Procedimenti in materia di eredità beneficiata

15 Gennaio 2018

La dichiarazione di accettazione dell'eredità con beneficio di inventario opera la separazione dei patrimoni del defunto da quello dell'erede, con la conseguente limitazione di responsabilità per i debiti ereditari. La speciale funzione del beneficio di inventario rende necessari una serie di controlli giudiziali al fine di garantire la soddisfazione dei creditori del defunto con i beni ereditari impedendo che questi vengano sottratti alle loro ragioni e sanzionando con la perdita della limitazione di responsabilità in capo all'erede ogni comportamento che leda le ragioni dei creditori del de cuius.
Inquadramento

Il beneficio di inventario viene ricollegato ad un atto di accettazione (espressa) dell'eredità. La dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario opera la separazione dei patrimoni del defunto da quello dell'erede, con la conseguente limitazione di responsabilità per i debiti ereditari. Il vincolo sull'eredità beneficiata si caratterizza, rispetto agli istituti simili, per il fatto che non presenta un diritto di seguito sul singolo bene (la vendita di un cespite ereditario determina l'automatico trasferimento del vincolo sul corrispettivo - Ferri L. 1964, 269). La dottrina dominante e la giurisprudenza costante considerano l'accettazione beneficiata un'ipotesi di limitazione ex lege della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740, comma 2, c.c. (Grosso e Burdese 1977, 449). Questa limitazione viene realizzata mediante la costituzione di più patrimoni separati in capo allo stesso soggetto (come conferma la lettera della legge all'art. 490 c.c.) e permette la qualifica dell'erede come debitore.

La speciale funzione del beneficio di inventario rende necessari una serie di controlli giudiziali al fine di garantire la soddisfazione dei creditori del defunto con i beni ereditari impedendo che questi vengano sottratti alle loro ragioni e sanzionando con la perdita della limitazione di responsabilità in capo all'erede ogni comportamento che leda le ragioni dei creditori del de cuius.

L'atto di accettazione con beneficio di inventario è un negozio giuridico complesso, contenente due manifestazioni di volontà: quella di diventare erede e quella di limitare la propria responsabilità.

L'art. 484 c.c. prevede una determinata forma per l'atto di accettazione: quella dell'atto pubblico, ricevuto da un notaio (di qualunque luogo) o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.

La legge prevede due diverse forme di pubblicità per la dichiarazione di accettazione beneficiata: l'inserzione nel registro delle successioni e la trascrizione presso l'ufficio del territorio (già conservatoria dei registri immobiliari, ora ufficio del territorio servizi ipotecari) del luogo ove si è aperta la successione.

Le due forme di pubblicità devono eseguirsi indipendentemente dalla presenza o meno di immobili o mobili registrati (Ferri L. 1964, 269); esse hanno, infatti, valore di pubblicità notizia. Questo significa che la trascrizione non costituisce un vincolo sui beni ereditari e l'eventuale alienazione compiuta dall'erede produce i suoi effetti verso l'acquirente, salva la decadenza dal beneficio di inventario (Capozzi 1982, 179).

La mancata iscrizione o trascrizione non comporta particolari conseguenze, salvo la responsabilità del pubblico ufficiale che la abbia omessa, nonché l'impossibilità di procedere alla liquidazione cosiddetta singolare ai sensi dell'art. 495, comma 1, c.c. (Azzariti 1990, 110).

Da ultimo si deve tenere presente che qualora nel compendio ereditario vi siano beni immobili (o mobili registrati) si dovrà procedere ad un'ulteriore trascrizione ai sensi dell'art. 2648 c.c., avente la funzione di continuità prevista dall'art. 2650 c.c..

Questa dovrà eseguirsi presso le conservatorie competenti che potranno anche essere diverse da quelle dal luogo della apertura della successione, qualora gli immobili si trovino in differenti ambiti territoriali.

Tale forma di trascrizione dovrà eseguirsi anche presso la conservatoria del luogo di aperta successione, di talché si troveranno ivi due diverse formalità: una ai sensi dell'art. 484 c.c. e l'altra ai sensi dell'art. 2648 c.c. (Natoli 1969, 143 - 144).

L'inventario costituisce un elemento integrante l'operazione di accettazione con beneficio di inventario, la cui mancanza produce il venir meno degli effetti del beneficio.

Come è facile comprendere, l'intera disciplina dell'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario coinvolge numerose problematiche di grande interesse per la materia successoria e, come già poco sopra accennato, coinvolge una serie di procedimenti atti a controllare e conservare la separazione del patrimonio dell'erede da quello del defunto al fine di poter soddisfare i creditori del de cuius con i beni ereditari senza toccare i beni personali dell'erede.

Vi sono, poi, altri procedimenti giudiziali che possono trovare applicazione anche in materia di eredità beneficiata ma che sono di applicazione generale per tutte le fattispecie successorie e che in questa sede non potranno essere analizzati, occupandoci particolarmente delle sole fattispecie specifiche dettate in materia di eredità beneficiata.

Analizzando i procedimenti che più frequentemente coinvolgono la fattispecie, ne prenderemo in considerazione alcuni nei paragrafi che seguono.

Ricorso per accettare col beneficio di inventario eredità devoluta ad incapace

Il chiamato all'eredità, capace di agire, è libero di accettare l'eredità sia puramente e semplicemente (la quale a sua volta può essere tacita od espressa), sia col beneficio di inventario.

Al contrario, il chiamato incapace è può accettare l'eredità unicamente col beneficio di inventario.

Discorso particolare bisogna fare per il soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, misura di per sé non incapacitante e, quindi, tale da non sottoporre l'amministrato all'obbligo previsto dagli artt. 471 e 472 c.c., se non nei casi in cui il provvedimento stesso di nomina dell'amministratore di sostegno preveda tale limitazione; in questo caso entrerà in gioco il disposto di cui all'art. 411 c.c. che rende applicabili alcune norme dettate per i soggetti incapaci, oltre a prevedere particolari cautele che potrà fissare il giudice stesso nell'atto di nomina dell'amministratore di sostegno. Per completezza bisogna osservare che, un'interpretazione più prudente, stante il disposto del primo comma dell'art. 411 c.c. che richiama espressamente l'art. 374 c.c., in quanto compatibile, potrebbe suggerire sempre e comunque, l'autorizzazione all'accettazione dell'eredità anche nel caso in cui non vi fosse il bisogno di optare per il beneficio di inventario ma si volesse accettare puramente e semplicemente.

