Transazione e accordo bonario
28 Dicembre 2017
Inquadramento
Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
Il nuovo Codice dei contratti pubblici (approvato con d.lgs. n. 50 del 2016 ed applicabile a tutte le procedure di aggiudicazione indette successivamente alla sua entrata in vigore, il 19 aprile 2016) ha apportato alcune modifiche anche alla disciplina dei sistemi alternativi al contenzioso di definizione delle controversie insorte in relazione alla esecuzione di contratti di lavori, servizi e forniture precedentemente fissata dagli artt. 239-240 d.lgs. n. 163 del 2006. Si tratta di strumenti che consentono di risolvere in via stragiudiziale – rispettivamente mediante la stipulazione di una transazione o attraverso il raggiungimento del cd accordo bonario – alcune tipologie di controversie fra enti aggiudicatori ed appaltatori attinenti a diritti soggettivi insorte con riferimento alla fase di svolgimento del rapporto contrattuale; tuttavia, mentre nel regime previgente la transazione presentava i caratteri del rimedio di carattere generale esperibile in modo sostanzialmente incondizionato, nel quadro fissato dal nuovo codice essa assume il valore di strumento residuale di composizione delle controversie, attivabile esclusivamente nell'ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi (cfr. art. 208, comma 1). Il d.lgs n. 50 del 2016, ha dunque apportato alcune modificazioni alle precedenti disposizioni, disciplinando gli istituti agli artt. 205-208 in attuazione della delega contenuta nella legge n. 11 del 2016, la cui lett. aaa) aveva affidato al Governo il compito di provvedere alla «“razionalizzazione” dei metodi di risoluzione delle controversie, alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbitrali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate, garantire la trasparenza, la celerità, l'economicità e assicurare il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri e degli eventuali ausiliari». Le modifiche introdotte con il D.Lgs n. 56 del 19 aprile 2017 hanno a propria volta, ulteriormente integrato e specificato le suddette disposizioni. La transazione
Nel settore in esame con la transazione le parti del rapporto negoziale possono comporre stragiudizialmente una controversia di qualsivoglia natura derivante dalla interpretazione o esecuzione di contratti pubblici, mediante il reciproco riconoscimento di concessioni e rinunce (cfr. artt. 1965 e 1966 c.c.). Ai sensi dell'art 239 d.lgs n. 163 del 2006 l'attivazione del procedimento finalizzato alla conclusione di un accordo transattivo, era consentita a prescindere dalle limitazioni e dalle condizioni, soggettive ed oggettive al ricorrere delle quali poteva essere attivato il procedimento finalizzato alla conclusione di un accordo bonario; al contrario, oggi l'art. 208 dispone che una transazione tra ente aggiudicatore ed appaltatore può essere conclusa solo in caso di accertata impossibilità di esperire gli altri rimedi alternativi all'azione giurisdizionale (disposizione modificata dal d.lgs n. 56 del 2017 in vigore dal 20 maggio 2017).
Resta in ogni caso preclusa l'applicabilità dell'istituto in relazione a controversie che vertano su situazioni giuridiche non qualificabili in termini di diritto soggettivo (ad es. sugli atti di una procedura di evidenza pubblica): quando infatti la lite abbia ad oggetto interessi legittimi, nessun accordo transattivo è contemplabile, trattandosi di materie per definizione non disponibili dalle parti mediante negozi bilaterali, presupponendo l'esercizio di potestà autoritative funzionalizzate alla cura dell'interesse generale nel rispetto dei canoni dell'imparzialità e della par condicio. In linea con la medesima direttrice argomentativa va segnalato che si dubita della possibilità di transigere controversie relative alla fase di esecuzione del rapporto contrattuale, ma connotate dall'esercizio di poteri pubblicistici da parte della amministrazione aggiudicatrice (cfr. ad es. la risoluzione del contratto per accertamento di reati nei confronti dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 135 d.lgs. n. 163 del 2006). È addirittura posta in discussione la possibilità di definire mediante lo strumento transattivo controversie in tutti i casi in cui l'accordo abbia l'effetto di alterare significativamente l'assetto negoziale scaturito dalla fase dell'evidenza pubblica: questo perché in tal modo si realizzerebbe una violazione, sia pure indiretta, dei principi di inderogabilità ed imperatività che governano rigidamente la procedura di scelta del contraente e la determinazione del contenuto del contratto da aggiudicare. Presupposto essenziale per l'operatività dell'istituto è l'esistenza di una controversia sulla spettanza di un diritto; non è richiesta la previa rituale formalizzazione della pretesa, essendo sufficiente la configurabilità di un dissenso interpretativo fra le parti, anche meramente potenziale, sulla res litigiosa.
