmissione della documentazione

Nominati i collaudatori, preliminare all'avvio della procedura di collaudo vera e propria, è la pubblicazione nei Comuni nel cui territorio sono eseguiti i lavori – a cura del Sindaco, su impulso del RUP – di un avviso contenente l'invito per coloro i quali vantino crediti nei confronti dell'appaltatore per indebite occupazioni di aree o stabili, ovvero in ragione di danni arrecati nell'esecuzione dei lavori, a presentare nel termine di 60 gg. le ragioni dei propri crediti, corredate da idonea documentazione.

Trascorso detto termine, il Sindaco trasmette al RUP i risultati dell'avviso, il quale inviterà l'impresa a soddisfare i crediti eventualmente riconosciuti, rimettendo poi al collaudatore quanto ricevuto, corredato del proprio parere in merito a ciascun titolo di credito e, se del caso, delle prove delle avvenute tacitazioni.

Per l'avvio delle operazioni, il RUP deve trasmettere all'organo di collaudo tutta la documentazione relativa all'appalto come dettagliatamente indicata all'art. 217, comma 1,d.P.R. n. 207 del 2010. In ogni caso, ferma la responsabilità dell'organo di collaudo nel custodire gli originali ricevuti, il RUP è tenuto a duplicare la documentazione ed a custodirne copia conforme (comma 4). Oltre a quanto previsto dal comma 1, l'organo di collaudo può chiedere al RUP o al D.L. altra documentazione ritenuta necessaria o utile per l'espletamento dell'incarico.

(Segue). 3) Le visite di collaudo

Acquisita la documentazione, ed accertatane la completezza, il collaudatore fissa il giorno della visita di collaudo, dandone comunicazione al RUP ed al D.L., il quale, a sua volta, ne informa l'esecutore, il personale incaricato della sorveglianza e della contabilità dei lavori e, ove necessario, gli eventuali incaricati dell'assistenza giornaliera dei lavori, affinché possano tutti partecipare alle visite di collaudo.

A tutela dell'appaltatore, qualora questo non intervenga alle visite di collaudo – seppure tempestivamente informato – il comma 2 dell'art. 222 prescrive che le stesse si svolgano alla presenza di due testimoni estranei alla Stazione appaltante. Diversamente, qualora non siano presenti gli altri soggetti invitati, le operazioni di collaudo possono svolgersi normalmente, senza alcuna prescrizione ulteriore, dovendosi in ogni caso riportare nel processo verbale l'eventuale assenza di questi (co. 3). Il Direttore dei Lavori, al contrario, deve necessariamente partecipare alle visite di collaudo.

Durante la visita (o le visite) di collaudo, si procede all'ispezione tecnica dell'opera da parte dell'organo di collaudo, che ne verifica l'esecuzione in conformità con le regole della tecnica, nonché con le prescrizioni di legge e contrattuali. Pertanto, il collaudatore effettua ogni indagine che ritenga opportuna ai fini dell'accertamento della conformità di quanto realizzato dall'appaltatore.

Oltre agli accertamenti tecnici, al collaudatore è demandato anche il controllo della contabilità d'appalto, tant'è che l'art. 226 prevede che in caso di discordanza tra lo stato di fatto riscontrato e gli atti contabili, è necessario estendere le verifiche «al fine di apportare le opportune verifiche nel conto finale». L'articolo aggiunge al secondo comma che, in caso di gravi discordanze, le operazioni di collaudo debbano essere sospese, e che il collaudatore deve riferire quanto riscontrato al RUP, presentando le proprie proposte in merito. Il RUP, a sua volta, dovrà trasmettere all'appaltatore quanto ricevuto.

Per quel che concerne lo svolgimento del collaudo, l'art. 224, d.P.R., n. 207 del 2010 impone all'esecutore dei lavori di mettere a disposizione del collaudatore, a propria cura e spese, operai e mezzi necessari ad eseguire le operazioni e le ispezioni, ponendo altresì a carico dello stesso tutto quanto necessario a ristabilire le parti di lavoro che dovessero eventualmente alterarsi nell'esecuzione delle verifiche. Qualora l'appaltatore non adempia alla prescrizione, l'organo di collaudo procede d'ufficio, disponendo che le operazioni siano eseguite «in danno all'esecutore», deducendo le spese che si rendano necessarie dal credito da questo vantato nei confronti del Committente.

