La controversa disciplina del subappalto nel nuovo codice dei contratti pubblici, anche alla luce del decreto correttivo

08 Gennaio 2018

Il nuovo Codice dei contratti pubblici, come il successivo decreto correttivo del 2017, intervengono in modo significativo sul controverso istituto del subappalto, lasciando però irrisolte numerose questioni, che svelano un atteggiamento ambivalente del legislatore italiano, in bilico tra favor, anche alla luce delle aperture eurounitarie, e applicazioni restrittive, a loro volta dettate dall'uso spesso poco commendevole ed elusivo della normativa in materia che nel concreto è stato fatto.
Premessa

Il tema del subappalto, seppure apparentemente riservato agli addetti ai lavori, si rivela prezioso per comprendere più ampie dinamiche, relative ai non sempre facili rapporti tra ordinamento europeo e caratteri peculiari dei singoli Stati.

Come si vedrà, la cartina di tornasole attraverso quale è possibile osservare tali persistenti conflitti, mentre per quanto riguarda gli istituti processuali può ben essere rappresentata dal principio di c.d. autonomia procedurale, messo costantemente sotto stress, come testimonia proprio il rito “specialissimo” in materia di appalti pubblici, dalle marcate colorazioni “oggettive”, nel nostro caso riguarda il c.d. divieto di gold plating, anch'esso messo a dura prova dalla disciplina nazionale in materia di subappalto.

Come è noto, la legge delega (n. 11 del 2016) demanda al Governo di recepire le direttive nel rispetto del divieto del gold plating (vale a dire il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” (art. 1, comma 1, lett. a), legge delega), e di recepire gli strumenti di regolamentazione flessibile introdotti dalle direttive (art. 1, co. 1, lett. f), legge delega). Si ha un apparente paradosso: la legge delega, da un lato impone al Governo il divieto di gold plating e il recepimento degli strumenti di flessibilità previsti dalle direttive, dall'altro talvolta contiene essa stessa criteri di maggior rigore rispetto alle direttive. Invero, l'obiettivo generale, posto dalla delega, di un recepimento delle direttive sfruttandone tutti gli elementi di flessibilità, ben può trovare, nella stessa delega, un temperamento a tutela di interessi e obiettivi ritenuti dal Parlamento più meritevoli, quali sono la prevenzione della corruzione e la lotta alla mafia, la trasparenza, una tutela rafforzata della concorrenza, la salvaguardia di valori ambientali e sociali.

Così, secondo alcuni, il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall'altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell'art. 36 del TFUE, quali, ad esempio, ordine pubblico e pubblica sicurezza. Come si dirà il Consiglio di Stato, proprio in tema di subappalto, ha assunto tale posizione.

Peraltro, il tema del subappalto può essere analizzato anche attraverso un'altra più ampia ottica di indagine, come diremo a sua volta intrecciata alla questione del divieto di gold plating: ci riferiamo all'eterno conflitto tra forma e sostanza, che per questo istituto, a guardare l'evoluzione giurisprudenziale e l'autorevole opinione di Anac, sembra vieppiù pendere per il secondo polo della dicotomia, con un evidente favor, quindi, per il subappalto, nonché per le opinioni che vedono in ogni sua limitazione un indebito attentato proprio al divieto di gold plating di cui si è detto.

Il subappalto nel codice dei contratti pubblici del 2016: rischio o opportunità?

L'art. 105, comma 2, definisce l'istituto come il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto.

La giurisprudenza ha ritenuto che, in materia di pubblici appalti, per subappalto non può intendersi ogni esecuzione non in proprio di servizi o ad opere appaltate, essendo necessario, per la sua sussistenza, che sia demandata ad un soggetto terzo, economicamente e giuridicamente distinto dall'appaltatore, l'esecuzione totale o parziale dell'opera o del servizio appaltato, con organizzazione di mezzi e rischio a carico del sub appaltatore.

