La confisca allargata dopo la riforma del codice antimafia e le novità della legge finanziaria
15 Gennaio 2018
Abstract
L'Autrice analizza le modifiche apportate all'art. 12-sexies d.l. 306/1992 dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161, e dalla l. 4 dicembre 2017, n. 172, che, in larga parte, recepiscono orientamenti del giudice di legittimità. Introduzione
Nel caleidoscopio delle figure di confisca, previste tanto nel codice sostanziale che nelle leggi speciali, e nella davvero imponente varietà di opinioni in merito alla natura delle confische, quella definita allargata o estesa o per sproporzione, disciplinata dall'art. 12-sexies d.l. 306/1992, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, ha sempre richiamato l'attenzione della dottrina e della giurisprudenza per la peculiarità della sua disciplina, oggetto di svariati interventi legislativi, succedutisi nel tempo sino ad arrivare alla l. 17 ottobre 2017, n. 161, e all'ancora più recente l. 4 dicembre 2017, n. 172, di conversione del d.l. 16 ottobre 2017, n. 148. Con la sua introduzione, avvenuta in seguito ai gravissimi episodi criminali del 1992 (seppure non coeva al vigore del citato d.l. 306/1992, bensì inserita nel suddetto corpo normativo in forza del d.l. 399 del 1994, convertito con modificazioni nella legge 501 del 1994, a seguito dell'intervento della Corte cost. n. 48/1994) e diretta ad offrire un efficace strumento per il contrasto alla criminalità organizzata, si è affievolito il legame tradizionale tra reato e bene confiscato, previsto dall'art. 240 c.p. e dalle altre ipotesi di confisca fino ad allora disciplinate. L'art. 12-sexies d.l. 306/1992, infatti, non ha come presupposto la derivazione dei beni dall'episodio criminale per cui la condanna è intervenuta ma impone la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato o colui al quale è stata applicata la pena ex art. 444 c.p.p. per uno dei reati elencati nel medesimo articolo non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Come affermato anche dalla Corte Suprema di cassazione (v., in particolare, Cass. pen., Sez. unite, 17 dicembre 2003, n. 920, Montella), è irrilevante il requisito della pertinenzialità e «la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che il loro valore superi il provento del reato per il quale è intervenuta la condanna e che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al medesimo reato» (cfr., però, tra le altre: Cass. pen., Sez. I, 21 ottobre 2016, n. 17539 e Cass. pen., Sez. I, 16 aprile 2014, n. 41100 sui condivisibili limiti alla confiscabilità, rappresentati, per un verso, dall'ambito di ragionevolezza temporale per i beni acquistati in periodo di tempo antecedente alla commissione del reato e, per altro verso, dalla pronuncia di condanna o dalla sua irrevocabilità, quanto ai beni successivi); né si richiede l'accertamento della derivazione dei beni da confiscare dall'attività illecita del condannato, in quanto si finirebbe per allargare indefinitamente il thema decidendum. Su tale misura ablatoria – oggetto nel tempo di modifiche legislative relative soprattutto al novero dei reati presupposti (non sempre in verità legati da un nesso di coerenza, se si consideri, ad es., che l'innesto dei reati di terrorismo, dovuto alla l. 45/2002, risponde alla finalità di colpire i beni “mezzo” e non “fine” dell'attività delittuosa) – il Legislatore è tornato a mettere mano con le recentissime l. 17 ottobre 2017, n. 161, e l. 4 dicembre 2017, n. 172, che introducono importanti novità sia sul piano sostanziale che su quello processuale. Modifiche introdotte sul piano sostanziale. I delitti che consentono la confisca allargata
La l. 17 ottobre 2017, n. 161, estende innanzitutto il catalogo dei reati per i quali è possibile applicare la confisca in questione. L'art. 12-sexies d.l. 306/1992, nel testo riscritto, richiama i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e colloca in elenco progressivo i delitti non indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., presenti precedentemente, oltre che nel comma 1, nei commi 2 e 2-quater d.l. 306/1992, che vengono conseguentemente abrogati. Due notazioni meritano rilievo. Il rinvio de plano ai reati elencati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. rende la norma in commento suscettibile di variazioni in relazione alle modifiche separatamente operate sulla menzionata disposizione processuale; ciò che è in concreto avvenuto di recente in seguito al d.l. 13 del 17 febbraio 2017, conv. con modif. nella l. 46 del 13 aprile 2017. E ancora, la l. 161 del 2017 non ha elencato nell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 i delitti in esso inseriti dal d.lgs. 202/2016 (Attuazione della direttiva 2014/42/Ue relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea), a eccezione dell'art. 648-ter.1 c.p., che era invece contenuto. Tali delitti sono stati inseriti dalla l. 172 del 2017.
