Va dichiarata in sede di partecipazione la risoluzione disposta in danno del concorrente, indipendentemente dalla natura bonaria o amichevole della stessa

Alessandro Balzano
Marco Mesca
21 Dicembre 2017

A mente del combinato disposto dell'art. 38, comma 1, lett. d) e dell'art. 38, comma 2, d.Lgs. 163/2006, la dichiarazione mendace del conncorrente in merito alle pregresse risoluzioni contrattuali disposte nei suoi confronti è una ragione autonoma – e sufficiente - per disporne l'esclusione dalla procedura, a prescindere dalla qualificazione della natura - “bonaria” o “amichevole” – della risoluzione “taciuta”.

Il Caso. Il T.A.R. Calabria – Catanzaro, con la sentenza n. 35 del 11 gennaio 2017, aveva accolto il ricorso incidentale della contrinteressata dichiarando che il concorrente, odierno appellante, avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per non aver dichiarato una pregeressa risoluzione contrattuale disposta da una diversa stazione appaltante.

Con la sentenza in commento, nel confermare la decisione del Collegio calabrese, il Consiglio di Stato ha aderito al prevalente orientamento secondo cui il combinato disposto dell'art. 38, comma 1, lett. d) e dell'art. 38, comma 2 del d.Lgs. 163/2006 – norme applicabili ratione temporis – impone l'obbligo in capo ai concorrenti di dichiarare, a pena di esclusione, la sussistenza di pregresse risoluzioni disposte nei loro confronti in conseguenza di gravi errori professionali; ciò, in quanto, la stazione appaltante deve essere posta nella possibilità di effettuare le relative valutazioni, soppesare la rilevanza del fatto storico dell'inadempimento e – pertanto - desumere l'inaffidabilità del concorrente medesimo (cfr., da ultimo, Cons. St., V, 16 febbraio 2017, n. 712).

La dichiarazione non veritiera del concorrente è causa autonoma di esclusione dalla gara, indipendentemente dalla qualificazione “bonaria” o “amichevole” - della risoluzione “taciuta”.

Nel caso di specie, la concorrente era tenuta a “segnalare” alla stazione appaltante tutti i fatti della propria vita professionale potenzialmente rilevanti - in termini di affidabilità - per la stazione appaltante, a prescindere da considerazioni su fondatezza, gravità e pertinenza di tali episodi.

In particolare, il Collegio rileva che nelle dichiarazioni sostitutive rese dalla concorrente in sede di partecipazione alla gara, la stessa dichiarava di non aver commesso alcun errore grave nell'esercizio della propria attività professionale.

Trattandosi di dichiarazione non veritiera, a giudizio del Collegio, l'esclusione dell'appellante è indubbia, posto che non può parlarsi di omessa dichiarazione in quanto la concorrente aveva espressamente negato di avere commesso un errore grave.

La dichiarazione “mendace” così resa, pertanto, avendo precluso alla stazione appaltante di svolgere le opportune valutazioni discrezionali di sua competenza in ordine alla affidabilità e lealtà professionale degli aspiranti contraenti, non può che comportare del cocnorrente che, celando un importante precedente sui gravi illeciti professionali, ha apertamente disatteso la normativa di settore.

Difatti, a mente del combinato disposto dell'art. 38, comma 1, lett. d) e dell'art. 38, comma 2, d.Lgs. 163 del 2006, il mancato “cenno” alle pregresse risoluzioni contrattuali disposte nei confronti dei concorrenti è una ragione autonoma – e sufficiente - per disporne l'esclusione dalla procedura, a prescindere dalla valutazione della gravità del fatto per cui è stata disposta detta risoluzione.

L'obbligo per i concorrenti di dichiarare, a pena di esclusione, la sussistenza dei precedenti professionali dai quali la stazione appaltante può discrezionalmente desumerne l'inaffidabilità è prescritto dalla normativa di settore sia nazionale che europea; così, l'art. 45 della Direttiva 2004/18/UE, al paragrafo 2, espressamente impone l'esclusione del concorrente «che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni». Peraltro, l'art. 57, para. 4, lett. i) della vigente Direttiva n. 24/2014/UE stabilisce l'esclusione «se l'operatore economico ha tentato di influenzare indebitamente il procedimento decisionale dell'amministrazione aggiudicatrice, ha tentato di ottenere informazioni confidenziali che possono conferirgli vantaggi indebiti rispetto alla procedura di aggiudicazione dell'appalto, oppure ha fornito per negligenza informazioni fuorvianti che possono avere un'influenza notevole sulle decisioni riguardanti l'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione» e tale è l'ipotesi che, secondo il Collegio, ricorre nel caso in esame.

Conclusioni. In questa prospettiva, la dichiarazione mendace è condizione autonoma di esclusione dalla gara, in quanto la circostanza che si tratti di dichiarazione non veritiera (e non di omessa dichiarazione) osta al soccorso istruttorio, come emerge con chiarezza dall'art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che il soccorso istruttorio è utilizzabile solo in caso di mancanza, incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni e non già a fronte di dichiarazioni non veritiere (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 16 febbraio 2017, n. 712).

Difatti, conclude il Collegio, ai fini della disposta esclusione non rileva assolutamente la qualificazione della natura - “bonaria” o “amichevole” - della risoluzione “taciuta” dalla concorrente nelle proprie dichiarazioni, posto che si tratta di inadempimento riscontrato e contestato formalmente.

Difatti, il combinato disposto dell'art. 8, commi 2, lett. p), e 4 d.P.R. n. 207 del 2010, applicabile ratione temporis, onera le «amministrazioni aggiudicatrici» a segnalare all'ANAC gli «episodi di grave negligenza o errore grave nell'esecuzione dei contratti ovvero gravi inadempienze contrattuali», a prescindere dalla tipologia di risoluzione contrattuale scaturitane.