L'art. 239 d.lgs.n. 163 del 2006 prevedeva che, nei casi in cui l'importo da concedere o da rinunciare per la PA superasse i 100.000 euro, la transazione andava preceduta dall'acquisizione del parere dell'avvocatura che assiste l'ente aggiudicatore o del dirigente responsabile della funzione contezioso; era altresì previsto che sulla proposta transattiva formulata dall'impresa si esprimesse il dirigente, sentito il responsabile del procedimento, mentre se la proposta proveniva dall' amministrazione, sul suo contenuto doveva essere convocata in audizione l'impresa aggiudicataria. Il nuovo codice ha elevato il suddetto limite quantitativo di valore a 200.000 euro, specificando che deve essere acquisito il parere dell'Avvocatura dello Stato, qualora si tratti di amministrazioni centrali, ovvero di un legale interno alla struttura, o del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, ove non esistente il legale interno, qualora si tratti di amministrazioni subcentrali. Per la validità della transazione resta comunque prescritta obbligatoriamente la forma scritta a pena di nullità, in linea con la regola generale vigente in materia di contratti pubblici.
Il collegio consultivo tecnico
Altra novità che aveva apportato la novella del 2016 con l'art. 207 atteneva alla previsione di un organismo che le parti del rapporto contrattuale avrebbero potuto costituire prima dell'avvio dell'esecuzione o entro novanta giorni da tale data, con il compito di fornire assistenza per la rapida soluzione delle dispute di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto. Era previsto che l'organismo sarebbe stato formato da tre membri dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell'opera, scelti dalle parti di comune accordo; in alternativa le parti avrebbero potuto concordare che ciascuna di esse nominasse un componente e che il terzo fosse scelto dai due componenti designati, fermo rimanendo che in ogni caso tutti e tre avrebbero dovuto essere approvati dalle parti. Il collegio si intendeva costituito al momento della sottoscrizione dell'accordo da parte dei componenti designati e delle parti. Nel caso in cui fossero insorte controversie, il collegio consultivo avrebbe potuto procedere all'audizione informale delle parti per favorirne un sollecito componimento; all'esito della propria attività il collegio consultivo avrebbe dovuto formulare una proposta scritta di soluzione della controversia con una sintetica motivazione, non vincolante; tuttavia se le parti avessero accettato la soluzione offerta dal collegio consultivo, l'atto contenente la proposta sarebbe stato sottoscritto dai contraenti alla presenza di almeno due componenti del collegio e valso come transazione. Se invece il rimedio fosse fallito e la vertenza non avesse trovato composizione, i componenti del collegio consultivo non avrebbero potuto essere chiamati quali testimoni nell'eventuale giudizio che avesse avuto ad oggetto la controversia medesima. La norma è stata tuttavia integralmente abrogata dal d.lgs 56 del 2017, con la conseguenza che l'istituto deve ritenersi definitivamente soppresso. L'art. 240 d.lgs n. 163 del 2006 recava la disciplina assai analitica dell'accordo bonario, mediante il quale è possibile giungere alla definizione di controversie insorte nel corso dell'esecuzione di contratti di lavori, servizi o forniture, qualora, a seguito di contestazioni ritualmente formalizzate dall' impresa nei documenti contabili, la pretesa economica dell'appaltatore risultasse non inferiore al 10% dell'importo contrattuale originario. La previsione di uno strumento di risoluzione delle controversie fra amministrazione ed impresa esecutrice era originariamente contenuta nella legge fondamentale sul lavori pubblici (n. 2248 del 1865 allegato F), nonché nel capitolato generale di appalto di cui al d.P.R. n. 1063 del 1962. Notevoli erano tuttavia le differenze di quel modello rispetto all'istituto attualmente vigente: nel precedente regime l'appaltatore, assolto l'onere di iscrivere tempestivamente le riserve nel registro di contabilità, poteva azionare la sua pretesa solo successivamente al collaudo dell'opera ed in ogni caso dopo la definizione in via unilaterale delle riserve da parte della committente, che assumeva il rango di vera e propria condizione di procedibilità della relativa