Il problema dei delitti tentati. Entrambe le citate leggi del 2017 non risolvono espressamente il problema relativo al se nel novero dei delitti presupposti debbano ricomprendersi anche quelli commessi in forma tentata. La Corte di cassazione, a parte una pronuncia isolata (Cass. pen., Sez. I, 28 maggio 2013, n. 27189), aveva escluso che il previgente art. 12-sexies d.l. 306/1992 potesse trovare applicazione per i delitti tentati, stante l'espressa previsione della confiscabilità solo per il reato consumato ed essendo inammissibile un'estensione in malam partem (v., tra le altre, Cass. pen., Sez. V, 17 febbraio 2015, n. 26443). Parte della dottrina (v. MENDITTO, Le misure di prevenzione e la confisca allargata (l. 17 ottobre 2017, n. 161), Milano, 2017, p. 118) ha rimarcato, invece, che la tesi sull'ammissibilità della confisca in caso di delitto tentato troverebbe conferma nella novella, che richiamando i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., si riferirebbe ai delitti tentati o consumati, ivi previsti. A tale tesi potrebbe però obiettarsi che la qualificazione del delitto tentato come autonoma fattispecie di reato «comporta che gli effetti giuridici sfavorevoli, previsti con specifico richiamo di determinate norme incriminatrici, vanno riferiti alle sole ipotesi di reato consumato. Ciò in quanto le norme sfavorevoli sono di stretta interpretazione e, in difetto di espressa previsione, non possono trovare applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato»(in questi termini: S. BELTRANI, Manuale di diritto penale – Parte generale, Milano, 2017, p. 437- 438). Dal che potrebbe inferirsi che il richiamo, contenuto nell'art. 12-sexies, all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. è sicuramente effettuato allo scopo di ricollegare effetti giuridici sfavorevoli (confisca) alla commissione dei reati consumati, che sono indicati nel medesimo art. 51 mediante l'elenco degli articoli di legge che li prevedono; in difetto di esplicita menzione è, però, per lo meno dubbio che il Legislatore abbia inteso includere nell'art. 12-sexies anche i delitti tentati e ciò sulla base di un mero richiamo all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. che a sua volta – e non per tutte le fattispecie criminose in esso previste – fa riferimento anche ai reati tentati. Il che dovrebbe portare ad affermare che la norma in commento fa riferimento ai soli delitti consumati, non potendosi escludere che la diversa interpretazione configuri invero un'operazione di interpretazione per analogia in malam partem, che, come è noto, è vietata. L'estensione dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 ai delitti tentati pare confliggere anche con la ratio della norma. La scelta del Legislatore è stata, infatti, quella di individuare delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare un'accumulazione economica, a sua volta possibile strumento di ulteriori delitti. Ciò non si verifica nel caso del delitto tentato, che costituisce una forma di manifestazione del reato, che si arresta prima della consumazione e che è connotato da minore disvalore rispetto al reato consumato, come desumibile dal trattamento sanzionatorio ad esso riservato. Il nuovo comma 1 dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 introdotto dalla l. 161/2017,esclude che la legittima provenienza dei beni possa essere giustificata adducendo che il denaro, utilizzato per acquistarli, sia provento o reimpiego di evasione fiscale. Il Legislatore prende così posizione in merito all'annosa querelle circa la rilevanza dei redditi leciti ma non dichiarati fiscalmente, recependo l'orientamento criticato da coloro (v., tra gli altri, MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, p. 326) che avevano rimarcato che l'art. 12-sexies d.l. 306/1992 prevedendo che la sproporzione deve sussistere non solo rispetto ai redditi denunciati ai fini delle imposte ma anche rispetto all'attività economica comunque svolta dal soggetto, ostava all'assimilazione del reddito oggetto di evasione fiscale con quello di origine illecita. Anche