Nonostante l'origine privatistica (art. 1656 c.c.), il subappalto ha avuto accesso nel settore dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture; ciò ha comportato il progressivo affiancarsi accanto alla disciplina privatistica dell'istituto di una disciplina pubblicistica, che peraltro ha risentito profondamente dell'influenza del diritto europeo, anch'esso più volte intervenuto sulla materia. In tal senso, se è vero che il subappalto pubblicistico – come il suo modello privatistico – non determina alcun fenomeno di subentro del subappaltatore nella posizione dell'appaltatore, sicché il contraente principale è responsabile in via esclusiva nei confronti della stazione appaltante (art. 105, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016), con ciò mostrando una delle differenze principali rispetto alla figura dell'avvalimento, è anche vero che il contratto di subappalto “pubblicistico” proprio su questo fronte viene oggi ad assumere sempre più marcati profili di specialità, con ricadute anche in tema di favor per l'istituto.

Quello del 2016 è stato un intervento normativo animato da plurime finalità di interesse generale, non ultima quella di prevenire infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici (v. parere del Cons. Stato, 1° aprile 2016, n. 855, in merito all'approvazione da parte del Governo del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50). Non è un caso che, specie nel periodo di maggiore emergenza del fenomeno della mafia, cioè agli inizi degli anni Novanta, si siano dettate nuove regole in materia di subappalto (legge n. 55 del 1990), il quale, per le caratteristiche intrinseche e derivate dal contratto di appalto, ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di propositi criminosi più diffusi nella prassi, come conferma, ad esempio, l'alto numero di informative antimafia determinate dall'uso improprio di tale istituto.

Da ciò è derivata una disciplina contraddittoria e confusa, a causa di vari interventi normativi (2006, 2016, 2017), a loro volta connotati da finalità spesso in contrasto tra loro.

In tal senso, il subappalto può essere visto come un rischio, appunto con riguardo al tema del contrasto alle organizzazioni criminali, oppure rispetto alla effettività della normativa in materia di tutela del lavoro, se non addirittura come istituto che si contrappone ad alcuni principi fondamentali in materia di contrattualistica pubblica, come quello dell'esecuzione personale da parte dell'aggiudicatario nonché della necessaria qualificazione di quest'ultimo.

La regola dell'esecuzione in proprio è confermata dalla giurisprudenza nazionale, secondo la quale nella contrattualistica pubblica, vige il principio - presidiato da nullità esplicita - generale e di ordine pubblico di immodificabilità del contraente, che si sostanzia nel divieto di cessione del contratto. Non è un caso, peraltro, che esso è oggi enunciato all'art. 105, comma 1 (con un'accentuata enfasi alla luce del decreto correttivo n. 56 del 2017, che ha soppresso le parole “di norma” riferite alla regola dell'esecuzione in proprio), che a sua volta richiama le deroghe di cui all'art. 106, comma 1, lett. d), nonché proprio l'istituto del subappalto.

Questo intendimento, tradizionale nella legislazione nazionale, non sembra rintracciabile nell'ambito delle direttive UE di riferimento e nella giurisprudenza europea:

  1. l'art. 71, Direttiva 26 febbraio 2014 n. 24, infatti, non contempla limitazioni in merito;
  2. in giurisprudenza, peraltro, si è più volte sostenuta l'incompatibilità, con il diritto dell'Unione, di limiti nazionali, generali e astratti, al subappalto (CGUE, Sez. III, 14 luglio 2016, C-406/14 Wroclaw; CGUE, 5 aprile 2017, C-298/15; eccezioni possibili solo per il principio di specialità, es. limiti al subappalto in materia di servizio pubblico di traporto: prevalenza del regolamento CE n. 1370/2007 sulla Dir. 2004/18, v. CGUE, sez. IV, 27 ottobre 2016 C-292/15, GmbH).

Al netto di tali aspetti, che chiamano direttamente in causa la questione del divieto di gold plating, il subappalto può invece presentarsi come un'opportunità, e così viene concepito proprio a livello europeo, per la maggiore apertura della concorrenza che esso almeno sulla carta determina, specie per le piccole e e medie imprese, come è noto particolarmente al centro dell'attenzione delle direttive europee del 2014, oltre che come elemento di maggiore efficienza nell'esecuzione del contratto.