A parere di chi scrive, però, questa ultima soluzione sembra essere poco sostenibile; infatti se è vero che la misura dell'amministrazione di sostegno non è incapacitante, disporre sempre e comunque la necessità di un'autorizzazione per l'accettazione di eredità, anche se non beneficiata, comporterebbe l'applicazione di una norma, l'art. 374 c.c., che va letta unitamente alle norme relative al beneficio di inventario e ne forma un corpo unico, contrariamente non vi sarebbe alcuna necessità di prevedere un'autorizzazione giudiziale dettata, appunto, evidentemente per il caso in cui vi sia un'accettazione beneficiata di un soggetto incapace.

Pertanto solo nel caso in cui l'amministrazione di sostegno abbia natura incapacitante si potrà far luogo all'applicazione delle norme relative all'inventario ed alla accettazione di eredità.

Ciò si evince anche dalle pronunce in materia successoria relative alla capacità dell'amministrato:

CASISTICA

L'ambito di applicabilità dell'art. 411, comma 2, c.c., nella parte in cui prevede che gli artt. 596 e 599 c.c. si applicano anche all'amministratore di sostegno in quanto compatibili, è limitato alla sola figura dell'amministrazione sostitutiva. Il soggetto sottoposto ad una pura amministrazione di assistenza deve essere, invece, considerato in grado di disporre per testamento a favore dell'amministratore di sostegno.

Trib. Trieste, 6 maggio 2017, in Mass. Giur. It., 2017

Il giudice tutelare, laddove chiamato ad esprimersi sull'opportunità di privare il beneficiario di amministrazione di sostegno della capacità di negoziare validamente un testamento, dovrà approfondire: i) se il medesimo versi in condizioni di infermità o inferiorità tali da porlo in stato di facile raggirabilità e che non gli consentano di giovarsi di intervalli di lucidità; ii) se comprenda in modo corretto o meno la natura dell'atto da compiersi; iii) ancora, se vi possa essere indotto sulla scorta di percorso psicologico non corretto, alterato da indebiti fattori devianti esterni. Ciò potrà fare avendo riguardo, in via analogica, alle disposizioni che disciplinano l'attività notarile di raccolta degli atti - imponendo al rogante un'indagine sulla volontà delle parti - nonché a tutte le norme del codice civile che disciplinano l'invalidità successiva del testamento o delle singole disposizioni.

Trib. Vercelli, decreto, 4 settembre 2015, in Quotidiano Giuridico, 2015

Il beneficiario di amministrazione di sostegno, il quale, se pure può venir limitato nella sua autonomia negoziale, mai diviene formalmente incapace, può liberamente fare donazione. Ciò vale sia nel caso di amministrazione di affiancamento, salvo che il giudice ritenga di dover inserire nel decreto la limitazione a tale facoltà, ex art. 411, ult. comma, c.c., sia nel caso di amministrazione sostitutiva, previa autorizzazione del giudice tutelare, qualora sia accertato con sicurezza l'intento liberale del beneficiario e non si ravvisi alcun pregiudizio per la tutela degli interessi personali e patrimoniali dello stesso.

Trib. La Spezia, decreto, 2 ottobre 2010, in Nuova Giur. Civ., 2011, 2, 1, 77

Le disposizioni che prevedono questo obbligo per i soggetti incapaci (artt. 471 e 472 c.c. ) vanno coordinate con gli artt. 320, comma 3, e 374 n. 3 c.c., i quali prescrivono per il legale rappresentante dell'incapace (rispettivamente minore soggetto a potestà e minore sottoposto a tutela ed interdetto) l'obbligo di munirsi dell'autorizzazione del giudice tutelare competente per poter accettare l'eredità (con beneficio di inventario).

L'inabilitato o l'emancipato, essendo soggetti solo parzialmente incapacitati, saranno legittimati a presentare anche personalmente il ricorso, trattandosi di atto che non eccede l'ordinaria amministrazione.

Il consenso del curatore, invece, sarà richiesto per il compimento del solo negozio di accettazione beneficiata, cosa che consiglia, nella pratica, di presentare ricorso con firma congiunta di curatore ed inabilitato per l'autorizzazione all'accettazione ereditaria, ove si dia atto del consenso del curatore a procedere all'accettazione dell'eredità.

In assenza di autorizzazione giudiziale, l'atto di accettazione sarà annullabile a seguito di giudizio promosso dall'incapace, dai suoi eredi od aventi causa (artt. 322, 377 e 396 c.c.).

La legittimazione a presentare il ricorso spetta al legale rappresentante dell'incapace o all'incapace stesso se inabilitato od emancipato; per il soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, varrà quanto detto sopra in merito alla natura specifica del singolo provvedimento di nomina.

La domanda si propone con ricorso ed il procedimento si svolge in camera di consiglio ai sensi degli artt. 737 e ss., c.p.c..

Competente ad emanare il provvedimento è il giudice tutelare del luogo ove si trova il domicilio dell'incapace, fissato per i minori e per l'interdetto dall'art. 45 c.c., mentre per il minore emancipato e per l'inabilitato, presso il domicilio del curatore che li assiste negli atti di straordinaria amministrazione; per il soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno l'applicazione dell'art. 45 c.c. andrà valutata in ragione del contenuto del decreto di nomina.

Contro il provvedimento del giudice tutelare è ammesso reclamo, la cui competenza spetta al tribunale in composizione collegiale (art. 45, disp. att., c.c.). Legittimati a proporre reclamo sono gli stessi soggetti legittimati a presentare il ricorso per l'accettazione beneficiata.

Istanza per la formazione dell'inventario di eredità

L'inventario della massa ereditaria è istituto che può essere utilizzato anche al di fuori della fattispecie di accettazione beneficiata ed ha lo scopo di accertare la consistenza del patrimonio ereditario onde evitare la dispersione o la sottrazione di beni già appartenenti al defunto.

Può essere preceduto dalla cosiddetta apposizione dei sigilli, anche se tale ulteriore procedimento non è per forza collegato con la richiesta di inventario.