la Corte di cassazione, dopo alcune pronunce di segno contrario (v. Cass. pen., Sez. II, 14 giugno 2011, n. 32563), aveva affermato (v. Cass. pen., Sez. VI, 31 maggio 2011, n. 29926;Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2013, n. 39204; Cass. pen., Sez. II, 11 novembre 2014, n. 49498 e Cass. pen., Sez. unite, 29 maggio 2014, n. 33451, in motiv.) che l'art. 12-sexiesd.l. 306/1992proprio perché prevede la concorrenza – e non l'alternatività – dei due parametri del reddito dichiarato e dell'attività economica svolta, impediva l'ablazione del bene quando esso era giustificato indifferentemente dal valore dei redditi dichiarati oppure dall'attività economica. Superata tale interpretazione da parte del Legislatore della riforma, deve, conseguentemente, ritenersi che le parole la propria attività economica, contenute nell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 facciano riferimento ai redditi di attività economiche che consentono una dichiarazione a fini fiscali “forfettaria” o ai redditi non dichiarabili interamente o parzialmente (come già prima della riforma affermato da MENDITTO, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali – La confisca ex art. 12 sexies l. n. 356/92, Milano, 2012, p. 334) Non espressamente risolto resta, tuttavia, il problema del se si debba ritenere confiscabile tutto l'imponibile o, come pare preferibile, solo quanto corrisponde all'imposta evasa; del pari, il Legislatore non ha indicato se la nuova disposizione deve applicarsi anche nei confronti dei terzi, formali intestatari dei beni, la cui posizione, già prima della riforma, non era però accomunata a quella del condannato anche da parte di chi considerava irrilevanti i redditi non dichiarati al fisco (v. Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 1999, n. 2181). Di contro, con la l. 4 dicembre 2017, n. 172, si è espressamente disposto che il condannato può giustificare la legittima provenienza dei beni facendo riferimento a redditi in relazione ai quali l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. Un'importante modifica è quella prevista dal comma 4-septies dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 introdotto dalla l. 161/2017, secondo cui le «disposizioni di cui ai commi precedenti, ad eccezione del comma 2-ter, si applicano quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiarano estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato». Il Legislatore prende così posizione sulla controversa questione dell'applicabilità della confisca in assenza di una pronuncia di condanna, sentendo forte l'eco della sentenza della Corte di cassazione, Sez. unite, n. 31617/2015 (Lucci), per la quale, salvo che nel caso di confisca per equivalente, avente natura sanzionatoria, «il giudice, nel dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell'art. 240, secondo comma, n. 1, c.p., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell'art. 322-ter c.p., la confisca del prezzo o del profitto del reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato». L'anzidetta scelta legislativa non ha trovato il consenso di parte della dottrina, che ha sostenuto (v., tra gli altri, V. GIGLIO, La confisca allargata dopo la legge di riforma del Codice antimafia) che essa viola il principio di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., anticipando conseguenze sanzionatorie a momenti precedenti alla definizione del giudizio nei suoi gradi, rimessi alla facoltà delle parti, e si pone in contrasto con l'istituto della prescrizione, che ex art. 129 c.p.p. deve essere immediatamente dichiarata e rende impossibile l'emissione della sentenza di condanna. La riforma, inoltre, sarebbe in contrasto con il d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202, che ha attuato nel nostro ordinamento la direttiva 2014/42/Ue, che, al fine della confisca, richiede una condanna penale definitiva. A tali rilievi critici potrebbe però opporsi che la confisca allargata non è applicata prima che il giudizio di cognizione sia definito nei suoi gradi e che l'ordinamento già prevede ipotesi in