Sempre a carico dell'esecutore sono poste le spese per la visita del personale della Stazione appaltante effettuata al fine di accertare l'avvenuta eliminazione delle eventuali mancanze riscontrate dal collaudatore, nonché quelle per le ulteriori operazioni di collaudo che si dovessero rendere necessarie per i difetti o le mancanze dell'opus.

Di ciascuna visita di collaudo deve essere redatto un processo verbale, nel quale, a norma dell'art. 223, comma 1,D.P.R. n. 207 del 2010 devono essere riportati:

a) gli estremi del provvedimento di nomina dell'organo di collaudo;

b) il giorno della visita di collaudo;

c) le generalità degli intervenuti alla visita e di coloro che, sebbene invitati, non sono intervenuti.

Nel verbale, il collaudatore deve inoltre descrivere i rilievi fatti, le singole operazioni e le verifiche compiute, il numero e la profondità dei saggi ottenuti, nonché dei risultati ottenuti. Il verbale viene poi firmato da tutti i soggetti intervenuti.

I risultati delle visite di collaudo

Eseguite le visite ritenute necessarie, l'organo di collaudo provvede (art. 225 d.P.R. n. 207 del 2010) a raffrontare i dati risultanti dai relativi verbali con quelli di cui al progetto, alle eventuali varianti approvate, nonché con i documenti contabili, redigendo all'esito un'apposita relazione contenente le proprie considerazioni sul modo con cui l'impresa ha osservato le prescrizioni contrattuali e le disposizioni impartite dal D.L. In tale relazione, deve essere esposto in modo particolareggiato, anche sulla scorta dei pareri del RUP:

a) se il lavoro sia o no collaudabile;

b) a quali condizioni e restrizioni si possa collaudare;

c) i provvedimenti da prendere qualora non sia collaudabile;

d) le modificazioni da introdursi nel conto finale;

e) il credito liquido dell'esecutore.

Ovviamente il collaudatore potrà evidenziare ogni altro aspetto rilevante ai fini dell'andamento dei lavori e della collaudabilità dell'opera.

Accanto a questa relazione, il medesimo art. 225, all'ultimo comma, ne prevede un'altra, a carattere riservato, con la quale il collaudatore è tenuto ad esporre il proprio parere sulle riserve e sulle domande dell'appaltatore, nonché sulle eventuali penali applicate dalla Committente, in ordine alle quali non sia già intervenuta una risoluzione definitiva (La relazione a cui il collaudatore è obbligato dall'art. 225, comma 1 per esprimere – tra l'altro – le sue deduzioni, tanto sul modo con cui furono eseguiti i lavori e le prescrizioni contrattuali quanto sulle modificazioni da introdursi nel conto finale e nella sua definitiva consistenza, deve tenersi nettamente distinta, sia sul piano dell'attività accertativa che su quello probatorio, da quella, di cui al comma 3 dello stesso art. 225 e non è idonea ad acquistare neppure il limitato valore indiziario dell'altra).

Importante sottolineare che, stante il carattere riservato, la relazione è redatta nell'esclusivo interesse dell'Amministrazione, con la conseguenza che è sottratta all'accesso dall'art. 53, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, e l'appaltatore non potrà richiedere la produzione in giudizio (In proposito, il Consiglio di Stato, con la sentenza resa dall'Adunanza Plenaria n. 11 del 13 settembre 2007, ha affermato che «Le relazioni del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell'impresa hanno la finalità di offrire alla stazione appaltante il resoconto delle vicende relative all'esecuzione dei lavori appaltati, il che evidenzia come esse non rispondano all'interesse di ambedue le parti ma a quello esclusivo dell'amministrazione che si opponga alle richieste dell'appaltatore».).