L'istituto, però, come si spiegherà poi, ha oggi perso gran parte della sua funzione stante la modifica dell'art. 769 c.p.c. operata dalla l. n. 10/2012 di conversione del d.l. n. 212/2011.

Legittimati a richiedere l'inventario nell'ipotesi di apertura di una successione (art. 769 c.p.c.) sono i soggetti aventi diritto a richiedere la rimozione dei sigilli (art. 763 c.p.c.); essi sono: l'esecutore testamentario, coloro che possono avere diritto alla successione ed i creditori ereditari. L'inventario può anche essere disposto d'ufficio oppure a seguito di istanza del pubblico ministero.

La domanda si propone con ricorso ed il procedimento si svolge in camera di consiglio secondo le disposizioni di cui agli artt. 769 e ss. c.p.c..

Competente ad emanare il provvedimento che dispone la formazione dell'inventario e designa il pubblico ufficiale incaricato della sua formazione, che può essere o il cancelliere del luogo di apertura della successione o un notaio (il notaio può anche essere indicato dal defunto stesso con testamento ed in tal caso la nomina ricadrà su questo, salvo che vi siano impedimenti) è il tribunale che decide in composizione monocratica.

Competente per territorio si ritiene essere il tribunale del luogo di aperta successione, ma non mancano posizioni contrarie che lo identificano nel luogo ove si trovano i beni ereditari o, addirittura che ravvisa una competenza concorrente dei due luoghi. Personalmente ritengo che sia più corretta l'identificazione della competenza nel luogo di apertura della successione, non solo in considerazione di un'applicazione analogica dell'art. 22 c.p.c. ma per economia dei mezzi giuridici; infatti se si privilegiasse il luogo ove si trovano i beni ereditari potrebbe prospettarsi la necessità di richiedere più autorizzazioni se i beni si trovassero in luoghi diversi e non compresi nella stessa circoscrizione territoriale, con la conseguente, eventuale, nomina di più pubblici ufficiali roganti. Non solo ma argomento forte è il richiamo che l'art. 485 c.c. fa del giudice del luogo di apertura della successione nel caso di richiesta di proroga per il completamento dell'inventario, del che si desume con una certa sicurezza che lo stesso sia competente territorialmente anche ad autorizzare la formazione dell'inventario stesso.

Contro il provvedimento del giudice di primo grado si ritiene non sia possibile proporre reclamo (né ricorso per cassazione) in quanto tale forma di impugnazione è prevista dall'ordinamento solamente avverso i decreti per i quali la legge dispone la motivazione (tra i quali non rientra il provvedimento che dispone la formazione dell'inventario); tuttavia l'istanza potrà sempre essere riproposta così come revoca da parte del giudice, anche d'ufficio oppure a seguito di istanza di parte (art. 742 c.p.c.).

Come accennato sopra, l'istanza in commento ha oggi perso gran parte della sua funzione.

Infatti, il quarto comma dell'art. 769 c.p.c. ha introdotto la possibilità che lo stesso richiedente l'inventario possa indicare ed incaricare autonomamente, senza autorizzazione giudiziale, il notaio indicato dal testatore o, addirittura, scelto dello stesso richiedente.

Pertanto tale procedura avrà la sua applicazione solo nel caso in cui siano già stati apposti i sigilli (come prevede espressamente il comma quarto dell'art. 769 c.p.c.) oppure nel caso in cui si voglia richiedere che venga incaricato il cancelliere del tribunale di apertura della successione, cosa che nel caso concreto si verifica sovente, stanti i minori costi dell'operazione.

Istanza di proroga del termine per la formazione dell'inventario

Il codice civile prevede dei termini abbastanza brevi per procedere alla formazione dell'inventario (artt. 485, 487 c.c.). Può accadere, pertanto, che il soggetto interessato non sia in grado di completare le operazioni di inventario nei termini previsti. In tal caso il legislatore ha previsto la possibilità di domandare una proroga distinguendo le ipotesi in cui il chiamato sia o meno nel possesso dei beni ereditari.

Infatti, il chiamato all'eredità, che non sia un soggetto incapace (art. 489 c.c.) e sia nel possesso dei beni ereditari (art. 485 c.c.), dovrà completare l'inventario dell'eredità entro il termine di tre mesi dalla data di apertura della successione o da quella in cui ha avuto notizia della devoluzione ereditaria in suo favore.

Il chiamato all'eredità, sempre nel caso in cui non si tratti di incapace, che non sia nel possesso di beni ereditari ma abbia già proceduto ad accettare con beneficio di inventario, nei termini di prescrizione del diritto stesso (art. 487 c.c.), dovrà completare l'inventario del patrimonio ereditario entro il termine di tre mesi dalla data della dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario.

In entrambi i casi, qualora non sia stato compiuto l'inventario nel termine di legge o nel termine concesso in proroga, il soggetto si intenderà erede puro e semplice, perdendo la possibilità di avvalersi del beneficio di inventario, nonostante l'accettazione espressa, ove abbia optato per tale forma di accettazione.

Il termine è prorogabile dal giudice a condizione che l'inventario sia stato iniziato, sempre che l'istanza venga proposta prima della scadenza dei tre mesi e la proroga stessa non potrà eccedere ulteriori tre mesi, salvo che ricorrano “gravi circostanze”, che si andrà ad aggiungere al termine ordinario di tre mesi (il termine, pertanto, non potrà eccedere i sei mesi dall'apertura della successione, in caso di soggetto nel possesso dei beni ereditari, o dalla dichiarazione di accettazione beneficiata, nel caso di soggetto non possessore).

La legittimazione a richiedere la proroga dell'inventario, che si introduce con ricorso, è in capo agli stessi soggetti legittimati a richiedere la formazione dello stesso; si tratta di quei soggetti legittimati a richiedere l'apposizione dei sigilli, stante il richiamo che l'art. 769 c.p.c. fa dell'art. 763 c.p.c. che, a sua volta riporta all'art. 753, nn. 1, 2 e 4 c.p.c.: l'esecutore testamentario, coloro che possono avere diritto alla successione (coloro che sono chiamati), i creditori del de cuius (questi, ovviamente, a fini diversi da quelli che si prefigge il chiamato accettante ai fini della limitazione delle responsabilità per i debiti cosiddetti ereditari).