domanda giudiziale, sia pure con alcuni temperamenti (cfr. ad es. art. 5 l. n. 741 del 1981). Al contrario, fin dalla prima versione della norma (art. 31-bis l. n. 109 del 1994, introdotto dalla l. n. 216 del 1995) l'accordo bonario ha innanzi tutto assunto una connotazione ispirata al contraddittorio fra impresa ed amministrazione, significativamente rafforzata dalla attribuzione ad un organo collegiale rappresentativo degli interessi di entrambe le parti – contemplato originariamente dalla l. n. 166 del 2002 e definitivamente confermato dal d.lgs. n. 163 del 2006 – del compito di formulare la proposta motivata di soluzione della controversia, sul cui contenuto non si pronuncia più la sola amministrazione, ma debbono convenire committente ed appaltatore per trasfonderla nell'atto negoziale; un'altra differenza è costituita dal fatto che l'istituto può essere attivato anche durante il corso di esecuzione dei lavori, purché l'ammontare complessivo della pretesa economica formalizzata dall'impresa raggiunga un importo significativo (10%) rispetto al valore del corrispettivo contrattuale originario; infine, altra novità rilevante è rappresentata dalla generalizzata applicabilità dell'istituto (cfr. art. 240, comma 22) a tutte le tipologie di contratti contemplati sia nei settori ordinari che speciali, quindi non soltanto agli appalti di lavori, ma anche a quelli di forniture e servizi, purché caratterizzati dalla previsione di meccanismi di contestazione nelle scritture contabili e di quantificazione delle relative pretese analoghi a quelli propri dei contratti d'opera pubblica. Il procedimento prende le mosse dalla iniziativa del direttore lavori il quale deve dare immediata comunicazione al rup dell'avvenuta formulazione di riserve per un importo superiore ai 10 milioni di euro, trasmettendo sollecitamente la sua relazione riservata; la riserva (cfr. art. 190 d.P.R. n. 207 del 2010) è lo strumento tipizzato attraverso il quale l'appaltatore ha l'onere di rendere noti, entro termini decadenziali, alla stazione appaltante tutti i fattori, gli eventi, le circostanze suscettibili di aggravare per la PA il costo dell'opera, del servizio, della fornitura che sopravvengano durante il corso di esecuzione del contratto. A sua volta il responsabile del procedimento deve valutare l' ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle riserve ai fini dell'effettivo raggiungimento del limite di valore per l'attivazione dell'istituto. Quando le sopradescritte contestazioni attengano ad un rapporto contrattuale di valore complessivo superiore ai dieci milioni di euro, il rup deve promuovere la costituzione di una apposita commissione affinché l'organo, acquisita la documentazione, formuli una proposta motivata di accordo bonario; la commissione (che può essere facoltativamente costituita anche in relazione a controversie insorte nell'ambito di contratti di valore inferiore a 10 milioni di euro) è formata da tre componenti muniti di competenza specifica, di cui uno a testa designato da committente ed appaltatore, il terzo nominato di comune accordo con funzioni di presidente. Di rilievo la previsione del comma 11 che attribuisce alle parti la facoltà di conferire alla commissione il potere di assumere decisioni vincolanti «perfezionando per conto delle stesse l'accordo bonario» risolutivo della controversia; ordinariamente invece, la proposta di accordo formulata dalla commissione, se accettata espressamente dalle parti e trasfusa in un verbale sottoscritto dinnanzi al rup, assume valore di transazione. Quando invece il tentativo di accordo bonario non ha esito positivo (rifiuto della proposta), ovvero in tutti i casi in cui i termini che scandiscono l'iter procedurale decorrano inutilmente (ad es. omessa costituzione della commissione ad opera del rup, mancata formulazione della proposta da parte della commissione) la controversia può essere sottoposta alla cognizione del giudice ordinario o arbitrale, sempre che quest'ultima possibilità sia stata espressamente contemplata negli atti di gara ai sensi dell'art. 241, comma 1-bis. Ispirata ad evidenti esigenze di contenimento della spesa pubblica è infine la previsione di cui all'art. 240-bis (riconfermata da ultimo dal d.lgs. n. 70 del 2011), la quale per un verso impedisce che domande giudiziali aventi ad oggetto