Conflitto tra parenti: all'amministratore di sostegno le decisioni in materia sanitaria
02 Gennaio 2018
Massima
Può provvedersi alla nomina di un amministratore di sostegno per un soggetto che non sia in grado di prestare consapevolmente il proprio consenso a determinati trattamenti sanitari, purché le scelte siano le più utili per la salute del beneficiario, secondo il principio di beneficità e secondo le indicazioni dei medici curanti. Il caso
Un insanabile contrasto tra fratelli è all'origine del provvedimento che qui si commenta: la signora B, figlia della beneficiaria A (la quale si trova ricoverata in una struttura per anziani a causa di una malattia in stadio avanzato con perdita completa dell'autonomia personale, delle capacità motorie e cognitive), chiedeva al giudice tutelare di Bologna di essere nominata amministratore di sostegno della propria madre per le scelte sanitarie, con l'autorizzazione a collocare la beneficiaria presso la sua abitazione. A tale richiesta si opponevano sia l'amministratore di sostegno C, precedentemente nominato, sia l'altro figlio della beneficiaria, D: entrambi davano conto dei gravi problemi di accudimento ed assistenza a cui bisognava far fronte in favore di A, tanto che si era reso necessario il ricovero della donna in una idonea struttura per anziani, e dei pesanti conflitti e contrasti tra i figli B e D. Il giudice tutelare, pertanto, disponeva un approfondimento istruttorio mediante CTU e, all'esito, adottava la decisione sull'ampliamento dei poteri dell'amministratore di sostegno e sull'accudimento, sull'assistenza quotidiana e sulla collocazione della beneficiaria. La questione
Dal momento che il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno attribuiva a quest'ultimo esclusivamente poteri di amministrazione degli interessi patrimoniali, al giudice tutelare è richiesto di effettuare una nuova valutazione dello stato complessivo della beneficiaria e di valutare l'an e il quomodo di un ampliamento dei poteri dello stesso amministratore anche in materia sanitaria; inoltre, si rende necessaria una rivalutazione complessiva della vicenda alla luce dei conflitti esistenti tra i figli di A, entrambi animati da «autentico affetto familiare nei confronti della madre» ma insanabilmente in disaccordo sulle modalità concrete di gestione della beneficiaria, tanto da rendersi appunto necessario l'intervento risolutore del giudice nel migliore interesse di A. Le soluzioni giuridiche
Per quanto riguarda la prima questione, ossia la perimetrazione dei poteri dell'amministrazione di sostegno, il giudice prende atto, grazie alla CTU disposta in corso di causa, che A non è in grado di prestare consapevolmente il proprio consenso alle terapie mediche né di manifestare alcuna volontà consapevole; ritiene, in seconda battuta, di aderire all'orientamento giurisprudenziale per il quale l'amministratore di sostegno può essere autorizzato ad esprimere, in nome e per conto dell'assistito, il consenso informato all'esecuzione di trattamenti sanitari ritenuti necessari ad evitare il rischio di danni irreversibili, qualora lo stesso beneficiario non sia in grado di percepire la gravità della situazione. D'altra parte tale orientamento, già consolidatosi nella giurisprudenza di merito – pur con alcune autorevoli eccezioni – negli anni immediatamente successivi alla riforma del 2004 che era intervenuta con l'obiettivo di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente (così l'art. 1 l. n. 6/2004), aveva ricevuto l'avallo della Corte di Cassazione secondo la quale «i poteri di cura del disabile spettano [anche] alla persona che sia stata nominata amministratore di sostegno» (cd. “Caso Englaro”, Cass. civ., sez. I, sent., 16 ottobre 2007, n. 21748), purché nel decreto di nomina, da parte del giudice tutelare, fosse contenuto l'elenco degli atti che l'amministratore è legittimato a compiere a tutela degli interessi del beneficiario. È in ogni caso necessario porre dei limiti al potere di scelta dell'amministratore: e tali limiti, richiamati dal giudice bolognese, sono quelli posti dall'art. 410 c.c., il quale prevede