(Segue). Esito sfavorevole del collaudo

Partiamo con l'analizzare l'ipotesi in cui l'organo di collaudo, nel corso delle visite, accerti difetti e mancanze di poca entità e riparabili in breve tempo. In questi casi, l'art. 227 d.P.R. n. 207 del 2010 prevede che l'organo debba prescrivere all'esecutore le lavorazioni da eseguire, assegnando all'uopo un certo temine. In tali ipotesi, ovviamente, il certificato di collaudo non potrà essere rilasciato sino a che dall'apposita dichiarazione del D.L., confermata dal RUP, risulti che le lavorazioni prescritte siano state eseguite completamente e regolarmente, fermo restando che il collaudatore potrà comunque decidere di procedere in proprio alla verifica dell'adempimento di quanto impartito.

Qualora l'appaltatore si rifiuti di eseguire le prescrizioni del collaudatore, le lavorazioni sono eseguite direttamente dalla Stazione Appaltante in danno, detraendo i relativi costi dalla rata di saldo spettante all'appaltatore. L'esecutore, in caso di disaccordo, ove voglia far valere le proprie pretese, non può limitarsi a non ottemperare alle prescrizioni del collaudatore, ma dovrà iscrivere riserva nel verbale di visita o nel certificato di collaudo, deducendo in modo analitico e dettagliato i motivi del dissenso.

Altra ipotesi è quella disciplinata dal successivo art. 228, ovvero il caso in cui l'organo di collaudo riscontri lavorazioni la cui esecuzione non sia stata autorizzata. Ebbene, la norma prevede che ove tali lavorazioni siano considerate meritevoli di collaudo, previo parere vincolante della Stazione Appaltante, possano ammettersi in contabilità se ritenute indispensabili per l'esecuzione dell'opera e se l'importo complessivo di questa, anche per effetto dei lavori non autorizzati, non ecceda i limiti delle spese approvate.

Importante sottolineare come l'eventuale riconoscimento delle lavorazioni non autorizzate da parte del RUP, in ogni caso non esonera il Direttore dei Lavori ed il personale incaricato, dalla responsabilità nei confronti della Stazione Appaltante per aver ordinato – o quanto meno lasciato eseguire – tali opere aggiuntive. In tali casi, deve infatti ritenersi che il D.L. abbia operato come falsus procurator nel disporre lavori extra-contratto, con la conseguenza che potrà essere chiamato personalmente ad indennizzare l'appaltatore ai sensi dell'art. 1398 c.c. (cfr. Cass. civ., sent., 23 ottobre 2008, n. 25620)

Diversamente, qualora non vi siano i presupposti per la contabilizzazione, l'organo di collaudo deve sospendere il rilascio del certificato di collaudo e riferire in tal senso al RUP, proponendo altresì l'adozione dei provvedimenti ritenuti adeguati. A sua volta il RUP, trasmette una relazione correlata dalle proposte del collaudatore e da un proprio parere alla Stazione Appaltante, la quale entro 30 gg. dal ricevimento deve adottare la deliberazione finale.

(Segue). 2) Esito favorevole: il certificato di collaudo

Qualora l'organo di collaudo ritenga collaudabile l'opera emetterà il certificato di collaudo, il quale deve contenere (art. 229) una relazione che ripercorra l'intera vicenda dell'appalto, a partire dalla fase di progettazione (lett. a), il richiamo ai verbali di visita, sia finali che quelli eventuali in corso d'opera (lett. b-c), la sintesi delle valutazioni dell'organo di collaudo in ordine alla collaudabilità dell'opera (lett. d), ed ovviamente la certificazione di collaudo (lett. e).

Molto importante è il contenuto della certificazione, la quale:

a) riassume per sommi capi il costo del lavoro indicando partitamente le modificazioni, le aggiunte, le deduzioni al conto finale;

b) determina la somma da porsi a carico dell'esecutore per danni da rifondere alla stazione appaltante per maggiori spese dipendenti dalla esecuzione d'ufficio in danno o per altro titolo; la somma da rimborsare alla stessa stazione appaltante per le spese sostenute per i propri addetti ai lavori, oltre il termine convenuto per il compimento degli stessi;

c) dichiara, fatte salve le rettifiche che può apportare l'ufficio in sede di revisione, l'importo a saldo da liquidare all'esecutore;

d) attesta la collaudabilità dell'opera o del lavoro con le eventuali prescrizioni.

