Mantenimento revocato al figlio maggiorenne che non si è attivato per cercare un'occupazione
29 Dicembre 2017
Massima
L'obbligo del genitore, separato o divorziato, di concorrere al mantenimento del figlio maggiorenne perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Il caso
La Cassazione, con l'ordinanza in esame interviene in un caso che ha per protagonista una ragazza di 35 anni, disoccupata, che godeva di un assegno di mantenimento a carico del padre. L'uomo, che versava alla ex moglie tale contributo in forza di un provvedimento giudiziale, aveva presentato ricorso in Tribunale deducendo che erano mutate la condizioni che avevano giustificato l'assegno, in quanto la ragazza non si era ancora attivata per cercare un'occupazione e non era affetta da patologie tali da limitarne la capacità lavorativa. Il Tribunale rigettava la domanda, ma la Corte d'appello successivamente accoglieva il reclamo dell'uomo. Ricorreva pertanto in Cassazione la madre della ragazza chiedendo che fosse confermato il diritto all'assegno. La Cassazione con il provvedimento in esame rigetta il ricorso. La questione
Com'è noto l'obbligo dei genitori di mantenere i figli, sancito dagli artt. 30 Cost. e 147 c.c., ribadito dall'art. 337-ter c.c., non cessa al sopraggiungere della maggiore età, ma perdura fino al momento in cui i figli non siano divenuti economicamente autosufficienti. In particolare l'art. 337-septies c.c., stabilisce che il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. La problematica nasce dal fatto che l'obbligo di mantenimento ricomprende l'educazione e l'istruzione e il figlio ha diritto di essere posto in condizioni di terminare il ciclo di studi e di acquisire una propria professionalità nel campo lavorativo prescelto (Cass. civ., n. 12952/2016). Difficoltoso diviene pertanto nella prassi individuare quale sia il momento in cui può cessare l'obbligo del genitore in quanto numerose sono le variabili che possono influire nella situazione. Molteplici sono infatti in materia gli interventi giurisprudenziali che hanno tentato di contemperare le opposte esigenze dei figli a terminare il loro periodo formativo e dei genitori a non essere obbligati sine die al mantenimento dei ragazzi. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione nel caso in esame dichiara, respingendo il ricorso della madre della ragazza, cessato l'obbligo per il padre di mantenere la figlia in quanto reputa dimostrato che la stessa non si è attivata per trovare un'occupazione. La Corte nel dare una soluzione al caso presentatole segue l'orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui il genitore può ritenersi liberato dall'obbligo di mantenimento del figlio solamente quando lo stesso diventi economicamente autosufficiente, oppure quando, come nel caso di specie, il mancato inserimento nel mondo del lavoro sia causato da una sua negligenza o dipenda da fatto a lui imputabile per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l'esercizio di un'idonea attività lavorativa (Cass. civ., n. 21773/2008). Si precisa così in giurisprudenza che occorre determinare il limite di persistenza dell'obbligo anzidetto non astrattamente ma sulla base del concreto apprezzamento del fatto che il figlio, malgrado i genitori gli abbiano assicurato le condizioni necessarie per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo indispensabile ai fini dell'accesso alla professione auspicata, non abbia saputo trarre profitto dalle opportunità offertegli, per inescusabile trascuratezza o per libera scelta (Cass. civ., n. 8221/2006). È necessario comunque tener conto che la valutazione effettuata dal giudice in merito alle circostanze che giustificano il permanere dell'obbligo di mantenimento deve utilizzare criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari. Nella specie, si consideri, l'età del maggiorenne era 35 anni, età in cui nella normalità dei casi il percorso formativo e di studi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, per cui secondo una costante interpretazione giurisprudenziale, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in assenza di ragioni individuali specifiche costituisce un indicatore forte d'inerzia colpevole(Cass. civ., n. 12952/2016). In questo contesto, specifica l'ordinanza in esame, risultano irrilevanti le condizioni economiche del padre, che era benestante e proprietario di beni e fondi, in quanto l'obbligo di mantenimento del maggiorenne, si legge nella motivazione, si fonda sulla situazione economica e lavorativa dello stesso figlio, ma non certo sulla situazione reddituale del genitore. Ciò che influisce sulla decisione in oggetto è dunque l'imputabilità alla ragazza della lamentata condizione di non autosufficienza economica, aspetto questo, che era stato provato dal padre in sede di merito, come accertato dalla Corte