Evidentemente questa dicotomia rischio/opportunità non può essere così netta, sia per le peculiarità storiche e socio-economiche dei singoli Stati dell'Unione sia perché, come si dirà, il collocarli tra i fattori che militano a favore o contro il rilancio dell'istituto dipende pure dall'angolo visuale da cui tali elementi si osservano.

Il limite del trenta per cento e il caso del subappalto necessario

L'art. 105, comma 2, prevede un limite del 30% del subappaltabile sul totale complessivo dell'importo dell'appalto. Sul punto il legislatore nazionale non recepisce alcuna prescrizione europea. Anzi, questo è un primo rilevante profilo rispetto al quale si impone il tema della violazione del divieto di gold plating.

Il limite 30% era già previsto per servizi e forniture nella disciplina anteriore al Codice del 2016, mentre per i lavori il limite del trenta per cento riguardava la sola categoria prevalente.

In costanza della disciplina previgente si era creata, in materia di opere pubbliche, la distinzione tra subappalto necessario e subappalto facoltativo.

La prima fattispecie si realizzava nel caso in cui l'appaltatore di opere difettasse dei requisiti necessari per realizzare una o più prestazioni dell'appalto, motivo per cui era obbligato a subappaltarle ad un'impresa in possesso di quegli stessi requisiti (c.d. avvalimento sostanziale). Nel subappalto facoltativo, invece, l'appaltatore già possiede in proprio tutti i requisiti necessari per l'esecuzione dell'appalto, ma sceglie, sulla base di una valutazione discrezionale e di mera opportunità economica, di subappaltare talune prestazioni ad un'altra impresa, anch'essa in possesso di tutti i requisiti necessari per l'esecuzione.

Dopo un accesso contrasto giurisprudenziale, si è statuito, in tema di subappalto necessario, che in sede di presentazione dell'offerta non è necessaria l'indicazione dell'impresa subappaltatrice, qualora il concorrente sia sprovvisto di requisiti di qualificazione alla gara per alcune categorie scorporabili di prestazioni e abbia manifestato l'intenzione di subappaltarle. L'assenza dell'obbligo di indicazione della subappaltatrice, conseguentemente, elide a monte anche la necessità che la stessa impresa subappaltatrice sia tenuta a rendere dichiarazioni circa il possesso dei requisiti partecipativi in sede di presentazione dell'offerta (Cons. St., Ad. plen., n. 9 del 2015)

Tale autorevole arresto svela l'approccio sostanzialistico che, come si è in precedenza accennato, connota molte prese di posizione sull'istituto, manifestando al contempo un certo favor giurisprudenziale per esso.

D'altra parte oggi l'art. 105, comma 2, pone il limite del 30% delle prestazioni subappaltabili riferito, non alle categorie prevalenti (come nel precedente art. 118 d.lgs. n. 163 del 2006), bensì al valore complessivo del contratto di appalto. Non potendosi più rinvenire un riferimento alle categorie prevalenti nell'art. 105, viene meno anche la possibilità che l'impresa chiami in causa un'altra (subappaltatrice) per usufruire dei suoi requisiti per l'esecuzione delle prestazioni caratterizzanti il rapporto di appalto.

Il Codice del 2016, quindi, elimina il subappalto necessario, restando possibile oggi il ricorso al solo avvalimento.

Come si accennava in precedenza, non vi sono limiti quantitativi al subappalto nella direttiva 2014/24/UE. Ci si deve chiedere, quindi, se nel caso di specie è prospettabile una violazione del divieto di gold plating.

Il Consiglio di Stato, nel parere del 1° aprile 2016, n. 855, in merito all'approvazione da parte del Governo del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ha “salvato” la previsione: la motivazione specifica della sovra-regolamentazione si rinviene nellʹA.I.R., ed ha come finalità il contrasto ai fenomeni di infiltrazione negli appalti da parte della criminalità organizzata, agevolata dall'eccessiva frammentazione dell'esecuzione. Sicché la regolazione più restrittiva rispetto ai parametri europei sarebbe giustificata dall'esigenza di tutelare i valori superiori indicati dall'art. 36 TFUE, tra i quali l'ordine e la sicurezza pubblica.