cui al giudice, che rilevi la sussistenza di una causa estintiva del reato, sono attribuiti poteri di accertamento: v. art. 578 c.p.p., in tema di interessi civili; art. 425, comma 4, c.p.p. circa la possibilità di disporre la confisca in sede di sentenza di non luogo a procedere, o i casi di confisca senza condanna previsti dalle leggi speciali, per come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità. Anche la Corte cost. (sentenza n. 49 del 2015), chiamata a pronunciarsi sull'art. 44, comma 2, d.P.R. 380 del 2001 dopo la sentenza della Corte Edu in tema di confisca (Varvara c. Italia), ha ribadito che «non è di per sé escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato», precisando che il giudice europeo, allorché si esprime in termini di condanna, necessaria per infliggere una sanzione criminale ai sensi dell'art. 7 della Cedu, fa riferimento allo accertamento della responsabilità, «quale che sia stata la formula astratta con cui il Legislatore nazionale ha qualificato i fatti». L'accertamento della responsabilità, menzionato dal Legislatore della riforma, potrebbe quindi consentire di soddisfare anche le esigenze predicate dalla Corte Edu, che, per l'appunto, richiede che la pena sia conseguenza dell'accertamento della responsabilità. E ciò sia se si optasse per la configurabilità della confisca in questione come pena sia e a fortiori se si ritenesse che essa non attinga connotazioni sanzionatorie. È stato anche osservato (v. MENDITTO, Le misure di prevenzione e la confisca allargata (l. 17 ottobre 2017, n. 161), Milano, 2017, p. 119) che «in senso favorevole alla modifica può richiamarsi la direttiva dell'Unione europea del 3 aprile 2014, che consente la proseguibilità del procedimento in specifiche ipotesi (imputato malato o latitante) ai fini della confisca ma non esclude che uno Stato membro possa introdurre altre forme di confisca senza condanna». Modifiche processuali. La trattazione prioritaria
La l. 161/2017, con l'art. 30, comma 3, dispone, conformemente a quanto previsto per i procedimenti di prevenzione patrimoniale, l'assoluta priorità della trattazione dei processi nei quali vi sono beni sequestrati in funzione della confisca ex art. 12-sexies. È evidente che tale disposizione incide sull'organizzazione degli uffici, regolando la fissazione dei ruoli delle udienze e la trattazione dei processi . Il nuovo comma 4-quinquies, introdotto dalla l. 161/2017, stabilisce che i terzi, titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni sequestrati, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo, devono essere citati nel processo di cognizione. Si garantisce così maggiore tutela ai diritti difensivi degli anzidetti terzi, tra i quali pare debbano essere ricompresi, benché non menzionati espressamente, i titolari di diritti reali di garanzia, richiamati invece dall'art. 5 della l. 161/2017 per le misure di prevenzione. In caso diverso, infatti, non si comprenderebbe la ragione per cui i titolari di meri diritti personali di godimento, che vantano solo un diritto di credito nei confronti dell'imputato, devono essere citati mentre i titolari di diritti di garanzia dovrebbero rimanere esclusi, pur rientrando questi ultimi diritti nel novero dei diritti reali e pur avendo, quindi, i titolari di essi un rapporto diretto con i beni, al pari di coloro che vantano il diritto di proprietà o un diritto reale di godimento. La disposizione in esame ha un'indubbia portata innovativa, essendosi in precedenza sempre ritenuto che i terzi, non destinatari di alcuna imputazione penale (neanche con riguardo all'art. 12-quinquies d.l. 306 del 1992) ma titolari di diritti sui beni confiscabili, non fossero parte necessaria dei procedimenti di cognizione. Essi potevano sia chiedere nel corso del procedimento la restituzione dei beni ed impugnare l'eventuale diniego sia proporre opposizione avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione, che decideva in ordine alla confisca, ma non erano citati in giudizio e non potevano impugnare la decisione sfavorevole, emessa in primo grado anche nei loro