Modifica condizioni di divorzio: si può chiedere il mantenimento del maggiorenne divenuto disoccupato?
25 Gennaio 2018
Massima
È inammissibile la richiesta di contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne divenuto disoccupato all'interno del procedimento di modifica delle condizioni di divorzio poiché, raggiunta l'indipendenza economica del figlio, non può rivivere l'obbligo di mantenimento potendo invece sorgere eventualmente obblighi alimentari accertabili con un autonomo procedimento. Il caso
Nel caso in esame viene affrontata la questione dell'intervenuto stato di necessità del figlio maggiorenne divenuto disoccupato in epoca successiva rispetto alla celebrazione del divorzio tra i suoi genitori Mediante ricorso depositato presso il Tribunale di Roma il padre e il figlio maggiorenne divenuto disoccupato, hanno chiesto di poter modificare le condizioni statuite nella sentenza di divorzio, prendendo in considerazione la possibilità di introdurre un obbligo a carico del padre di contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne divenuto disoccupato, pari a € 250,00 al mese, da trattenere dalla pensione spettante al padre. La domanda di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne, del resto, non era stato oggetto di esame nel procedimento di separazione, in quanto il figlio all'epoca del divorzio dei genitori aveva un'occupazione lavorativa. Innanzitutto emerge quindi un aspetto fondamentale ai fini dell'ammissibilità della domanda de quo: ovvero il figlio maggiorenne era economicamente indipendente all'epoca del divorzio dei suoi genitori e tale circostanza fa venir meno il diritto per il figlio a percepire un contributo al mantenimento; l'azione che il figlio avrebbe dovuto instaurare per poter ottenere un aiuto economico da parte del genitore è, infatti, quella di richiesta degli alimenti ex art. 433 c.c.. Inoltre il procedimento di modifica delle condizioni di divorzio veniva incardinato senza coinvolgimento alcuno della ex moglie né da parte dell'ex coniuge né da parte del figlio. Per tutti i motivi ut supra menzionati, il ricorso è stato rigettato. La questione
È possibile introdurre nel procedimento di modifica delle condizioni di divorzio una richiesta di mantenimento del figlio maggiorenne divenuto non più economicamente indipendente? Quali le alternative processuali per richiedere un aiuto economico al genitore? Le soluzioni giuridiche
Il dovere al mantenimento dei figli è un principio consolidato tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, posto che sia l'art. 30 Cost., sia gli artt. 147 e ss. c.c., e l'art. 315-bis, comma 1, c.c. pongono tale obbligo in capo ai genitori sancendo in maniera inequivocabile il diritto del figlio ad essere mantenuto, istruito ed educato dai genitori. Tale dovere di mantenimento tuttavia, ha i suoi limiti, come ribadito costantemente dalla giurisprudenza e le valutazioni al riguardo vengono affidate sul singolo caso alla discrezionalità del Giudice così come concesso dall'art. 337-septies c.c.. Nelle dettagliate motivazioni che hanno portato il Collegio giudicante all'emissione del decreto, emerge che l'azione promossa da padre e figlio contenga dei vizi per i quali non si è potuto accogliere la domanda di contributo al mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne divenuto disoccupato. E infatti, ha correttamente ritenuto il Tribunale di Roma, la domanda di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne è stata inserita all'interno del procedimento di divorzio tra il padre e la madre del ricorrente, in forma di «modifica delle condizioni pattuite» cadendo in errore dal momento che, quella del sopraggiunto stato di bisogno del figlio maggiorenne, è una questione che doveva essere affrontata in nuovo e autonomo processo ove legittimato attivo è, peraltro, il figlio maggiorenne stesso. Infatti, viene altresì rilevato, come il fatto che all'epoca del divorzio non fosse stata introdotta e nemmeno valutata la questione del mantenimento del figlio maggiorenne, solo successivamente identificato come ”divenuto” disoccupato, lascia ritenere con certezza che il figlio maggiorenne avesse già un lavoro che