Revocabile il trasferimento immobiliare effettuato in sede di separazione consensuale in danno ai creditori
04 Gennaio 2018
Massima
È ammissibile l'azione revocatoria ordinaria del trasferimento immobiliare, effettuato da un coniuge in favore dell'altro, in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata. In tale azione, quanto all'elemento del consilium fraudis, questo può essere provato per presunzioni, dato il rapporto di coniugio tra le parti convenute. Il caso
La Società Cooperativa X, creditrice di Tizio socio fideiussore della società Y, giusta decreto ingiuntivo del 6 dicembre 2013, agiva nei confronti dei coniugi Tizio e Caia al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c. della cessione dei beni immobili di cui agli accordi della separazione consensuale omologata dal Tribunale con decreto del 27 maggio 2013, trascritto presso l'agenzia del territori di Taranto, con cui il marito aveva ceduto alla moglie cinque beni immobili. Tizio ha chiesto il rigetto della domanda, contestando in fatto ed in diritto le pretese attoree, replicando che la cessione dei beni alla moglie risulta esser il corrispettivo per il contributo al suo mantenimento, avendo natura solutoria, che ad ogni modo appare successiva rispetto alla sua consapevolezza dei debiti maturati dalla società Y di cui era il vicepresidente del consiglio di amministrazione, peraltro solo a titolo formale. La causa è stata istruita a mezzo delle prove orali, essendo il credito non contestato e provato per tabulas, giusta fideiussione con contratti del 2010 sottoscritti da Tizio, destinatario altresì del decreto ingiuntivo del 6 dicembre 2013 emesso dal medesimo Tribunale. Il credito è senz'altro da ritenersi antecedente – essendo stato contratto nell'anno 2010 – rispetto alla separazione consensuale di cui al decreto di omologa del 27 maggio 2013. Comparsi dinanzi al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione, i coniugi Tizio e Caia avevano dichiarato di svolgere rispettivamente la professione di falegname e di educatrice; nel procedimento de quo, invece, Caia aveva ammesso di essersi trovata ad essere disoccupata e priva di reddito solo da dicembre 2014 - oltre un anno dopo la separazione dal marito - mentre nel 2013 era in cassa integrazione guadagni, circostanza confermata anche da un testimone. Il fatto che Tizio si sia spogliato di tutti i suoi beni senza riservare nulla per sé, cedendoli alla moglie, che al tempo della separazione svolgeva la professione di educatrice e percepiva un reddito, non ha convinto il giudicante. Caia, inoltre, non ha fornito la prova della messa a reddito degli immobili: non è dato sapere se la moglie li abbia locati a terzi o li abbia messi in vendita, circostanza che spettava a parte convenuta fornire per comprovare la tesi difensiva assunta. Al contrario era Tizio che attraversava un periodo di difficoltà economiche, viste le vicissitudini che hanno condotto al fallimento della Società Y. Lo stesso Tizio sosteneva di non conoscere le difficoltà dell'azienda nell'erogare gli stipendi da mesi e che nessuno dei lavoratori (amici e colleghi) se ne fossero mai lamentati. La deposizione dei testi indicati di parte attrice non ha persuaso il Giudice: hanno tutti dichiarato, con le medesime locuzioni e riferendo gli stessi dettagli, che Tizio non fosse a conoscenza delle difficoltà economiche e dell'esposizione debitoria della società Y fino al luglio 2013. Motivando circa la sussistenza del requisito soggettivo – c.d. scientia damni – il Giudice ha ritenuto che fosse del tutto inverosimile che nessuno degli operai con cui Tizio lavorava quotidianamente a stretto contatto si fosse mai lamentato della mancata corresponsione degli stipendi: Tizio, per di più, era l'unico operaio retribuito dalla società Y, aveva ripetutamente prestato fideiussione per conto della società ed era in rapporti personali con gli altri due soci, già suoi soci in un precedente rapporto societario. Circa il trasferimento di tutti i suoi beni immobili alla moglie in sede di separazione, ha motivato: «se, per un verso, il requisito della c.d. scientia damni deve considerarsi sussistente in re ipsa, poiché "l'azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore" (Cass. civ., n. 12045/2010; Cass. civ., n. 5072/2009; Cass. civ., n. 13343/2015), quanto all'ulteriore elemento del consilium fraudis, questo può dirsi ampiamente provato per presunzioni, dati i rapporti di coniugio tra le parti convenute, che inducono certamente ad escludere l'ignoranza ………. relativamente alle circostanze fattuali in cui si è collocato il trasferimento dei cespiti immobiliari, ovvero circa l'esistenza della fideiussione prestata dal marito ben tre anni prima della separazione nonché dei mutui contratti - e non onorati - dalla società amministrata dal .……... (…). Conclusivamente, deve ritenersi provato anche il presupposto relativo all'elemento soggettivo preteso dall'art. 2901 c.c.». La questione