confronti, ritenendosi ostativi – quanto alla legittimazione ad impugnare – in particolare il principio della tassatività delle impugnazioni (art. 568, comma 1, c.p.p.) e l'art. 593 c.p.p., nella parte in cui non indica tra i legittimati i soggetti terzi, intestatari formali dei beni assoggettati a confisca. Il Legislatore della riforma, prevedendo la partecipazione dei terzi al giudizio di cognizione, ha anche riconosciuto la legittimazione degli stessi ad impugnare con appello la sentenza di primo grado nella parte relativa alla confisca. Difatti, è pacifica in giurisprudenza l'affermazione, che trova la base legislativa nelle disposizioni che disciplinano i casi di appello (art. 593 c.p.p.), l'impugnazione per i soli interessi civili (art. 573 c.p.p.) e l'impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579 c.p.p.), secondo la quale chi può partecipare al processo penale di primo grado e vi ha effettivamente preso parte, è legittimato a impugnare la sentenza con cui il giudizio è stato definito. Non espressamente risolto è però il problema relativo all'omessa citazione del terzo. Alla tesi secondo cui la mancata citazione non comporta la nullità del procedimento - ma un'irregolarità che non invalida l'applicazione della misura, ferma restando la facoltà dell'estraneo di esplicare le sue difese, quale terzo assoggettato, di riflesso, all'esecuzione della misura, con incidente di esecuzione e, all'occorrenza, con successivo ricorso per cassazione – può contrapporsi la tesi contraria, maggiormente condivisibile in ragione dell'assunta qualità di parte necessaria del procedimento, secondo cui all'omessa citazione del terzo dovrebbe conseguire una nullità, anche se non assoluta. Si è infatti ritenuto(Cass. pen., Sez. II, 25 gennaio 2017, n. 19281; Cass. pen., Sez., I, 17 gennaio 2008, n. 5054, relative all'omessa citazione della persona offesa all'udienza fissata a seguito di opposizione all'archiviazione) che l'art. 179 c.p.p. limita le nullità assolute di carattere generale, ricavabili dall'art. 178, lett. c), c.p.p. a quelle che riguardano l'omessa citazione dell'imputato o l'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza, escludendo quelle che concernono le altre parti private, soggette al regime ordinario, previsto dall'art. 180 c.p.p. Nessun dubbio dovrebbe porsi con riguardo alla necessaria costituzione in giudizio del terzo a mezzo di difensore munito di procura speciale. Il terzo è portatore di un interesse meramente civilistico (v. Cass. pen., Sez. VI, 30 settembre 2015, n. 3727), così che vale analogicamente la regola, menzionata dall'art. 100 c.p.p. per la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, secondo cui essi "stanno in giudizio col ministero di un difensore munito di procura speciale", al pari di quanto previsto nel processo civile dall'art. 83 c.p.c. Il nuovo comma 4-bis realizza un'unificazione della disciplina prevista per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati in sede di prevenzione e di confisca ex art. 12-sexies d.l. 306/1992 essendo applicabile a quest'ultima le disposizioni previste dal d.lgs 159 del 2011 in materia di:
Con il comma 4-novies, introdotto dalla l. 161/2017, «l'autorità giudiziaria competente ad amministrare i beni sequestrati è il giudice che ha disposto il sequestro ovvero, se organo collegiale, il giudice delegato nominato dal collegio stesso». Si recepisce in tal modo l'orientamento costante della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. II, 16 aprile 2014, n. 29031; Cass. pen., Sez. I, 7 novembre 2012, n. 45612), che aveva anche rimarcato che ciò risponde all'esigenza di chiamare a sovrintendere all'amministrazione, talvolta non facile, dei beni, impartendo sollecitamente le opportune direttive, il giudice che è già a conoscenza della presumibile origine e consistenza del patrimonio in sequestro. Il comma 4-bis prevede, inoltre, che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati fino al provvedimento di confisca, emesso dalla Corte d'appello nei procedimenti penali, e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni secondo le modalità previste dal d.lgs 159 del 2011. Il comma 4-sexies dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 prevede espressamente che il giudice competente ad emettere i provvedimenti di confisca, anche per equivalente, è il giudice dell'esecuzione, il quale, in caso di richiesta di sequestro e contestuale confisca proposta dal P.M., deve provvedere ai sensi dell'art. 667, comma 4, c.p.p. con possibilità di proporre opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione dello stesso. La l. 161/20177 ha al riguardo recepito quanto già affermato dalle Sezioni unite con la storica sentenza n. 29022 del 30 maggio 2001 (e a seguire plurime altre pronunce, tra cui: Sez. VI, n. 27343 del 20 maggio 2008; Sez. VI, n. 5018 del 17 novembre 2011), secondo cui la confisca ex art. 12-sexies può essere disposta anche dal giudice dell'esecuzione che provvede de plano, a norma degli artt. 676 e 667, comma 4, c.p.p., ovvero all'esito di procedura in contraddittorio a norma dell'art. 666 c.p.p., salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione, con conseguente preclusione processuale. Il comma 4-novies stabilisce, poi, che l'opposizione ai provvedimenti adottati in executivis, ove consentita, è presentata nelle forme dell'art. 666 c.p.p. allo stesso giudice ovvero, nel caso di provvedimento del giudice delegato, al collegio. Il nuovo comma 4-octies dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 prevede che «in caso di morte del soggetto nei cui confronti è stata disposta la confisca con sentenza di condanna, passata in giudicato, il relativo procedimento inizia o prosegue a norma dell'art. 606 c.p.p. nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa». Anche in tal caso il Legislatore della riforma ha recepito l'orientamento consolidato in giurisprudenza (v. tra le altre Cass. pen., Sez. I, 3 dicembre 2014, n. 3098; Cass. pen.,Sez. V, 25 gennaio 2008, n. 9576), secondo cui la morte del reo dopo la definitività della condanna – quale causa di estinzione della pena – non è di ostacolo né alla "applicazione" della confisca (obbligatoria) nè alla sua "esecuzione", ove l'applicazione sia già stata disposta prima dell'evento estintivo. In difetto di espressa disposizione al riguardo, il problema relativo al regime transitorio va risolto sulla base della natura che si riconosce alla confisca allargata: questione invero controversa, non essendosi raggiunto un approdo univoco sul se essa configuri una misura di sicurezza o una pena. Dall'inquadramento dell'istituto nella categoria delle misure di sicurezza o in quella della pena discende, infatti, l'applicazione del principio tempus regit actum o del divieto di retroattività. A differenza che per le pene, soggette al principio di irretroattività sfavorevole, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost e dall'art. 1 c.p., per le misure di sicurezza patrimoniali, per effetto dell'art. 236 c.p., che richiama l'art. 200 c.p., vale il principio tempus regit actum, così che essenon possono essere applicate retroattivamente ad un fatto che al momento della sua commissione non era ancora previsto come reato; diversamente, è consentita l'applicazione retroattiva di una misura di sicurezza, successivamente prevista, ad un reato già previsto e per il quale al momento della commissione l'applicazione della misura non era consentita. Tuttavia, la confisca per equivalente, attesa la sua natura sanzionatoria, non può essere applicata ai reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge che la prevede. Non può essere trascurato che, come sottolineato in dottrina (v.: S. BELTRANI, Manuale di diritto penale, Parte generale, op. cit., p. 788 e ss.), la deroga al principio di irretroattività, disposta per le misure di sicurezza, pone problemi di compatibilità con l'art. 7 par. 1 della Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, che «tende a ricondurre nell'orbita della sanzione penale, governata dai principi di legalità ed irretroattività, tutti gli interventi i cui esiti incidono negativamente non solo sulle libertà personali ma