Il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. e 749 c.p.c.. Competente è il tribunale del luogo di apertura della successione (come si evince dall'art. 845 c.c., nonché dall'art. 749 c.p.c.), in composizione monocratica.

Contro il provvedimento emesso dal tribunale è ammesso reclamo, ai sensi dell'art. 749 c.p.c., da parte degli stessi soggetti legittimati a presentare il ricorso di primo grado, al medesimo tribunale ma in composizione collegiale, il quale deciderà con ordinanza non impugnabile (artt. 739 e 749 c.p.c.).

Istanza del chiamato all'eredità, possessore, per vendere beni ereditari che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio

Al chiamato all'eredità possessore dei beni ereditari competono i poteri del chiamato di cui all'art. 460 c.c..

Inoltre, a mente del disposto di cui all'art. 486 c.c., al chiamato possessore, durante il termine per procedere all'inventario, compete la legittimazione processuale passiva, cioè può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità.

É questa una situazione nella quale il chiamato non ha ancora espresso la dichiarazione di accettazione dell'eredità; infatti, una volta accettato, pur con beneficio di inventario, sarà erede a tutti gli effetti con tutti i poteri anche processuali che gli competono.

L'attività compiuta dal chiamato possessore è, quindi, funzionale al mantenimento dell'integrità giuridica ed economica dei beni caduti in successione.

Qualora si tratti di atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, l'art. 460 c.c. (richiamato anche dall'art. 486 c.c.) impone la preventiva autorizzazione giudiziale, al fine di evitare che l'atto dispositivo non si riveli pregiudizievole per l'integrità del patrimonio ereditario relitto.

Anche se l'art. 460 c.c. indica, come atto di straordinaria amministrazione, solo la vendita di beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio, ma si ritiene che si riferisca a tutti quegli atti dispositivi potenzialmente lesivi dell'integrità della massa ereditaria.

L'autorizzazione giudiziale, inoltre, dovrà sempre precedere il negozio, non essendo ammissibile una autorizzazione successiva sanante.

In mancanza di autorizzazione, l'atto compiuto sarà, comunque, legittimo e perfettamente valido ma comporterà l'acquisto della qualità ereditaria pura e semplice, senza il beneficio di inventario, quale atto di accettazione tacita dell'eredità, come prevede chiaramente il disposto degli artt. 476 e 477 c.c..

Il chiamato che abbia compiuto uno di tali atti, poi, non dovrà per forza accettare l'eredità; infatti potrà anche verificarsi il caso che un altro chiamato accetti pro quota o che addirittura il soggetto agente in seguito rinunci all'eredità. In ogni caso, comunque, l'atto compiuto manterrà i suoi effetti.

Il giudice competente è il tribunale del luogo in cui si è aperta la successione (art. 747 c.p.c.); la domanda si propone con ricorso ed il procedimento si volge in camera di consiglio ai sensi degli artt. 737 e ss. c.p.c..

Trattandosi di beni ereditari il giudice, ai sensi dell'art. 748 c.p.c. dovrà anche indicare il reimpiego del prezzo ricavato dall'atto dispositivo.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 50-bis c.p.c. e 244, comma 2, d.lgs. n. 51/1998, si ritiene che il giudice decida in composizione monocratica per i beni mobili ed in composizione collegiale per i beni immobili.

Avverso il provvedimento del tribunale è ammesso reclamo (cui sono legittimati tutti i soggetti legittimati alla presentazione del ricorso in primo grado, nonché i soggetti interessati alla conservazione del patrimonio ereditario: eredi, altri chiamati, esecutore testamentario, curatore dell'eredità giacente), la competenza a decidere sul reclamo, giusto il disposto dell'art. 739 c.p.c. sarà del tribunale in composizione collegiale ove il decreto impugnato riguardi beni mobili e della corte di appello, ove riguardi immobili.

Reclamo contro lo stato di graduazione

L'istituto del beneficio di inventario prevede molteplici fasi tese alla liquidazione e conseguente pagamento dei creditori ereditari.

Pertanto, una volta accertato il passivo, liquidati i beni ereditari e formato lo stato di graduazione (operazioni svolte dall'erede beneficiato stesso o da un notaio, come prevedono le norme in materia), i creditori ed i legatari, che si lamentino dell'attività svolta potranno fare valere le proprie doglianze per mezzo del reclamo di cui all'art. 501 c.c..

Il termine, da intendersi perentorio, è di trenta giorni dalla pubblicazione dello stato di graduazione nel foglio annunzi legali della provincia (art. 501 c.c.). Si tratta, a ben vedere di un procedimento avente natura sostanziale di opposizione ad uno stato passivo, del tutto analogo a quanto previsto nella materia fallimentare.

Il reclamo, a mente dell'art. 778 c.p.c., si propone al giudice competente per valore del luogo di apertura della successione. La domanda si introduce con citazione da notificarsi all'erede e a coloro i cui diritti sono contestati, e sono decisi in un unico giudizio (art. 778, comma 3, c.p.c.).

Il reclamo può riguardare tutti i casi in cui si lamenti il mancato collocamento nello stato di graduazione o il suo erroneo collocamento, così pure l'indicazione di un soggetto non avente diritto.

Stante, poi, la precisazione posta nell'art. 778 c.p.c., secondo la quale i reclami proposti vanno decisi in unico contesto, troverà applicazione l'art. 274, comma 1, c.p.c., e di conseguenza il giudice procederà alla riunione di tutti i procedimenti (se siano stati proposti più reclami avverso il medesimo stato di graduazione).

Il giudice, quindi, deciderà, confermando o modificando lo stato di graduazione proposto, tanto che a seguito del giudizio potrà rendersi necessaria un'ulteriore fase di liquidazione.

Stante l'atto introduttivo che il legislatore identifica con l'atto di citazione, instaurandosi, così, un ordinario giudizio contenzioso, il gravame dovrà proporsi presso la Corte di appello competente, sempre con atto di citazione (Cass. civ. n. 4972/2012).