È revocabile ex art. 2901 c.c. l'accordo stipulato in sede di separazione consensuale ed omologato del Tribunale con cui un coniuge trasferisce, in favore dell'altro, beni immobili con spirito solutorio-compensativo? Le soluzioni giuridiche
Come noto, il creditore, per esperire l'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. deve dimostrare innanzitutto: a) l'esistenza di un credito, anche se non necessariamente accertato giudizialmente e b) che l'atto di disposizione, per il quale si chiede la revoca, debba concretizzare l'eventus damni, arrecare cioè un effettivo pregiudizio alle ragioni del creditore, anche solo rendendo più incerto e difficile il soddisfacimento del credito. Oltre al suesposto requisito c.d. oggettivo, il creditore che agisce per ottenere la revocatoria ordinaria deve dimostrare la sussistenza dell'elemento soggettivo, che si differenzia a seconda che l'atto dispositivo abbia natura gratuita ovvero onerosa. Nel caso di alienazione a titolo gratuito deve essere provato il c.d. consilium fraudis in capo al debitore: si richiede, in altri termini, una situazione di semplice conoscenza (ovvero addirittura di conoscibilità, secondo il parametro della media diligenza) del pregiudizio che l'atto è in grado di produrre alla garanzia del credito, mentre non si richiede la dimostrazione di una specifica intenzione di nuocere alle ragioni creditorie. Né è richiesta la prova della partecipazione dolosa del terzo: questi riceve un vantaggio senza corrispettivo, per cui il suo interesse non può comunque prevalere su quello del creditore che agisce in revocatoria. Nelle ipotesi in cui, invece, il creditore abbia alienato i suoi beni a titolo oneroso, è necessaria la sussistenza della c.d. scientia damni del terzo: non occorre che il terzo acquirente volesse frodare il creditore, ma è sufficiente che il terzo fosse consapevole, ovvero potesse essere a conoscenza del pregiudizio che l'atto è in grado di produrre al creditore. Anche il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi in sede di separazione (e divorzio) rientra nel novero degli atti suscettibili di azione revocatoria. La circostanza che l'accordo sia passato al vaglio del Tribunale attraverso la concessione della “omologa”, cui, evidentemente, sono estranei gli interessi dei creditori, non elimina la natura negoziale dell'atto. La cognizione del giudice deve riguardare anche il contenuto obbligatorio degli accordi separativi, anche quando sia stato espressamente impugnato soltanto il contratto di cessione immobiliare (Cass. civ., 13 maggio 2008, n. 11914). Spetta al giudice, quindi, indagare la sussistenza, nella fattispecie, dei requisiti per l'azione revocatoria, tenuto conto della particolare natura dell'atto. Come è noto, i trasferimenti in sede di separazione e divorzio non sono di per sé negozi a titolo gratuito ovvero negozi a titolo oneroso ma, secondo consolidata giurisprudenza, sono caratterizzati da una c.d. tipicità propria. Le attribuzioni patrimoniali da un coniuge all'altro si “colorano” dei tratti della obiettiva onerosità, oppure della gratuità al ricorrere, o meno, della funzione solutoria-compensativa nell'ambito della autonomia negoziale con cui, ex art. 1322 c.c., i coniugi perseguono i propri interessi meritevoli di tutela. La stessa giurisprudenza ha però chiarito che occorre distinguere non solo tra negozio a titolo gratuito e negozio a titolo oneroso, ma anche tra gratuità e liberalità. In particolare l'assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito (così distinguendoli da quelli a titolo oneroso), non basta invece ad individuare i caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all'incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità) consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obbiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l'obbligazione (Cass. civ., 24 giugno 2015, n. 13087). Si può avere perciò un atto che, benchè gratuito, non è manifestazione di liberalità: sul punto, la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che sono soggetti ad azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale (Cass. civ., 26 luglio 2005, n. 15603). Quanto alla ripartizione dell'onere probatorio tra attore e convenuto, circa la sussistenza dell'eventus damni, giova ricordare che il primo deve dimostrare la variazione quantitativa e/o qualitativa del patrimonio del debitore, con ogni mezzo anche mediante presunzioni; al contrario la prova di cui è onerato il debitore che si voglia sottrarre all'azione è diretta e volta a dimostrare che, nonostante l'atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteri tali da assicurare il soddisfacimento delle ragioni creditorie. Il Tribunale di Taranto, nella fattispecie, ha dato atto della presenza del c.d. requisito oggettivo, stante l'anteriorità del credito – peraltro non contestato – rispetto all'atto dispositivo del