pretese formalizzate con riserva secondo le stringenti regole fissate dagli artt. 190 e 191 d.P.R. n. 207 del 2010 vengano proposte per importi superiori a quelli quantificati nelle scritture contabili, sotto concorrente profilo che l'ammontare complessivo delle riserve iscritte non possa superare il 20% dell'importo contrattuale. Non è chiaro come operi il meccanismo appena descritto nel caso di superamento della soglia: certo non può ritenersi preclusa (a meno di non incorrere in seri dubbi di costituzionalità della norma) per l'appaltatore la possibilità di azionare la domanda per la parte eccedente la soglia, né tanto meno appare convincente sostenere che alla stazione appaltante sia vietato in assoluto il riconoscimento di importi superiori al 20%, al ricorrere naturalmente di tutte le condizioni di ammissibilità formale e fondatezza nel merito. L'art. 205 d.lgs. n. 50 del 2016 ha introdotto alcune modificazioni attinenti ai presupposti per l' attivazione della procedura finalizzata al raggiungimento dell'accordo bonario, ai soggetti coinvolti nel tentativo di componimento delle controversie, al numero di procedure attivabili nell'ambito dell' esecuzione di un contratto ed infine, al limite di valore imposto alle riserve. Il procedimento per il raggiungimento dell'accordo bonario infatti, nella nuova formulazione, può essere promosso anche durante il corso di esecuzione dei lavori, purché l'ammontare complessivo della pretesa economica formalizzata dall'impresa raggiunga un importo compreso tra il 5 ed il 15% rispetto al valore del corrispettivo contrattuale originario; è prevista l'applicabilità dell'istituto (cfr. art. 206) a tutte le tipologie di contratti contemplati sia nei settori ordinari che speciali, anche a quelli di forniture e servizi in quanto compatibili. In sostanza, ove le riserve esplicitate in contabilità dall'appaltatore raggiungano un importo compreso tra il 5% ed il 15% del valore del contratto, il direttore dei lavori dovrà darne comunicazione al rup, il quale, valutata l'ammissibilità delle domande sotto il profilo della forma, tempestività e determinatezza del maggior costo o danno nonché la loro non manifesta infondatezza, avvierà la procedura; in discontinuità rispetto al passato non è previsto alcun limite di reiterazione della procedura al ricorrere dei presupposti per la sua attivazione, nell'ambito comunque di un limite massimo complessivo del 15 % dell'importo del contratto. Il procedimento non prevede più distinzioni sul piano operativo in funzione del valore del contratto (inferiore o superiore a 10 milioni di euro). Accertata l'ammissibilità e non manifesta infondatezza delle riserve ai fini dell'effettivo raggiungimento del limite di valore, il rup ha facoltà di decidere se formulare egli stesso la proposta, ovvero incaricare di comune accordo con l'impresa appaltatrice un unico soggetto scelto tra i cinque nominativi forniti dalla Camera Arbitrale; in caso di mancata intesa entro 15 giorni dalla trasmissione della lista, l'esperto viene nominato dalla Camera Arbitrale con il compito di verificare la fondatezza delle riserve in contraddittorio con lo stesso rup e l'appaltatore, istruisce la questione anche con la raccolta di dati e informazioni e con l'acquisizione di eventuali altri pareri e, quindi, formula una proposta di accordo bonario, che viene trasmessa al competente dirigente della stazione appaltante e all'impresa che ha formulato le riserve. Se la proposta è accettata dalle parti, entro quarantacinque giorni dal suo ricevimento, l'accordo bonario è concluso con valore di transazione e viene redatto verbale sottoscritto dalle parti. Sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario sono dovuti gli interessi al tasso legale a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla accettazione dell'accordo bonario da parte della stazione appaltante. In caso di reiezione della proposta da parte dell'impresa ovvero di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo possono essere aditi gli arbitri o il giudice ordinario. L'impresa, in caso di rifiuto della proposta di accordo bonario ovvero di inutile decorso del termine per l'accettazione, può instaurare un contenzioso giudiziario entro i successivi sessanta giorni, a pena di decadenza (previsione quest'ultima introdotta dal d.lgs 56).