Tale impostazione suscita alcune riserve, sia sul piano strettamente positivo che su quello della ratio dell'istituto, da inquadrare attraverso il prisma dei sempre più spiccati profili di specialità rispetto al prototipo civilistico.

Sotto il primo punto di vista è vero che il comma 24‐quater, art. 14, l. n. 246 del 2005, prescrive che l'amministrazione dia conto delle circostanze eccezionali, valutate nell'analisi d'impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si renda necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria. Tuttavia, è anche vero che una previsione analoga non è contemplata dalla legge delega n. 11 del 2016.

Quindi il limite del trenta per cento del subappaltabile sembra ancora a rischio, sia per contrarietà alla legge delega sia per contrarietà, come detto, al diritto UE, nonché alla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza Wroclaw).

Nonostante tali profili di criticità, il decreto correttivo n. 56 del 2017 ha confermato il limite del 30% dell'importo complessivo.

Sennonché, la Direzione generale “Mercato interno” della Commissione UE, con una nota inviata alle Autorità italiane, ha evidenziato che le norme sul subappalto contenute nel nuovo Codice degli appalti e nel decreto correttivo sono in contrasto con le norme e la giurisprudenza UE (lettera Commissione europea 24 marzo 2017).

Valga qui un'altra considerazione più generale. La limitazione quantitativa, volta a scongiurare la penetrazione della criminalità organizzata, si giustifica in un contesto regolatorio in cui la stazione appaltante difetta di adeguati strumenti di controllo sull'integrità e la qualificazione delle imprese subappaltatrici.

Non è più così: ormai l'impresa subappaltatrice è tendenzialmente soggetta ai medesimi controlli operati nei riguardi dell'affidataria, anche a causa dell'estensione dei casi di obbligatoria indicazione a monte della terna dei subappaltatori. Il subappalto pubblicistico presenta, quindi, sempre più marcati profili di atipicità, come è confermato pure dalla possibilità, in alcuni casi, di pagamento diretto del subappaltatore da parte dell'amministrazione.

Né può valere una giustificazione legata alla tutela delle piccole e medie imprese dallo sfruttamento dell'impresa aggiudicatrice. In sede europea il subappalto è considerato un'opportunità per esse, e, in ogni caso, la limitazione quantitativa non è lo strumento migliore (più proporzionato), e non è dimostrato che le associazioni temporanee di imprese garantiscano più efficacemente le piccole e medie imprese.

A proposito di principio di proporzionalità, ci si potrebbe anche chiedere se il limite del trenta per cento non sia una misura inefficace e inidonea rispetto agli obiettivi prefissati dal nostro legislatore: il limite, infatti, può scoraggiare investimenti stranieri, pregiudicando proprio l'obiettivo della lotta alla criminalità organizzata.

La disposizione, quindi, al netto di possibili futuri interventi del legislatore (che potrebbero prevedere l'eliminazione integrale del limite o, almeno, il ribaltamento di esso, elevando al settanta per cento la soglia del subappaltabile), di cui tuttora si discute, appare sospesa in un fragile equilibrio: esposta alla eventuale disapplicazione del giudice amministrativo, alla procedura europea di infrazione, addirittura ad una eventuale dichiarazione di incostituzionalità (per violazione degli artt. 76 e 117).

Si fa presente che costituisce comunque orientamento condiviso di Anac e giurisprudenza quello per cui il superamento dei limiti percentuali, riscontrato in sede di offerta, non comporta l'esclusione del concorrente, determinando, in fase esecutiva, la riduzione del subappalto entro le soglie di legge (Parere Anac n. 13 del 14 febbraio 2013). Anche in questo caso la logica sostanzialistica della giurisprudenza, nello svelare un certo favor per l'istituto, finisce per accentuare indirettamente altresì la bontà dei rilievi di chi ritiene le sue forti limitazioni non conformi al divieto di gold plating.

La terna dei subappaltatori

Ai sensi dell'art. 105, comma 6, l'indicazione della terna è obbligatoria per gli appalti sopra-soglia e per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione. Il bando o l'avviso prevedono tale obbligo. Essa restava discrezionale per gli appalti sotto-soglia.