debitore il quale, invece, non aveva provato la sussistenza di altri beni idonei a soddisfare il creditore. Quanto al profilo del consilium fraudis, in capo ai convenuti, sottolineava come fosse richiesta anche solo la consapevolezza da parte di Tizio che, mediante l'atto dispositivo, egli avrebbe potuto diminuire il suo patrimonio e la garanzia di soddisfacimento del debito. Trattandosi di atteggiamento soggettivo, la prova di tale presupposto poteva essere data da chi allegava la circostanza, anche mediante presunzioni, caratterizzate da gravità, precisione e concordanza. Per escludere la sussistenza di tale requisito soggettivo non può essere sufficiente richiamare nelle condizioni di separazione la mera "finalità di riequilibrare la situazione economica" tra i coniugi, e neppure la finalità solutorio-compensativa degli atti dispositivi dell'uno in favore dell'altro. Si ritiene, invece, che rivestano un ruolo fondamentale nel sindacato di merito da parte del Giudice chiamato a pronunciarsi sulla revocatoria, le deduzioni, le allegazioni ed i mezzi di prova circa le condizioni economico-patrimoniali delle parti all'epoca della separazione. A titolo esemplificativo è ritenuto revocabile il trasferimento immobiliare effettuato in sede di separazione in favore della moglie «senza alcuno specifico riferimento all'attività lavorativa prestata dalla moglie nell'azienda familiare, né alla quantificazione economica di tale presunto corrispettivo e dei relativi criteri di calcolo, aggiungendosi che appare scarsamente verosimile che la moglie abbia atteso ben 27 anni prima di rivendicare pretese economiche». Nel caso deciso dal Tribunale di Taranto, le parti avevano dato atto, negli accordi di separazione, che Tizio cedeva ben cinque immobili «a titolo di contributo al mantenimento» della moglie Caia: secondo il Giudice, nel caso in specie, non sussistevano i presupposti per una dazione siffatta perché Caia, all'epoca dei suddetti accordi, svolgeva la professione di educatrice e percepiva un reddito, e perché le parti convenute non hanno offerto alcuna prova in merito ad una eventuale differenza reddituale tra i coniugi, tale da giustificare un eventuale obbligo di carattere assistenziale del marito. Di conseguenza, doveva ritenersi provato anche il presupposto relativo all'elemento soggettivo preteso dall'art. 2901 c.c.: è inverosimile che Tizio non fosse minimamente a conoscenza delle difficoltà economiche della impresa dove lui stesso lavorava, fianco a fianco con colleghi di lavoro che non percepivano lo stipendio e, allo stesso tempo, dati i rapporti di coniugio tra le parti convenute, il Tribunale ha ritenuto «ampiamente provato per presunzioni», che la moglie non potesse non essere a conoscenza della esistenza della fideiussione prestata dal marito ben tre anni prima della separazione nonché dei mutui contratti – e non onorati – dalla società amministrata dal marito medesimo. Osservazioni
È pacifico in giurisprudenza che l'accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili a favore di uno dei due, rientra nel novero degli atti suscettibili di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.. La sentenza del Tribunale di Taranto conferma l'indirizzo tale per cui “Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della "donazione", e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. - rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di "separazione consensuale" (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo - in quanto tale - da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto - quello della separazione personale - caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua "tipicità" propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della "gratuità", in ragione dell'eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione "solutorio compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale” (ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5473). In conclusione, deve ritenersi pacifica la facoltà, per i coniugi, di trasferire beni immobili ovvero di costituire diritti reali sui medesimi a seguito di accordi di separazione e divorzio, anche con spirito con spirito solutorio-compensativo e di sistemazione dei rapporti dare/avere fra le parti. Allo stesso modo, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità (e di merito) ammette l'azione revocatoria ordinaria finalizzata alla declaratoria di inefficacia di convenzioni matrimoniali e finanche degli accordi di separazione personale (ex plurimis, Cass. civ., n. 966/2007, per la costituzione del fondo patrimoniale; Trib. Milano n. 2179/2011, per l'assoggettabilità all'azione revocatoria anche alle convenzioni matrimoniali di separazione dei beni): sarà il Giudice adito, dunque, a verificare, nel concreto, validità ed efficacia dei suddetti accordi ovvero la loro inefficacia ex art. 2901 c.c. alla presenza dei requisiti previsti dalla norma. |