Ricorso per compiere atti di straordinaria amministrazione di beni facenti parte di un'eredità beneficiata

Per il compimento di atti di straordinaria amministrazione dei beni compresi nell'eredità beneficiata (e quindi non solo per la vendita) si rende necessaria l'autorizzazione giudiziale la quale è richiesta al fine di sottoporre al giudice la convenienza di un negozio potenzialmente pregiudizievole delle ragioni dei creditori e legatari del defunto, i quali possono soddisfare le loro pretese limitatamente ai cespiti caduti in successione (art. 490 c.c.).

L'autorizzazione prescritta dall'art. 747 c.p.c. si rende necessaria in tutti i casi in cui il patrimonio ereditario non sia definitivamente confuso con quello dell'erede.

In tal caso, infatti, permangono gli interessi alla sua conservazione da parte dei soggetti terzi (diversi dall'erede) che possono vantare ragioni sul patrimonio ereditario.

Questa condizione si presenta, oltre che nel caso di eredità beneficiata, anche nel caso di eredità giacente (artt. 528 ss. c.c.), di eredità in fedecommesso (artt. 692 ss. c.c.), di eredità amministrata dal chiamato (artt. 460 ss. c.c.).

Qualora il cespite ereditario oggetto di disposizione appartenga ad un incapace, l'art. 747, comma 2, c.p.c., prevede il parere del giudice tutelare (che potrà anche essere richiesto d'ufficio se non venga prodotto dall'interessato).

Se questo sistema appariva completo prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, in seguito a questa, si è acceso il dibattito interpretativo in ordine al rapporto tra l'art. 747 c.p.c. ed il riformato art. 320 c.c. che sottopone all'autorizzazione del giudice tutelare l'alienazione dei beni dell'incapace pervenutigli “anche a causa di morte”.

Ci si è chiesti, cioè, quale fosse il giudice competente, se il tribunale del luogo di aperta successione oppure il giudice tutelare.

Dopo un lungo cammino giurisprudenziale che ha visto affermarsi tesi contrapposte (dall'affermazione della necessità dell'autorizzazione ai sensi sia dell'art. 747 c.p.c. su parere del giudice tutelare oltre ad un'ulteriore autorizzazione sempre del giudice tutelare ex art. 320 c.p.c., alla sufficienza dell'autorizzazione ex art. 747 c.p.c. o ex art. 320 c.c.), sembra oggi prevalere la tesi secondo la quale la competenza è del cosiddetto giudice delle successioni (e quindi il riferimento è all'art. 747 c.p.c.) che sussiste in tutti i casi in cui l'acquisto non può dirsi definitivamente avvenuto al patrimonio dell'incapace, attraverso l'integrale soddisfacimento dei creditori e legatari.

CASISTICA

Ai fini dell'autorizzazione alla vendita di beni di una eredità accettata da un minore con beneficio d'inventario, è applicabile l'art. 747 c.p.c., che, richiedendo la valutazione (anche) di interessi diversi da quelli dell'incapace, si sovrappone, in posizione di poziore priorità, alle disposizioni concernenti, in via generica, la vendita di beni degli incapaci.

Trib. Catania, 6 marzo 1987, in Dir. Famiglia, 1988, 282

L'autorizzazione a vendere beni ereditari è di competenza del tribunale in composizione monocratica e, eventualmente, della sezione distaccata del tribunale.

Trib. Torino, 22 agosto 2002, in Giur. di Merito, 2002

A seguito della riforma del giudice unico e della soppressione dell'ufficio del pretore, la competenza, in passato attribuita a quest'ultimo di autorizzare la vendita di beni mobili ereditari, deve ritenersi attribuita al tribunale che decide comunque in composizione collegiale.

Trib. Torre Annunziata, 13 febbraio 2001, in Giur. napoletana, 2002, 153

Competente ad autorizzare la vendita di beni immobili ereditari del minore soggetto alla potestà dei genitori è il tribunale del luogo dell'apertura della successione, in virtù dell'art. 747 c.p.c., sentito il giudice tutelare, tutte le volte in cui il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito, come nel caso in cui sia pendente la procedura di accettazione con beneficio d'inventario.

Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 1997, n. 10637, in Giust. Civ., 1998, I, 2286

La competenza ad autorizzare la vendita di beni immobili ereditari del minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del minore, a norma dell'art. 320, comma 2, c.c., per quei beni che, pur provenendo da una successione ereditaria, si possano considerare acquisiti definitivamente al patrimonio del minore, mentre l'autorizzazione spetta, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo dell'apertura della successione, in virtù dell'art. 747 c.p.c., quando il procedimento dell'acquisto iure hereditario non sia ancora esaurito, come nell'ipotesi di pendenza della procedura di accettazione con il beneficio di inventario (che si esaurisce non con la redazione dell'inventario, ma al termine del procedimento liquidatorio), sia perché in tal caso l'indagine del giudice non è limitata alla tutela del minore, come nell'ipotesi disciplinata dall'art. 320 c.c., ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell'eredità, sia perché altrimenti si determinerebbe una disparità di trattamento tra i minori in potestate e i minori sotto tutela, in relazione ai quali ultimi l'autorizzazione spetterebbe comunque al tribunale in base all'art. 747.

Cass. civ., sez. I, 9 settembre 1996, n. 8177, in Riv. Notar., 1996

Competente ad autorizzare la vendita di beni ereditari del minore soggetto alla potestà dei genitori è il tribunale del luogo dell'apertura della successione ex art. 747 c.p.c. anziché il giudice tutelare ex art. 320 c.c. tutte le volte in cui il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito, come appunto in pendenza del procedimento di accettazione beneficiata e i beni stessi quindi non possano ancora considerarsi definitivamente acquisiti al patrimonio del minore.

Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1994, n. 8770, in Mass. Giur. It., 1994

La competenza ad autorizzare la vendita dei beni immobili ereditari del minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del minore a norma del 3° comma dell'art. 320 c.c., per quei beni che provenendo da una successione ereditaria si possono considerare acquisiti definitivamente al patrimonio del minore; l'autorizzazione spetta, invece, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo dell'apertura della successione in virtù del 1° comma dell'art. 747 c.p.c., tutte le volte in cui il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito, come quando sia pendente la procedura di accettazione con il beneficio d'inventario.

Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1993, n. 3715 Giust. Civ., 1993, I, 2712

Anche dopo la riforma del diritto di famiglia la competenza ad autorizzare la vendita di beni immobili ereditari del minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del minore a norma del 3° comma art. 320 c.c. per quei beni che provenendo da una successione ereditaria si possono considerare acquisiti definitivamente al patrimonio del minore; l'autorizzazione spetta invece, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo dell'apertura della successione in virtù del 1° comma art. 747 c.p.c. tutte le volte in cui il procedimento dell'acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito, come quando sia pendente la procedura di accettazione con il beneficio dell'inventario e ciò sia perché in tal caso l'indagine del giudice non è limitata alla tutela del minore, alla quale soltanto è circoscritta dall'art. 320 citato, ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell'eredità, sia perché altrimenti si determinerebbe una disparità di trattamento fra minori in potestate e minori sotto tutela sotto il profilo della diversa competenza a provvedere in detta ipotesi per i primi (giudice tutelare ai sensi dell'art. 320 c.c.) ed i secondi (tribunale quale giudice delle successioni in base all'art. 747 c.p.c..

Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1991, n. 2574, in Mass. Giur. It., 1991

La legge sulla riforma del diritto di famiglia del 19 maggio 1975, n. 151, pur modificando l'art. 320 c.c. non ha innovato la disciplina dettata con l'art. 747 c.p.c., sicché l'autorizzazione alla vendita dei beni ereditari, anche se appartenenti a minori in potestate, è ancora di competenza del giudice delle successioni, individuato all'art. 747 c.p.c., su parere del giudice tutelare.

Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 1987, n. 1789, in Giur. It., 1987, I,1, 1742

In ordine alla composizione dell'organo giudicante, va precisato che la norma dell'art. 747 c.p.c. (che rimetteva al pretore la competenza ad autorizzare l'alienazione dei beni mobili e al tribunale quella per gli immobili) in seguito alla modifica apportata dalla istituzione del cd. giudice unico, viene ora prevalentemente interpretata differenziando la costituzione dell'organo giudicante, in composizione monocratica per l'autorizzazione alle alienazioni mobiliari, in composizione collegiale per le alienazioni immobiliari.

Soggetto legittimato a richiedere il provvedimento autorizzativo è il titolare del bene compreso nell'eredità accettata con beneficio di inventario e negli altri casi sopra indicati, l'eventuale curatore nominato in seguito al rilascio ex art. 507 c.c., il rappresentante legale dell'erede istituito con fedecommesso (art. 692 c.c.), il curatore dell'eredità giacente (artt. 528 ss. c.c.), l'esecutore testamentario (artt. 700 ss. c.c.), il chiamato all'eredità (artt. 460 ss. c.c.).

La domanda si propone con ricorso ed il procedimento si svolge in camera di consiglio (artt. 737 e ss. c.p.c., nonché artt. 747 e ss. c.p.c.).

La competenza per materia e territorio è del tribunale del luogo di apertura della successione (ex art. 456 c.c.).

Contro il provvedimento del giudice è ammesso reclamo. La competenza a decidere sul reclamo spetta al tribunale che decide in composizione collegiale, se il provvedimento di primo grado è stato rilasciato dal giudice monocratico, ed alla Corte d'appello se, invece, è stato rilasciato dal giudice in composizione collegiale.

Ricorso per l'imposizione di garanzia a carico dell'erede beneficiato

Sulla premessa che il patrimonio ereditario è destinato in via primaria al soddisfacimento delle ragioni creditorie dell'eredità e dei legati, a maggiore garanzia di tale finalità il legislatore ha previsto che il creditore, il legatario e qualunque interessato possano chiedere al giudice di imporre agli eredi beneficiati l'obbligo di prestare una cauzione per il valore dei beni mobili ereditari elencati nell'inventario, per i frutti dei beni immobili e per il prezzo dei medesimi che sopravanzi al pagamento dei creditori ereditari (art. 492 c.c.).

Legittimati a richiedere il provvedimento sono i creditori ereditari, i legatari e comunque qualsiasi interessato che vanti ragioni contro l'eredità.

La domanda si propone con ricorso ed il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 750 e ss. c.p.c..

Competente ad emanare il provvedimento è il presidente del tribunale (art. 750 c.p.c.) del luogo di apertura della successione (art. 456 c.c.).

Dalla lettera dell'art. 750 c.p.c., si ritiene che il giudice sia vincolato alla richiesta e quindi una volta che la relativa istanza sia proposta, egli sia tenuto ad accoglierla, residuando una sua discrezionalità soltanto per l'indicazione delle modalità e dell'entità della garanzia.

Contro il provvedimento del giudice è ammesso reclamo che sarà proposto al presidente della corte d'appello da parte degli gli stessi soggetti legittimati a proporre il ricorso di primo grado, nonché dagli eredi beneficiati in caso di suo accoglimento.

Ricorso per il rilascio di parere del giudice tutelare ex art. 747 c.p.c.

L'art. 747, comma 2, c.p.c. prevede il preventivo parere del giudice tutelare quando venga richiesta l'autorizzazione ad alienare beni ereditari appartenenti ad incapaci.

Si tratta di un parere, come tale, obbligatorio ma non vincolante, teso a valutare l'interesse dell'incapace alla conservazione del patrimonio ereditario.

A tal proposito si dovrà applicare il secondo comma dell'art. 732 c.p.c. per il quale, quando il tribunale deve pronunciare un provvedimento nell'interesse dell'incapace, sentito il parere del giudice tutelare, questo, che assume la forma del decreto, deve essere prodotto dal ricorrente insieme col ricorso e qualora ciò non avvenga il parere verrà richiesto d'ufficio dal presidente del tribunale competente, come prevede lo stesso art. 732, comma 3, c.p.c..

La legittimazione a presentare il ricorso spetta al legale rappresentante dell'incapace o all'incapace stesso (assistito dal curatore) se inabilitato ed emancipato. La domanda si propone con ricorso ed il procedimento si svolge in camera di consiglio, regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.. Competente è il giudice tutelare del luogo ove si trova il domicilio dell'incapace, fissato per i minori e per l'interdetto dall'art. 45 c.c., mentre il minore emancipato e l'inabilitato hanno il domicilio del curatore che li assiste negli atti di straordinaria amministrazione. Di conseguenza si può verificare il caso in cui il giudice competente a rilasciare l'autorizzazione ex art. 747, comma 1, c.p.c., sia territorialmente diverso dal giudice tutelare competente a rilasciare il parere ex art. 747, comma 2, c.p.c..