Anche su questo aspetto il correttivo del 2017 ha inciso in senso più restrittivo, ribadendo l'obbligatorietà dell'indicazione della terna per gli appalti sopra-soglia ed estendendola, indipendentemente dal valore, agli appalti che riguardino attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa (v. legge n. 190 del 2012)

Come si è rilevato sopra, d'altra parte, proprio questa tendenza legislativa ad ampliare i casi di obbligatoria indicazione della terna finisce paradossalmente per indebolire – sotto altri punti di vista, primo fra tutti il limite quantitativo del subappaltabile – le ritrosie interne nei confronti dell'istituto, visti i suoi elevati profili di specialità rispetto al modello civilistico.

Peraltro, alle criticità generali sopra evidenziate con riguardo alle limitazioni del subappalto, qui si aggiunge quella, più strettamente pratica, che porta a chiedersi come si concilia l'indicazione della terna, che cristallizza la scelta del subappaltatore, con l'efficiente gestione degli appalti di lunga durata, specie se connotati dalla complessità dell'oggetto della prestazione.

A fronte di tali dubbi, anche in questo caso giurisprudenza e Anac si muovono con un approccio sostanzialista: l'omessa indicazione della terna non comporta esclusione.

Secondo la giurisprudenza (Tar Lombardia, Brescia, 29 dicembre 2016 n. 1790), la mancata indicazione della terna di subappaltatori costituisce irregolarità formale sanabile, sebbene soggetta alla sanzione pecuniaria del soccorso istruttorio oneroso (peraltro abolita, come è noto, col decreto correttivo). Si veda anche la posizione dell'Anac (delibera 8 febbraio 2017 n. 95) per la quale l'istituto del soccorso istruttorio è applicabile alle verifiche anche all'indicazione della terna di subappaltatori da parte del concorrente, sicché la sua eventuale carenza o irregolarità potrà essere sanata mediante la procedura di cui all'art. 83.

Il problema dei requisiti generali e speciali del subappaltatore

Anche in tema di requisiti del subappaltatore l'articolato svela da un lato una grande prudenza, dall'altro taluni profili di contraddittorietà e, comunque, di non agevole esegesi.

Costituisce, infatti, causa di esclusione dell'offerente la rintracciabilità, in capo ad uno dei subappaltatori, di una o più cause di esclusione previste dai commi 1 e 5 dell'art. 80. Si prospetta, quindi, l'ipotesi del c.d. “contagio”.

Si ha in tal senso una grande rigidità, probabilmente non necessaria stante la tendenziale generalizzazione della terna. Non è un caso, infatti, che la direttiva n. 24 del 2014 privilegiava il meccanismo della sostituzione. Nell'ipotesi dell'avvalimento, peraltro, la sostituzione è oggi possibile, purché prevista nel bando, e l'avvalimento riguardi requisiti tecnici (art. 89, comma 3).

D'altra parte, a ben guardare, non sempre il meccanismo della sostituzione è escluso. Se è vero, infatti che l'art. 80 co. 1 e 5 prevede, in caso di carenza dei requisiti generali in capo al subappaltatore, il “contagio” ai danni dell'offerente, è pur vero che, ai sensi dell'art. 105 comma 12, l'affidatario deve provvedere a sostituire i subappaltatori relativamente ai quali apposita verifica abbia dimostrato la sussistenza dei motivi di esclusione.