Casistica
Sugli effetti della rinuncia alla formulazione di riserve Si è posta in giurisprudenza la questione se l'accordo transattivo intervenuto durante il corso di svolgimento del rapporto contrattuale contenente la rinuncia dell'appaltatore «a far valere qualsivoglia pretesa risarcitoria connessa all'andamento dell'appalto per qualsiasi ragione o causa (…)» impedisca la successiva azionabilità di domande volte al riconoscimento di ulteriori importi; rilevato che per la costante giurisprudenza (cfr. Cass. civ., Sez. I, 17 luglio 2014, n. 16365), «la rinuncia, quale espressione tipica della autonomia negoziale privata, può riguardare anche diritti futuri ed eventuali, purché determinati o determinabili nel loro contenuto e nella loro estensione», e che (Cass. civ., Sez. II, 10 giugno 2005, n. 12320) la transazione può avere ad oggetto anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, “purché ragionevolmente prevedibili”, per stabilire se la volontà abdicativa manifestata dall'impresa nella transazione le precluda ogni futura forma di reazione giurisdizionale, occorre indagare il complessivo assetto delle pattuizioni contenute nel negozio transattivo: ebbene laddove la clausola di rinuncia riguardi riserve non ancora formulate dall'appaltatore o relative ad oneri e danni non adeguatamente prevedibili (perché ad es. determinati da accadimenti non ancora verificatisi), deve essere dichiarata «nulla perché illecita la clausola dell'atto aggiuntivo con la quale l'impresa rinuncia ad avanzare richiesta di maggiori compensi oltre quanto ivi previsto e si impegna a non avanzare riserva (…)».
Accordo bonario e responsabilità erariale In caso di contestazione della responsabilità amministrativa per danno erariale nei confronti di una serie di soggetti coinvolti nell'ambito di una procedura di accordo bonario ex art. 240 c.c.p. a causa dell'indebito riconoscimento di riserve a favore di un contraente generale (cfr. art. 176 c.c.p.), secondo la più recente giurisprudenza (Cass. SS.UU. 16 luglio 2014, n. 16240) sussiste la giurisdizione del giudice contabile verso gli organi ed i dipendenti dell'amministrazione intervenuti a vario titolo nel procedimento, nonché dei componenti della commissione di collaudo, attesa la relazione funzionale che li lega all'ente pubblico appaltante; deve invece essere esclusa la giurisdizione della contabile nei confronti dei componenti della commissione di accordo bonario, attesta l'estraneità all'ente pubblico aggiudicatore della determinata dalla funzione conciliativa, né verso il contraente generale, attesta la natura contrattuale dell'iscrizione di riserve incidenti sul sinallagma negoziale, né verso il direttore dei lavori atteso che questi, nell'appalto affidato a contraente generale, opera nell'interesse di quest'ultimo anziché come agente pubblico.
Relazioni riservate ed accesso documentale Deve essere considerata legittima la sottrazione all'accesso documentale delle relazioni riservate di direttore lavori e collaudatori sulle riserve avanzate dall'appaltatore di lavori pubblici anche nel caso di esito negativo della procedura di accordo bonario, trattandosi di atti che mantengono la loro caratteristica di strumenti di tutela dei quali l'amministrazione deve poter disporre nell'eventuale contenzioso instaurato dall'impresa per il riconoscimento delle proprie pretese economiche (Ad. Plen., 13 settembre 2007, n. 11); a diversa conclusione deve tuttavia pervenirsi, secondo TAR Lazio, 18 ottobre 2011, n. 8013, per i registri di contabilità, in relazione ai quali va ritenuto prevalente l'interesse conoscitivo dell'appaltatore alle deduzioni ivi annotate dal direttore dei lavori, in quanto rivolte, prima che all'amministrazione, all'esecutore dell'opera pubblica. |