Nella nozione di “operatore economico” vi rientrano anche gli enti senza fine di lucro
23 Gennaio 2018
Il caso. In una procedura indetta da Roma Capitale per la concessione a titolo gratuito di un immobile confiscato alla mafia, l'Associazione culturale ricorrente, prima classificata, all'esito della verifica del possesso dei requisiti in capo alla stessa, veniva esclusa a seguito della riscontrata irregolarità relativa al DURC. Nel giudizio promosso dall'anzidetta Associazione Culturale avverso la disposta esclusione, si costituivano la stazione appaltante e la controinteressata costituenda ATI che era stata ammessa alle fasi successive della gara ed era, quindi, divenuta aggiudicataria, svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale deducendo l'illegittima ammissione alla gara della ricorrente principale in violazione dell'art. 48, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011.
La nozione di operatore economico va intesa in senso ampio. Il giudice amministrativo, respingendo sia il ricorso principale sia quello incidentale, ha affermato che l'Associazione culturale è stata giustamente ammessa a partecipare alla procedura di concessione del bene confiscato alla mafia. Nella nozione di “enti”, infatti, devono farsi rientrare le associazioni previste dal titolo II, capo II, libro I del codice civile, le quali possono svolgere attività economica, purché la stessa sia strumentale e ancillare rispetto ai fini dell'ente stesso. Non v'è dubbio che alle associazioni suddette sia consentito l'esercizio di attività commerciali in maniera non esclusiva e comunque compatibile con la natura di ente morale delle associazioni, essendo, in ogni caso, preclusa la distribuzione di utili fra gli associati. Al di là degli aspetti puramente civilistici, anche alla luce del codice dei contratti pubblici, sembra potersi far rientrare nella nozione di operatore economico gli enti privati senza fini di lucro ove essi ne abbiano comunque la sostanza. A maggior ragione, aggiunge il T.A.R., deve ammettersi tale nozione “dilatata” di operatore economico quando si tratti di gestire un bene confiscato alla mafia. Ciò in quanto gli enti no profit e le associazioni culturali si appalesano maggiormente idonee alla gestione dei beni suddetti, anche e soprattutto per il valore simbolico insito nella valorizzazione del bene precedentemente appartenuto a organizzazioni criminali. Alla luce delle suesposte considerazioni il T.A.R. ha, quindi, concluso per l'infondatezza, oltre che del ricorso principale, anche del ricorso incidentale, risultando annoverabili tra gli enti di cui all'art. 48, comma 3, lett. c) del codice antimafia anche le associazioni culturali. |