Si possono immaginare diversi letture del suddetto combinato disposto, dal quale traspare una certa contraddittorietà. In base ad una prima ipotesi solo nel caso di contratti soprasoglia – nei quali l'indicazione del nominativo dei subappaltatori è obbligatoria già in sede di presentazione dell'offerta – opererebbe il contagio, mentre per i contratti sottosoglia varrebbe la sostituzione. Sennonché bisogna sul punto osservare come, se tale esegesi appare sulla carta ragionevole, in quanto nel secondo caso l'identità del subappaltatore potrebbe essere ignota al momento dell'offerta, è pur vero che proprio nel caso del soprasoglia è sempre imposta l'indicazione della terna, che invece meglio si armonizzerebbe col meccanismo, sicuramente più in linea coi principi di celerità e snellimento delle operazioni di gara, e più in generale col favor europeo per l'istituto, della sostituzione (potendo quest'ultima operare all'interno della terna). Secondo altra linea ricostruttiva bisognerebbe distinguere cause di esclusione più gravi, che determinerebbero il “contagio” per fatto del subappaltatore, dalle cause di esclusione meno gravi, che invece consentirebbero la sostituzione. Ciò in ragione del fatto che il meccanismo del “contagio” è espressamente previsto solo a fronte della rintracciabilità, in capo al subappaltatore, delle – più gravi – cause di esclusione di cui ai commi 1 e 5 dell'art. 80. Infine, potrebbe ritenersi che lo spartiacque esclusione/sostituzione è determinato dalla fase in cui emerge la causa di esclusione, potendosi dar luogo a sostituzione solo nel caso in cui la carenza del requisito generale emerga dopo l'aggiudicazione. D'altra parte questa tesi trascura di considerare che l'emersione in fase post-aggiudicazione della carenza di un requisito di partecipazione in capo al contraente determina sempre in capo all'amministrazione la possibilità di intervenire in autotutela, senza che rilevi la circostanza dell'avvenuta stipulazione del contratto. Sicché non si vede per quale ragione in materia di subappalto il dato cronologico relativo alla scoperta della carenza del requisito debba invece assumere rilievo decisivo ai fini dell'attuazione o meno del meccanismo della sostituzione.

Quanto al possesso dei requisiti speciali, al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l'affidatario trasmette la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione (art. 105, comma 7, come nel vecchio codice).

Invece, in base all'art. 105, comma 4, lett. d), i requisiti generali dei subappaltatori sembrerebbero dover essere dichiarati in sede di offerta: i soggetti affidatari possono affidare in subappalto purchè il concorrente dimostri l'assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'art. 80.

Sennonché, da un'altra disposizione parrebbe che tale adempimento possa essere spostato, a discrezione della stazione appaltante, in sede di deposito del contratto di subappalto. Ci si riferisce all'art. 105 comma 7, secondo cui al momento del deposito del contratto di subappalto l'affidatario trasmette la dichiarazione del subappaltatore (rectius: appaltatore, trattasi di evidente refuso non emendato col decreto correttivo) attestante l'assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'art. 80. Anche in questo caso principi di celerità e snellimento delle operazioni di gara militano a favore di questa impostazione.

La Direttiva 2014/24/UE non fornisce all'interprete alcuna indicazione in merito. D'altra parte, il Regolamento 2016/7 della Commissione UE, relativo al Modello DGUE, nella Parte II par. D, dedicato ai subappaltatori, prevede: “Se l'amministrazione aggiudicatrice richiede esplicitamente queste informazioni in aggiunta alle informazioni della presente sezione (indicazione nominativi dei subappaltatori), fornire le informazioni richieste dalle sezioni A e B della presente parte e dalla parte III (Motivi di esclusione) per ognuno dei subappaltatori”. Secondo l'UE, quindi, la stazione appaltante decide se far dichiarare all'offerente l'assenza di motivi di esclusione relativi ai potenziali subappaltatori. L'offerente dichiara l'assenza di cause di esclusione per i potenziali subappaltatori solo se la stazione appaltante lo prevede negli atti di gara. In conclusione, sulla base di tale impostazione, in assenza di previsioni negli atti di gara si applicherebbe solo l'art. 105 co. 7, secondo cui al momento del deposito del contratto di subappalto l'affidatario trasmette la dichiarazione del subappaltatore attestante l'assenza dei motivi di esclusione di cui all'art. 80.

Altra questione molto delicata, e tuttora aperta, attiene al divieto di subappaltare all'operatore economico che abbia preso parte alla procedura di gara.

Il problema fondamentale è se si tratti di una causa di esclusione o di mancata autorizzazione al subappalto. Ci si chiede se l'individuazione di un subappaltatore che abbia partecipato alla procedura determini una presunzione circa la sussistenza di un unico centro decisionale, con conseguente applicazione della causa di esclusione di cui all'80 co. 5 lett. m (contra, prima del correttivo, TAR Piemonte, Sez. II, 17 marzo 2017, n. 395).