Ricorso per far assegnare all'erede beneficiato un termine per il rendimento del conto della liquidazione individuale dell'eredità

L'art. 496 c.c. prevede un preciso diritto dei creditori e legatari di pretendere il rendimento del conto da parte dell'erede beneficiato il quale, a sua volta, è soggetto a tale specifico obbligo; il rendimento del conto, ovviamente, sarà formato una volta esaurito l'asse ereditario e soddisfatte le ragioni dei creditori e legatari.

Il rendimento del conto conterrà l'esposizione dell'attivo e del passivo; qualora l'erede beneficiato (non incapace) non renda il conto entro il termine fissato decadrà dal beneficio di inventario (art. 497, comma 1, c.c.).

Il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dall'art. 749 c.p.c..

La domanda si propone con ricorso e la legittimazione a presentare la domanda spetta ai creditori ereditari ed ai legatari rimasti insoddisfatti a seguito della liquidazione individuale compiuta dall'erede beneficiato; infatti, anche se gli artt. 496 e 497 c.c. non presuppongono questo requisito, appare del tutto naturale che il creditore o il legatario che siano stati soddisfatti non abbiano alcun interesse a richieder il rendimento del conto o, ancor di più, a provocare la decadenza dal beneficio di inventario dell'erede che abbia esattamente adempiuto ai debiti ereditari.

Competente ad emanare il provvedimento è il tribunale del luogo in cui si è aperta la successione (art. 456 c.c.) che decide in composizione monocratica (art. 749 c.p.c.).

Contro il provvedimento del giudice monocratico è ammesso reclamo al tribunale che decide in composizione collegiale (art. 739 c.p.c.). Legittimati a proporre reclamo sono gli stessi soggetti legittimati a presentare il ricorso nonché l'erede beneficiato in caso di accoglimento del ricorso di primo grado.

Ricorso per far assegnare all'erede beneficiato un termine per provvedere alla liquidazione dell'eredità ed alla formazione dello stato passivo

La fase più laboriosa del procedimento di liquidazione concorsuale mira alla trasformazione dell'intero patrimonio ereditario in denaro liquido al fine di soddisfare le ragioni creditorie degli aventi diritto (creditori e legatari, come prevede l'art. 495 c.c.).

Nel caso di opposizione da parte dei creditori o legatari, l'art. 498 c.c. prevede che l'erede beneficiato debba procedere alla liquidazione nell'interesse di tutti i creditori e legatari (cd. liquidazione concorsuale); in questo caso l'attività liquidatoria viene svolta con l'ausilio del notaio munito delle necessarie autorizzazioni giudiziali (artt. 498 e 499 c.c.).

Il codice non fissa un termine entro il quale tale attività debba essere compiuta, ragion per cui, se l'erede vi provveda con lentezza o non vi provveda affatto, ciascun creditore ereditario o legatario potrà chiedere al giudice di assegnare all'erede un termine entro il quale provvedere alla liquidazione delle attività ereditarie e per la formazione dello stato di graduazione (art. 500 c.c.).

I termini così fissati, quindi, saranno, in realtà, due: uno per la liquidazione e l'altro per la formazione dello stato di graduazione; il mancato rispetto dei termini assegnati (anche di uno solo) comporterà la decadenza dal beneficio di inventario (art. 505 c.c.), essendo indifferente un eventuale profilo di colpa o scusabilità dell'erede beneficiato nel ritardo.

É bene precisare che la condizione di bene “ereditario” come tale sottoposto al regime del beneficio di inventario, ha un termine.

Infatti, la fase della liquidazione può dirsi cessata nel momento in cui maturi la prescrizione del diritto dei creditori e legatari.

Non solo ma, quanto alla liquidazione cosiddetta concorsuale, nel caso in cui essi non si presentino per rivalersi su quanto residua dal pagamento di coloro che erano collocati nello stato di graduazione prima di loro, avranno un termine di tre anni, scaduto il quale, potrà dirsi cessato, insieme alla liquidazione, lo status ereditario in capo al patrimonio compreso nell'eredità beneficiata (art. 502 c.c.).

Nel caso l'erede opti per la liquidazione individuale, invece, la legge non offre analogo discrimine ai suddetti fini, con i conseguenti dubbi interpretativi in ordine alla individuazione del relativo esatto momento di cessazione della qualità di bene “ereditario”.

La domanda si propone con ricorso e la legittimazione spetta ai creditori ereditari ed ai legatari in quanto soggetti interessati alla liquidazione (come esattamente indica l'art. 500 c.c.).

Il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dall'art. 749 c.p.c.; la competenza è del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione (art. 456 c.c.) che decide in composizione monocratica (art. 749 c.p.c.). Il provvedimento del giudice assume la forma dell'ordinanza. Contro di esso è ammesso reclamo da proporre al tribunale che decide in composizione collegiale (art. 739 c.p.c.), la cui legittimazione spetta ai soggetti che hanno proposto il ricorso di primo grado nonché all'erede beneficiato in caso di accoglimento dello stesso ed il collegio si esprime con ordinanza non impugnabile, in camera di consiglio, sentiti gli interessati.

Ricorso per l'autorizzazione al rilascio dei beni ai creditori e ai legatari da parte di erede beneficiato incapace

Nel caso in cui l'erede beneficiato non voglia compiere personalmente la liquidazione dell'eredità, può liberarsi dall'obbligo di amministrazione e liquidazione del patrimonio ereditario rilasciando i beni ai creditori ereditari ed ai legatari (art. 507 c.c.).

Questa facoltà, oltre all'erede beneficiato capace è consentita anche all'erede incapace (il quale deve necessariamente accettare l'eredità con beneficio di inventario) munito dell'autorizzazione giudiziale richiesta per gli atti di straordinaria amministrazione e di disposizione. In tal caso gli esercenti la responsabilità genitoriale dovranno essere autorizzati dal giudice tutelare ex art. 320 c.c.; nel caso di minori emancipati ed inabilitati, questi dovranno essere assistiti dal curatore ed autorizzati dal giudice tutelare ai sensi degli artt. 394 c.c. e 424 c.c., nel caso in cui, invece, vi sia un tutore, questi dovrà essere autorizzato dal tribunale (ex art. 375, n. 2, c.c.) previo parere del giudice tutelare.