Una volta emesso, il certificato di collaudo deve essere trasmesso all'esecutore, il quale deve firmarlo per accettazione nel termine di 20 gg. Qualora questo non dovesse concordare relativamente ad alcune decisioni assunte dal collaudatore, è tenuto a sottoscrivere il certificato di collaudo con riserva. Diversamente, nel caso in cui l'appaltatore non sottoscriva il certificato, ovvero non provveda a formulare le proprie richieste e contestazioni sotto forma di riserva – e dunque con tutte le prescrizioni di legge previste – le risultanze del collaudo si avranno per accettate.

Quanto alle contestazioni dell'appaltatore, è bene sottolineare come sul certificato di collaudo potranno essere apposte esclusivamente quelle riserve che abbiano a che fare con le risultanze delle operazioni di collaudo, non potendosi inserire in questa sede le contestazioni che, al contrario, avrebbero dovuto trovare spazio nel registro di contabilità o, al più tardi, nel conto finale. Ed ancora, sempre rimanendo in tema di riserve, tutte quelle progressivamente iscritte nel registro di contabilità, per non essere considerate come rinunciate dall'appaltatore, devono essere necessariamente riportate nel Conto Finale, non potendosi sopperire a tale omissione attraverso la ricapitolazione sul Certificato di collaudo. Del pari ed al contrario, l'appaltatore non sarà tenuto a confermare in tale sede le riserve già riportate sul Conto Finale, proprio in quanto nel certificato di collaudo possono trovare spazio esclusivamente le contestazioni e le richieste relative al collaudo.

Sulle riserve apposte dall'appaltatore l'organo di collaudo riferisce al RUP, formulando le proprie considerazioni ed indicando eventuali nuove visite ritenute opportune.

Effetto dell'emissione del certificato di collaudo provvisorio – o di quello di regolare esecuzione – è lo svincolo dell'ammontare residuo della cauzione definitiva, svincolo che, in ogni caso, a norma dell'art. 103 d.lgs. n. 50 del 2016 dovrà avvenire anche in mancanza di collaudo, decorsi 12 mesi dalla data di ultimazione dei lavori.

L'approvazione del collaudo

In ogni caso, a prescindere dall'eventuale apposizione di riserve dell'appaltatore, l'organo di collaudo, esaurite le attività prescritte, tramette al RUP tutti i documenti ricevuti per l'espletamento dell'incarico, unendovi a) i verbali di visita; b) la dichiarazione del direttore dei lavori attestante l'esito delle prescrizioni ordinate dall'organo di collaudo; c) il certificato di collaudo; d) l'eventuale relazione riservata relativa alle riserve e alle richieste formulate dall'esecutore nel certificato di collaudo.

Acquisita la documentazione ed esaminato l'operato dell'organo di collaudo – eventualmente richiedendo appositi pareri – il RUP effettua la revisione contabile degli atti e delibera entro 60 gg. sull'ammissibilità del certificato di collaudo, sulle domande dell'appaltatore e sui risultati degli avvisi ai creditori.

Premesso che il termine per l'approvazione del collaudo previsto dalla legge è di 60 gg. dalla trasmissione della documentazione da parte dell'organo di collaudo, importante verificare quali siano le conseguenze in caso di inadempimento della Stazione Appaltante. Difatti, tale prescrizione deve essere letta in combinato con quanto previsto dal comma 3 dell'art. 102 d.lgs. 50 del 2016 (già art. 141, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006), ovvero che decorsi due anni dall'emissione, il certificato di collaudo – o la verifica di conformità – si intende tacitamente approvato «ancorché l'atto formale di approvazione non sia stato emesso entro due mesi dalla scadenza del medesimo termine».

