Coordinatore genitoriale: il compenso è a carico di entrambi i genitori
20 Dicembre 2017
Massima
Nel provvedimento che dispone l'affidamento condiviso del minore, al fine risolvere i conflitti che insorgono tra i genitori, può ricorrersi, per un periodo limitato di tempo, a una figura professionale esterna, il coordinatore genitoriale, con compiti di sostegno, mediazione e vigilanza, il cui compenso è a carico di entrambi i genitori, da ripartirsi secondo le quote stabilite per le spese straordinarie. Il caso
X e Y sono genitori, coniugati, di due minori, nati rispettivamente nel 2003 e nel 2008. Il matrimonio fallisce a causa della relazione extraconiugale del marito, cui è addebitata la separazione. In punto di affidamento, il padre lamenta che la madre ostacola la sua relazione con i figli e la madre chiede, sia pure nell'ambito dell'affidamento condiviso, un regime di visite restrittivo. Il Tribunale, per una più accurata verifica delle competenze genitoriali, dispone un'indagine dei servizi sociali e una consulenza tecnica, dalla quale emerge che entrambi i genitori sono capaci di gestire la relazione con i figli, ma non la conflittualità tra di loro, già presente nella fase della convivenza ed esplosa dopo la separazione. La questione
La questione è ricorrente nelle vicende della crisi coniugale o comunque del rapporto di coppia: i genitori sono legati ai figli, e riescono nel rapporto individuale tra genitore e figlio ad essere all'altezza degli impegnativi compiti parentali; non riescono però a gestire la conflittualità specie quando, come nel caso in questione, il rapporto di coppia è terminato traumaticamente. Ciò comporta il venir meno di quella capacità di concordare le scelte nell'interesse del minore, che in regime di affidamento condiviso è uno dei doveri primari imposti ai genitori dall'art. 337-ter c.c.. Inoltre, in questo caso, sebbene la madre garantisca ai figli una maggiore stabilità e sicurezza psicologica, tende ad ostacolare il rapporto tra il padre ed i figli, limitando di fatto i contatti con il padre e ponendo ostacoli a una regolare frequentazione dei minori con la famiglia paterna. Le soluzioni giuridiche
La conflittualità tra genitori non è di per sè ostativa all'applicazione dell'affidamento condiviso (Cass. civ., sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21591; Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2014, n. 7477); tuttavia essa rende difficile la comunicazione tra le parti e la condivisione delle scelte, che deve invece connotare questo regime di affidamento (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1777). Così, una volta concluso il processo in sede di cognizione, disponendo l'affidamento condiviso della prole, il problema si sposta in sede di attuazione, con innumerevoli ricorsi ex art. 709-ter c.p.c. o anche richieste di modifica delle condizioni di affidamento, che nascono dalla incapacità dei genitori di trovare quel pieno consenso di gestione che l'affidamento condiviso richiede. Inoltre, i rancori non sopiti che nutrono la conflittualità spesso trovano sfogo, da parte del genitore che vive con i figli, in comportamenti di ostacolo al diritto di vista. L'ordinamento in questo caso prevede delle misure di coercizione indiretta, previste dall'art. 709-ter c.p.c., ma talora l'applicazione di queste sanzioni può non essere sufficiente. Questo è quanto afferma la giurisprudenza della Corte EDU che rimarca il dovere dello Stato di predisporre un "adeguato arsenale" di misure idonee a garantire il diritto di visita del genitore non convivente con la prole minorenne. Misure che non possono essere né stereotipate né automatiche; e la Corte di Strasburgo ricorda che, oltre all'imposizione delle sanzioni, è appropriato il ricorso alla mediazione o comunque a strumenti idonei a facilitare la collaborazione tra le parti (Corte EDU, 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli c. Italia; Corte EDU, 15 settembre 2016, Giorgioni c. Italia). Questo, in sintesi, il quadro problematico che si è presentato all'attenzione del Tribunale di Mantova, che per risolverlo ricorre - come vuole la Corte di Strasburgo- ad una pluralità di strumenti. Il Tribunale applica una sanzione alla madre che ha ostacolato il diritto di visita, condannandola al risarcimento del danno in favore del padre nella misura di euro 1.000,00 ammonisce entrambi i genitori e ricorre altresì ad uno strumento di mediazione che da qualche tempo si è affermato nella prassi dei tribunali italiani: il coordinatore genitoriale, qui chiamato anche educatore professionale. Si tratta di una figura i cui compiti sono modellati caso per caso nel provvedimento giudiziale, ma il cui intervento presuppone, almeno di regola, un previo consenso delle parti o quantomeno una loro disponibilità a collaborare con l'educatore. Questo consenso non sembra esservi nel caso di specie, perché il Tribunale ammonisce i genitori a collaborare con il coordinatore e rende disposizioni assai dettagliate, incaricando un professionista esterno di monitorare l'andamento dei rapporti genitori/figli, intervenendo a sostegno in funzione di mediazione; di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando sulla osservanza del calendario delle visite ed assumendo al riguardo le opportune decisioni (nell'interesse dei figli) in caso di disaccordo; ed infine di redigere una relazione da trasmettere al giudice tutelare, organo preposto dalla legge per vigilare sulle condizioni di affidamento della prole. Le spese dell'intervento di questo mediatore/ educatore sono poste a carico degli stessi genitori, da ripartire nella misura prevista per le spese straordinarie da sostenere nell'interesse della prole. Osservazioni
La coordinazione genitoriale, teorizzata dalla psicologa statunitense Debra K. Carter, ha come obiettivo quello di "educare" i genitori affinché evitino il ricorso al giudice, così abbassando i costi delle separazioni ed evitando di gravare sul sistema giustizia. Sebbene costituisca una pratica di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) presenta una rilevante differenza con la mediazione, perché mentre il ricorso al mediatore è volontario -anche se può essere sollecitato dal giudice- ed i suoi poteri trovano fonte nella volontà delle parti, la figura professionale del coordinatore/educatore trova la propria fonte e giustificazione dei suoi poteri nel provvedimento giudiziale. Nonostante questo, di regola si fa ricorso ad una attività di moral suasion -spesso operata dai servizi sociali- per convincere i genitori ad accettare l'intervento del coordinatore. Inoltre, nella prassi della giurisprudenza italiana, non sempre si nomina un professionista esterno, che le parti devono retribuire. Nel primo precedente edito in questa materia (Trib. Civitavecchia, 20 maggio 2015) il coordinatore genitoriale è stato individuato nella persona di un assistente sociale del servizio pubblico, e quindi a costo zero. Nella soluzione adottata dal Tribunale di Mantova le spese di "rieducazione" dei genitori sono considerate spese straordinarie da sostenere nell'interesse dei minori e come tali ripartite. Questa soluzione amplia certamente il concetto di spese straordinarie come finora classificate dalla Suprema Corte e cioè come quelle spese che per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita della prole, considerato anche il contesto socioeconomico in cui quest'ultima è inserita e che -di regola- non necessitano di preventiva concertazione, salva la verifica del giudice qualora si tratti di spese spropositate o irragionevoli (Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9372; Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2015, n. 11894; Cass. civ., sez. VI, 21 settembre 2017, n. 22029; Cass. civ., 23 febbraio 2017, n. 4753). Guida all'approfondimento
- D. K. Carter, Coordinazione genitoriale: una guida pratica per i professionisti del diritto di famiglia, (a cura di) S. Mazzoni, Milano, 2014 ; - P. Paleari, Nessun rimborso delle spese extra se sussistono validi motivi di dissenso, in dirittoegiustizia.it. |