Qualora si ritenga che la dichiarazione di rilascio sia un atto di alienazione, trattandosi di beni ereditari dovrà essere proposto ricorso al giudice delle successioni ex art. 747 c.p.c.; a tal proposito si evidenzia che la dottrina prevalente e la giurisprudenza (Cass. civ., 19 novembre 1997, n. 11517), affermano che il rilascio dei beni ai creditori e legatari non determina il trasferimento della proprietà dei beni dall'erede ai creditori ed ai legatari medesimi, pertanto, non sarà necessario il rilascio di alcuna autorizzazione.

Nel caso di incapace, la legittimazione a presentare la domanda, che si introduce con ricorso, spetta al legale rappresentante dell'incapace o all'incapace stesso (assistito dal curatore nel caso di emancipazione o inabilitazione)

Il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.. Competente ad emanare il provvedimento è il giudice tutelare (del luogo ove l'incapace ha il domicilio) se l'incapace è un minore, un inabilitato od un emancipato, mentre è il tribunale (del luogo ove l'incapace ha il domicilio) in composizione collegialese l'incapace è un interdetto, un minore sottoposto a tutela, un emancipato od un inabilitato non assisti dal genitore.

Per chi ritenga sussistente la competenza del giudice delle successioni (seguendo la teoria minoritaria sopra accennata), il provvedimento sarà emanato dal tribunale del luogo di apertura della successione (art. 456 c.c.) in composizione monocratica o collegiale a seconda che nel patrimonio ereditario vi siano o meno beni immobili.

Contro il provvedimento del giudice è ammesso reclamo e la competenza avverso il provvedimento emesso dal giudice tutelare o dal tribunale in composizione monocratica spetta al tribunale che decide in composizione collegiale (art. 45 disp. att. c.c.) mentre avverso i provvedimenti emessi dal tribunale in composizione collegiale competente a decidere sul reclamo sarà la corte d'appello (art. 739 c.p.c.).

Soggetti legittimati a presentare reclamo sono quelli legittimati a presentare il ricorso di primo grado.

Ricorso per la nomina del curatore dell'eredità rilasciata

La dichiarazione di rilascio dei beni ai creditori e legatari deve essere anche trascritta ai sensi dell'art. 507 c.c..

Successivamente a detta trascrizione, si deve procedere alla nomina del curatore, il cui compito è quello di provvedere alla liquidazione dell'eredità (art. 508 c.c.) in sostituzione dell'erede.

Il tribunale può provvedere alla nomina, anche d'ufficio, a seguito del deposito per l'iscrizione nel registro delle successioni di copia dell'atto di rilascio.

Il curatore, prima di assumere l'incarico, dovrà prestare giuramento ai sensi dell'art. 193 disp. att. c.p.c..

La legittimazione a presentare la domanda, che si propone con ricorso, spetta all'erede beneficiato, ai creditori ereditari ed ai legatari (art. 508 c.c.), oltre che al tribunale del luogo di apertura della successione d'ufficio.

Il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.. Competente è il tribunale del luogo di apertura della successione (art. 456 c.c.) che decide in composizione monocratica (art. 508 c.c.).

Contro il provvedimento del giudice monocratico è ammesso reclamo al tribunale che decide in composizione collegiale. Legittimati a proporre reclamo sono gli stessi soggetti legittimati a presentare il ricorso di primo grado.

Ricorso per la nomina del curatore dell'eredità beneficiata

Se dopo la scadenza del termine stabilito per la presentazione delle dichiarazioni di credito (art. 498 c.c.) l'erede incorra in una cause di decadenza dal beneficio di inventario, i creditori ereditari ed i legatari possono adottare i seguenti provvedimenti:

- possono decidere di non avvalersi della decadenza, consentendo all'erede di proseguire la liquidazione dell'eredità;

- possono decidere di avvalersi della decadenza la quale deve sempre essere eccepita e, successivamente, agire individualmente anche sul patrimonio personale dell'erede;

- possono decidere di rinunciare a promuovere l'azione per far dichiarare la decadenza dal beneficio di inventario, presentando, però, al contempo, istanza per la nomina di un curatore che prosegua la liquidazione dell'eredità in sostituzione dell'erede: in tale ultima ipotesi, i creditori ereditari ed i legatari non possono più avvalersi della decadenza dal beneficio di inventario in cui è incorso l'erede.

Nominato il curatore, l'erede viene estromesso dall'amministrazione del patrimonio ereditario. Se vi è una pluralità di eredi beneficiati il curatore può essere nominato anche soltanto per la quota di uno di loro.

La legittimazione a presentare l'istanza, che si propone con ricorso, spetta esclusivamente ai creditori ereditari ed ai legatari (art. 509 c.c.).

Il procedimento si svolge in camera di consiglio ed è regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., nonché dall'art. 779 c.p.c.. Competente ad emanare il provvedimento è il tribunale del luogo di apertura della successione (art. 456 c.c.) che decide in composizione monocratica (art. 509 c.c.).

Una volta divenuto esecutivo, il provvedimento, a cura del cancelliere, è inserito nel registro delle successioni, viene annotato a margine della trascrizione effettuata ai sensi dell'art. 484 c.c. ed è trascritto nei registri immobiliari di tutti i luoghi ove si trovano gli immobili ereditari, nonché presso gli uffici ove si trovano i beni mobili registrati facenti parte dell'eredità.

Contro il provvedimento del giudice monocratico è ammesso reclamo al tribunale che decide in composizione collegiale (art. 739 c.p.c.). Legittimati a proporre reclamo sono gli stessi soggetti legittimati a presentare il ricorso nonché l'erede beneficiato in caso di accoglimento della domanda di primo grado.

Guida all'approfondimento
  • G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990;
  • L. Balestra - M. Di Marzio, Successioni e donazioni, Padova, 2014;
  • G. Capozzi, Successioni e donazioni, Giuffrè, 1982;
  • L. Ferri, Successioni in generale: artt. 456 - 511, Bologna, 1964;
  • Grosso e Burdese, Le successioni, Torino, 1977;
  • A. Jannuzzi – P. Lorefice, La volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2006;
  • G. Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2006.
Sommario