Anche in questo caso la tesi favorevole alla presunzione di cui si è appena detto appare eccessivamente rigida. Essa non fa salva, ad esempio, l'ipotesi in cui la scelta del subappaltatore sia intervenuta dopo l'aggiudicazione (nei casi in cui non ci sia obbligo di individuare la terna), il che rende meno plausibile l'ipotesi di una condotta idonea a falsare l'esito della selezione.

A seguire la tesi più rigorosa, indipendentemente dalla previsione nella lex specialis di gara, non sarebbe possibile subappaltare a coloro che hanno partecipato alla gara. Il decreto correttivo non smentisce tale opzione interpretativa, anzi pare corroborarla, soprattutto se letto in chiave evolutiva.

La prima bozza del correttivo prevedeva che l'esclusione operasse «a condizione che tale facoltà [quella di non consentire il subappalto in favore di altri partecipanti alla gara] sia stata precisata negli atti di gara». Dal canto suo, l'Anac aveva ritenuto possibile la previsione nei bandi gara del divieto di affidare il subappalto ad imprese che hanno presentato autonoma offerta alla medesima gara (c.d. clausola di “gradimento”: determinazione n.14/2003 del 15 ottobre 2003: tale clausola “estrinseca una più puntuale definizione del principio della segretezza delle offerte”).

Come detto, invece, col d.lgs. n. 56 del 2017 non c'è bisogno di previsione nel bando: si tratta di un divieto ex lege, che scatta automaticamente.

Resta tuttavia ancora aperto il dubbio: si tratta di una causa di esclusione (in quanto presunzione legale di unicità di centro decisionale, ex art. 80, comma 5, lett. m) oppure di una causa di non autorizzazione al subappalto?

La eccessività del rigore della disposizione che abbiamo considerato, se interpretata nel senso della necessaria esclusione, emerge ulteriormente a fronte della innovativa previsione, inserita dal d.lgs. n. 56 del 2017, secondo cui non costituiscono subappalto, fra l'altro, art. 105, comma 3, c-bis): «le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto».

Ci si potrebbe chiedere, infatti, quid iuris nel caso questi “contraenti stabili” non abbiano i requisiti generali? Ragionando in base alla logica restrittiva appena considerata dovrebbe concludersi nel senso della esclusione dell'offerente. A guardar bene, tuttavia, l'art. 80 fa riferimento soltanto ai subappaltatori, quindi parrebbe che la stazione appaltante non possa verificare il possesso dei requisiti su questi “contraenti stabili”. Il problema resta aperto, quindi, e svela ulteriori criticità e potenziali contraddizioni dell'articolato.

L'obbligo di previsione nel bando di gara

Anche la questione della necessità o meno di una espressa previsione negli atti di gara della facoltà di subappaltare è andata incontro nel tempo a forti oscillazioni, ad ulteriore conferma delle contraddizioni del nostro legislatore, incerto tra diffidenza e favor per l'istituto.

Nel vecchio Codice del 2006 la facoltà di subappaltare non era condizionata a una espressa previsione negli atti di gara. Col D.Lgs. 50 del 2016, art. 105, comma 4, la facoltà di subappaltare veniva invece condizionata a una espressa previsione nel bando. Il legislatore, quindi, qualificava il subappalto non come un diritto organizzativo dell'operatore privato, ma come facoltà discrezionale della stazione appaltante. Sul punto il decreto correttivo n. 56 del 2017 ha inciso in senso ampliativo, a differenza delle ulteriori questioni sopra esaminate: non c'è vincolo della previsione della subappaltabilità nel bando, come prima del 2016.

Si tratta, questa volta, di una posizione finalmente coerente col diritto europeo e con il generale divieto di c.d. gold plating: l'obbligo di prevedere nel bando la subappaltabilità del contratto non è imposto dal diritto dell'Unione e neppure è rimesso da quest'ultimo alle scelte dei singoli Stati membri.

