L’onere di immediata impugnazione delle clausole del disciplinare che consentono all’appaltante di confrontare offerte “non omogenee”
06 Novembre 2017
Il caso. Il disciplinare di una gara, finalizzata alla conclusione di un accordo quadro per la fornitura di “apteni” (i.e. particolari tipi di allergeni capaci di stimolare la produzione di anticorpi utilizzati nei test allergologici) ad alcune aziende sanitarie da aggiudicarsi in base al criterio del prezzo più basso, consentiva espressamente agli operatori di offrire “apteni” registrati sia in qualità di “dispositivi medici” sia, previa autorizzazione dell'AIFA, come “farmaci”. All'esito della gara, una delle concorrenti impugnava l'aggiudicazione contestando che l'offerta dell'aggiudicatario avesse qualificato la fornitura di apteni alla stregua di “dispositivi medici”. Il TAR ha accolto l'eccezione sollevata dall'Amministrazione secondo cui la ricorrente avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la suddetta clausola del disciplinare senza attendere la conclusione della gara.
Il nuovo quadro normativo. Il Collegio, dopo aver escluso di poter ricondurre la predetta clausola tra quelle che per consolidato orientamento giurisprudenziale sono immediatamente impugnabili (i.e. le clausole cd. “escludenti”, o che rendono ingiustificatamente difficoltosa la presentazione dell'offerta o impongono oneri del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale) ha richiamato l'innovativo indirizzo giurisprudenziale affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2014/2017 (per un maggior approfondimento v. Verso una ri(e)voluzione dell'Adunanza Plenaria n. 1/2003: il nuovo Codice potenzia gli “interessi” dei concorrenti), secondo cui il nuovo Codice dei contratti «introduce innovazioni (art. 83 comma 8, art. 211, comma 2) tendenti a “oggettivare” l'interesse dell'ordinamento alla regolarità della procedura di gara svincolandolo dall'interesse del singolo partecipante all'aggiudicazione». Nella richiamata sentenza il Consiglio di Stato ha affermato che il quadro normativo emergente dal nuovo Codice «prescinde dall'interesse del singolo partecipante all'aggiudicazione» mirando «invece al corretto svolgimento delle procedure di appalto nell'interesse di tutti i partecipanti», rendendo ammissibili azioni impugnatorie in passato ritenute non ammissibili (perché sprovviste del requisito della lesione concreta e immediata del provvedimento contestato). Alla luce di tale innovativo indirizzo giurisprudenziale, condiviso dal TAR, «la gara deve svolgersi già al netto di possibili contestazioni che attengano al metodo di aggiudicazione, alla “cornice” organizzativa del procedimento o al possesso di requisiti di qualificazione in capo agli altri concorrenti così che l'eventuale giudizio instaurato dopo l'aggiudicazione si incentri sull'effettivo concorso competitivo delle offerte».
Concludendo. Nel caso si specie – ha precisato il Collegio - «già al momento della pubblicazione del bando la ricorrente era edotta della lesività delle sue prescrizioni nella parte in cui consentivano di mettere a confronto offerte tra loro non omogenee giacché riferite sostanzialmente a prodotti aventi diverse caratteristiche e differente qualificazione normativa vale a dire, come già riferito, prodotti qualificabili tanto come medicinali che come dispostivi medici. E ciò tanto più tenendo conto dell'effetto distorsivo dell'offerta determinato dalla circostanza che il prezzo a base di gara ed i conseguenti ribassi venivano indicati al lordo dell'IVA, a fronte di un diverso regime impositivo dei beni suddetti (aliquota del 10% per i medicinali e del 22% per i dispositivi medici)». Il TAR ha concluso pertanto che «a fronte di una legge di gara che indicava chiaramente che i partecipanti potevano offrire gli “apteni” oggetto della stessa sia come dispositivi medici, sia come farmaci, la ricorrente avrebbe dovuto impugnare il bando nel termine decadenziale di 30 giorni decorrente dalla sua pubblicazione».
|