territoriale. Principio consolidato è infatti quello secondo cui incombe sul genitore, che chiede l'interruzione dell'obbligo di mantenimento, l'onere di provare la sussistenza di una delle condizioni giustificative. È costui infatti che deve dimostrare che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica o che persiste in un atteggiamento di inerzia nella ricerca di un lavoro compatibile con le sue attitudini e la sua professionalità, che ha rifiutato occasioni di lavoro o anche che, come affermato nel caso in esame sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. civ., n. 6861/2010). Non spetta invece al genitore ancora convivente l'onere di provare che il figlio non ha ancora raggiunto l'indipendenza economica (Cass. civ., n. 2289/2001). Si evidenzia comunque che nella specie il ricorso in Cassazione contro il provvedimento che dichiarava la cessazione dell'obbligo del padre di versare l'assegno era stato presentato dalla madre della ragazza. Era lei infatti che percepiva il contributo al mantenimento della figlia. Si sottolinea in proposito che ai sensi dell'art. 337-septies c.c. l'assegno di mantenimento per i figli maggiorenni, salvo diversa determinazione del giudice, «è versato direttamente all'avente diritto». La disposizione riconosce dunque un diritto autonomo spettante al figlio maggiorenne e non ancora indipendente economicamente di richiedere direttamente il mantenimento, salva, specifica la norma, la possibilità di diversa determinazione nelle modalità di pagamento, ossia la possibilità del giudice di stabilire che l'assegno venga versato al genitore, come nel caso in esame. In materia la giurisprudenza sottolinea che il genitore è legittimato iure proprio, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove sia con lui convivente e non economicamente autosufficiente, ad ottenere dall'altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio (Cass. civ., n. 18869/2014), e che tale legittimazione del genitore convivente con il figlio maggiorenne, non si sovrappone, ma concorre con la diversa legittimazione del figlio di maggiore età. I molti provvedimenti che si registrano in materia hanno definito vari aspetti della questione. In particolare, secondo la giurisprudenza, madri e padri possono ritenersi esonerati dal mantenimento, pur in assenza di una raggiunta indipendenza economica del figlio quando il ragazzo è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza trarne utilmente profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. civ., n. 13184/2011) o quando il mancato inserimento nel mondo del lavoro dipende da negligenza del figlio che non si mette in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l'esercizio di un'idonea attività lavorativa (Cass. civ., n. 2289/2001). La giurisprudenza ritiene che debbano essere utilizzati criteri di relatività nell'accertamento della condotta colposa che può far venir meno l'obbligo di mantenimento del figlio, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, alle capacità, al percorso scolastico, universitario e post universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale egli abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari (Cass. civ., n. 24018/2008). Rilevante è anche l'ipotesi del rifiuto da parte del maggiorenne di un'attività lavorativa. In proposito si ritrovano sentenze che escludono l'obbligo di mantenimento del figlio che rifiuta immotivatamente un'attività lavorativa confacente alle sue condizioni sociali (Cass. civ., n. 23673/2006; Cass. civ., n. 951/2005). Non sono stati invece ravvisati profili di colpa nella condotta del figlio maggiorenne che declina una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate (Cass. civ., n. 261/2010). Osservazioni
Principio consolidato in giurisprudenza è quello secondo cui l'obbligo di mantenere il figlio maggiorenne viene meno quando lo stesso ha raggiunto un'età tale da far presumere la sua capacità di provvedere a sé stesso. Interessante è dunque un excursus dei vari precedenti giurisprudenziali in merito alle diverse età in cui i figli sono stati ritenuti capaci di provvedere a loro stessi. Peculiari a questo proposito sono i casi caratterizzati da lunghi periodi trascorsi dai ragazzi all'università senza risultati apprezzabili, casi in cui i giudici hanno per lo più revocato il diritto all'assegno (Cass. civ., n. 9109/1999 e Cass. civ., n. 2338/2006, fattispecie in cui i figli, ancora in attesa di laurea, avevano superato rispettivamente i trentacinque, e i trentadue anni). Al contrario si ritrovano provvedimenti in cui è stato confermato il diritto all'assegno per una madre convivente con un ventinovenne, laureato in giurisprudenza (Cass. civ., n. 4765/2002), o anche in favore di un ventottenne che in otto anni di iscrizione all'università aveva sostenuto solo otto esami (Cass. civ., n. 5317/2004). |