Peraltro, tale innovazione sembra più coerente con quella linea giurisprudenziale secondo cui l'autorizzazione al subappalto ai sensi del Codice non si presenta come rimessa alla decisione del committente (in ciò distinguendosi dal modello civilistico), né come discrezionale, essendo la stazione appaltante tenuta ad accordarla, una volta riscontrata la sussistenza in capo al subappaltatore dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l'assunzione di parte delle prestazioni (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 8 settembre 2010, n. 32140).

D'altra parte, sempre in giurisprudenza si ritiene che rientrino nella giurisdizione generale di legittimità del g.a. le controversie aventi ad oggetto la sussistenza della condizioni per il ricorso al subappalto da parte dell'aggiudicatario della gara pubblica, atteso che dette condizioni non sono intese unicamente a tutelare l'interesse della committenza pubblica all'immutabilità dell'affidatario, ma tendono essenzialmente ad evitare che nella fase esecutiva del contratto si pervenga, con modifiche sostanziali dell'assetto d'interessi scaturito dalla gara pubblica, a vanificare proprio quell'interesse pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura selettiva e legittimato l'individuazione di una determinata offerta come la più idonea a soddisfare le esigenze della collettività cui l'appalto è preordinato; ne discende che ha scarsa rilevanza la questione se, nel rilasciare o meno l'autorizzazione, l'Amministrazione goda di discrezionalità valutativa o debba limitarsi a un mero accertamento della sussistenza delle condizioni o dei divieti di legge, atteso che ciò che conta è che tale attività è chiaramente espressione di poteri pubblicistici di natura autoritativa, a fronte dei quali la posizione del privato contraente ha consistenza di interesse legittimo (Con. St., Sez. IV, 24 marzo 2010, n. 1713).

In conclusione

La disciplina del subappalto pubblicistico, nonostante gli importanti interventi del legislatore nel 2016 e nel decreto correttivo del 2017, appare lontana dall'aver trovato una sistemazione definitiva.

In questa sede ci si è limitati ad indicare alcuni rilevanti profili, dal limite della prestazione subappaltabile all'obbligo di indicazione della terna, passando per il problema della mancanza dei requisiti in capo all'operatore economico cui venga affidato il subappalto.

Il tema, d'altra parte, svela la persistenza di questioni problematiche più ampie e di sistema, evidentemente tuttora irrisolte: i margini di autonomia normativa dello Stato membro, con riguardo al profilo specifico del divieto di gold plating, nonché, in un'ottica più “interna”, l'eterno conflitto tra forma e sostanza che nel settore dei contratti pubblici si declina più specificamente come contrasto tra principio del favor partecipationis da un lato e della par condicio fra imprese dall'altro, come testimonia un'altra disciplina particolarmente tormentata quale quella del soccorso istruttorio.

Al fondo, l'instabilità, le contraddizioni e le incertezze finora emerse sono il frutto avvelenato di un mercato italiano delle commesse pubbliche ancora fortemente condizionato da infiltrazioni criminali, ma al tempo stesso bisognoso – specie in tempi di crisi economica – di un rilancio che passi attraverso regole semplici e orientate all'efficienza e alla tutela delle piccole e medie imprese.

Guida all'approfondiento

LINGUITI, Commento ad art. 118, in PERFETTI (a cura di), Codice dei Contratti Pubblici. Commentario, Milano, 2013, 1416.

SINISI, Commento ad art. 105, in CARINGELLA-PROTTO (a cura di), Il nuovo codice dei contratti pubblici, Roma, 2016, 423;

SANDULLI, Art. 34. Subappalto, in CARULLO-CLARIZIA, La legge “quadro”, IV, Padova, 2004, 1620;

GILIBERTI, Art. 105. Subappalto, in PERFETTI (a cura di), Codice dei contratti pubblici. Commentato, Milano, 2017, 942;

SCOCA, Art. 105. Subappalto, in ESPOSITO (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Milano, 2017,1417;

SENATORE, Il subappalto necessario nella prospettiva evolutiva del D.Lgs. n. 50/2016, in Urb. app., 2017, 456;

BALOCCO, La riforma del subappalto e principio di concorrenza, in Urb. app., 2017, 621;

DEODATO, Il subappalto: un problema o un'opportunità?, in questa Rivista.

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