anche sul patrimonio individuale, come avviene per le misure di sicurezza, ed in primo luogo per la confisca, alla quale, talora, viene riconosciuta natura sostanziale di pena». Nel caso della confisca ex art. 12-sexies d.l.306/1992, pur non mancando posizioni dottrinarie contrarie, la giurisprudenza ha sempre affermato che trattasi di misura di sicurezza (v. ad es. Cass. pen., Sez. unite, 30 maggio 2001,n. 29022; Cass. pen., n. 33451/2014 e Cass. pen., n. 31617/2015, che l'hanno qualificata come una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura di prevenzione antimafia, introdotta dalla l. 575/1965, ove l'atipicità vale a differenziarla dalle confische richiedenti il nesso di derivazione del bene da confiscare con il reato commesso). Ciò ad eccezione della confisca per equivalente, alla quale si è riconosciuta natura eminentemente sanzionatoria, in quanto assolve ad una funzione non di prevenzione ma «sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale» (ex plurimis, Cass. pen., Sez. unite, 31 gennaio 2013, n. 18374 e Cass. pen., Sez. unite, 26 giugno 2015, n. 31617). Anche la Corte cost. (v.: sentenza n. 51 del 7 aprile 2017) ha riconosciuto alla confisca per equivalente natura sanzionatoria, affermando che, mentre la confisca diretta, reagendo alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di tali beni, assolve a una funzione essenzialmente preventiva, la confisca per equivalente, che raggiunge beni di altra natura, «palesa una connotazione prevalentemente afflittiva e ha, dunque, una natura eminentemente sanzionatoria». Parte della dottrina (v., tra gli altri, MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2007, p. 839) afferma che la confisca ex art. 12-sexies d.l. 306/1992 hanatura dipena accessoria, avendo carattere afflittivo ma a tale tesi si obietta (v. MAUGERI, La riforma delle sanzioni patrimoniali: verso un'actio in rem?, p. 44) condivisibilmente che la confisca ex art. 12-sexies d.l. 306/1992 a differenza della pena accessoria, non consegue automaticamente alla condanna ma è applicata nel caso in cui il condannato non fornisca una giustificazione credibile della lecita provenienza dei beni. Per di più, mentre la pena accessoria colpisce la capacità giuridica del condannato e l'esercizio di attività economiche, la confisca allargata incide sul patrimonio e, al pari delle altre misure di sicurezza patrimoniali, ha come finalità quella di colpire i beni in sé, per evitare che, rimanendo nella disponibilità del condannato, possano essere riutilizzati in altre attività illecite. L'opzione del Legislatore della riforma, che ha previsto l'applicazione della confisca ex art. 12-sexies d.l. 306/1992tranne cheper quella per equivalente, anche in caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, si appalesa sintomatica del fatto che l'ablazione del patrimonio del reo è stata ritenuta una misura sanzionatoria. Qualora fosse stata una pena, non si sarebbe potuto prevederne l'applicazione in caso di estinzione del reato. La scelta legislativa richiama, invece, alla mente l'art. 236, comma 2, c.p. e l'art. 200 c.p., secondo cui l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza patrimoniali, salvo che si tratti della confisca. La natura di misura di sicurezza trova altresì conferma nella finalità della confisca, che è rimasta immutata e può ravvisarsi nel «contrastare forme di accumulazione di ricchezza illecita per impedire un loro futuro utilizzo nella commissione di ulteriori comportamenti criminosi, così da esplicare una funzione preventiva» (in questi termini Cass. pen., Sez. I, 24 ottobre 2012, n. 44534). Dal che consegue, salvo che per la confisca per equivalente, la non operatività del divieto di retroattività (v. in tal senso: Cass. pen., Sez. VI, 12 gennaio 2010, n. 5452; Cass pen.,Sez. unite, 30 maggio 2001, n. 29022; Cass. pen., Sez. I, 24 ottobre 2012, n. 44534), senza che al riguardo possano porsi dubbi di costituzionalità, già risolti negativamente da Corte cost. n. 53 del 1968. Riconoscendo alla confisca ex art. 12-sexiesd.l. 306/1992 la natura sostanziale di misura