Pertanto, anche nel caso in cui l'Amministrazione non provveda nel termine di legge all'approvazione del certificato di collaudo provvisorio, è previsto a favore dell'appaltatore che, in ogni caso, trascorsi complessivamente 26 mesi (2 anni + 2 mesi) il collaudo assumerà automaticamente carattere definitivo. Tuttavia, il termine di 60 gg. imposto alla Stazione Appaltante per l'approvazione del collaudo non può considerarsi meramente ordinatorio, posto che la mancata osservanza legittima l'appaltatore ad adire la via giurisdizionale per la liberazione dalle residue garanzie, quali la fideiussione prestata in sede di pagamento della rata di saldo e delle ritenute a garanzia operate sull'importo netto progressivo delle prestazioni ai sensi dell'art. 30, comma 5-bis, d.lgs. 50 del 2016. In particolare, all'appaltatore spetterà il risarcimento dei costi sostenuti per il prolungamento della polizza fideiussoria stipulata, nonché gli interessi sul ritardato svincolo delle ritenute a garanzia.

Gli effetti dell'approvazione del collaudo

Come già detto, solamente con l'approvazione del collaudo da parte dell'Amministrazione si avrà la definitiva liberazione dell'appaltatore nei confronti della Stazione Appaltante, integrandosi il riconoscimento e la conformità dell'opera alle regole dell'arte, nonché alle prescrizioni di contratto. Con l'approvazione del collaudo, si determina, dunque, la preclusione per l'Amministrazione a far valere in seguito vizi e difformità dell'opera.

Tuttavia, tale effetto liberatorio, non può considerarsi pieno ed assoluto, rimanendo ferma, in ogni caso, la garanzia per i vizi di cui all'art. 1669 c.c. – per come richiamato dall'art. 102, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 e dall'art. 235, comma 1,d.P.R. n. 207 del 2010 – nonché quella per le difformità ed i vizi non conosciuti e non riconoscibili in sede di verifica ai sensi dell'art. 1667 c.c.

Trattasi, invero, di norme dettate con riguardo agli appalti tra privati, la cui operatività, tuttavia, non può essere esclusa allorché venga in applicazione il regime pubblicistico, non rinvenendosi tra nella disciplina di settore alcuna previsione derogatoria. Necessario sottolineare l'importanza del collaudo ai fini della decorrenza della garanzia per i vizi dell'opera. In particolare, anche nel caso in cui la Stazione Appaltante proceda alla presa in consegna dell'opera prima che questa venga collaudata, il termine per far valere i difetti di esecuzione dell'appalto decorrono non dalla loro scoperta materiale, ma in ogni caso dal collaudo dell'opera. Afferma, infatti, la Corte di Cassazione (da ultimo Cass. civ., sent., 27 gennaio 2017, n. 1509) che alla consegna dell'opera pubblica prima del collaudo non è applicabile la presunzione di cui all'art. 1665, comma 4 c.c. «giacché la consegna di un'opera siffatta non può che intendersi attuata con riserva di verifica, essendo il solo collaudo l'atto formale indispensabile ai fini dell'accettazione dell'opera stessa da parte della pubblica amministrazione». Ne deriva, dunque, che relativamente alle opere pubbliche, la garanzia per l'esperimento dei rimedi di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., «spiega la propria efficacia solo dopo l'approvazione del collaudo, secondo le forme rituali e nell'adempimento prescritto, in via imperativa, dalla legge» (Cass. Civ., sent., 20 dicembre 2016 n. 26338).

Dunque, la disciplina relativa ai vizi dell'opera e, dunque, dell'ampiezza della garanzia cui è tenuto a rispondere l'appaltatore per i difetti dell'opus è la medesima, sia che si tratti di appalto tra privati, sia che venga in rilievo la disciplina dell'evidenza pubblica.

L'unica differenza attiene alla garanzia per i vizi e le difformità prima dell'approvazione del collaudo, con riguardo ai quali l'art. 102, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 – e prima l'art. 141, comma 10, d.lgs. n. 163 del 2006 – afferma che l'appaltatore ne risponde ancorché questi siano riconoscibili. Dunque, mentre nell'appalto tra privati, per integrarsi la garanzia di cui all'art. 1667 c.c. deve trattarsi di difformità e vizi non conosciuti o non riconoscibili al momento del collaudo, nell'ambito degli appalti pubblici, fintanto che il collaudo non assuma carattere definitivo, l'appaltatore potrà essere in ogni caso chiamato a rispondere dei vizi, anche se conosciuti o riconoscibili dal collaudatore.

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