lo aveva reso economicamente indipendente, facendo venir meno in ogni caso il diritto a percepire un eventuale contributo al mantenimento. Ciò non significa però che il figlio maggiorenne che si ritrovi in difficoltà non possa chiedere ai genitori un sostegno economico; il figlio avrebbe potuto agire con separato e autonomo processo per vedersi riconosciuto un diritto agli alimenti, domanda che si fonda peraltro, su presupposti decisamente differenti rispetto alla richiesta di contributo al mantenimento (Cass. civ., n. 1585/2014; Cass. civ., n. 2171/2012; Cass. civ., n. 5174/2012; Cass. civ., n. 11020/2013). In altre parole il figlio maggiorenne divenuto non più in grado di provvedere a se stesso avrebbe potuto citare in giudizio i suoi genitori per veder riconosciuto il suo diritto a percepire un assegno alimentare ai sensi dell'art. 433 c.c., tenendo a mente, peraltro che la misura degli alimenti è proporzionata al bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi è obbligato a corrisponderli avendo come limite quello di non superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando ai sensi e per gli effetti dell'art. 438 c.c.. Osservazioni
Il decreto in commento non reca in sé una portata innovativa rispetto all'obbligo di mantenimento della prole poiché già il dettato normativo, consente al Giudice un'autonomia discrezionale nella valutazione del singolo caso in tal senso, la giurisprudenza ha già emesso in maniera costante provvedimenti di diniego dell'assegno al mantenimento al figlio maggiorenne quando sia fornita la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica o è stato posto nelle condizioni concrete per conseguirla, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività lavorativa dipende da un atteggiamento del figlio colposo o inerte. La giurisprudenza, del resto, ha anche stabilito e fissato quali siano le circostanze in presenza delle quali i genitori possano liberarsi degli obblighi di mantenimento dei figli maggiorenni ribadendo che il diritto del coniuge di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non economicamente autosufficiente, abbia in passato iniziato ad espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un'adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno (Cass. civ., sez. I, n. 24515/2013; Cass. civ., n. 23590/2010; Cass. civ., n. 21773/2008; Cass. civ., n. 26259/2005; Cass. civ., n. 12477/2004). Ciò non significa, tuttavia, che il figlio maggiorenne divenuto disoccupato non possa richiedere e ottenere un aiuto economico ai genitori che, anzi, sono i soggetti obbligati a sostenere e mantenere la prole, ma lo strumento da azionare non è quello volto a ottenere il contributo al mantenimento, bensì quello che permette di ottenere un assegno alimentare ex art. 433 c.c.. Il decreto in esame, peraltro, ha anche suggerito alle parti del processo quale strumento giuridico eventualmente il figlio avrebbe potuto azionare per ottenere dal genitore l'aiuto economico vantato, ovvero la citazione in giudizio dei propri genitori onde ottenere gli alimenti ai sensi e per gli effetti dell'art. 433 c.c. e ss.. La domanda per ottenere gli alimenti si propone, infatti, con un atto di citazione che instaura un ordinario giudizio di merito all'interno del quale sarà onere del richiedente provare sia lo stato di bisogno, sia l'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento con un'attività lavorativa confacente alle proprie abitudini e alle condizioni sociali. Il diritto agli alimenti, del resto trova applicazione anche in favore del coniuge cui sia stata addebitata la separazione se questi manchi dei mezzi necessari di sussistenza; l'entità dello stesso viene limitata ai bisogni primari ed essenziali; la durata non è prestabilita e la corresponsione può cessare al venire meno dei requisiti richiesti per la sua erogazione. Gli alimenti non sono rinunciabili e si fondano sullo stato di bisogno di chi cita in giudizio i soggetti obbligati a corrisponderli. L'esperienza di questo caso ribadisce come il diritto agli alimenti permanga in capo ai prossimi congiunti quando il richiedente si trovi in stato di necessità anche se per propria colpa. |