di sicurezza, con finalità preventive e non afflittive, potrebbe affermarsi, come ritenuto anche dal giudice di legittimità sia pure con riferimento alle misure di prevenzione patrimoniale (v. Cass. pen., Sez. II, 10 giugno 2015, n. 30938), che l'applicazione del principio tempus regit actum non trova ostacolo nelle garanzie che gli artt. 6 e 7 della Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, riservano alla sanzione penale e a tutte quelle misure che, anche se non qualificate formalmente come pena in uno Stato membro, hanno carattere punitivo-afflittivo secondo i criteri elaborati dalla stessa Corte europea. Difatti, secondo quest'ultima (Welch contro Regno Unito), la tutela offerta dall'art. 7 della Cedu «concerne solo l'applicazione retroattiva della legislazione rilevante e non viene in questione in relazione al potere di confisca conferito come arma nella battaglia contro il flagello del traffico di droga». In conclusione
Se, per un verso, è indubbio che la confisca ex art. 12-sexies d.l. 306/1992 ha mantenuto inalterati nel tempo alcuni connotati, quali la mancanza del nesso di derivazione tra il reato e il bene da confiscare e la necessità di accertamento della sproporzione tra il valore dei singoli beni da confiscare e il patrimonio del condannato o di colui al quale è stata applicata la pena ex art. 444 c.p.p., per altro verso è evidente che trattasi di uno strumento che ha visto ampliare sempre più la sua latitudine applicativa. Introdotto, infatti, nella stagione delle stragi di mafia come uno strumento di contrasto alla criminalità organizzata, esso è stato esteso ad altri reati, quali quelli dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, non necessariamente commessi da organizzazioni criminali. L'avere escluso la rilevanza dei redditi non dichiarati al fisco, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge, ha, altresì, ampliato l'ambito dei beni confiscabili, risultando più difficile giustificare la sproporzione tra il valore dei beni e il proprio reddito; se alle menzionate estensioni si aggiunge, come oramai normativamente previsto, la confiscabilità dei beni pur a fronte della declaratoria di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione risulta del tutto evidente che la portata applicativa dell'istituto in esame è decisamente cresciuta nel tempo e che il Legislatore, anche e soprattutto quello della riforma, è stato mosso dall'intento di potenziare sempre più le misure che colpiscono il patrimonio quali mezzi per contrastare la criminalità, anche non organizzata. Tale ampliamento risponde ad un'esigenza di politica criminale giustificabile; tuttavia, non può trascurarsi che la confisca allargata, come oggi disciplinata, può incidere in modo significativo, oltre che sul diritto di proprietà, sul diritto di difesa del soggetto colpito, dovendo egli fornire una giustificazione credibile sulla liceità dei suoi beni, una volta dimostrata da parte dell'accusa la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi e le attività economiche, al momento di ogni acquisto dei beni. Posizione, questa, che, pur risolvendosi nell'esposizione di fatti e circostanze, delle quali il giudice valuterà la specificità e la rilevanza e verificherà in definitiva la sussistenza, e pur non implicando una vera e propria inversione dell'onere della prova (in questi termini la sent. Montella delle S.U.), comporta, comunque, un onere pregnante in capo al soggetto, che deve allegare elementi di fatto per vincere la presunzione, derivante dall'accertata sproporzione. In tale quadro è evidente che l'operatore del diritto è chiamato a svolgere un compito molto delicato, richiedendosi uno sforzo interpretativo e valutativo, teso a conciliare la menzionata esigenza legislativa con i diritti di difesa e di proprietà del soggetto inciso dalla misura ablatoria. Finalità che potrebbe, ad es., realizzarsi dando prevalenza, tra più interpretazioni possibili delle nuove disposizioni, a quella più restrittiva della portata di esse e dando quanto più possibile sfogo alle istanze difensive dell'interessato. |