che si debba tenere conto «dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario», e quelli desumibili dagli artt. 2, 13 e 32 Cost. e dall'art. 3 Carta dei diritti fondamentali dell'UE in materia di consenso informato, ritenuto anche dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent., n. 438/2008) un principio fondamentale in materia di tutela della salute. E se, da una parte, è opportuno che una funzione sì delicata quale è l'esercizio dei poteri di cura sia attribuita a un familiare del beneficiario, anche in osservanza del disposto di cui all'art. 408 c.c., in modo da favorire una gestione degli interessi che maggiormente corrisponda agli intimi desiderata del beneficiario stesso, è evidente che nel caso di specie – così argomenta il giudice bolognese – l'unica scelta possibile è ampliare, anche in relazione agli atti in materia sanitaria, il potere dell'attuale amministratore di sostegno, esterno alla famiglia e pertanto non direttamene coinvolto nell'asprissimo contrasto tra i figli della beneficiaria. Infine, per quanto riguarda la collocazione di A, il giudice prende atto delle conclusioni della CTU (la quale definisce «pesantissimo» il carico assistenziale e del tutto idonea alle esigenze di assistenza e di cura della donna la struttura presso la quale è collocata) e ritiene di rigettare la richiesta della figlia B, la quale aveva chiesto che la beneficiaria fosse collocata presso la di lei casa: per il giudice non è possibile valutare sul piano clinico quale possa essere il valore aggiunto che potrebbe comportare l'uscita dalla struttura; al contrario, la collocazione presso l'abitazione di B sembrerebbe corrispondere più a un bisogno della figlia che della madre, e sarebbe una soluzione che porterebbe anche a un nuovo inasprirsi dei rapporti già deteriorati tra B e D, a discapito dell'assistenza per l'anziana madre. Osservazioni
Sembra che la peculiarità della vicenda in esame vada rinvenuta nella difficoltà di rispondere con gli strumenti del diritto a una complessa situazione di fatto, che vede sommarsi la precaria situazione clinica di A all'insanabile contrasto tra i figli il quale, comunque, pare avere origini assai più risalenti rispetto ai dissidi circa la collocazione dell'anziana madre. Da una parte, l'intervento del giudice tutelare è volto a individuare l'istituto più adeguato per rispondere alle esigenze di A, strumento che viene individuato nell'amministrazione di sostegno: la condivisibile scelta trova fondamento in quell'orientamento giurisprudenziale che individua l'ambito di applicazione dell'istituto con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (in tal senso Cass. civ., sez. I, sent., 26 ottobre 2011, n. 22332; più recentemente, Cass. civ., sez. I, sent., 26 luglio 2013, n. 18171). E tale scelta è resa possibile, come è stato accennato in precedenza, grazie al superamento di quella impostazione minoritaria, seppur autorevole, che vedeva nell'amministrazione di sostegno uno strumento non idoneo a fronteggiare stati di impedimento totale, o comunque stati in cui non fosse presente, nel soggetto beneficiario, almeno una qualche forma di autonomia e capacità, ancorché ridotta. Dall'altra parte, al fine di non aggravare i conflitti tra fratelli, il giudice decide di attribuire al già nominato amministratore di sostegno, l'avvocato C, anche i poteri di cura della beneficiaria, e di aderire alle conclusioni della CTU stabilendo che la più idonea collocazione di A risulta essere quella presso una struttura sanitaria per anziani, ove tra l'altro la donna era ospitata fin dal 2016. Conclusivamente, il percorso motivazionale del giudice tutelare di Bologna nella vicenda di cui ci si occupa mette in luce la flessibilità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno ex art. 404 c.c. e pone in debito risalto il ruolo del giudice nella scelta dell'amministratore, soprattutto in casi di elevata conflittualità tra parenti che porta a disattendere la preferenza, espressa dal legislatore nell'art. 408 c.c., per i parenti più stretti, facendo ricorso all'intervento di un soggetto esterno al nucleo familiare. |